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La
Congiura del Silenzio
Articolo di
Michele Monteleone alias "Libero" pubblicato su Toronews (20
Luglio 2004) e su altri siti on-line
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Torino,
dal punto di vista calcistico, ma non solo, è divisa in due entità,
ciascuna delle quali con motivazioni sportive, storia, caratteristiche,
immagine e quant’altro ben distinte ed estremamente diverse l’una
dall’altra. Del Toro sappiamo tutto: una squadra con un passato
glorioso, tragico, ormai diventato mito e con un presente che peggiore non
poteva essere. L’altra entità è la diretta emanazione di un potentato
economico e politico, non solo cittadino. Torino non è Milano, dove due
squadre con pari dignità pagano il dovuto per utilizzare San Siro. Non è
nemmeno Roma, dove due squadre, sempre di pari dignità, possono comunque
contare su un appoggio mediatico e politico che ne mette sì in luce ogni
difficoltà, ma si attiva anche per risolverle. A Torino nulla di tutto
questo. Un sobrio ed aristocratico silenzio. Ma non tutti lo accettano,
qualche voce plebea ogni tanto si leva, ed elenca i volgari fatti…
Partiamo da qualche
anno fa.
La gi*ve voleva uno
stadio di proprietà, e voleva il Delle Alpi. Lo voleva con il minimo
sacrificio economico, con una spesa ridicola se paragonata al valore
stimato suo e dell’area circostante, sfruttabile commercialmente. Per
arrivare a questo, vista la presenza di due realtà che potenzialmente
potevano essere interessate all’affare, dovevano verificarsi un insieme
di circostanze particolari:
1- Il Delle Alpi, raro
esempio d'edificazione recente non realizzata dal gruppo Fiat, doveva
essere percepito dall’opinione pubblica come inadatto, un inutile spreco
di denaro pubblico, una cattedrale nel deserto. Questo per prepararne
l’abbattimento od il rifacimento senza la minima resistenza. Che siano
state divulgate, attraverso la stampa cittadina, notizie false sui costi
di realizzazione o sull’infelice collocazione geografica
dell’impianto, era strumentale.
2- Occorreva esercitare
pressioni sulle autorità cittadine affinché eventuali opposizioni
venissero scavalcate: finto ricatto con la minaccia di andarsene da
Torino, attraverso il quale si è da subito ottenuta la gestione della
pubblicità allo stadio, senza per questo doversi sobbarcare i costi di
manutenzione dello stesso, lasciati al comune che, incredibilmente,
accetta.
3- Bisognava
raffigurare la gi*ve come unico vero interlocutore cittadino, unica entità
sportiva rappresentativa di tutta la comunità, e così nei suoi
gagliardetti sparisce la zebra, da sempre simbolo bianconero, ed appare il
toro rampante, da sempre emblema granata. Vi immaginate la Lazio con la
lupa nel simbolo? Non sarebbe sicuramente passato inosservato, a Roma.
4- Il Torino Calcio non
doveva intromettersi nella questione Delle Alpi. Avendo diritto, almeno
teoricamente, alle stesse opportunità della gi*ve, poteva ostacolarne
l’esproprio o renderlo più dispendioso. In parole povere, il Toro non
doveva presentarsi ad un’eventuale asta. Per esserne certi occorreva
tuttavia controllarlo direttamente, non bastavano le forzature esterne di
sempre.
Così, dopo una
campagna di stampa violentissima nei confronti degli allora padroni del
Torino Calcio, i cosiddetti genovesi, ai quali certamente non ne era
andata bene una, il Torino viene acquistato da Francesco Cimminelli,
padrone della Ergom e fornitore della Fiat, al quale vengono avvallati i
pagamenti delle fatture a 30 giorni, contro i 90/120 degli altri,
finanziamenti fino a 500 miliardi di vecchie lire, costruzione di due
stabilimenti nel Sud i quali provvedono, tra le altre cose, ad assicurare
la produzione quando altrove si sciopera. Commesse oltre il 2010.
Sicuramente sarà un caso, un insieme di fattori oggettivi e, tra l'altro,
documentabili. Nessun complotto.
Fatto sta che Francesco
Cimminelli, certamente un industriale avveduto, noto però fino ad allora
soprattutto per essere stato l'artefice del primo caso di mobbing, applica
questa stessa filosofia nella sua gestione del Torino Calcio. Si dichiara
da subito tifoso bianconero, al Toro solo per ragioni affaristiche.
Ridicolizza ed insulta chi, tra i tifosi del Toro, si rechi ancora a
Superga, luogo dove, oltre alla lapide del Grande Torino, ha sede
provvisoria il Museo dedicatogli.
Dopo una breve fase in
cui il presidente è Giuseppe Aghemo, che gli aveva spianato la strada
verso l’acquisto del Torino Calcio annunciando, tra le altre cose, la
presenza di 70 miliardi di fidejussioni per la ricostruzione del
Filadelfia, viene assegnato all’incarico Attilio Romero, noto alle
cronache per essere una delle persone coinvolte nell’incidente in cui
trovò la morte Gigi Meroni, e in precedenza dirigente Fiat con mansioni
di rilievo.
Decide di destinare
l’incarico di general manager a Pieroni, in causa con il portiere del
Torino Luca Bucci per via di un battibecco precedente. Questa decisione
sarà annullata in seguito alle proteste dei tifosi.
Sposta la storica sede
del Torino Calcio in un ex magazzino di via del Carmine, e lascia i
prestigiosi uffici precedenti al figlio Simone.
Annuncia la
ricostruzione del Filadelfia, abbattuto anni prima da Novelli, che ne
aveva promessa la ricostruzione con tanto di conferenze stampa, progetti,
date d’inizio lavori e d’inaugurazione.
Viste le difficoltà
nel farsi approvare il progetto esecutivo sul Fila, che alcuni dicono
cercate (l'archittetto che stilò il progetto), Cimminelli propone la
realizzazione presso Borgaro, nell’hinterland torinese, di Borgarello,
un’area comprendente nove campi di calcio, forestierie, spogliatoi, sede
di prima squadra e settore giovanile ed ottiene dal comune di Borgaro le
delibere necessarie.
Il Comune di Torino,
che ha già stabilito fin dal 1999 con un accordo tra Giraudo e l’allora
sindaco Castellani, la cessione del Delle Alpi e dell’area circostante
alla società bianconera, deve almeno salvare le apparenze dando una
parvenza di equità. Così, dopo aver assegnato l’area del Delle Alpi
alla gi*ve per meno di 5 euro al metro quadro, contro i circa 70
normalmente necessari per la concessione di spazi commerciali, provvede a
fare grosso modo altrettanto nei confronti del Torino, concedendogli il
vecchio stadio comunale, nel frattempo diventato sede delle cerimonie
delle olimpiadi invernali del 2006, e concedendo i permessi per la
realizzazione un supermercato sull’area ex Filadelfia, necessario per il
sostentamento futuro del club.
A fronte delle tardive
ma efficaci proteste dei tifosi, il supermercato viene spostato in area
vicina, ma viene concessa l’edificazione di due palazzi, con relative
strade d’accesso, su metà dell’area originale.
Lo Stadio Comunale,
dopo aver precedentemente attraversato una fase in cui se n’era
prospettato l’abbattimento, diventa d’improvviso un monumento
d’importanza tale da non poterne modificare né la prospettiva, né
abbassare il terreno di gioco, realizzato con un sistema di drenaggio a
fascine incrociate che sembra irripetibile. Il costo del ripristino
dell’impianto passa dai 20 milioni di euro iniziali a più di 50, per la
capienza di 27000 posti.
In pratica
ristrutturare il Comunale costa il doppio della cifra a cui è stato
venduto alla gi*ve il nuovissimo delle alpi, perfettamente utilizzabile già
così com’è ora, tant’è che entrambe le squadre cittadine ci giocano
pur se una, il Torino, per farlo paga l’affitto all’altra.
In tutto questo marasma
edilizio s’inserisce la situazione della squadra, sempre più allo
sbando. I giocatori migliori, quelli che potrebbero anche essere ceduti
ricavandoci qualcosa, vengono lasciati andare via per scadenza contratto.
Parecchi tra loro passano prima da una fase nella quale vengono lasciati
in tribuna, presentati all’opinione dei tifosi come mercenari, incapaci,
piantagrane, lavativi o quant’altro, in modo da poterli cedere senza
lasciare rimpianti o costretti ad andare via. Mobbing.
Nessun calciatore vuole
più venire al Toro, compreso chi proveniva dalle giovanili granata, chi
c'è se ne vuole andare, chi sarebbe obbligato a rientrare afferma che
piuttosto smette di giocare.
Il settore giovanile
viene semi-abbandonato e resiste, pur se a livelli minimi rispetto al
passato, solo grazie alla buona volontà e all’attaccamento degli
allenatori rimasti.
Il settore marketing è
un fantasma. In tutta Torino, in qualunque negozio o supermercato, non si
trova nessun tipo di gadget granata. I tifosi vengono abbandonati, il
coordinamento dei club, sempre promesso, non viene realizzato.
La tifoseria viene
continuamente accusata di scarsa presenza, di eccessivo romanticismo, di
essere fonte di pressioni esagerate sui giocatori. Non un'operazione
commerciale viene intrapresa per riavvicinare i simpatizzanti, i prezzi
degli abbonamenti sono il doppio rispetto ad un Udinese e pari a Milan ed
Inter. Ma il Toro è in serie B. Nel contempo Cimminelli dichiara a più
riprese che dei tifosi non gl'importa nulla, o che se li gira come vuole.
Va a vedersi le partite della gi*ve, cena con Moggi. Piange miseria ma non
tratta la vendita del club. Chiunque ci provi si trova davanti una scatola
nera di cui non può conoscere prezzo e contenuto.
Intanto al Filadelfia,
i cui lavori di costruzione dovevano iniziare in concomitanza con quelli
del comunale, è tutto fermo tranne l’erbaccia, che continua a crescere.
Il centro commerciale
è stato già venduto alla Bennet, e quindi non potrà più servire per
l’autofinanziamento del Club.
A Borgarello la
lottizzazione è partita e le villette a schiera sorgeranno come funghi.
I lavori del Comunale
non hanno minimamente tenuto in considerazione le aspettative dei tifosi.
Mentre in tutto il mondo i campi di calcio vengono realizzati con le
gradinate a ridosso del terreno, qui lo spazio occupato dalla precedente
pista d’atletica sarà ricoperto dall’erba. L’aumentare annunciato
dei costi di ristrutturazione, otterrà come probabile esito che
cimminelli potrà accampare scuse per non far fronte agli stessi, tant’è
che i lavori procedono con notevole ritardo.
Accadrà che il Comune,
dovendo provvedere alle cerimonie olimpiche, le dirotterà al Delle Alpi
(inizialmente presentato al CIO in tale veste e poi, non si sa perché,
sostituito dal Comunale). Pagherà il disturbo alla gi*ve che così, dopo
averlo ottenuto ad un decimo della sua valutazione, si farà anche
eventualmente rimborsare le spese di rifacimento o pagare l’affitto.
Non ci sono complotti,
a Torino.
Non c’è cupola e non
c’è piovra. C’erano due società di calcio. Una potente, vincente,
ricca e famosa, l’altra meno, ma con in dote un bagaglio di storia,
orgoglio, dignità ed attaccamento dei tifosi che non aveva uguali in
Italia e probabilmente nel mondo.
Una di queste società
c’è ancora, ed è più potente, più ricca di prima, potendo ora anche
contare su un patrimonio immobiliare costato niente e di valore immenso.
Il Torino, con il
susseguirsi di progetti fantasma, false vendite e vere delibere, finti
padroni, non possiede nemmeno più ciò che era suo e che n’era simbolo,
luogo e patrimonio. Restano i suoi appassionati, sempre più disorientati
e sempre meno pazienti.
Non c’è nessuna
cospirazione. Non serviva a chi, potendo gestire la cosa pubblica
imponendo le proprie scelte, non aveva necessità di metterla in atto.
Non c’è progetto
d’annientamento del Toro. Non occorreva studiarne uno a chi per
attitudine, tradizione consolidata, connivenze politiche e possibilità di
ricatto sociale, non lascia niente agli altri, ed agli altri non resta
altro che andarsene o sparire.
Non c’è nulla di
nascosto a Torino, tranne tutto ciò che non viene detto dal TG regionale
o pubblicato da La Stampa, che è quello che più o meno avete letto sin
qui.
Non c’è nessuna
congiura, a Torino, tranne la peggiore: quella del silenzio.
Spiegare
a un gobbo le ragioni della marcia dei 50.000 è come declamare la Divina
Commedia ad una melanzana.
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