Geografia Campana

 

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La pianura campana

<<La pianura intorno a Capua>>, ci dice lo Schick nella sua traduzione delle "Storie" polibiane (III, 91, 2-7), <<è la più rinomata d’Italia per la sua fertilità, la sua bellezza, i comodi porti di cui dispone, ai quali approdano quanti vengono in Italia da quasi ogni altra parte del mondo. In essa si trovano pure le più belle e famose città della penisola. Sono situate sulla costa le città di Sinuessa , Cuma, Dicearchia , quindi Napoli, ultima Nocera. Nell’entroterra sono situate Cales e Teano verso nord, Daunia e Nola verso oriente e mezzogiorno. Proprio al centro della pianura si trovava la città di Capua, che era allora la più fiorente di tutte. E’ comprensibile come si sia formata la leggenda che i mitografi narrano riguardo a questa pianura, chiamata Flegrea come altre pianure famose: che gli dei, cioè, se la siano particolarmente contesa a causa della sua bellezza e fertilità.>>

E, dopo circa due secoli, ecco come ce la descrive Plinio :

<<Crebros enim imbres percolat atque transmittit, nec dilui aut madere voluit propter facilitatem culturae, eadem acceptum umorem nullis fontibus reddit, sed temperate concoquens intra se vice suci continet. Seritur toto anno, panico semel, bis farre. Et tamen vere segetes, quae interquievere, fundunt rosam odoratiorem sativa. Adeo terra non cessat parere, unde volgo dictum, plus apud Campanos unguenti quam apud ceteros olei fieri. Quantum autem universas terras campus antecedit, tantum ipsum pars eius, quae Leboriae vocantur, quem Phlegraeum Graeci appellant. Finiuntur Leboriae via ab utroque latere consulari, quae a Puteolis et quae a Cumis Capuam ducit.>>

<<Infatti essa [la pianura] filtra le piogge frequenti e le lascia passare, né è solita diluirsi od inzupparsi, per cui permette una coltivazione feconda; essa non rende a nessuna fonte l’umidità che riceve, ma, assimilandola in giusta quantità, la conserva al suo interno come un succo. Si semina durante l’intero anno, una volta a panico, due a farro. E tuttavia quei campi che nel frattempo hanno riposato danno in primavera una rosa che ha più profumo di quelle coltivate. A tal punto la terra non cessa di generare, e per questo comunemente si dice che si produce più profumo in Campania che olio nelle altre regioni. Di quanto poi questa campagna è superiore a tutte le altre, di tanto è superiore ad essa quella parte detta Leborie , che i Greci chiamano Campi Flegrei. Le Leborie sono delimitate da entrambi i lati da vie consolari che portano a Capua, l’una da Pozzuoli e l’altra da Cuma.>> [tr. AA.VV.]

La Campania

Campania, regione dell'Italia meridionale, largamente aperta sul mar Tirreno e compresa tra il Lazio a nord, il Molise e la Puglia a est e la Basilicata a sud; 13.595 km²; 5.668.895 ab. (cens. 1991) (417 per km²). È divisa in cinque province: Napoli, Avellino, Benevento, Caserta, Salerno; 549 comuni. Capol. Napoli.

Geografia fisica

Le coste della Campania, che si estendono per 430 km tra la foce del Garigliano e la baia di Sapri (golfo di Policastro), presentano tre grandi falcature costituenti i golfi di Gaeta, di Napoli e di Salerno; lunghe spiagge si aprono in fondo a queste insenature, mentre i promontori che le racchiudono sono rocciosi; quasi tutta rocciosa è pure la costa fra i golfi di Salerno e di Policastro. Alcune isole costiere presentano gli stessi caratteri dei promontori cui si ricollegano: così Capri è calcarea come la vicina Penisola Sorrentina, Ischia è vulcanica come gli antistanti Campi Flegrei. Per quanto riguarda il suolo, oltre il 40% è occupato da monti, una frazione quasi eguale è data da territori collinari, mentre solo il 20% risulta costituito da pianure. Alcuni rilievi della zona nordoccidentale fanno ancora parte dell'Antiappennino vulcanico (Vesuvio, 1.277 m, Campi Flegrei, vulcano di Roccamonfina), mentre i rilievi della parte più interna fanno parte dell'Appennino Campano; regioni interamente montuose sono l' Irpinia, nella zona interna, e il Cilento, a sud del golfo di Salerno. Le maggiori pianure si trovano in corrispondenza della bassa valle del Volturno, tra Caserta e Pomigliano d'Arco, tra Sarno e il mare e nella piana del Sele.

I corsi d'acqua, che scorrono per lunghi tratti profondamente incassati fra i vari gruppi montuosi, sono alimentati da abbondanti sorgenti, anche di origine carsica (il Sele, per es.); i maggiori fiumi sono il Volturno col suo affluente Calore e il Sele con gli affluenti Calore Lucano e Tanagro; in Campania hanno poi la loro sorgente alcuni fiumi che si gettano nell'Adriatico, come l'Ofanto. Complessivamente, oltre metà della superficie della Campania rientra nei bacini del Volturno e del Sele.

Il clima della Campania è molto mite: si registrano medie di 17ºC sulle coste e valori più bassi nelle zone interne elevate: a Benevento (135 m), 14ºC, a Montevergine (1.270 m), 8ºC. Le precipitazioni annue possono raggiungere i 2.000 mm sui rilievi, mentre oscillano fra gli 800 e i 1.000 mm lungo le coste. La vegetazione presenta varie fasce altimetriche: macchia fino a 400 m, querce e castagni fino a 1.000 m, faggi (altrove pini o abeti) fino a 1.600 m e infine pascoli.

Storia

La Campania fu primitivamente abitata dagli Ausoni (Aurunci) e dagli Opici, poi, verso l'VIII sec. a.C., le coste furono colonizzate dai Greci, che fondarono Cuma, e, nel VI sec., le zone interne furono occupate dagli Etruschi, che costituirono una lega di dodici città con a capo Capua. Abbattuto il dominio etrusco per opera soprattutto di Cuma (524 e 474 a.C.), nella seconda metà del V sec. a.C. iniziò l'invasione, dalle montagne verso il mare, dei Sanniti. Capua (440 circa) e Cuma (425 circa) furono conquistate e gli invasori imposero il loro linguaggio alla popolazione indigena, mescolandosi in parte con essa. Da siffatta fusione derivò la nuova popolazione della pianura campana, quella degli Osci, con una fisionomia ben distinta da quella dei Sanniti, tanto che, quando costoro in una seconda ondata mossero dalle loro montagne per invadere la Campania, Capua si rivolse per aiuti a Roma (343 a.C.). Da qui l'origine delle tre guerre sannitiche (343-290 a.C.), il cui esito fu l'occupazione di tutta la regione sia interna sia costiera da parte dei Romani, che vi fondarono parecchie colonie (Cales, Suessa, Literno, Pozzuoli, ecc.) e l'introdussero nell'ambito della loro egemonia. Tranne la grave defezione di Capua e di alcune città minori, che si allearono ad Annibale nella seconda guerra punica, e la partecipazione, sia pure limitata, alla rivolta dei soci italici, la Campania accolse l'ordine nuovo creato da Roma e, avutane la cittadinanza, subì un profondo processo di romanizzazione, conservando però caratteri greci in alcuni centri, come Napoli e Pompei. Per le sue bellezze naturali, per la mitezza del clima e la fertilità del suolo fu considerata come la regione della penisola più ricca di beni della fortuna (Campania felix): le sue coste offrivano posti incantevoli per la villeggiatura dei ricchi signori; il suolo forniva grano e miglio di rendimento maggiore che nel Lazio e produceva inoltre in abbondanza olio, frutta, legumi, vini prelibati come il falerno, e rose che servivano per la preparazione dei famosi profumi di Capua. Dopo aver fatto parte con il Lazio, nella divisione augustea, della prima regione d'Italia, la Campania divenne sotto Diocleziano una provincia a sé, mantenendo la sua unità anche sotto gli Ostrogoti e i Bizantini. Sottoposta da Giustiniano all'autorità civile di un giudice e militare di un duca, coll'occupazione longobarda di Benevento (570 circa) vide spezzata la propria unità territoriale: costituitosi il ducato, poi principato indipendente (758), di Benevento, questo comprese dapprima Capua e Salerno, che nell'840 divennero esse pure sedi di principati longobardi del tutto autonomi. All'Impero rimasero, praticamente solo di nome, Napoli e la regione costiera centrale; più a sud, Amalfi, arricchitasi coi traffici marittimi svolti da un'assai numerosa flotta, riuscì nei secc. IX-XI a ordinarsi in fiorente ducato indipendente sia dai Bizantini sia dai Longobardi. Nel 1030 i Normanni ebbero in feudo dal duca di Napoli la contea di Aversa, loro primo possesso nell'Italia meridionale che, nei cent'anni seguenti, finì per cadere interamente sotto il dominio normanno: dopo la definitiva conquista di Napoli nel 1139, la Campania, nei secc. XII e XIII, fu dunque compresa nel regno di Sicilia e soggetta alla monarchia normanno-sveva; venuta poi in possesso degli Angioini e degli Aragonesi, ne subì il vessatorio dominio sino all'inizio del XVI sec. Subentrati a questi gli Spagnoli (1503-1707) e poi gli Austriaci (dal 1707 [possesso ratificato a Rastatt, 1714] sino al 1734), la storia della Campania, con l'avvento al trono di Napoli di Carlo VII di Borbone (1734), s'identifica con quella del nuovo regno di Napoli e Sicilia, e poi della Repubblica Partenopea e del regno delle Due Sicilie. Il periodo seguente l'annessione (1860) all'Italia fu turbato da gravi problemi economici e politici, ai quali in particolare si aggiungeva quello del risanamento demografico e urbanistico di Napoli, dove nel 1884 dilagò una grave epidemia di colera. Nella seconda guerra mondiale gli Alleati effettuarono, dopo quello in Calabria, un sanguinoso sbarco a Salerno (9 settembre 1943) e, presa Napoli quando ormai la città era stata evacuata dai Tedeschi, fecero dei porti della Campania, sino al termine della guerra, le loro maggiori basi logistiche in Italia. La Campania ebbe comunque molto a soffrire dal conflitto, soprattutto nella sua parte settentrionale, dove le vicende belliche diedero luogo a una serie di aspri combattimenti fra Alleati e Tedeschi, che si protrassero fino all'inizio del 1944.

Arte

Dell'antica civiltà artistica della Campania restano testimonianze numerose e di interesse archeologico unico, grazie anche e soprattutto all'eruzione del Vesuvio del 79 d.C., che seppellì, permettendone quindi la conservazione in stato di buona integrità, i grandi centri di Ercolano e di Pompei. Il susseguirsi e il confluire degli influssi stilistici nel territorio campano riflettono naturalmente l'avvicendarsi delle dominazioni e delle colonizzazioni, dall'etrusca alla greca e infine alla romana. Oltre che dai centri citati, i resti monumentali più cospicui dell'arte classica in Campania sono rappresentati dal grandioso complesso templare di Paestum; ma numerose sono le testimonianze ovunque (Napoli, Capua, Cuma, Stabia, Baia, ecc. per le quali si veda alle singole voci). Di grande interesse infine è la produzione pittorica, che nella ceramica presenta una categoria vascolare propria classificata come dei vasi campani e nella pittura parietale ha lasciato i preziosi complessi di Ercolano e, soprattutto, di Pompei. Fra le testimonianze superstiti dell'arte in Campania nei primi secoli dell'era cristiana, si trovano i mosaici della basilica di San Felice a Cimitile e della cappella di Santa Matrona a San Prisco, che variamente riflettono le tradizioni ellenistiche locali, e quelli, più nobili, del battistero napoletano di San Giovanni in Fonte. Nel periodo altomedievale, documento insigne d'arte sono i dipinti murali decoranti il piccolo oratorio dell'abate Epifanio (IX sec.) a San Vincenzo al Volturno nel Molise, opera di un singolare artista che elaborò, su un essenziale substrato romano, suggestioni carolinge e reminiscenze bizantine. Pure quasi tutta la grande pittura campana dei secc. XI-XIII si ispirò al ciclo della grotta di Calvi, più povero spiritualmente ma più ricco di colore: l'arte fu favorita dalla prosperità dei municipi, dall'unità politica della regione, dalla ricostituzione dell'ordine benedettino. Desiderio, abate di Montecassino, fece costruire la nuova basilica (distrutta nel 1944); egli chiamò a Cassino artisti lombardi e amalfitani, radunò colonne e capitelli antichi scolpiti, cercò preziosi smalti bizantini, fondò una scuola di miniatori e calligrafi. Contemporaneamente, a Salerno, maestranze laiche accoglievano moduli decorativi siculo-musulmani: dall'equilibrarsi delle diverse tendenze nacque la grande architettura campana dei secc. XII e XIII. Nonostante la presenza di arcate di tipo bizantino e di archeggiature acute e intrecciate di derivazione musulmana, Sant'Angelo in Formis presso Capua e le cattedrali di Capua, Salerno, Caserta Vecchia si ispirarono al modello cassinese e alla classica armonia dei suoi colonnati. Nel XIII sec. i motivi di decorazione siculo-musulmani finirono per prevalere, ripresi con la loro policromia nelle armoniche proporzioni e negli intrecci di absidi, cupole, chiostri, mentre i marmorari operanti nell'interno delle chiese imitavano esempi classici, come negli amboni di Salerno, di Sessa e di Caserta Vecchia. Più sensibile a influssi bizantini, la pittura di quest'epoca trovò le sue affermazioni più significative sulle pareti della chiesa di Sant'Angelo in Formis (XI sec.) e in alcuni codici miniati benedettini dei secc. XI-XII. Nei primi decenni del Trecento, chiamati dagli Angioini, furono attivi a Napoli Pietro Cavallini e Simone Martini, i cui esempi influenzarono la pittura di tutto il secolo: si ricorda il bellissimo ciclo cavalliniano in Santa Maria Donna Regina.

Nel nuovo clima di fervore artistico creatosi nel XV sec. alla corte di Alfonso d'Aragona, fu ricostruito il Castel Nuovo con il classicheggiante arco di trionfo, si formarono importanti collezioni di dipinti e di arazzi, fiorì l'attività dei miniatori nella Biblioteca reale, si intensificarono i traffici artistici con la Spagna e con le Fiandre: esponente di questo singolare momento dell'arte campana fu il pittore Colantonio. Nel XVI sec., piuttosto povero, emerge la personalità di Pedro Roviale di Estremadura, che decorò estrosamente, con gusto manieristico, la cappella della Pietà nella Sommaria. Il XVII sec., nel quale dominò la personalità del Caravaggio, coincise con la grande fioritura della pittura napoletana: Battistello Caracciolo, Massimo Stanzione, Bernardo Cavallino, Mattia Preti, Luca Giordano, Salvator Rosa furono i massimi rappresentanti della spiritualità e della cultura locale. Notevoli sono anche i creatori di nature morte: Porpora, Ruoppolo, Recco. Nel Settecento furono attivi Francesco Solimena, Corrado Giaquinto, delicato colorista, e Andrea Belvedere, con il quale si chiuse la grande tradizione della natura morta napoletana. Intanto fioriva la manifattura di porcellane di Capodimonte, fondata nel 1743 da Carlo III di Borbone, famosa per i suoi bianchi quasi puri e la fantasia delle decorazioni, e il Vanvitelli costruiva con spirito nuovo la monumentale reggia di Caserta. Nel XIX sec. ebbero accenti originali la pittura, con la «scuola di Posillipo», tesa a rendere gli aspetti lirici del paesaggio e gli usi e i costumi della gente, e la scultura, con Vincenzo Gemito.

Literno e Cuma

<<Le città sul mare dopo Sinuessa cominciano con Literno, dov’è la tomba del primo Scipione, soprannominato l’Africano. Egli trascorse infatti lì l’ultimo periodo della sua vita, dopo aver abbandonato gli affari pubblici per l’avversione che nutriva nei confronti di alcuni. Presso la città scorre il fiume omonimo . Così allo stesso modo anche il Volturno è omonimo alla città che sta ad esso vicina: quest’ultimo fiume attraversa Venafro e passa in mezzo alla Campania.

Dopo queste città viene Cuma , fondazione assai antica dei Calcidesi e dei Cumani: è la più antica di tutte le colonie di Sicilia e d’Italia. Ippocle di Cuma e Megastene di Calcide, che erano a capo della spedizione coloniale, si erano messi d’accordo fra loro che la città fosse colonia dei Calcidesi, ma portasse il nome di Cuma: per questo anche ora è chiamata Cuma pur avendola, come sembra, colonizzata i Calcidesi. La città dunque all’inizio era prospera e così la pianura chiamata Flegrea, dove viene localizzata la leggenda dei Giganti non per altra ragione se non per il fatto che questa terra, per la sua fertilità, era atta a suscitare contese. Più tardi i Campani , resisi padroni della città, esercitarono ogni tipo di violenza sugli abitanti e infatti andarono perfino a vivere con le loro donne. Tuttavia restano ancora tracce dell’ordinamento dato dai Greci sia per quanto riguarda le cerimonie sacre sia le norme legislative. Alcuni dicono che Cuma prenda il nome da kumata : infatti la spiaggia vicina è scogliosa ed esposta ai venti. Ci sono nei pressi anche ottimi luoghi per la pesca di pesce grosso. Nel golfo medesimo c'è anche un bosco di piccoli alberi, che si estende per molti stadi, senza acqua e sabbioso: è conosciuto sotto il nome di Silva Gallinaria. Là i capi della flotta di Sesto Pompeo riunirono gli equipaggi di pirati al tempo in cui egli sollevò la Sicilia contro Roma.>> [tr. da Strabone A. M. BIRASCHI]

<< Sic fatur lacrimans classique immittit habenas

et tandem Euboicis Cumarum adlabitur oris.

Obvertunt pelago proras; tum dente tenaci

ancora fundabat navis et litora curvae

praetexunt puppes. Iuvenum manus emicat ardens 5

litus in Hesperium: quaerit pars semina flammae

abstrusa in venis silicis, pars densa ferarum

tecta rapit silvas inventaque flumina monstrat.

At pius Aeneas arces, quibus altus Apollo

praesidet, horrendaeque procul secreta Sibyllae, 10

antrum immane, petit, magnam cui mentem animumque

Delius inspirat vates aperitque futura.

Iam subeunt Triviae lucos atque aurea tecta. […] 42

Excisum Euboicae latus ingens rupis in antrum,

quo lati ducunt aditus centum, ostia centum,

unde ruunt totidem voces, responsa Sibyllae.>>

<<Così dice piangendo e dà le briglie / a la flotta, ed alfin tocca l’euboiche / spiagge di Cuma. Voltano le prore / a l’alto mar, poi l’ancora col dente / tenace assicurava al fondo i legni; / le curve poppe fanno siepe a riva. / Balzano ardenti i giovani sul lido / esperio: e chi sprizzar fa la scintilla / ascosa entro la selce, e chi percorre, / folte dimore de le fiere, i boschi / e i corsi addita de’ trovati fiumi. / Ma il pio Enea le vette, cui presiede / l’alto Apollo, ricerca ed il riposto / asilo, immensa grotta, de l’augusta / Sibilla, a la qual dona il Delio vate / larghezza e fiamma d’ispirata mente / e le apre l’avvenir. Quelli già sono / sotto il bosco di Trivia e a l’aureo tetto. […] / E’ l’ampio fianco de l’euboica rupe / cavato in antro, e cento larghe entrate / v’adducon, cento porte, escono a cento, / de la Sibilla oracoli, le voci.>> [tr. da Virgilio G. ALBINI]

Cuma

Cuma, in lat. Cumae. Città della Campania, su un'altura isolata del litorale tirrenico. Fondata probabilmente dai Calcidesi d'Eubea nell'VIII sec. a.C. in una località fertile già abitata fin dall'età del ferro, acquistò presto una notevole prosperità e un'estesa egemonia lungo le coste della Campania. Nella sua espansione, culminata con la fondazione di parecchie città (Napoli, Abella, Zancle, ecc.), si scontrò con gli Italici, ma soprattutto con gli Etruschi, sui quali riportò due grandi vittorie, l'una nel 524 a opera di Aristodemo, l'altra nel 474 con il valido aiuto di Gerone di Siracusa, riuscendo a conservare la propria indipendenza. Mezzo secolo dopo essa cadde però sotto la dominazione dei Sanniti e si trasformò gradatamente in una città osca; passò, quindi, sotto il controllo romano come civitas sine suffragio (338 a.C.). Fedele a Roma durante la seconda guerra punica e quella sociale ed entrata sempre più nell'ambito della cultura latina, Cuma ricevette il pieno diritto di cittadinanza forse prima degli altri soci italici. Ma la sua importanza diminuì, nonostante la deduzione di una colonia militare, contemporaneamente al crescente sviluppo di Napoli, di Baia e di Pozzuoli. Il cristianesimo vi si affermò molto precocemente; nel 560 d.C. fu l'ultima roccaforte dei Goti assediati da Narsete e nel 1216 fu distrutta dai Napoletani.

I resti della città antica sono costituiti, sull'acropoli, dalle fondazioni del tempio di Apollo e da un altro tempio di dimensioni di poco superiori. Con il tempio di Apollo era collegato un lungo corridoio sotterraneo rettilineo a sezione trapezoidale, di epoca arcaica, il cui piano fu abbassato in età ellenistica. In esso, tuttora conservato, si vuole riconoscere l'antro della Sibilla di Cuma, assai famosa nell'antichità e ricordata anche da Virgilio nell'Eneide. Sono visibili pure alcuni tratti delle mura che cingevano l'acropoli. L'abitato è poco noto, perché gli scavi ne hanno esplorato solo in parte la zona. Le necropoli vanno dai secc. VIII-VII a.C. fino all'età romana; sono di particolare interesse due tombe a camera dipinte, l'una del III e l'altra del IV sec. a.C. - Nei pressi si trova il piccolo centro moderno di Cuma.

Miseno e Baia

<< Talis in Euboico Baiarum litore quondam 710

saxea pila cadit, magnis quam molibus ante

constructam ponto iaciunt; sic illa ruinam

prona trahit penitusque vadis inlisa recumbit:

miscent se maria et nigrae attolluntur harenae;

tum sonitu Prochyta alta tremuit durumque cubile 715

Inarime Iovis imperiis inposta Typhoeo.>>

<<Tale di Baia su l’euboico lido / cade talor pilone di macigno, / che su gran massi preparato avanti / gettano in mare; così giù rovina / e percosso ristà ne l’imo fondo: / s’agitan l’acque e bruna si solleva / la sabbia; al tonfo Procida alta trema / e ne trema Ischia per voler di Giove / imposta a Tifoèo duro giaciglio.>> [tr. da Virgilio G. ALBINI]

<<Vicino a Cuma si trova il promontorio Miseno e, in mezzo, la palude Acherusia, una specie di espansione acquitrinosa del mare . Chi doppia Capo Miseno trova, subito sotto il promontorio, un porto ; poi la costa si incurva in un golfo profondo, nel quale c’è la città di Baia e le sue acque termali, adatte per chi ama l’agiatezza e per la cura di alcune malattie.>> [tr. da Strabone AA.VV.]


 

L’Averno

<<Talibus ex adyto dictis Cumaea Sibylla

horrendas canit ambages antroque remugit

obscuris vera involvens: ea frena furenti 100

concutit et stimulos sub pectore vertit Apollo.

Ut primum cessit furor et rabida ora quierunt,

incipit Aeneas heros: "Non ulla laborum,

o virgo, nova mi facies inopinave surgit:

omnia praecepi atque animo mecum ante peregi. 105

Unum oro: quando hic inferni ianua regis

Dicitur et tenebrosa palus Acheronte refuso,

ire ad conspectum cari genitoris et ora

contingat, doceas iter et sacra ostia pandas."

<<Con tali detti la cumèa Sibilla / da l’antro sacro fiere ambagi intuona / e rugge, d’ombre ravvolgendo il vero: / così scote le briglie a la fremente / e con gli sproni entro la punge Apollo. / Quando allentò il furore e la schiumosa / bocca fu cheta, prende a dir l’eroe: / "Nuova, o vergine, a me né inaspettata / faccia non è di mali alcuna: tutti / li pregustai, li consumai nel cuore. / Prego sol: poi che qui dicon la porta / del rege inferno e la palude buia / cui riversa Acheronte, a me sia dato / a la presenza andar del padre mio, / la via m’insegna, il sacro adito m’apri.>> [tr. da Virgilio G. ALBINI]

<<…il golfo Averno che forma una penisola della terra compresa fra Cuma e l’Averno stesso fino a Capo Miseno; infatti, attraverso la galleria sotterranea, non resta che un istmo di pochi stadi fra l’Averno da una parte e Cuma stessa ed il mare contiguo dall’altra . Raccontavano i nostri predecessori che nell’Averno fossero localizzate le storie favolose relative alla Nekyia omerica; lì inoltre ci sarebbe stato anche un oracolo dei morti presso il quale venne Odisseo. Il golfo Averno è profondo e di facile accesso, ha le dimensioni e le caratteristiche di un porto ma non si usa a questo scopo perché c’è davanti il golfo Lucrino, poco profondo e molto esteso. L’Averno è chiuso tutt’intorno da ripide alture che dominano da ogni parte, ad eccezione dell’entrata del golfo. Ora, grazie all’opera dell’uomo, sono state messe a coltura, ma un tempo erano coperte da una foresta di grandi alberi, selvaggia, impenetrabile e tale da rendere ombroso il golfo, favorendo così la superstizione. Gli abitanti del luogo favoleggiavano che anche gli uccelli che vi passano sopra in volo cadono nell’acqua , colpiti dalle esalazioni che si levano da questo luogo, come avviene alle Porte degli Inferi . E ritenevano appunto che questo luogo fosse una Porta agli Inferi e vi localizzavano le leggende dei Cimmeri ; entravano qui navigando quelli che avevano offerto sacrifici e fatto suppliche agli dei infernali e c’erano sacerdoti che davano indicazioni in proposito e che avevano appunto questa incombenza sul luogo.>> [tr. da Strabone AA.VV.]

Lucrino, Pozzuoli e la Solfatara

<<Il golfo Lucrino si estende fino a Baia, separato dal mare aperto da un terrapieno della lunghezza di 8 stadi e della larghezza pari a quella di un carro: dicono sia stato costruito da Eracle, quando spingeva i buoi di Gerione . Ma poiché durante le tempeste le acque inondavano la sua superficie sicchè era difficoltoso attraversarlo a piedi, Agrippa lo costruì più alto. Il golfo permette l’ingresso solo ad imbarcazioni leggere; è inutilizzabile come ancoraggio, ma offre, abbondantissima, la pesca delle ostriche . […] Vengono poi i promontori intorno a Dicearchia e la città stessa . Dicearchia era in origine porto dei Cumani costruito su un’altura, ma i Romani, al tempo della spedizione di Annibale, vi si insediarono e cambiarono il nome in quello di Puteoli, per l’abbondanza di pozzi; alcuni invece fanno derivare questo nome dal cattivo odore delle acque , dal momento che tutto il luogo fino a Baia e Cuma è pieno di esalazioni di zolfo, di fuoco e di acqua. La città è diventata un grandissimo emporio, dal momento che ha ancoraggi artificiali grazie alle qualità naturali della sab- bia : infatti essa è costituita nella proporzione ideale di calce ed acquista una forte compattezza e solidità. Così, mescolando l’insieme di sabbia e calce con pietre, gettano moli che avanzano verso il mare e così trasformano in golfi le spiagge aperte di modo che le più grandi navi mercantili possano con sicurezza entrare in porto. Subito sopra la città si estende l’agorà di Efesto , una pianura circondata tutt’intorno da alture infiammate, che hanno in molti punti sbocchi per l’espirazione a guisa di camini che mandano un odore piuttosto fetido; la pianura è piena di esalazioni di zolfo.>> [tr. da Strabone AA.VV.]

<<…admiscetur creta, quae transit in corpus coloremque et teneritatem adfert. Invenitur haec inter Puteolos et Neapolim in colle Leucogeo appellato, extatque divi Augusti decretum, quo annua ducena milia Neapolitanis pro eo numerari iussit e fisco suo, coloniam deducens Capuam, adiecitque causam adferendi, quoniam negassent Campani alicam confici sine eo metallo posse. In eodem reperitur et sulpur, emicantque fontes Araxi oculorum claritati et volnerum medicinae dentiumque firmitati.>>

<<…si mescola [alle aliche] della creta, che vi s incorpora e le rende candide e tenere. Questa creta si trova fra Pozzuoli e Napoli, nel colle detto Leucogeo , e ci è pervenuto un decreto del divino Augusto nel quale egli comandava di pagare per esso ai Napoletani 200.000 sesterzi all’anno, prelevandoli dalla sua cassa privata, quando dedusse una colonia a Capua: ed aggiunse quale ragione di questo contributo il fatto che i Campani avevano detto che senza quel minerale non era possibile trattare l’alica. Nella stessa zona si trova anche lo zolfo, e ne sgorgano le sorgenti dell’Araxus , utili per rendere limpida la vista, curare le ferite e rinforzare i denti.>> [tr. da Plinio il Vecchio AA.VV.]

<<Est locus exciso penitus demersus hiatu

Parthenopen inter mgnaeque Dicarchidos arva,

Cocyti perfusus aqua; nam spiritus, extra

qui furit effusus, funesto spargitur aestu. 70

Non haec autumno tellus viret aut alit herbas

caespite laetus ager, non verno persona cantu

mollia discordi strepitu virgulta locuntur,

sed chaos et nigro squalentia pumice saxa

gaudent ferali circum tumulata cupressu . 75

<<C’è un luogo quasi sommerso in un profondo abisso,

fra Napoli ed i territori della grande Pozzuoli.

Lo bagna l’onda di Cocito; infatti il vapore che ne esala

violento, è impregnato d’una funerea umidità .

Questa terra mai verdeggia d’autunno, né i suoi campi mai

nutrono liete erbe fra le zolle; di primavera i delicati virgulti

non echeggiano mai di teneri canti che risuonino in diversa armonia,

ma il caos e le rocce rivestite di nero squallore

trovano nota di gioia solo nello svettare, tutt’intorno, di ferali cipressi.>>

[tr. da Virgilio A. MARZULLO]

Pozzuoli

Pozzuòli, comune della Campania (prov. Napoli), a 39 m d'alt., sul golfo omonimo, nel cuore dei Campi Flegrei; 43,21 km²; 69.861 ab. ( Pozzuolesi o Puteolani). Sede vescovile. Sviluppatasi attorno all'abitato antico, situato su un piccolo promontorio tufaceo protendentesi nel mare al centro del golfo di Pozzuoli, la città è attivo centro commerciale e agricolo (vini dei Campi Flegrei, piselli, pere, uva, cachi, mele), peschereccio (con importante mercato del pesce), industriale (siderurgia, metalmeccanica ed elettromeccanica, tessile, della gomma, costruzioni navali, materiali per l'edilizia, pastifici, fabbriche di acque gassate, acetificio, ecc.) e turistico. Stazione balneare (Lido Augusto e Lido Lucrino) e idrotermale (acque cloruro-solfato-sodiche miste). Porto mercantile e porto passeggeri (servizi marittimi per le isole di Ischia e Procida). Dal 1962 è sede dell'Accademia aeronautica. - Nel territorio è la celebre solfatara, cavità craterica di un vulcano in fase di quiescenza (fase detta appunto: di solfatara), in cui si rilevano numerosi fenomeni vulcanici secondari: fumarole, mofete, vulcanetti di fango caldo, e sorgenti idrominerali ipertermali. Nel territorio comunale si trovano pure i laghi d'Averno e di Lucrino, e le cosiddette "stufe" di Nerone. Nei primi mesi del 1970 la zona di Pozzuoli è stata interessata da un fenomeno di bradisismo negativo, che ha provocato un innalzamento di 1 metro e mezzo del terreno sul livello del mare. Sono state avvertite anche leggere scosse telluriche. Tra la metà del 1982 e la fine del 1984, il comune è stato interessato da un'altra serie di movimenti bradisismici, accompagnati da forti scosse telluriche; ciò ha condotto allo sgombero del centro storico e alla decisione di costruire il nuovo insediamento di Monterucello, a pochi km di distanza. Agli inizi del 1985, tuttavia, la velocità di sollevamento del terreno, che aveva portato il suolo da 3,15 m s.l.m. a 4,80 m, ha subito bruscamente un'inversione di tendenza (­1 mm al giorno).

Storia

Fondata con il nome di Dicearchia (gr. Dikaiárcheia), intorno al 527 a.C., da fuorusciti di Samo, assunse più tardi, in età imprecisata, quello di Puteoli. Probabilmente passata sotto l'autorità di Roma a partire dal 338 a.C., al tempo della seconda guerra punica era un porto importante sia militarmente sia commercialmente. Eretta quindi a colonia romana nel 194 a.C., nel II sec. si sviluppò ulteriormente, divenendo uno dei principali scali di tutto il Mediterraneo e il centro di smistamento di tutte le merci provenienti o dirette a Roma.

Con Augusto divenne il porto di partenza della regolare flotta addetta al trasporto delle granaglie dell'Egitto e da Domiziano fu collegata alla Via Appia con la Via Domiziana. Assai prospera, nonostante la concorrenza di Ostia, per tutta l'età imperiale, fu devastata da Alarico (410 d.C.) e da Genserico (455) e infine distrutta da Totila (545). Verso la fine della repubblica e nei primi secoli dell'Impero fu un apprezzato luogo di villeggiatura.

Archeologia

A causa dei bradisismi del litorale risulta sommersa tutta la zona portuale, con la lunga fila dei magazzini e le fondamenta del molo; l'antico mercato (Macellum), detto tempio di Serapide, costituisce uno tra i più singolari documenti dell'alterno alzarsi e abbassarsi del terreno: presenta le tracce di una corte quadrata con portici, una profonda abside a tre nicchie e una tholos centrale su podio con sedici colonne marmoree, databile a età flavia con successivi rimaneggiamenti. Sull'acropoli, nella zona ora occupata dal duomo, sono state identificate le fondamenta e l'iscrizione di un tempio di età augustea, costruito da un ricco cittadino di Pozzuoli, Lucio Calpurnio, su un preesistente edificio cultuale dedicato ad Apollo.

Scarsi i resti delle terme, dello stadio e di altri importanti edifici ricordati dalle fonti letterarie. Un imponente anfiteatro tra i più grandi d'Italia (149´116 m) in sostituzione di un'arena più antica, databile all'ultima età repubblicana, fu costruito a spese pubbliche sotto Vespasiano; ne restano grandiose rovine nelle arcate del portico inferiore e nella vasta rete dei sotterranei, perfettamente identificati nella struttura e nella funzione. Di particolare interesse le numerose apparecchiature idrauliche (acquedotti e cisterne) atte a provvedere l'approvvigionamento della città. Sono state esplorate le necropoli, con i sepolcri dalla tipica forma a colombario; il nucleo più imponente è stato identificato lungo la Via Campana, ove sono stati trovati mausolei a due piani, con basamento cubico, tamburo e fastosa decorazione circolare a lesene e a colonne.

Relativamente numerose le opere d'arte rinvenute, tra cui una statua di Virio Audenzio Emiliano (IV sec. d.C.) e un gruppo di sculture imperiali. Particolarmente attivo l'artigianato locale, noto per la produzione di vasellame fittile, largamente diffuso, e dei vetri incisi, nonché per l'industria dei colori e della porpora.


 

LE STRADE DI POZZUOLI

La via Domitiana si staccava dall’Appia all’altezza di Sinuessa (l’odierna Mondragone) e scendeva lungo il mare, superando con un ponte altissimo, presso la foce, il corso del Volturno e, passando per Liternum e Cumae, giungeva a Puteoli. A questi lavori, per aprire un varco più comodo fra Cumae e Puteoli, risale il taglio del Monte Grillo e la costruzione dell’Arco Felice, alto più di 20 metri.

Da Napoli, invece, verso Pozzuoli, partiva la via Puteolana. Dunque la via Domiziana, collegata con l’Appia, metteva in comunicazione diretta Roma con Pozzuoli e Napoli, sicchè Stazio (Silvae, IV, 3, 112 ssg.) poteva affermare che "chi lascia il Tevere alle prime luci dell’alba, alle prime ombre della sera potrà navigare sul Lucrino" ("…qui primo Tiberim relinquit ortu, / primo vespere naviget Lucrinum").


 

NAPOLI

Dopo Dicearchia c’è Neapolis, città dei Cumani; (più tardi ricevette anche una colonia calcidese ed alcuni coloni da Pitecusa e da Atene, e per questo fu chiamata Neapolis). Viene indicata sul posto la tomba di una delle Sirene, Partenope, e vi si tiene un agone ginnico, secondo un antico oracolo. Gli abitanti, divisisi poi in due fazioni rivali, accolsero come coloni alcuni dei Campani e furono obbligati a trattare da amici i nemici, poiché erano diventati nemici dei propri amici. I nomi dei demarchi sono indicativi in proposito, essendo i primi greci, quelli successivi campani misti a greci. Numerosissime tracce del modo di vivere greco si sono mantenute là, così come i ginnasi, le efebie, le fratrie ed i nomi greci, sebbene la popolazione sia romana. Ai giorni nostri hanno luogo ogni cinque anni, in questa città, dei giochi sacri comprendenti gare di musica e di ginnastica, che durano più giorni e che sono degni di rivaleggiare con le feste più celebri della Grecia. C’è anche una galleria sotterranea , scavata nella montagna fra Dicearchia e Neapolis, eseguita come quella di Cuma, e vi è stata aperta una strada, per un tragitto di molti stadi, larga abbastanza da permettere a due carri che vanno in direzioni opposte di passare insieme; inoltre, grazie a delle aperture che sono state tagliate in più parti, la luce del giorno si espande dalla superficie della montagna molto in profondità. Anche Neapolis possiede getti di acque calde e stabilimenti balneari non inferiori a quelli di Baia, ma meno frequentati; là infatti, accanto a Baia, è sorta un’altra città che sta alla pari con Dicearchia, dal momento che, uno dopo l’altro, sono stati costruiti molti palazzi. A Neapolis diffondono il modo di vivere greco quelli che da Roma si ritirano qui per trovare tranquillità […] [tr. da Strabone AA.VV.]

<<C. PLINIUS CANINIO RUFO SUO S.

Modo nuntiatus est Silius Italicus in Neapolitano suo inedia finisse vitam. Causa mortis valetudo. […] novissimo ita suadentibus annis ab urbe secessit seque in Campania tenuit ac ne adventu quidem novi principis inde commotus est. […] plures isdem in locis villas possidebat adamatisque novis priores neglegebat. Multum ubique librorum, multum statuarum, multum imaginum, quas non habebat modo, verum etiam venerabatur, Vergili ante omnes, cuius natalem religiosius quam suum celebrabat, Neapoli maxime, ubi monimentum eius adire ut templum solebat […]>>

<<Caro Caninio Rufo,

è giunta or ora la notizia che Silio Italico si è lasciato morire di fame nella sua dimora presso Napoli. Causa della morte la malattia. […] Recentemente gli anni l’avevano consigliato ad abbandonare Roma e si ritirò in Campania, e non si lasciò smuovere di là neppure dall’arrivo del nuovo Imperatore . […] Possedeva nella stessa regione parecchie ville ed innamoratosi delle nuove, negligeva le vecchie. Gran copia di libri ovunque, molte statue, molti ritratti, che non soltanto possedeva, ma venerava; soprattutto quello di Virgilio , il cui giorno natale celebrava con devozione maggiore del proprio, particolarmente a Napoli, ove soleva accostarsi alla tomba di Virgilio come si fosse trattato di un tempio […]>> [tr. da Plinio il Giovane L. RUSCA]

<<Heu tibi nota fides totque explorata per usus,

qua veteres Latias Graias heroidas aequas? 45

Isset per Iliacas (quid enim deterret amantes?)

Penelope gavisa domos si passus Ulixes.

Non adeo Vesuvinus apex et flammea diri

montis hiems trepidas exhausit civibus urbes:

stant populisque vigent. Hic auspice condita Phoebo 50

tecta, Dicarchei portusque et litora mundi

hospita: at hic magnae tractus imitantia Romae

quae Capys advectis implevit moenia Teucris.

Nostra quoque et propriis tenuis nec rara colonis

Parthenope, cui mite solum trans aequora vectae 55

Ipse Dionaea monstravit Apollo columba.

Has ego te sedes (nam nec mihi barbara Thrace

nec Lybye natale solum) transferre laboro,

quas et mollis hiems et frigida temperat aestas,

quas imbelle fretum torpentibus adluit undis. 60

Pax secura locis et desidis otia vitae

Et numquam turbata quies somnique peracti.

Nulla foro rabies aut strictae in iurgia leges:

morum iura viris solum et sine fascibus aequum. […]

Di patrii , quos auguriis super aequora magnis 45

Litus ad Ausonium devexit Abantia classis,

tu, ductor populi longe migrantis, Apollo,

cuius adhuc volucrem laeva cervice sedentem

respiciens blande felix Eumelus adorat,

tuque, Actaea Ceres, cursu cui semper anhelo 50

votivam taciti quassamus lampada mystae,

et vos, Tyndaridae, quos non horrenda Lycurgi

Tatgeta umbrosaeque magis coluere Therapnae,

hos cum plebe sua, patrii, servate, penates.

Sint, qui fessam aevo crebrisque laboribus urbem 55

voce opibusque iuvent viridique in nomine servent. […]>>

<<Dov’è la tua famosa / fedeltà che non cadde a tante prove / e per le quali eguagli le eroine / del Lazio e della Grecia? Ma Penelope, / se Ulisse acconsentiva, oh certo andata / sarebbe ad Ilio con immensa gioia. / Che cosa mai può sbigottire amore? / La cima del Vesuvio e la tempesta / infuocata del monte non han fatto / le trepide città prive di uomini: / ancora in piedi vivono di gente. / Ivi il tempio di Apollo ammirerai / ed il porto di Pozzuoli e le sue rive / ospitali e le mura che di Teucri / esuli Capi fece colme, e sono / simili a quelle della grande Roma. / Piena di cittadini e di coloni / è la cara Partenope, che giunta / dal mare vide il mite suolo splendere / a lei da Febo stesso rivelato / col volo di colomba sacra a Venere. / A queste sedi (e patria non mi fu / né la barbara Tracia né la Libia) / desidero condurti: dove sempre / dolce è l’inverno e mai arsa l’estate, / terra che lambe d’onde lente il mare. / Ivi sicura pace regna e l’ozio / di una vita felice; ivi la quiete / di lunghi sonni non è mai turbata: / ivi non ira, non discordia come / nel Foro o leggi come spade nude; / ma il diritto è un costume e non si vede / mai armata di fasci la giustizia. […]>> [tr. E. CETRANGOLO]

<<O Dei della patria, voi che la flotta degli Abanti trasferì oltre il mare con magnifici auspici fino al litorale ausonio, e tu, o Apollo, suprema guida del popolo emigrato di lontano, del quale il beato Eumelo ancora venera la colomba, volgendosi a guardarla teneramente mentre essa poggia sulla sua spalla sinistra, e tu, o Cerere attica, in onore della quale noi, taciti iniziati, agitiamo sempre la torcia votiva con una corsa anelante, e voi, o Dioscuri, che l’orrendo Taigeto di Licurgo e l’ombrosa Terapne mai maggiormente celebrarono, proteggete con tutti i suoi membri questa famiglia di cui siete penati paterni. Siano essi tra coloro che, con l’eloquenza e le proprie possibilità, rechino giovamento alla città sopraffatta dai molti anni e dalle assidue traversie, e la lascino prosperare nel nome ch’è indice di giovinezza. […]>> [tr. F. SBORDONE]

Napoli

Napoli, città e porto della Campania, capol. di prov. e di regione, sul golfo di Napoli, a 10 m d'alt.; 117,27 kmq; 1.067.365 ab. [ Napoletani o Partenopei] (cens.1991). Sede arcivescovile. Università. Aeroporto internazionale (Capodichino). Napoli è, dopo Roma e Milano, la terza città d'Italia per il numero degli abitanti e la più importante città del Mezzogiorno. Favorita da clima mite e costante (la temperatura media annua è di 17:C), si estende ad anfiteatro sul pendio di colline digradanti lungo il litorale del golfo omonimo, tra i Campi Flegrei e il Vesuvio, in uno scenario di bellezza incomparabile, cantato da innumerevoli poeti e scrittori (Virgilio, Petrarca, Boccaccio, Tasso, Milton, Shelley, Cervantes, Goethe, Byron, ecc.). Fino al XIII sec. l'estensione della città rimase assai limitata; le diverse dominazioni subite in seguito corrispondono ad altrettante tappe del suo sviluppo urbanistico. All'epoca della conquista angioina (1266) la città contava 40.000 ab.; la sua nuova funzione di capitale ne aumentò l'importanza, con conseguente incremento demografico e urbanistico. All'inizio del XVI sec., i suoi abitanti erano 110.000. Alfonso d'Aragona e i suoi successori ampliarono la superficie del territorio urbano erigendo nuove mura; in seguito, il dominio spagnolo modificò il carattere della città, poichè il vicerè don Pedro de Toledo attirò a Napoli le grandi famiglie nobili, e numerosi palazzi vennero costruiti verso ovest, tra le mura e la collina di Sant'Elmo (ove poi si sviluppò il Vomero), in posizione elevata e salubre; fu aperta l'ampia strada detta via Toledo (oggi via Roma) e si svilupparono i cosiddetti quartieri spagnoli. Nel 1656, Napoli era la più popolosa città dell'Europa occidentale, con 360.000 ab., ma in quell'anno un'epidemia di peste li ridusse a circa la metà, e occorse un secolo intero perchè la popolazione napoletana ritornasse numerosa com'era prima della pestilenza. Divenuta, con Carlo di Borbone, nuovamente capitale di regno, Napoli conobbe un nuovo sviluppo. Alla fine del XVIII sec., la città cominciò ad assumere l'attuale aspetto urbanistico ed edilizio, e le colline di Sant'Elmo e di Capodimonte si coprirono di nuovi palazzi e quartieri; ai primi del XIX sec., gli abitanti erano 441.000. Tale sviluppo proseguì, senza obbedire a un piano prestabilito, fino a che, in seguito a una terribile epidemia di colera (1884), le autorità furono indotte a intraprendere grandi lavori di risanamento; fu sventrata la parte bassa della città antica e furono aperte nuove ampie arterie (rettifilo di corso Umberto I). Diversamente da altre grandi città italiane, Napoli, che aveva perduto il rango di capitale, non risentì in misura notevole le conseguenze dell'unità italiana: continuò a svilupparsi in relazione all'attività economica propria e i suoi sobborghi raggiunsero Pozzuoli a ovest e Portici a est, mentre altri, nuovi, sorgevano lungo le strade di Capua e di Caserta, a nord. Nel 1931 la città contava 840.000 ab.; 866.000 nel 1936. Le distruzioni belliche (durante la seconda guerra mondiale, circa 100.000 vani d'abitazione e il 65% degli impianti industriali andarono distrutti), le demolizioni di alcuni quartieri (rione Carità, ecc.), la costruzione di moderne zone urbane (a ovest, i quartieri amministrativi e turistici; a est, quelli commerciali), lo sfollamento dei "bassi", l'intenso processo di industrializzazione, prima, e di terziarizzazione del complesso urbano, poi, hanno apportato considerevoli modifiche all'aspetto della città. Questa ha visto dapprima crescere il numero dei suoi abitanti (intorno a un milione, nell'immediato dopoguerra) fino a raggiungere la soglia di 1.200.000 e a superarla di diverse decine di migliaia di unità all'inizio degli anni Settanta. Da allora il numero ha incominciato lentamente ma costantemente a diminuire.

Il carattere particolare di Napoli sta anche nel vivo contrasto che si rileva nella città stessa, dove, dietro i grandi palazzi dalle ricche facciate prospicienti le maggiori arterie, innumerevoli abitazioni sovrappopolate, più o meno misere, si addensano in isolotti separati da viuzze strettissime (Spaccanapoli): è qui che scorre la quotidiana, tipica vita napoletana, in un'atmosfera rumorosa e vivacissima. Lungo il mare, invece, sul quale si affacciano gli alberghi di lusso, un immenso viale (via Caracciolo) offre un magnifico panorama sul golfo e sul Vesuvio. Castel dell'Ovo, antica fortezza normanna, domina l'incantevole porto di Santa Lucia, in cui si addensano i pescherecci. I sobborghi sulla riva del mare terminano a ovest, dopo la pittoresca Mergellina, a Posillipo, quartiere residenziale, le cui ricche ville si scaglionano a gradinata sui pendii dei Campi Flegrei, al di sopra di Marechiaro, la piccola località di pescatori immortalata dalla poesia. Quattro funicolari collegano i vecchi quartieri della pianura a quelli più moderni, sulla collina (Vomero, Posillipo Alto).

L'agglomerato di Napoli svolge un'importante attività economica, in gran parte dipendente dal porto. Completamente distrutto durante la seconda guerra mondiale, è stato ricostruito e dotato di moderne attrezzature (darsene, bacini di carenaggio, silos, ecc.). Per il traffico passeggeri, che acquistò grande importanza all'inizio del XX sec., all'epoca della massiccia emigrazione degli Italiani verso il Nuovo Mondo, oggi il porto di Napoli è il primo d'Italia, con oltre 4 milioni di passeggeri imbarcati e sbarcati in un anno. Oltre al traffico, prevalentemente turistico, con le isole dell'arcipelago napoletano (la città è collegata anche da servizi di aliscafi ed elicotteri con Capri, Ischia e Sorrento), è intenso anche quello regolare con le isole Eolie, Messina, Palermo, Cagliari. L'attività del porto mercantile (uno dei primi d'Italia) non ha cessato di aumentare, grazie a vari fattori: l'importanza del suo retroterra che, sebbene poco esteso, richiede grandi quantità di beni di consumo (cereali, carbone, coloniali); il carico dei prodotti agricoli d'esportazione (ortaggi, legumi e frutta, agrumi; prodotti caseari: mozzarelle, provole e provoloni, ecc.) e soprattutto l'esistenza nel capoluogo e nei comuni limitrofi di importanti industrie di trasformazione di materie prime pesanti (raffinerie di petrolio, cementifici) e di costruzioni ferroviarie, automobilistiche e aeronautiche (stabilimenti Alfa Romeo e Aeritalia di Pomigliano d'Arco). Per quanto riguarda più strettamente il capoluogo, si è registrato un progressivo fenomeno di deindustrializzazione, con la chiusura di numerose iniziative minori e la ricollocazione di altre fuori del centro urbano o addirittura in tutt'altra località. Ancora rilevanti, a Napoli città, sono le industrie metalmeccaniche e dei mezzi di trasporto, seguite dai rami del vestiario, del tessile e dell'abbigliamento (in costante diminuzione), da quelle cartarie e poligrafiche, delle pelli, del cuoio e delle calzature, dai settori alimentare, della ceramica e del legno, nonchè da una miriade di iniziative minime o piccole di ogni genere appartenenti a un "secondo circuito" sommerso, o "nero", il cui peso reale risulta difficilmente valutabile.

La contemporanea sensibile avanzata delle iniziative del settore terziario ha compensato solo in parte la perdita di posti di lavoro nell'industria - sicchè la disoccupazione è aumentata - senza peraltro portare a una reale soluzione dei gravi problemi infrastrutturali (primi fra tutti quello della mobilità delle merci e dei lavoratori pendolari e quello della fornitura di dotazioni civili soddisfacenti e adeguate al ruolo di terza città d'Italia) che sono fra le concause del declino industriale e demografico della metropoli partenopea.

Con poco meno di 2 milioni di passeggeri transitati nel 1989, l'aeroporto di Capodichino pone Napoli al terzo posto in Italia dopo gli scali passeggeri di Roma e di Milano.

Napoli è inoltre importante nodo stradale, autostradale e ferroviario e ha un'intensa attività commerciale. Sviluppata è l'industria turistico-alberghiera. La città di Napoli vanta nobili tradizioni culturali: oltre all'antichissima università (1224), importanza notevole hanno l'Istituto universitario navale, l'Istituto orientale universitario, l'Istituto italiano di studi storici, l'Istituto di fisica nucleare, il Centro internazionale di studi archeologici Amedeo Maiuri, l'Accademia pontaniana, l'osservatorio astronomico (Capodimonte), l'osservatorio vesuviano, l'orto botanico, la stazione zoologica con l'acquario, oltre alle biblioteche (Nazionale, Farnese, Gioacchina) e ai musei.

Tra le manifestazioni annuali notevoli: la festa di San Gennaro, con processioni (primo sabato di maggio); la festa di Piedigrotta (settembre), la Fiera internazionale della casa, arredamento, abbigliamento, edilizia, alla Mostra d'oltremare (giugno-luglio), il Luglio musicale a Capodimonte e l'Autunno musicale al Teatrino di corte di Palazzo Reale.

Napoli è patria di innumerevoli artisti (Bernini, Salvator Rosa, Luca Giordano, Vanvitelli, G. Gigante, V. Gemito, ecc.), musicisti (D. Scarlatti, R. Leoncavallo, E. A. Mario), poeti e scrittori (Stazio, I. Sannazzaro, G. B. Marino, G. B. Basile, G. B. Vico, G. Filangieri, P. Colletta, S. di Giacomo, G. Marotta), patrioti e uomini politici (F. Caracciolo, C. Poerio, L. Settembrini, C. Pisacane, V. Imbriani, A. Diaz, A. Labriola, E. De Nicola) e uomini di teatro (E. Scarpetta, E. Caruso, Totr, i De Filippo, ecc.). Nei pressi della città si trovano le città romane di Pompei ed Ercolano, il Vesuvio, la Penisola Sorrentina, il monte Faito verso SE; Capri a sud; verso ovest, i Campi Flegrei, Pozzuoli, con la solfatara, Agnano (terme; ippodromo nazionale), Camaldoli e le isole di Ischia e Procida. - La provincia di Napoli è per estensione una delle più piccole province italiane, ma è la più densamente popolata: 1.171 kmq; 3.016.026 ab. distribuiti in 92 comuni, con una densità di 2.576 ab. per kmq.

Il comune di Napoli addensa sul 10% del territorio provinciale il 40% della popolazione. Gli altri 90 comuni avevano nel 1951 una popolazione di 1.071.000 ab. Il denso reticolo di città minori e borghi, che si raccoglie entro un raggio di 25-30 km dal capoluogo, costituiva già allora un'area metropolitana atipica, con poche attività industriali e una base economica in cui prevalevano piuttosto l'agricoltura intensiva, la pesca, il turismo. La popolazione dell'hinterland di Napoli è aumentata in misura non fortissima ma continua nei decenni successivi: 1.238.000 ab. nel 1961, 1.483.000 dieci anni dopo, 1.759.000 nel 1981 e 1.935.000 ab. all'inizio del 1990. L'intera provincia costituisce uno spazio fortemente urbanizzato. I comuni più popolosi sono quelli costieri del golfo di Napoli: Pozzuoli, Portici (78.000 ab.), Ercolano, Torre del Greco (105.000 ab.), Torre Annunziata e Castellammare di Stabia; Sorrento e le isole di Capri e Ischia sono i centri storici del turismo partenopeo. Nella pianura a nord di Napoli si sono sviluppati sobborghi residenziali e industriali: Casoria, Giugliano in Campania, Afragola, Acerra e Pomigliano d'Arco dove hanno sede i grossi complessi industriali dell'Alfa Romeo, FIAT e dell'Aeritalia. I centri ai piedi del Vesuvio, meno popolosi, sono collegati ad anello dalla strada e dalla ferrovia circumvesuviana. Pompei è già ai confini con la provincia di Salerno. A est la pianura di Nola conserva caratteristiche in parte agricole.

L'agricoltura ha carattere intensivo; la viticoltura (Epomeo, Campi Flegrei, Vesuvio) dà vini pregiati: capri bianco, lacrima Christi, falerno, gragnano, vesuvio e i vini d'Ischia; oltre alla vite, si coltivano ortaggi, frutta, canapa, agrumi, olivi. Notevoli le estensioni boschive (castagneti). Attiva h la pesca a Procida, Pozzuoli, Torre del Greco, ecc. L'industria è varia: oltre alle industrie del capoluogo, attive sono le industrie navali, tessili, e soprattutto alimentari (ortaggi, pomodori e frutta conservati; paste alimentari).

Alle già affermate industrie siderurgiche e chimiche (Napoli, Torre Annunziata), ai cantieri navali (Napoli, Castellammare di Stabia), alle manifatture di tabacco, agli stabilimenti farmaceutici (Napoli), meccanici (Pozzuoli), alimentari (paste, conserve, gelati), aeronautici (Fusaro), tessili (Capodichino), si sono aggiunti i grandi impianti a partecipazione statale di Pomigliano d'Arco. Tuttavia il processo di industrializzazione da solo non è bastato a risolvere tutti gli antichi problemi locali: la disoccupazione mantiene valori elevatissimi, le dotazioni civili sono in larga parte insufficienti e anche sulla provincia si esercita, non meno che sul capoluogo, il peso opprimente della malavita organizzata, sicchè quella di Napoli è l'unica fra le quattro grandi province metropolitane italiane che ancora presenta evidenti aspetti di sottosviluppo.

Fra le attività del terziario, oltre a quelle che fanno capo ai servizi pubblici, intensa è ovunque l'attività commerciale e sviluppatissimo è il turismo (Sorrento, Capri, Ischia, Pompei). Frequentate sono le stazioni termali dell'isola d'Ischia, di Agnano e Pozzuoli. Centri principali: Torre del Greco, Portici, Casoria, Pozzuoli, Castellammare di Stabia, San Giorgio a Cremano, Ercolano, Torre Annunziata, Afragola, Giugliano in Campania.

Storia

L'antica Neapolis ("Città Nuova") fu fondata da un gruppo di coloni cumani stabilitisi a Parthenspe (Partenope), già insediamento fenicio e poi, nel VII sec. a.C., rodiese. Divenuta ben presto la città più importante della Campania, intorno alla metà del V sec. accolse molto probabilmente dei coloni attici e, verso il 420, i rifugiati di Cuma, conquistata dai Sanniti, nel sobborgo di Palepoli (Palaiopolis, "Città Vecchia"). Assediata nel 327 dal console Publilio Filone, si arrese l'anno successivo, divenendo alleata di Roma, alla quale rimase fedele sia durante la spedizione di Pirro sia nel corso della guerra annibalica. Nonostante la concorrenza del porto di Puteoli (Pozzuoli) e la distruzione subita nell'82 a.C. da parte dei partigiani di Silla, nell'ultimo secolo della repubblica e durante l'Impero fu assai florida economicamente e famosa, oltre che per le sue bellezze naturali, anche come centro culturale d'impronta greca (Virgilio vi studiò presso la scuola di Sirone, stabilendosi più tardi nella villa forse ereditata dal maestro, e vi fu sepolto). Eretta a municipio nel 90 a.C. e a colonia sotto Claudio, conservò tuttavia fino al Basso Impero la lingua e le istituzioni greche. Nel 476 vi fu imprigionato Romolo Augustolo, ultimo imperatore d'Occidente.

Gli Ostrogoti sottomisero Napoli senza difficoltà (493), ma la città venne gravemente danneggiata dalla riconquista bizantina, che si realizzò faticosamente tra il 536 e il 553. Napoli si risollevò sotto l'amministrazione bizantina (rappresentata da giudici e duchi) e sotto il patrocinio dei vescovi, e tanto crebbe in potenza, da respingere tutti i tentativi di conquista dei Longobardi (581, 592, 599) e da imporsi agli stessi Bizantini come una base indispensabile per la conservazione dei loro domini in Italia. In cambio di questa collaborazione, Bisanzio concesse ai Napoletani un'ampia autonomia, fondata essenzialmente sul diritto di eleggere il proprio supremo magistrato, il duca. Per questa via, il vincolo di dipendenza di Napoli dall'imperatore si allentò sempre più e si ruppe di fatto sotto il duca-vescovo Stefano II (763). Capitale per quasi quattro secoli (763-1139) di un ducato che si estendeva molto al di là delle sue mura, Napoli riuscì a salvare la sua libertà e a sviluppare le sue attività economiche e culturali con una politica ora di forza ora di accortezza, che ebbe momenti epici nella lotta, assidua e vittoriosa, contro i musulmani (secc. IX e X) e tortuose vicende nei complicati e instabili rapporti con le altre forze prementi sul Mezzogiorno: il papato, il Sacro romano impero, Bisanzio e i principati locali derivati dal disfacimento del ducato longobardo beneventano. Ma le esigenze contingenti di tale politica indussero il duca Sergio IV di Napoli a favorire il primo insediamento ad Aversa (1030) di quei Normanni che, nel giro di un secolo, sottomisero e unificarono nel regno di Sicilia tutta l'Italia meridionale, Napoli compresa (1139). La conquista fu compiuta da Ruggero II, primo re di Sicilia, a prezzo di una lunga lotta, che nella sua ultima fase impegnò tutto il popolo nella difesa dell'indipendenza della città. Sotto i re normanni Ruggero II (1130-1154), Guglielmo I il Malo (1154-1166) e Guglielmo II il Buono (1166-1189), in mezzo secolo, Napoli si adattò non senza resistenze e sommosse (anche a sfondo sociale: nobili contro popolani) alla parte non più di capitale (la capitale del regno era Palermo), ma di capoluogo di una provincia che conservava il nome di principato di Capua. Ruggero II le garantì l'autonomia amministrativa (con una forte accentuazione aristocratica), Guglielmo I ne consolidò le difese (Castel Capuano, inizio di castel dell'Ovo), Guglielmo II temperò in senso popolare l'amministrazione. Quest'atto conciliò definitivamente i Napoletani coi Normanni così che quando, morto Guglielmo II (1189), Enrico VI di Svevia intraprese la conquista del regno di Sicilia, Napoli si schierò col suo rivale Tancredi di Lecce cugino di Guglielmo II, che la colmò di privilegi e di favori, e ne ebbe in cambio leale e generoso aiuto nella guerra contro lo Svevo, al quale la città si arrese soltanto dopo un'eroica resistenza (1194). Punita da Enrico VI con la demolizione delle mura e la revoca di ogni autonomia, la città sopportò di malanimo il regime dispotico e fiscale di Federico II, peraltro temperato da alcune illuminate iniziative (fondazione dell'università, 1224, limitazione dei privilegi nobiliari, incremento dei traffici, ricostruzione delle difese, ecc.). Dopo la morte di Federico II (1250), partecipò attivamente alla lotta antisveva promossa dai papi e, pur avendo per qualche tempo (1254-1266) accettato il dominio di Manfredi, dopo Benevento si sottomise a Carlo d'Angiò (1266), che proprio a Napoli fece decapitare Corradino, ultimo rampollo della casa sveva (1268). Sotto la dinastia angioina (1266-1442) Napoli riacquistò dignità di capitale dopo che la Sicilia, con la rivolta dei Vespri (1282), passò agli Aragonesi; crebbe il suo peso politico, crebbero la popolazione, l'area cittadina (arricchita di nuovi quartieri e monumenti, quali la reggia di Castel Nuovo), le attività economiche e culturali, favorite, queste, anche dal mecenatismo dei re, soprattutto di Roberto il Saggio; anche l'amministrazione cittadina, affidata ai cosiddetti Seggi o Sedili, svolse un'azione abbastanza efficace. Ma si inasprivano intanto gli squilibri, i contrasti sociali e il fiscalismo; per di più, dalla morte di Roberto (1343), si scatenarono quelle lotte dinastiche, che sboccarono nell'affermazione di Alfonso V (I) il Magnanimo, re d'Aragona e di Sicilia, che conquistò Napoli dopo un lungo assedio (1441-1442), stroncando le ultime vane speranze e resistenze degli epigoni della casa d'Angiò. I re aragonesi, nonostante le loro benemerenze soprattutto nel campo culturale e la loro magnificenza incontrarono difficoltà nel conquistarsi il favore popolare, tra l'altro per aver condotto a Napoli un gran numero di Catalani, a occupare posizioni-chiave nella politica e nell'economia, dove gi` operavano largamente altri forestieri, di origine francese, toscana, veneziana. Alfonso V (I) e Ferdinando I (Ferrante) non riuscirono ad arrestare le crescenti correnti avverse che, dopo l'ammonitrice congiura dei Baroni (1485-1486), si manifestarono nell'accoglienza trionfale a Carlo VIII di Francia (1495) e successivamente nelle lotte franco-spagnole, che si conclusero nel maggio 1503 con l'ingresso di Consalvo di Cordova, il quale prese possesso di Napoli in nome di Ferdinando II (III) il Cattolico. Durante il regime dei vicerè spagnoli (1503-1707), Napoli mantenne una formale autonomia, ebbe una rigogliosa ripresa urbanistica, prese, soprattutto ai tempi dell'imperatore Carlo V, respiro di metropoli di importanza e fama internazionali; ma pagò tutto questo a caro prezzo; tanto più caro quanto più il predominio della Spagna, dopo l'apogeo, venne declinando nel XVII sec. In un ambiente di stridenti contrasti culturali ed economico-sociali e sotto il peso di un fiscalismo sempre più pesante, scoppiò la rivolta popolare legata al nome di Masaniello (1647), seguita da un infelice esperimento repubblicano e da un tentativo di occupazione francese e conclusa col ritorno allo statu quo (1648), con l'aggravante di un tenace strascico di rancori, e di sussulti politici e sociali, caratterizzati da costanti conflitti tra nobili e popolani e da mutevoli atteggiamenti degli uni e degli altri nei confronti dei dominatori spagnoli. Il passaggio dalla dominazione spagnola all'austriaca, durata dal 1707 al 1734, non modificò la formula del regime vicereale, nè le condizioni generali della popolazione; suscitò anzi qualche rimpianto del passato, tanto che l'avvento di Carlo III (VII) di Borbone (1734-1759), figlio del re di Spagna Filippo V, vincitore degli Austriaci e istauratore della nuova dinastia, fu accolto dai Napoletani con largo favore, come inizio della restaurazione della città nel rango di capitale di un regno indipendente e sovrano. I Borboni non delusero le aspettative dei loro nuovi sudditi: Carlo e il suo successore Ferdinando IV diedero un notevole impulso alla vita della città sotto ogni aspetto: politico-amministrativo, monumentale, soprattutto culturale (G. B. Vico e gli illuministi Genovesi, Galiani, Pagano, Filangieri, ecc.) e intrapresero alcune riforme d'ispirazione illuministica. La Rivoluzione francese e le conseguenti guerre coinvolsero Napoli, dove si susseguirono l'effimera Repubblica Partenopea (1799), espressione della volontà di un'esigua minoranza "giacobina" senza radici nella popolazione, e l'occupazione francese, che portò al trono prima Giuseppe Bonaparte, poi Gioacchino Murat. Nel periodo francese (1806-1815), la citt` ebbe nuova amministrazione (i decurioni, per altro già introdotti da Ferdinando IV nel 1800) e nuovo incremento urbanistico e culturale; ma ciò non bastò a far dimenticare, soprattutto al popolo minuto e al clero, la vecchia dinastia riparata a Palermo. Perciò la restaurazione dei Borboni, ora in veste di re delle Due Sicilie (Ferdinando IV, ora I, Francesco I, Ferdinando II, Francesco II, dal 1815 al 1860), fu accolta con soddisfazione dalla maggioranza della popolazione. La città di Napoli, nonostante lo spirito retrivo e l'inerzia dei re, continuò a progredire: a Napoli fu costruito il primo battello a vapore (Ferdinando I, 1818), inaugurata la prima ferrovia (la Napoli-Portici, 1839), adottate le prime comunicazioni telegrafiche d'Italia; nel 1848 la marina napoletana era la terza d'Europa, i traffici, specialmente marittimi, prosperavano, il costo della vita era modesto e la tassazione media tenue. Nel campo della cultura, basterà ricordare Francesco De Sanctis, Luigi Settembrini, Bertrando Spaventa, e molti insigni politici, tutti più o meno attivamente partecipi al movimento risorgimentale. A questo Napoli concorse coi moti del 1820-1821 e del 1848, entrambi tragicamente falliti; le iniziative liberali di Francesco II (concessione della costituzione, giugno 1860) anticiparono di pochi mesi la conquista di Garibaldi (7 settembre) e la formale annessione del regno agli Stati sabaudi (plebisciti dell'ottobre). Da quel momento la storia di Napoli si inserisce nella storia d'Italia: tra le benemerenze della città, duramente provata dai bombardamenti nella seconda guerra mondiale, meritano ricordo le quattro giornate di lotta popolare, che la liberarono dall'occupazione tedesca (25-28 settembre 1943).


 

ERCOLANO, POMPEI E IL VESUVIO

<<Subito dopo Neapolis c’è la fortezza di Herculaneum, che occupa un promontorio che si protende sul mare assai battuto dal Libeccio, così da rendervi salubre l’insediamento. Gli Oschi occupavano sia Neapolis sia la vicina Pompei presso cui scorre il fiume Sarno, poi la occuparono i Tirreni ed i Pelasgi e, dopo questi, i Sanniti. Pure questi ultimi, però, furono poi cacciati dal posto.

Porto di Nola, Nuceria ed Acerrae (che ha lo stesso nome di una località vicina a Cremona) è Pompei, presso il fiume Sarno su cui si importano e si esportano mercanzie.

Sopra questi luoghi si leva il monte Vesuvio, interamente occupato tutt’intorno, salvo che alla sommità, da campi bellissimi. La sommità stessa è per buona parte piana, ma del tutto sterile, dall’aspetto cinereo; essa mostra delle cavità con fessure, che si aprono su rocce fuligginose in superficie come fossero state divorate dal fuoco. Così uno potrebbe supporre che questo luogo precedentemente bruciasse e avesse crateri di fuoco che poi si estinsero, una volta venuta meno la materia da ardere. Forse questo è anche motivo della fertilità della terra lì intorno […] Il suolo è ricco infatti di sostanza grassa e di terra bruciata anch’essa atta a produrre frutti. Pertanto, quando la terra è sovrabbondante di grasso, è adatta a prender fuoco, come ogni sostanza solforosa e dopo che si è inaridita e spenta, trasformata in cenere, diviene adatta alla produzione.>> [tr. AA.VV.]

Ma giunse il fatidico 79 d.C.: ecco la descrizione del fenomeno in una lettera inviata all’amico Tacito da Plinio il Giovane!

<<Mio zio [Plinio il Vecchio] si diresse alla spiaggia per vedere se era possibile imbarcarsi, ma il mare era tempestoso ed impraticabile. Allora si distese su una coperta, chiese dell’acqua e bevve due volte. Intanto le fiamme si avvicinavano e si sentiva un forte odore di zolfo che mise in fuga tutti gli altri. Egli si riscosse e, nello stesso momento in cui due servi lo aiutavano a levarsi in piedi, morì: io credo che il vapore che andava sempre più aumentando gli impedì di respirare e gli serrò lo stomaco […] Cominciava a piovere cenere, ma non ancora fitta. Vidi dietro le mie spalle una densa foschia che, spargendosi per terra come un torrente, ci incalzava. Pensai: è meglio che cambiamo strada prima di essere travolti dalla folla che ci viene dietro. Improvvisamente si fece notte, ma non una notte nuvolosa e senza luna: era come quando ci si trova in un luogo chiuso senza lume. Si sentivano i gemiti delle donne, le urla dei bambini, le grida dei mariti: chi cercava a gran voce il padre, chi il figlio, chi il consorte; alcuni lamentavano il proprio destino, altri quello dei propri cari; c’era chi invocava la morte, chi pregava gli dei, ma molti dicevano che gli dei non c’erano più e che quella era l’ultima notte del mondo. Né mancavano quelli che con paure immaginarie aumentavano il pericolo. Alcuni dicevano mentendo che venivano da Miseno e che era tutta una rovina, completamente incendiata. Fece un po’ di chiaro, ma non sembrava giorno, sembrava piuttosto la luce del fuoco che si avvicinava. Ma poi il fuoco si fermò più lontano e noi ripiombammo nell’oscurità e nella nuvola di cenere. Ogni tanto ci alzavamo per scuotercela di dosso, altrimenti ne saremmo stati coperti. Finalmente quella foschia si attenuò e svanì come fumo o nebbia. Finalmente si fece giorno ed apparve anche il sole, scolorito come se ci fosse l’eclisse. Tutto appariva mutato e coperto da un monte di cenere, come se fosse nevicato. Le scosse di terremoto continuavano e molti, fuori di senno, ridevano della propria disgrazia e dell’altrui.>>

POMPEI

Pompèi, comune della Campania (prov. Napoli), a 12 m d'alt. alle falde meridionali del Vesuvio, a 25 km da Napoli; 12,41 km²; 22.934 ab. ( Pompeiani). Sede vescovile (prelatura). Centro religioso e turistico, Pompei vive essenzialmente dell'apporto dei pellegrini e dei turisti, richiamati dal santuario, meta di foltissimi pellegrinaggi (in particolare in maggio e ottobre), dal fascino dell'antica città dissepolta e dalla fonte idrotermale (acqua fredda bicarbonatoalcalina). Oltre all'industria turistico-alberghiera, attive sono a Pompei l'industria tessile (confezioni), cartaria, poligrafica, alimentare (biscotti, paste alimentari), della fabbricazione di oggetti sacri e oggettini-ricordo, la manifattura di tabacchi. Il territorio circostante, bonificato, produce ortaggi, uva, frutta, tabacco. — In frazione Pompei Scavi (16 m d'alt.; 644 ab.), annuali manifestazioni artistiche e spettacoli classici, durante la stagione estiva, nel Teatro Grande.

La città moderna si sviluppò con il nome di Valle di Pompei (nella piana allora paludosa e malsana, infestata dai briganti e abbandonata alle rovine) presso l'antica città distrutta dal Vesuvio, attorno al santuario fondato l'8 maggio 1876 dal servo di Dio avvocato Bartolo Longo, per custodire la venerata immagine della Madonna del Rosario. Collegati al santuario, terminato nel 1891, ampliato nel 1933-1939, sono vari istituti assistenziali (ospizi, orfanotrofi, ecc.). Per l'osservazione scientifica dell'attività del Vesuvio, sorgono a Pompei l'osservatorio geodinamico e l'importante osservatorio vesuviano.

Archeologia

La città dissepolta di Pompei costituisce uno dei centri archeologici più famosi e suggestivi dell'antichità, offrendo un'eccezionale documentazione della vita di un centro romano in piena fioritura al momento della catastrofe e rimasto immutato attraverso i secoli sotto la coltre di ceneri e lapilli della più famosa tra le eruzioni del Vesuvio, quella del 79 d.C. La città sorgeva infatti su un terrazzamento lavico di età remota, prospiciente la piana del Sarno, sul cui estuario è stato identificato lo scalo marittimo della zona. È probabile però che il porto e il litorale fossero anticamente più vicini alla città. I tre giorni del cataclisma fecero depositare su Pompei materiali eruttivi per uno spessore di 4 m circa, in cui appaiono riconoscibili uno strato inferiore di lapilli e uno superiore di cenere mista ad acqua, che provocò i crolli delle coperture e la parziale colmata degli interni. Nuove sedimentazioni occultarono per secoli la città sepolta fino alla primavera del 1748, quando, sotto il regno di Carlo di Borbone, l'ingegnere Alcubierre, venuto a conoscenza dei numerosi trovamenti che si facevano nella zona, diede inizio agli scavi, che rivelarono solo nel 1763 la vera identità del luogo. L'esplorazione archeologica, continuata ininterrottamente per duecento anni, costituisce, per mutamenti di finalità e di metodi, una delle più complesse imprese di disseppellimento e di restauro che siano mai state attuate. Infatti dopo i primi scavi disordinati, rivolti unicamente al reperimento di opere d'arte e non curanti del valore storico e documentario di oggetti apparentemente insignificanti (che andarono così irrimediabilmente perduti), iniziarono, soprattutto per merito di Giuseppe Fiorelli, le ricerche sistematiche, condotte con sempre maggiore rigore scientifico, in modo da permettere un'opera di ricostruzione e di restauro il più possibile fedele all'originale. Come esempio si può citare l'esatta riproduzione dei giardini, ottenuta mediante il calco dell'impronta lasciata dalle radici e dai tronchi delle piante nello strato di ceneri (così fu possibile stabilire, per es., che la palestra era circondata da alti platani).

Nel 1960 erano stati riportati alla luce i tre quinti dell'area complessiva della città. L'impianto urbanistico, diverso a seconda delle zone, presenta un reticolato nel complesso alquanto irregolare, con insulae di forme varie e vie talora ad andamento curvilineo, in parte pavimentate, in parte in terra battuta, con profondi solchi per il passaggio dei carri e pietre per l'attraversamento da un marciapiede all'altro.

I caratteri salienti della città risalgono a epoca sannitica, allorché Pompei fu dotata di una poderosa fortificazione con porte e torri, per un perimetro di 3 km circa, databile a partire dal VI sec. a.C.; la cinta primitiva in seguito fu più volte restaurata e rafforzata; in età imperiale romana alcuni tratti ne furono abbattuti per lasciar posto ad abitazioni, mentre le porte venivano aperte e adattate al traffico (Porta Marina, porta Ercolano). Dopo il periodo più propriamente italico, il tessuto urbano di Pompei ricevette orientamenti e influssi dell'architettura ellenistica; il suo aspetto nel primo secolo dell'Impero appariva fastoso, ricco di singolare decoro dell'ornamentazione degli edifici pubblici e privati. Il reperimento di tale area urbana ci ha offerto del resto la più straordinaria documentazione sulle strutture e le tecniche usate nell'antichità; i materiali impiegati variano dalla lava tenera alla lava trachitica, insieme con il tufo proveniente dalle cave di Nocera; di largo uso era la calce mischiata alla pozzolana nella tecnica dell'opera a sacco e dell'opera reticolata; il marmo appare invece riservato a ninfei e fontane, o alla pavimentazione e ai rivestimenti delle dimore signorili. La divisione in quartieri, tramandata dall'età sannitica, è stata ricostruita attraverso le iscrizioni a noi pervenute; ugualmente ci è nota la costituzione di villaggi suburbani, dovuta ai traffici terrestri e marittimi; sono state messe in luce le tubazioni provenienti dal cosiddetto castello delle acque in cui confluiva la massa idrica derivata dall'acquedotto del Serino, nonché i pilastri elevatori e i bacini delle fontane, solitamente assai semplici, posti agli incroci delle vie.

Il principale luogo di convegno nella città era il Foro, situato nella zona occidentale, su un'area pianeggiante, che un tempo era stata sede del mercato; al momento della catastrofe presentava un aspetto grandioso, cinto da portici tutt'intorno per un perimetro di 142´38 m; su uno dei lati minori era il Capitolium o tempio di Giove e della Triade Capitolina; aveva un alto podio, colonne corinzie e ampio pronao; nella cella è stato rinvenuto un torso colossale del dio, danneggiato dal terremoto. Di fronte era la curia; sulla piazza si allineavano inoltre l'edificio degli edili, la basilica, per l'amministrazione della giustizia, il tempio di Apollo, il mercato coperto, il larario pubblico, il tempio di Vespasiano, l'edificio di Eumachia (officina per la lavorazione della lana che prendeva nome dalla proprietaria), e infine il Comitium, per le elezioni dei magistrati; due archi trionfali, ai lati del Capitolium, erano d'accesso alla piazza, ornata dalle statue in bronzo e in marmo degli imperatori e dei cittadini più illustri; tali sculture erano già in parte distrutte in seguito al terremoto dell'anno 63. La basilica, a pianta rettangolare (55´24 m) e divisa in tre navate, delle quali quella centrale, sopraelevata sulle laterali, consentiva l'illuminazione dall'alto attraverso una serie di finestre, è stata datata intorno alla metà del II sec. a.C.; presenta sul fondo un interessante esemplare di tribunal su podio, oggi in parte ricostruito. Il tempio di Apollo risale invece a età sannitica, rifatto sulle fondamenta di una preesistente costruzione del VI-V sec. a.C., come appare attestato dal copioso materiale ritrovato nella stipe votiva e attribuibile ai Greci della vicina Cuma. Il larario pubblico, di recente edificazione al momento del disastro, presenta una caratteristica pianta absidata, e il tempio di Vespasiano, a esso adiacente, documenta le forme del culto imperiale in provincia.

Non meno interessante è l'assembramento degli edifici presso il cosiddetto Foro triangolare nella zona meridionale della città, ove sono stati identificati la caserma dei gladiatori, il teatro, l'odeon e la palestra. Quest'ultima, detta sannitica, per l'iscrizione osca che vi è stata rinvenuta, relativa al nome del fondatore, era circondata da un peristilio e custodiva una replica del Doriforo; fu più tardi sostituita da un'aerea porticata di maggiori dimensioni.

I teatri, assai prossimi e ugualmente orientati, furono costruiti a distanza di un secolo l'uno dall'altro; il teatro propriamente detto appartiene al periodo immediatamente successivo alla seconda guerra punica; in seguito conobbe abbellimenti e ripetuti restauri fino alle ultime ricostruzioni posteriori al terremoto del 63. L'odeon, a esso congiunto attraverso l'area di un quadriportico coperto da un tetto a spioventi e riservato alle audizioni musicali, costituisce invece l'esempio di un edificio di carattere omogeneo, assai simile ai suoi modelli ellenistici. Non lontano dal teatro sorgono due templi, l'uno dedicato a Zeus Meilichios, come attesta un'iscrizione osca, e l'altro a Iside; quest'ultimo, databile al I sec. a.C., è di particolare interesse in quanto singolarmente conservato nelle strutture e negli arredi. Se il culto della dea Iside appare particolarmente fervido negli ultimi anni di Pompei, un'altra antichissima divinità italica risulta venerata dagli abitanti della città campana: si tratta della cosiddetta Venere fisica, sentita come espressione della potenza della natura; un santuario a lei elevato è stato scoperto nel settore sudoccidentale della città, in fase di grandioso ampliamento al momento dell'eruzione. Scarsi avanzi restano invece di un tempio greco arcaico dedicato a Ercole nella zona sudorientale dell'abitato; il tempio, le cui fondazioni risalgono al VI sec. a.C., fu distrutto e non più ricostruito in seguito al terremoto del 63.

Un'interessante documentazione di architettura termale è offerta dai grandiosi impianti delle Terme stabiane, dalle terme del Foro e dalle Terme centrali. Le Terme stabiane, considerate le più antiche e le più vaste, sorgevano nel quartiere del teatro; come tutti gli edifici di questo genere presentavano sulla strada un allineamento di tabernae; all'interno si articolavano invece, funzionalmente disposti, i settori dei bagni maschili e femminili, la palestra, la piscina, i portici, i rifornimenti idraulici, i servizi igienici e di riscaldamento. Né dovevano mancare le ornamentazioni, assai meglio conservate però nelle minori terme adiacenti al Foro, come sono visibili nella bella sala del tepidario decorata a stucco e pittura. Le Terme centrali, rimaste incompiute e riservate soltanto agli uomini, presentano l'innovazione delle grandi finestre vetrate che si affacciano sulla palestra, e rappresentano un più evoluto grado di funzionalità.

Tra gli edifici pubblici di Pompei merita particolare attenzione per l'antica struttura, non mai modificata, il grandioso anfiteatro databile al I sec. a.C., nei primi anni della colonia romana; la mancanza dei sotterranei fa pensare che in un primo tempo l'arena fosse destinata unicamente a lotte tra gladiatori; solo in seguito furono probabilmente introdotte cacce con belve feroci. In età augustea presso l'anfiteatro fu allestita una seconda palestra, detta romana, con mura e un triplice portico all'interno e una grande piscina al centro.

Arte

La pittura pompeiana costituisce la più ricca decorazione parietale a noi pervenuta del mondo antico, databile dalla fine del II sec. a.C. al 79 d.C. La larga diffusione dei dipinti, la varietà dei soggetti, i diversi procedimenti tecnici e le evoluzioni stilistiche hanno indotto gli studiosi a classificare secondo diversi stili le opere rinvenute in duecento anni di esplorazioni archeologiche. Manca invece qualunque documentazione letteraria ed epigrafica, che induca a riconoscere e individuare qualche personalità tra quelle dei vari pittori che diedero vita, con maestranze campane, all'interessante serie decorativa. Accanto agli affreschi e alle opere a encausto erano di particolare interesse i quadri da cavalletto inseriti in appositi incavi della parete; decorazioni a narrazione continua sono state rinvenute nella villa dei Misteri, con il grande fregio a carattere religioso che corre sulle pareti di una sala, analogamente a quello della vicina villa di Boscoreale, con una scena che richiama il lontano splendore delle corti ellenistiche. Frequentemente i soggetti sono ispirati a divinità ed eroi del mito greco, con particolare predilezione per episodi del ciclo omerico; scene della vita quotidiana e della commedia sono riservate invece ad ambienti meno centrali o a pannelli minori. Nei ritratti a medaglione è notevole l'affermarsi della vena realistica (ritratto di Paquio Proculo e di sua moglie); scorci di paesaggi, forse ispirati al vero, con vedute di casali, ville, portici e marine, si affiancano a scene nilotiche di pura fantasia o di maniera; elementi esotici appaiono del resto anche nelle frequenti rappresentazioni di cacce. Selvaggina, frutta e suppellettili della mensa costituiscono i soggetti di numerose nature morte; frequenti sono le riproduzioni dei lari, dipinti in un'edicola o in una nicchia; né mancano esempi di pubblicità murale, richiesta da botteghe e officine.

I grandi mosaici pompeiani, adibiti prevalentemente a ornamentazioni pavimentali, costituiscono un altro reperto di eccezionale interesse; dai più antichi, formati da accostamenti di ciottoli fluviali o marini, fino alle grandi composizioni figurate di ispirazione ellenistica, Pompei ci ha restituito non solo una testimonianza incomparabile dell'evoluzione dell'arte musiva, ma esecuzioni tra le più significative e imponenti (casa del Fauno, mosaico della Battaglia di Alessandro; casa del Poeta tragico, casa del Labirinto). Tessere prevalentemente vitree appaiono usate nei non numerosi mosaici parietali, specie in fontane e ninfei.

VESUVIO

Vesuvio, vulcano della Campania, appartenente all'Antiappennino Campano, che si eleva maestoso, dominando il golfo di Napoli, poco a E-SE della città; culmina a 1.277 m. È l'unico vulcano attivo del continente europeo (escluse le isole) e uno tra i più interessanti di tutto il mondo. Tipico esempio di vulcano a recinto, è costituito da un cono esterno tronco (monte Somma), con grande cinta craterica in parte demolita, entro la quale si trova, in posizione eccentrica, un cono più piccolo (Gran Cono o Vesuvio) ma più elevato della cinta suddetta. Il monte Somma, avanzo di un edificio vulcanico più antico, ha un diametro craterico di 4 km circa e raggiunge un'altezza di 1.132 m nella Punta del Nasone. Il Gran Cono o Vesuvio propriamente detto, rilievo culminante di tutto l'apparato, di formazione più recente e attivo, ha un cratere di 700 m di diametro. Il bastione semicircolare del Somma e il Gran Cono sono separati da un avvallamento lungo 5 km e largo 500 m, denominato valle del Gigante (distinta in Atrio del Cavallo a ovest e valle dell'Inferno a est), che rappresenta l'antica caldera dove in seguito si formò il Gran Cono. Il Vesuvio, caratteristico vulcano poligenico e misto, ossia costituito da lave di composizione chimica diversa (ad esempio trachiti, tefriti, leucititi, ecc.) e formato sia da colate di lava sia da depositi piroclastici, è pervenuto alla configurazione attuale attraverso vari periodi successivi. All'inizio dell'era quaternaria (seconda fase eruttiva dei Flegrei) un'eruzione di trachiti fu all'origine del primitivo monte Somma; altri due parossismi si verificarono tra il 6000 e il 3000 circa a.C. e tra il 3000 e l'inizio dell'era cristiana, dando luogo soprattutto a emissioni di basalti leucitici. Successivamente, dopo un lungo periodo di quiete, l'attività vulcanica si manifestò mediante scosse di terremoto che precedettero, a partire dal 5 febbraio del 63 d.C. (terremoto descritto da Seneca), la terribile eruzione verificatasi il 24 agosto del 79, durante la quale furono completamente distrutte nonché sepolte da una spessa coltre di cenere, lapilli e lava le tre fiorenti città di Ercolano, Pompei e Stabia. Questa eruzione, definita pliniana, che secondo alcuni diede origine all'attuale Gran Cono del Vesuvio, fu la prima storicamente datata e documentata in una celebre lettera a Tacito scritta da Plinio il Giovane, che nel cataclisma perdette lo zio, Plinio il Vecchio, vittima della propria passione di naturalista. Tra le eruzioni successive si ricordano quelle del 202, 472, 685, 1036, 1139, e quella violentissima del 16 dicembre 1631, che distrusse la maggior parte degli abitati situati ai piedi del vulcano, provocando circa 18.000 vittime e durante la quale la lava raggiunse il mare. L'attività del Vesuvio venne nuovamente segnalata nei secc. XVII, XVIII e XIX (1822, 1855, 1858, 1861, 1872). Seguirono altre eruzioni che trasformarono completamente la sagoma del cratere; dopo il violento parossismo del 1906, durante il quale furono eruttati milioni di metri cubi di lava, si determinò infatti sul Gran Cono una paurosa voragine craterica. L'ultima eruzione avvenne nel marzo 1944: furono emessi 21 milioni di m³ di lava, distrutti numerosi centri abitati e le ceneri giunsero fino in Albania. Attualmente si hanno manifestazioni fumaroliche intra ed extracrateriche. Sulle pendici del versante di Napoli, a 608 m d'alt., si trova il celebre osservatorio vesuviano (già diretto, fra gli altri, da M. Melloni, Luigi Palmieri, G. Mercalli, A. Malladra), fondato nel 1841-1845, con annessa biblioteca vulcanologica e piccolo museo vesuviano. Nei pressi, a 750 m d'alt., è la stazione d'arrivo della ferrovia Vesuviana, in parte a cremagliera (attiva fino al 1956), proveniente da Pugliano, dove s'innesta con la ferrovia Circumvesuviana (120 km di rete a scartamento ridotto), e a 754 m si trova la stazione inferiore della seggiovia (la vecchia funicolare fu distrutta dall'eruzione del 1944) che porta poco al di sotto dell'orlo craterico del Vesuvio. Una strada panoramica (13 km) permette di raggiungere la stazione inferiore della seggiovia. - Le pendici del Vesuvio, regolari e fertilissime, sono ricoperte di vegetazione spontanea (fichi d'India e arbusti) e di colture redditizie: ortaggi, frutta, viti (produzione di vino pregiato lacrima Christi). Numerosi villaggi e grandi centri abitati sorgono intorno al vulcano ai piedi e sulle pendici sino a 200 m circa d'alt. Portici, Ercolano, Torre del Greco, Torre Annunziata, lungo la costa; inoltre, Boscotrecase, Pompei, San Giuseppe Vesuviano, San Gennaro Vesuviano, Ottaviano, Somma Vesuviana, Sant'Anastasia, San Sebastiano al Vesuvio, ecc. Movimento turistico intenso.

LE ISOLE DEL GOLFO

<<Davanti a Capo Miseno c’è l’isola di Prochyta , che è un frammento staccatosi da Pitecusa .

Pitecusa fu colonizzata da Eretriesi e Calcidesi , ma costoro, benchè vivessero nella prosperità grazie alla fertilità della terra ed alle sue miniere d’oro, abbandonarono l’isola in seguito a lotte e poi anche perché cacciati da terremoti di fuoco, di mare e di acque bollenti: l’isola va in effetti soggetta a tali esalazioni, a causa delle quali anche quanti erano stati inviati da Ierone , tiranno di Siracusa, lasciarono la fortezza da essi costruita e l’isola; infine la occuparono alcuni abitanti di Neapolis giunti fin qui. Deriva da tali fenomeni anche il mito secondo cui Tifone giacerebbe sotto quest’isola; quando egli si agita farebbe venir su le fiamme e le acque e talvolta anche piccole isole con getti d’acqua bollente. […] Quanto a Pitecusa in particolare, Ti- meo dice che dagli antichi sono raccontate molte cose straordinarie e che poco prima di lui il colle Epopeo , nel mezzo dell’isola, scosso dai sismi abbia vomitato fuoco e rigettato verso il largo tutta la terra fra esso ed il mare. Una parte di terra ridotta in cenere si era prima sollevata, poi di nuovo era piombata sull’isola come un tifone ed il mare era retrocesso per tre stadi; in seguito, dopo essere retrocesso, si era rivolto ancora indietro ed il suo riflusso aveva sommerso l’isola così che il fuoco in essa si estinse: per il fragore quelli che abitavano sul continente fuggirono dalla costa verso l’interno della Campania. Sembra che le acque termali che si trovano là guariscano quanti soffrono di calcolosi.

L’isola di Capri aveva anticamente due piccole città , ma poi ne rimase una sola. I napoletani occuparono anche questa; avendo perduto in seguito ad una guerra Pitecusa, poi la ottennero di nuovo , quando la restituì loro Cesare Augusto, il quale fece invece di Capri sua proprietà personale e vi costruì una residenza. Queste sono le città del litorale campano e le isole che stanno di fronte ad esso.>> [tr. da Strabone AA.VV.]

ISCHIA

Ischia, la maggiore delle isole partenopee, situata all'imbocco nordoccidentale del golfo di Napoli; 46,5 km²; 46.278 ab. Lunga 10 km e larga circa 7, ha forma quasi trapezoidale. Di natura vulcanica, geneticamente collegata alla regione dei Campi Flegrei, culmina nel monte Epomeo (789 m), la cui ultima eruzione risale al 1301. Le coste sono frastagliate, con pareti alte alternate a brevi tratti di spiaggia. Anche la morfologia interna è molto movimentata, perché la forma conica dell'Epomeo è stata alterata dai crateri avventizi e dall'erosione, favorita dalla prevalenza dei tufi. Numerosi terremoti colpirono l'isola in varie epoche; ben quindici se ne ebbero nel XIX sec., tra i quali disastroso quello del 1883, che distrusse Casamicciola e fece 2.000 vittime. Oggi si manifestano solo fenomeni di vulcanesimo secondario: fumarole e soprattutto sorgenti termali note fin dall'antichità (sono ricordate da Strabone, Plinio il Vecchio e Stazio). Il clima è molto mite, con una temperatura media di 10 °C in inverno e 23 °C in estate (media annua: circa 17 °C). Le precipitazioni non raggiungono i 1.000 mm all'anno. La popolazione, assai fitta (742 ab. per km²), si addensa prevalentemente nella fascia costiera ed è distribuita in sei comuni: Ischia, il principale, Barano, Casamicciola Terme, Forio, Lacco Ameno e Serrara Fontana (prov. Napoli). Il suolo, assai fertile, fa prosperare vigneti, che danno rinomati vini (vini dell'Epomeo); agrumeti, frutteti, orti. Anche la pesca offre una buona risorsa, mentre nuove e ampie possibilità sono state aperte dal forte incremento del turismo, che si avvale della bellezza e varietà dei luoghi, dell'ottima attrezzatura alberghiera e della possibilità di cure termali (fanghi, ecc.).

 

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Ultimo aggiornamento: 05-05-03

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