Il cuore e le sue voci

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“Io ti amo, Oscar. Credo... d’averti sempre amato”.

“Doveva soffocare l’amore: c’è gente che ama una persona tutta la vita senza che questa persona lo sappia”.

“Come vuoi, Oscar... certo, lo sai... io farei qualunque cosa per te

“Perché stai piangendo, Oscar, perché... sto forse... per morire?”

“Ma certo, Oscar... lo diventerai... è la cosa che più desidero al mondo...”

“Sei stata fortunata, Oscar, non si sono accorti che sei una donna. Io invece me ne accorgo sempre, anche quando indossi l’uniforme. E sei una bella donna, Oscar”.

“Per vent’anni ho vissuto con te, e ho provato dell’affetto per te... solo per te...”

 

Perché ho iniziato così? Non lo so, immagino dipenda dal fatto che è tanto tempo che ci pensavo, che volevo farlo. Perché quando penso a queste frasi penso sempre alla voce di André che le dice, intrecciandosi a quella di lei. Penso ai suoi toni dolci e profondi, alle infinite sfumature in cui sa modularsi, allo spartito di emozioni in cui scrive se stessa e alla dolcezza che scrive nel mio cuore quando quello spartito lo apro.

E’ la voce di André, che se fosse stata diversa forse non me lo avrebbe fatto amare così. Sicuramente no: anche se, qualche tempo fa, andando a pescare su un sito francese i file audio del doppiaggio in quella lingua, li ho trovati incantevoli e struggenti, e ogni volta che li riascolto mi assale la malinconia e un vuoto che vorrei colmare. Dicono anche parole diverse, lì: e nella notte del 12 luglio lui le dice “Tu sei tutta la mia vita... io ti amo”, e lei risponde, piangendo contro il suo petto: “Oh, André, anch’io, anch’io, tu non sai quanto ti amo, André...”

E’ bello, quel doppiaggio, riascoltandolo ti prende anche e ti coinvolge. Ma non è come il nostro. Non è come la voce del nostro André. Non è come la voce di Oscar che disperata dice: “Bene, e adesso? Cosa vorresti farmi, André... cosa vuoi provare...”. O che piange dopo la sua morte e si dispera pensando: “Io ti amavo, André! Ti amavo davvero, con tutto il cuore! Avrei potuto amarti già da molti anni... È questo che mi fa star male, che mi fa sentire terribilmente in colpa...”

 

È soprattutto André che amo, la sua voce. E no, non soltanto perché amo lui. Lo amavo già quando si chiamava Terence, ed era sensibile e tormentato, e Candy l’amava. Ricordo il giorno che la baciò sotto l’albero, e che strano quel disegno, con le bocche unite, senza contorni disegnati, una cosa sola e gli occhi chiusi. Mi sembrò una cosa eterna, quel bacio, ma soprattutto la tristezza di lui.

Secoli fa... ero una bambina davvero, allora, con tante cose nel cuore, che non riuscivo a capire.

 

Poi Terence è diventato André, e io ero già più grande, e riuscii a capire che lo amavo anche per la sua voce. E per anni, anche dopo la sua morte, continuai a inseguirlo nelle sue metamorfosi da un personaggio all’altro: era Goemon di Lupin, anche lui riservato e solo, era in “Ritratto di signora”, col suo amore trattenuto e inutile, minato dalla tisi senza speranza: “Perdonami, l’ho detto per ferirti: l’ho detto perché ti amo”. Era Charlie Sheen in quella versione americana dei Tre moschettieri, in cui la regina ama il re e il tradimento con Buckingam non esiste, e il pubblico è rassicurato dalla famiglia unita: chissà cosa avrebbe detto Dumas. Ma a me rimase impressa più di tutto questo la voce di un moschettiere che parlava come André, e forse amo Charlie Sheen proprio perché quella voce dà un sapore di dolcezza al suo sguardo, persino quando sbeffeggia Tom Cruise facendo l’eroico Topper in “Hot shots”.

 

Lui si chiama Massimo Rossi, che poi è un nome abbastanza ordinario, a guardarlo così. Eppure quando finisce tutto e i titoli scorrono sullo schermo, io aspetto che scorrano come un rito, finché si arriva al doppiaggio, per trovare il suo nome. Ne gioisco sempre, se lo trovo.

E di solito lo trovo, perché ormai lo riconosco appena apre bocca, appena parla, anche se sto guardando un film che non c’entra niente con André, e in cui magari è un astronauta che parla in quel modo, alle prese coi marziani. Io lo riconosco sempre, e solo ritrovarlo distilla gioia nel mio cuore.

Che bella voce, ha. Quanto è importante in un uomo la voce? Io dico tanto, perché nella sua voce c’è una carezza trattenuta e dolcissima, c’è una forza struggente che t’invade, c’è desiderio e passione e tenerezza. E rispetto, una delicatezza maschile che ti prende e ti tiene a sé.

Un giorno ho visto la sua foto, su un sito. Era tanto che cercavo d’immaginarmi il suo viso, e quando seppi che potevo vederlo ebbi paura di rimanere delusa. E se fosse stato come il bravissimo Ferruccio Amendola, che non smetteremo mai di rimpiangere, ma che non era De Niro, e non era Rocky, però?

Invece neanche la foto mi ha deluso: era una foto scherzosa, dovevano averlo preso in una pausa di lavoro, rideva in maniera coinvolgente, ed era giovane, non tanto più grande di come pensavo che fosse.

Ma non dico queste cose per lui, non le dico perché voglia entrare nella realtà, ora, - non è questo che m’interessa, non mi è mai importato -, pensare alla persona lui invece che ai personaggi in cui vive: in cui si misurano, certo, a cercarle, le fasi della sua vita. Perché quando era André, nell’82, la sua voce era di un ragazzo con tante cose da dire dentro. Ed era quella di un uomo pochi giorni fa, invece, nel film col doppiaggio nuovo trasmesso su Italia Uno. Modulata in toni più profondi e maturi. Tanto diversa, che a volte mi addolorava anche sentirla così diversa, e pensavo: “Cosa hai fatto, Massimo Rossi, ti sei dimenticato di André?”. Io ti amo, Oscar: credo... d’averti sempre amato. Non poteva essere detto in un altro modo, nell’episodio 28, e quando me lo dicesti, tanto tempo fa, io sentii che era perfetto e m’innamorai di te. Di André, voglio dire.

Nel film a cartoni non sembravi più tu, allora. Poi però tornai indietro, e lo risentii, e imparai a gioire delle ricchezze in più che quelle nuove sfumature assegnavano al mio André: non cancellando le altre che già sapevo, solo regalando ad esse tante vibrazioni. In chiaroscuro, stavolta. Il chiaroscuro della maturità, perché eri un uomo, e non un ragazzo, adesso.

Ma io mi ricordo di te anche nel film di Demy, e non ho mai capito perché dicessero che Barry Stokes non fosse adatto a quel ruolo. “Un André più realistico ma meno poetico”, dicevano. E cosa c’è di male nella realtà, ho pensato... A me è sempre sembrato vero, appunto, proprio lui, anche grazie alla tua voce, e ho sempre pensato che, se fattezze umane doveva avere André, dovevano essere quelle e non altre. “Non voglio perderla, Nanny”. “No. No. Se ti perdessi non potrei più vivere”. “Sei bellissima...”. “Perché tu non lo sei... Perché tu non sei un uomo, Oscar”. E il viso con cui quell’uomo e quell’attore dicevano tutte queste cose erano quelli veri, e la voce era proprio quella di André, e lo sguardo pure. Chi dice che il realismo non possa dare poesia?

Non era un granché, quel film, perché il regista era francese e aveva troppo a cuore l’apologia della Rivoluzione per capire il cuore di Oscar. E la sceneggiatura faceva pronunciare spesso frasi stupide, ai suoi attori. Ma: “non ti sopporto quando non mi parli...”. “Ringraziamo Dio che sia andata così...”. “Io ti amo”... Questo c’era, e in questo c’eri soltanto tu, André. C’eri soltanto tu, e quelli erano i tuoi occhi, quello era il tuo viso, per me. Meno poetico? No, più vero, anzi: con la verità di un uomo nel cuore e nello sguardo. Chi mai potrebbe interpretare un disegno, e dargli voce e gesti senza distruggere il suo spirito, regalandogli invece una profondità?

Guarda cosa è successo con Oscar, in quel film. Un dolore a vedersi, poverina. Sì, è vero, lei era il personaggio più difficile da far vivere... ma così... nemmeno il seno era all’altezza, suvvia.

Però anche qui Cinzia De Carolis – che tante volte lavora con te, ed è così brava, e nessun’altra avrebbe potuto dare voce a Oscar se non  lei, che sa renderla dolce e forte e ruvida e tenerissima nello stesso istante  - è intervenuta: e un po’ l’ha salvata lei, per quello che poteva. “E c’è una cosa che volevo dirti: io ti amo, André”. “... E mi manchi, André”. “Dimmi, André, ora che ho imparato a parlare, a camminare, a pensare... sì... anche a pensare come un uomo, perché non posso uccidere come un uomo?”. “Perché tu non lo sei”. “Che hai detto? Ripetilo!”. “Perché tu non lo sei, Oscar”.

 

Ci sarebbero tante altre cose, ma per ora basta così. Io quella dolcezza la conservo distillata nel cuore, e non la vorrei diversa. Sono le voci del mio cuore, in cui mi riconosco.

 

Alessandra

 

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