Oscar Hen - Mrs Ikeda, le Gaiden - Metaletture

di Laura Luzi

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Recentemente, l’anime di Lady Oscar è stato oggetto di una riscoperta in Giappone, quando è stato ritrasmesso tra il 2015 e il 2016, soprattutto da parte delle giovani fan. Anibara, lo chiamano. Per comprendere la reale portata della cosa, bisogna considerare alcuni fattori.

Innanzitutto, fino all’inizio degli anni Duemila, in Giappone, chi dichiarava di apprezzare l’anime spesso veniva zittito, ghettizzato tra le fan d’antàn, che di fatto, rimproveravano all’anime di rappresentare una Oscar meno forte, rispetto a quella del manga, che, all’inizio degli anni Settanta, era stata liberatoria per la condizione, così sottomessa, della donna in Giappone. Secondo i detrattori, infatti, Oscar si lascia guidare e influenzare dagli uomini dell’anime, a differenza che nel manga, lascia che sia André a decidere di combattere col popolo, limitandosi a seguirlo. Ora, io trovo questa visione molto parziale e molto estremizzata, perché chi conosce bene l’anime potrà ribattere punto per punto a tali critiche, essendo evidente il carisma – e la conseguente influenza – che il personaggio di Oscar riveste, per chi la circonda, per tutta la serie e, quanto alla questione del lasciar decidere ad André se combattere o meno, sebbene, a prima vista, la cosa non mi piaccia, a ben riflettere essa indica, più che una sottomissione, il riconoscimento di un mutuo rispetto umano, il rispetto del punto di vista dell’altro, la delicatezza di comprendere, dopo gli anni di distanza emotiva quasi voluta seguita a quelli dell’amicizia e della vicinanza, le esigenze etiche in nome delle quali anche un altro da noi può decidere di lottare e noi anche, per nostro convincimento. Dell’anime ho sempre apprezzato quella “normalità” che ha saputo usare nel raccontare i personaggi, quasi un tono minore, quotidiano – spiegava Dezaki –, bilanciando, riequilibrando vari aspetti supereroistici e superomistici del manga, in una rilettura ragionevole, fatta col senno di poi e, soprattutto, molto europea. Perché in effetti Mrs Ikeda, dal Giappone, narra una storia coi canoni propri dello shojo d’epoca, ma si cimenta con un background e caratteri europei. Di questo, l’anime, giustamente, anche per il fatto di arrivare dopo il film di Demy, tiene conto.

Ulteriormente, va rimarcato che, tra i vecchi fan giapponesi del manga, c’era anche chi considerava che, senza l’anime, Lady Oscar non sarebbe mai stato conosciuto e apprezzato fuori dalla patria, ma veniva ridotto al silenzio, talvolta trovando più libertà di espressione nei fandom europei. Le cose hanno iniziato a cambiare attorno al 2000 e il fatto, invece, che le recenti trasmissioni abbiano reso il personaggio di Oscar conosciuto e apprezzato anche dalle fan giapponesi più giovani, dà da pensare.

Noi, in Italia, nel 1982 siamo stati i primi a portare al successo la serie. Di seguito a noi, la Francia, nel settembre 1986.

A proposito di ciò, va chiarito un errore grossolano riportato, inspiegabilmente, nel maxi book allegato alla edizione definita “definitiva” e “deluxe” francese. Da noi la serie, fin dal 1982, anno della prima messa in onda, e, ininterrottamente, fino al 1998, è andata in onda senza censure – a parte la scena di Rosalie –. La scena d’amore, per tutte quelle messe in onda, c’è stata ed è stato solo nell’edizione 2000 che è stata tagliata, assieme ad altre varie censure. Sono stata io a scrivere il testo “Le censure dell’edizione 2000” che sta sul mio sito http://digilander.libero.it/LittleCorner/Essays/cens2000.htm e il cui elenco circola in rete e so benissimo di cosa parlo. Chi scrive cose diverse sbaglia. Per di più, i compilatori del librone scrivono di aver riferito questo a Mrs Ikeda, la quale se ne sarebbe stupita. Certo, chi si perita di compilare notizie per riempire pagine su libri di edizioni sedicenti “definitive” in tema dovrebbe prima verificare le fonti.

In Giappone la serie inizia ad essere apprezzata solo di seguito al boom di Araki in Saint Seiya. Dal 2015-2016, finalmente, tocca alle ragazzine giapponesi scoprire Oscar proprio grazie all’anime. Le fan più giovani, peraltro, apprezzano anche la Oscar delle Gaiden, che invece le vecchie fan del manga detestano e quelle dell’anime apprezzano solo in parte. E qui tocchiamo tasti se non dolenti, quantomeno complessi.

Questo tardivo apprezzamento ha comportato una reazione di ritorno, evidente nelle recenti Gaiden di Mrs. Ikeda, che, in un’intervista, ha dichiarato di aver guardato l’anime solo fino all’ep. 5, se ricordo bene (anche se spero sempre che le sue recenti sortite in Italia e non le abbiano fatto capire quanto l’anime sia stato importante per la diffusione del manga). Rifacendosi, in certa parte, a plot già esistenti per il Takarazuka (in quella di André limitandosi, piuttosto curiosamente, a modificare il nome dell’amichetta d’infanzia di André da Maryse in Christine), Mrs Ikeda, da un lato, viene a patti parzialmente con le fan del Grandier e le fa contente, concedendo qualche inquadratura di André, magari anche in versione codino, questa molto apprezzata in Giappone (gli ha perfino inquadrato natica e coscia a cassetta: non so se questo vada computato nel novero delle vignette grandieriane); dall’altro continua a sgomberare le proprie calzature di vari massi e detriti, riscrivendo, modificando e, spesso, svilendo o ignorando direttamente (l’opera da lei presto intrapresa e mai terminata nei confronti del povìro Grandier è cosa tristemente cognita), con grave scorno ed imbarazzo non solo delle fan giapponesi, ma anche di quelle europee; dall’altro, ancora, cerca appunto di andare incontro ai gusti di queste giovani fan giapponesi, che paiono apprezzare, e quindi di ricercare gli indirizzi stranianti e nevrotizzanti indicati nei personaggi più amati di certe serie cult dell’ultimo venticinquennio (roba recente, eh?), come Asuka in Evangelion (a proposito, avete mai ascoltato come si pronuncia Asuka in giapponese? Un nome a caso). Certo, è strano pensare che che proprio l’autrice di una serie stra-cult per antonomasia, con all’attivo tanti bei manga e tanti lavori, si metta ad andar dietro ad altre serie (che certe tematiche poi lei stessa le ha trattate in vari manga). Belle, sì, ma Lady Oscar è sempre Lady Oscar – e non sarà mai un lillà – ovvio, fino a che non sarà terminato il disboscamento a cui l’autrice sta provvedendo: poi, chissà cosa ne resterà. E, a ben guardare, incontro fino a che punto?

In effetti, se le fan europee cercano, chi può o è interessato, di tenere dietro al numerosissimo merchandising di solite immagini, fiorito e concimato attorno ad Oscar, quelle giapponesi d’epoca sembrano essere decisamente più critiche sulla questione. Sarà che, in fondo, loro non devono penare quanto si pena dall’estero; sarà che da loro costa 3 € quello che noi finiamo per pagare oltre 30, diciamo che in Giappone possono permettersi di avere un animo più distaccato su queste “emissioni” che per noi forse hanno ancora il fascino di una cosa lontana, difficile da ottenere e vagheggiata con lo sguardo velato d’affetto dell’infanzia. Per di più, se le fan giovani hanno apprezzato la Oscar delle nuove Gaiden, se le fan giapponesi delll’anime vi hanno trovato pregi e difetti, a molte, a tante tra le fan originarie (e a noi europee), non è andata proprio giù tutta la storia delle Gaiden, con le varie riletture e coi personaggi disegnati sempre peggio, tra i quali spicca proprio Oscar, che si inabissa verso l’aspetto della sorella maggiore di Almanso Wilder – altro che David Bowie, come ha dichiarato l’autrice –, e gli altri rivisitati, coi nomi cambiati sia rispetto al manga, sia all’anime sia perfino alla realtà storica – che senso ha rifarsi alla femme de chambre di Maria Antonietta, realmente esistita, e moglie effettivamente del generale, per poi cambiarle il nome? Mistero.

André ignorato più possibile, con la sua gaiden svolta modello compitino, che lo dipinge come un bambino stolido, armato di cappello farmer, camiciola country e, ‘nziamai!, zoccolo-munito, ma non è quello del satiro dal nostro invocato durante i preliminari della scena d’amore (fino a che non si stufa, la arraffa e dichiara: “Adesso basta, ho aspettato fin troppo”), dev’essere, invece, quello di Remì di Dezaki (lo spettro del Maestro aleggia sulla Sensei…), un chiaro zoccolo da Olandesina, al che ti immagini il piccolo Grandier sulla mongolfiera e col cappellino tipico. L’unica parte è quella in cui lui fa all’orecchio di Oscar: “Va bene, ma tanto io vedo solo te” e, per fare la hola a questa frase, il fan si è sorbito una intera storia in stile Jeanne-Rosalie (in tante pagine, quante cose si sarebbero potute dire)!

Oscar anche lei abbastanza bistrattata, forse perché non le si possono far sempre indossare pizzi e merletti (eppure ha un’uniforme zeppa di ghirigori: che non bastano?), e allora ecco che l’autrice rimedia. Con il minicomic matrimoniale, in cui soltanto la nostalgia e l’amore che, nonostante tutto, continuiamo a nutrire per questi due malcapitati (si vede che, porelli, è davvero merito loro, sono due bravi personaggi, troppo riusciti), ci trattengono nel vedere la sobria Oscar rivolgersi a Rose Bertin, andare dietro ad inutili to-do-list da nubenda, e, peggio di tutti, indossare un tendaggio pacchiano. Con la gaiden su Oscar, in cui la nostra quasi impazzisce perché la sua autrice, volendo strizzare l’occhio alle giovani generazioni, va dietro ad Asuka di Evangelion e crea una Oscar che ragiona col suo doppelganger, ma un doppio cattivo, amaro, quasi feroce, quasi spietato, così che Oscar non è più Oscar ma è diventata sballata almeno quanto Julius di Orumado, Rei di Onisama E (e Asuka).

Ora, che Mrs Ikeda, negli anni dopo Lady Oscar, abbia dovuto o voluto clonare delle Oscar, modificando qualcosetta, e quindi sfornando Rei, Julius, Claudine, Brunhilde (OMG, incommentabile), non sto a sindacarlo, però Oscar era, tra questi, il personaggio più riuscito e moderno, perché quello più bello e completo proprio in quanto umanamente equilibrato nel senso di fondato, centrato, autentico. Nessuna di noi trovava strano che Oscar, tutto sommato, fosse venuta a patti col fatto di essere una donna lavoratrice, autonoma, che, anzi, rivendicava tale autonomia col padre e con un suo bell’equilibrio, tanto da spiegare la vita alla principessa, alla regina, a Fersen, a Giro, ai suoi soldati pure. Adesso questo lato sano di Oscar viene aggredito e vulnerato proprio dall’autrice, che porta Oscar sul baratro dell’insania, di fronte a quello che sarebbe potuto essere. Ma è davvero un possibile e credibile alter-ego di Oscar questa donna che dice cattiverie con un ghigno in stile Polignac? Questa donna scontenta, accigliata, quasi brutta e decisamente troppo mascolina? Nonostante sia agghindatissima, questa Oscar in gonnella appare molto meno femminile della Oscar in uniforme. Non ha nessuna dolcezza, è dura. Nessuna malinconia nello sguardo. Pure il figlio, lo tiene con un ghigno. Se questo è l’effetto che gli anni al femminile hanno fatto al doppelganger, meglio la Oscar militare, molto più umana e sensibile e molto meno incazzata col mondo – evidentemente avendo trovato un suo proprio equilibrio –.

Forse, era proprio questo che Mrs Ikeda voleva dire? Una risposta alle giovani fan che, a differenza delle vecchie, rimproverano ad Oscar di fare una vita meschina, di essere una sfigata per aver dovuto rinunciare agli abiti, ai figli e aver dovuto, invece, lavorare? Perché questo è il punto di vista delle giovani fan giapponesi. Non apprezzano che Oscar sia libera, abbia un compagno, un lavoro, abbia fatto delle scelte di vita e lotti per i propri ideali. Non apprezzano quello che Oscar stessa rivendica, di fronte al padre, in quel “Sarei stata come le mie sorelle (…), allora, grazie per avermi dato tutto questo”. Se ci pensiamo bene, allora, la dissonante “Oscar Hen” di Mrs Ikeda, che, proprio dopo gli inquietanti incontri con la accigliata Oscar a baldacchino, riporta la storia nei canoni del conosciuto, a quella frase, forse voleva dire alle sue giovani fan proprio questo. Che Oscar non è Maria Antonietta o Candy Candy e, pur tra mille dubbi – se mai li abbia avuti al livello parossistico della gaiden “Oscar Hen” – e io non credo: credo che questa rilettura sia volutamente estremizzata –, Oscar, quella vera, lì sarebbe tornata, a dire al padre “allora, grazie per tutto questo che mi avete dato”.

No, perché altrimenti, la storia mi convince davvero poco. Perché, se non c’è una volontà dell’autrice Mrs Ikeda di criticare le giovani fan in questo loro voler una Oscar diversa; se, semplicemente, Mrs Ikeda voleva raccontare una possibile altra Oscar, allora, se l’intento era davvero quello, – e non un raffinato sovrasenso, una metalettura niente affatto scontata che scorre dietro il piano narrativo e racconta davvero per cenni, gesti, espressioni – non era davvero possibile sceverare un argomento interessante – e trattato in varie fanfic – in modo meno violento? Intendo violento per l’integrità dei personaggi (e i sentimenti dei lettori). E, ancora, se l’intento non era (come, invece, penso) di critica radicale delle giovani generazioni, ma era di mera narrazione, per quanto provocatoria (non alle giovani, ma alle vecchie fan), allora, invece di ricercare in maniera fin troppo meccanica complicazioni e spiegazioni e ulteriori motivi allo scopo di riempire un plot e delle tavole, non era meglio raccontare una side-story come in fondo la primissima Gaiden?

Insomma, delle due l’una.

Spero la prima.

Siamo di fronte a un’autrice che, invece di fare un passo indietro, interviene a ricordare che c’è un’autrice, che possiede i personaggi. Giusto e vero, ma, vorrei aggiungere, c’è stato anche un editor che ha dato ottimi consigli (e viene da domandarsi che cosa consiglino invece gli editor attuali – se ci siano –). Ci sono stati fan intuitivi a cui l’editor ha a suo tempo consigliato di dar retta. C’è stata una grandiosa rilettura ad opera della serie animata, sceneggiatori in primis e registi – Nagahama ha pur sempre all’attivo episodi come l'1 e l'8, che sono due perle; Dezaki neanche c’è bisogno di dirlo –. Insomma, lo ripeto, a volte ci vorrebbe fare un passo indietro. Oppure bisogna aver fiducia nell’autrice e supporre che, soprattutto in Oscar Hen, sia la metalettura, la critica radicale alle nuove generazioni, ad aver guidato la mano e gli intenti. Vorrei fosse così. Ma per le altre gaiden?

Laura Luzi, marzo 2017

pubblicazione sul sito Little Corner del marzo 2017

 

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