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In Grecia

I Greci presero quanto potettero, in fatto di nozioni elementari, dagli Egiziani e dai Babilonesi, ma, nonostante ciò, alcuni elementi caratteristici della genialità di quel popolo si affermarono anche nel modo di attingere alle fonti, dimostrando di voler interessarsi solo a ciò che ritenevano importante. Essi ebbero pure un importante vantaggio nei confronti di detti popoli: in quei paesi la scienza era monopolio della classe sacerdotale, con il pericolo che i risultati ottenuti finivano con l'impegolarsi in prescrizioni, in osservanze di rito, in sterili formule.

I Greci, invece, non avendo una classe sacerdotale organizzata, liberi da dogmi e superstizioni, furono capaci di creare un organismo vitale e suscettibile di illimitato sviluppo.

L'astronomia inizia con Talete (624-547) allorchè predisse un'eclisse solare, probabilmente quella del 28 maggio 585, basandosi sulle osservazioni già fatte dai Babilonesi che avevano notato il ricorrere di questo fenomeno ogni 223 lunazioni: allo stesso si attribuiscono anche l'individuazione del Polo (per mezzo dell'Orsa Minore) e la disuguaglianza delle quattro stagioni astronomiche.

Pitagora (572-497) fu il primo a sostenere sia la sfericità dei corpi celesti e, quindi, della Terra (che, però, era considerata al centro del cosmo), sia un proprio movimento di Sole, Luna e pianeti.

Iceta di Siracusa, successore di Pitagora nella scuola, ritornò alla tesi geocentrica della Terra ed a quella che Sole, Luna e pianeti si muovevano in rotazione circolare intorno al "fuoco centrale".

La scoperta del moto di rotazione della Terra intorno a se stessa in ventiquattro ore e di Mercurio e di Venere intorno al Sole fu opera di Eraclide (388-315).

Aristarco (310-230) divenne famoso per aver anticipato le teorie di Copernico: basandosi su quanto fissato da Eraclide, avanzò l'ipotesi che il Sole fosse fermo e che i pianeti allora conosciuti, compresa la Terra, si muovessero circolarmente intorno al Sole. Dedusse anche le dimensioni e le distanze del Sole e della Luna, ma commise l'errore di attribuire ad un angolo di 89° 50' un'ampiezza di soli 87° e di valutare 2° l'angolo sotteso al centro della Terra tanto dal diametro del Sole quanto dal diametro della Luna, con il risultato che a) il diametro del Sole fu ritenuto da 18 a 20 volte maggiore del diametro della Luna, b) la lunghezza del diametro della Luna fu misurata tra 2/45 e 1/30 della distanza dal centro della Luna alla Terra, c) il diametro del Sole fu calcolato tra 19/3 e 43/6 del diametro della Terra.

Eratostene, quasi contemporaneo di Archimede (287-212), operò un metodo per misurare la Terra (fino ad allora ritenuta di 300.000 stadi): egli osservò che a Siene, nel solstizio d'estate, a mezzogiorno, il Sole non proiettava alcuna ombra, mentre nello stesso momento ad Alessandria il gnomone verticale proiettava un'ombra corrispondente ad un angolo, fra il gnomone ed i raggi solari, di 1/50 di quattro angoli retti. Poichè la distanza tra Siene ed Alessandria era di 5.000 stadi, la lunghezza della circonferenza terrestre venne da lui calcolata in 250.000 stadi, poi corretti a 252.000 (= km. 12.660; solo 80 km. in meno dell'autentico diametro).

A prescindere da quanto detto sopra, Eratostene prese in esame anche la distanza tra i tropici ed i circoli polari, le dimensioni e le distanze del Sole e della Luna, le eclissi, e, per la prima volta, tracciò le linee di una storia della geografia.

Da Posidonio (135-51), infine, fu di nuovo computata (ma in modo erroneo) la circonferenza terrestre in 240.000 stadi e furono avanzate delle ipotesi (molto vicine alla verità) secondo le quali il diametro del Sole sarebbe stato di 3.000.000 di stadi (quasi 40 volte quello della Terra).

La sintesi finale delle conoscenze, pure geografiche, dell'antichità venne effettuata, al tempo di Adriano e di Antonino Pio (tra il 117 ed il 161), ad Alessandria, da Claudio Tolomeo. Servendosi anche della carta di Agrippa, visibile nel portico di Polluce a Roma, seppe sviluppare un suo sistema per rappresentare la superficie curva della Terra su una superficie piana. Nel suo schema di proiezione i paralleli della latitudine erano archi di cerchi concentrici che avevano il centro al Polo Nord. Fra questi paralleli i principali erano l'equatore ed i circoli che passavano rispettivamente attraverso Tule, Rodi ed il regno di Meroe. I meridiani della longitudine erano rappresentati da linee rette convergenti al Polo. In tal modo egli delineava tutto il mondo allora conosciuto i cui confini erano rappresentati, a nord, dall'Oceano che circondava le Isole Britanniche e dalle parti settentrionali di Europa ed Asia, a sud, dalle terre sconosciute intorno all'Oceano Indiano e da quelle meridionali di Libia ed Etiopia, ad est, dai Sinae [Cinesi] e dal popolo della Serica [terra che produce la seta], ad ovest, dall'Oceano Occidentale e dalle terre sconosciute della Libia: il tutto corrispondeva per lunghezza ad un emisfero, mentre per larghezza si estendeva dal 63° di latitudine nord al 16° di latitudine sud.

A Roma

I Romani non si occuparono di questioni scientifiche che piuttosto tardi, per lo più solo per scopi pratici (soprattutto con Varrone, Mela e Vitruvio), emergendo con le "grosse" personalità di Plinio il Vecchio (23-79 d.C.) e di Seneca (3 a.C.-65 d.C.), i quali, però, ripercorsero, romanizzandole, le esperienze precedenti, immergendole, il primo, in un enciclopedismo praticistico, il secondo, in un misticismo filosofico da molti ritenuto più vicino al Dio cristiano che a quello pagano.


 

COME SI COSTRUIVA UNA STRADA

(Stazio, Silvae)

Innanzitutto si conducevano i fossi (sulci) paralleli per delimitare la larghezza della carreggiata, lo scasso profondo (altus egestus) del terreno nello spazio intermedio (agger) e la colmatura dello scavo (replere fossas) con materiale diverso, atto ad evitare cedimenti alla sovrastante massa pietrosa solidamente battuta (pressa saxa). Compiute appunto le operazioni di posa del primo e del secondo strato (statumen e ruderatio) si passava, poi, al lastricamento dello strato superiore di pavimentazione (summum dorsum) con poligoni di selce (durus silex), posti nei sulci, aderenti fra di loro, i bordi (umbones), inseriti verticalmente nel terreno per serrare la carreggiata e, spesso, fiancheggiati dai marciapiedi (crepidines). Tra gli umbones si incastravano i gomphi, pietre di forma conica che, come perni, con funzione di paracarri, consolidavano i margini della via. L’opera di combaciamento delle pietre, quasi una tessitura della via, è completata dall’aggiunta di calce comune (coctus pulvis) e pozzolana (sordidus tofus), per facilitare la coesione delle connessure, assicurando compattezza al manto stradale e resistenza alle acque aggressive (la pozzolana, infatti, combinata con il grassello di calce dà una malta idraulica, capace di far presa sott’acqua: uso conosciuto fin dall’antichità) . [E. RENNA]

LA POZZOLANA

§ Seneca [Nat. Quaest. III 20, 3]: "…il puteolanus pulvis, a contatto con l’acqua si traduce in pietra"

§ Plinio il Vecchio [Nat. Hist. XXXV 166]: "…la polvere delle colline di Pozzuoli si oppone ai flutti del mare e, immersa, diventa subito una pietra, non scalfita dalle onde, e, ogni giorno che passa, sempre più resistente, specialmente se si unisce a sassi di Cuma"

§ Vitruvio [Archit. II 6, 1-2]: "…ora ciò [il fatto di far presa sott’acqua] sembra accadere per questo motivo: sotto quei monti ci sono terre ribollenti e numerose sorgenti, che non esisterebbero se in profondità non avessero enormi fuochi ardenti di zolfo, allume e bitume. Pertanto il fuoco profondo ed il vapore infuocato, che si spande per le crepe, rendono lieve quella terra ed il tufo che se ne forma in uscita è ànidro. Quando, dunque, tre sostanze costituite allo stesso modo dalla violenza del fuoco giungono a formare un unico miscuglio, subito, incorporato il liquido, aderiscono e velocemente acquistano solidità, né valgono a dissolverle i flutti o la forza dell’acqua".

 

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Ultimo aggiornamento: 05-05-03

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