Conferenza
del 1-6-2000
Padova
 
 
L'intervento di
Eugenio Borgna



Grazie, sono cose troppo generose ascoltate da parte di M. Armezzani che ha scritto libri che non ha citato e nei quali la sua fondazione filosofica Husserliana raggiunge verità sconvolgenti e incomparabili, uso aggettivi consapevole che a volte solo questi riescono a rendere viva una partecipazione, una comunicazione. Ma sempre al di là di questo rigore Husserliano, loro conosceranno certo qualcosa di Husserl: vertigini, abissi, anche asperità a volte insormontabili a differenza di Martin Heidegger che ha reso più semplice e immediato il discorso assoluto di Husserl.

Al di là di queste fondazioni scientifiche assolute, come sempre nei suoi libri è in lei questo timbro, questa nota, questa risonanza di partecipazione umana, di comprensione e di simpatia per gli altri. Forse qualcuno di voi avrà letto qualcosa di Max Scheller il quale scrive che "senza simpatia non c'è conoscenza"; del resto su questa scia sia Goethe da una parte, ma anche Binswanger, uno dei più grandi psichiatri e filosofi del nostro tempo, ha scritto che "senza simpatia e senza amore non comprendiamo nulla di cosa gli altri siano, ma soprattutto non comprendiamo nulla di cosa gli altri vivono, soprattutto quando le ombre della tristezza e della malinconia, dolore e sofferenza scendono in noi".

Io qui sono un po' sperduto, perché sono un semplice medico che ha lavorato prima in un grande ospedale psichiatrico e poi continua anche a farlo in un servizio psichiatrico di un ospedale generale, per cui nei confronti di fondazioni psicologiche e filosofiche molto alte, fatte in istituti come questi, noi siamo pratici che cercano comunque di mantenere viva anche nella prassi a volte più dolorosa e dura questa fiamma della riflessione e della soggettività, tema non solo filosofico ma che fa parte di ogni ricerca e di ogni riflessione sia di psicologia che di psichiatria.

L'oggetto della psichiatria e della psicologia quali sono? Qui si scindono, si separano due weltashaung, due concezioni teoriche e pratiche totalmente e radicalmente diverse. Se l'oggetto della psichiatria e della psicologia è soltanto la ricerca dei disturbi, dei fenomeni e delle alterazioni che avvengono a livello delle strutture encefaliche o a livello di una semplice descrittività di comportamenti, allora sia le cose ascoltate , sia ciò che caratterizza le psichiatrie e psicologie alternative a quelle dominanti che, da una parte in psichiatria fanno degli psicofarmaci l'idolo Baconiano su cui sacrificare qualunque dialogo e colloquio, dall'altra invece quelle psicologie, chiamiamole per intenderci comportamentistiche, che si sottraggono all'impegno, allo scacco, al fallimento della ricerca di cosa si muova non dentro ai comportamenti, all'esteriorità (Erinas: non so se questo nome di psicologo e filosofo vi dice qualcosa…). Rimanendo così queste psichiatrie e psicologie estranee alla tesi che l'oggetto della psicologia sia il soggetto, la soggettività, questi arcipelaghi sconfinati rappresentati dalla vita interiore e dalla interiorità.

Novalis una volta ha scritto "il cammino misterioso della conoscenza va verso l'interno", qui ognuno fa le sue scelte e non ci sono verità assolute o che qualcuno possa ritenersi portatore di una onnipotenza culturale e conoscitiva perché allora non conosceremmo nulla, non ammetteremmo nulla delle infinite contraddizioni, delle antinomie radicali e assolute che ci sono dentro noi innanzi tutto, e dentro la realtà umana, i cuori, le menti di quanti chiedono aiuto e si rivolgono a psicologia e psichiatria per essere ascoltati e senza rifiuti, giudizi radicali, assoluti e manichei.

Il tema, le connessioni, le infiltrazioni fra letteratura e psicologia solo apparentemente sono estranee al contesto pratico di agire, qualche citazione mi è inevitabile perché c'è il rischio, quando si dicono cose che almeno apparentemente si distaccano dal linguaggio comune di psicologia e psichiatria, di essere considerati sognatori o rapsodi senza una reale cultura, una reale capacità di trasformare il mondo, evidentemente soltanto per questo il criterio su cui si giudica in ultima istanza il significato e senso di ogni psichiatria e psicologia. Quindi il cercare di usare il linguaggio della vita quotidiana e di cogliere aspetti comuni, sia della vita psicologica considerata seppur astrattamente normale, in quella invece segnata da psicosi e follia, cioè cercare sentieri comuni non è espressione di follia di pochi psichiatri e psicologi che vivono e cercano di avvicinarsi al linguaggio cifrato delle stelle, ma rappresenta una forma concreta di visione della vita, ma soprattutto di interpretazione della vita psicologica, ma anche per quanto mi riguarda, della vita segnata da questo enigma che resta ancora profondamente tale e abissale dell'angoscia, della disperazione, della malinconia, della follia e dell'esperienza psicotica.

Karl Jaspers filosofo grandissimo, ma prima psichiatra che ha scritto il primo grande libro di psicopatologia generale ancora oggi tradotto, seppur in un italiano pessimo, Jaspers ha scritto che non ci sono ne psicologie né psichiatrie degne di questo nome che non cerchino di confrontarsi e correlarsi permanentemente con le analisi, le ricerche , le invenzioni, la grazia di letterature, di narrative, di poesie, e creazioni che sappiano rendere meno drammatico, meno insuperabile questo ponte che separa (interrotto e bruciato) quella che è l'anima, la conoscenza della vita affettivo-emozionale, la disperazione a volte anche la follia, degli altri. Quindi l'esperienza letteraria; alcuni grandi testi che aiutino psicologia e psichiatria ad uscire dalla solitudine disperata in cui a volte queste due discipline vivono; e che rendano quindi meno acuta e straziante la diversità che può esistere tra noi e chi chiede aiuto a noi.

Ogni esperienza di sofferenza, ma in particolare ogni esperienza psicotica, cambia profondamente e radicalmente le dimensioni della soggettività del tempo e dello spazio in cui viviamo quando siamo angosciati o tristi , disperati o invece trasformati dagli aironi della gioia e dell'esultanza, già queste parole e tematiche vorrebbero subito indicare come il tema soggetto-oggetto di ogni psichiatria e psicologia che cercano disperatamente di calarsi dentro, di immedesimarsi dentro volti, sguardi, fantasmi, immagini ed esperienze affettive-emozionali che gli altri fanno. Solo se fra ciascuno di noi la conoscenza si muove sul sentiero seppur segmentato e pericolante dell'introspezione, dell'analisi interiore di ciò che noi siamo, di quello che noi proviamo, solo in questo modo forse si apre una possibilità concreta per cercare di cogliere cosa gli altri vivono, sentono, provano sul piano dei loro sentimenti feriti, calpestati, lacerati e infiammati.

Chi parla fa della psichiatria pratica per cui non è, lo ripeto, qualcuno che viva nei laboratori siderali della ricerca farmacologica pura, e pure della pura speculazione filosofica. Tradurre questi temi sia pure sfrangiati, rapidi, sommari, in quella pratica clinica che diventa tramite essenziale per poter distinguere le psichiatrie utili dalle inutili, le psichiatrie che si riempiono di violenza ( e la cosa ahimè accade spesso), dalle psichiatrie che invece cerchino di sottrarsi da ogni violenza, esige innanzitutto (questa ricerca e sforzo esigono) che si colgano aspetti essenziali, strutturali di una esperienza umana quando questa è segnata, sconvolta dalla sofferenza oppure dalla follia.

Nell'ospedale psichiatrico di Novara, anche se le ribalte non sono mai state accese, e non dico questo per insensata auto-trionfalizzazione, ma per indicare le connessioni tra teoria e prassi, ed in particolare di una prassi che tende a modificare spero la teoria, consentono che (come avviene a Novara) il reparto di psichiatria sia totalmente aperto senza mai nessuna contenzione, né abusi insensati di farmaci, senza mai che nessuna porta sia chiusa ma, in questo modo, quando c'è un'atmosfera interna (il merito non è mio ma soprattutto di infermieri/e che lavorano), quando si riesce a cogliere quali sono le strutture portanti di un'esperienza psicotica, allora ci si accorge che le differenze, le separazioni fra quello che è normale e quello che viene dichiarato anormale, sono differenze che scompaiono o che finiscono da una parte e dall'altra.

Anche nelle esperienze psicotiche estreme, quelle che segnate nei comportamenti sembrano segnare una differenza ontologica fra l'essere sani e il non esserlo più, in realtà rivelano vite interiori, anime ferite ed i comportamenti sono solo qualcosa di subalterno, di solo apparentemente incomprensibile. I comportamenti devono essere trasformati, interpretati cercando di cogliere quali siano i significati che in comportamenti a volte aggressivi e disperati nascano da una disperata esigenza di aiuto, da un appello che nasce dal cuore sempre lacerato e logorato ogni testo letterario, quando riesca a superare certo le incrostazioni e i paradigmi della narratività pura e riesca a cogliere cosa gli infiniti modi della vita che ci sono in noi, gli infiniti modi con cui ognuno riesce a rivivere la propria angoscia o disperazione, perché anche qui psichiatria e psicologia che non si riducano sul piano della mimesi di psichiatrie e psicologie oggettivanti e riduzionistiche, sanno come il linguaggio sia essenziale per cogliere significati e per non aggredire gli altri; a volte soprattutto quando chi chiede aiuto è sommerso da orizzonti sempre più chiusi, più disperati, a volte certo solo il linguaggio del corpo, lo stringere una mano, uno sguardo che riesca ad essere portatore di comunicazione e simpatia, riesce ad essere strumento terapeutico.

Anche qui una psichiatria e una psicologia che si ribellino a questa loro cosificazione, svuotamento d'intenzionalità e problemi, sanno che anche il silenzio diventa una condizione essenziale per potere capire qualcosa di ciò che gli altri hanno dentro di sé, che non sempre o di rado riescono ad esprimere; una delle esperienze a volte anche sconvolgenti che qualcuno che si occupi di psichiatria e psicologia fa, è quella di incontrare persone che hanno trascorso una vita insieme, fatta d'interessi anche intensi, ma che sono rimaste profondamente e radicalmente sconosciute l'una all'altra, perché mai gli sguardi e mai le parole hanno raggiunto quella fragilità, debolezza, leggerezza, leggere come un soffio ma anche radenti come una scure, che consentano di togliere la crosta, la scorza ai nostri comportamenti. Per cui il rischio in cui tutti siamo immersi, del resto la cosa si fa soprattutto drammatica quando ciascuno di noi nei campi di psicologia e psichiatria cerca di recare aiuto agli altri, il rischio è appunto quello di trasformarsi in quelle monadi sigillate e chiuse che non ci consentono assolutamente di ascoltare assolutamente nulla di quello che accade a noi e fuori di noi.

Testi letterari dunque. Una bellissima citazione di Tolstoj "Guerra e pace" è di un romanzo che dovremmo leggere tutti e non solo leggere ma rileggere, quest'epopea infinita nella quale, come anche in Proust nella "Ricerca del tempo perduto", si riflettono i grandi stati d'animo, le grandi angosce ma anche le grandi altezze nobili e ghiacciate della vita.

Questo è solo un frammento di un suo racconta in cui con grande semplicità viene posto l'accento su questa divaricazione assoluta, a volte straziante che c'è tra l'essere e l'apparire, fra l'essere divorati da un'esperienza d'angoscia e il non essere assolutamente compresi e capiti in questi abissi. Le parole di Tolstoj sono queste: "Oggi mi hanno portato al consiglio di governatorato per farmi esaminare, e i pareri sono stati discordi, hanno discusso e hanno deciso che non sono pazzo, ma lo hanno deciso solo perché durante l'esame mi sono trattenuto dall'esprimere ciò che penso, e non ho espresso ciò che penso perché ho paura del manicomio, ho paura che lì mi impedirebbero di compiere il mio pazzo compito. Hanno dichiarato che sono predisposto all'emotività o qualcos'altro del genere, ma sano di mente. Questo è quello che hanno dichiarato, ma io so che sono pazzo, il dottore mi ha prescritto una cura assicurandomi che se seguirò scrupolosamente le prescrizioni allora tutto ciò che mi agita passerà, cosa non darei perché passasse. È un tormento troppo grande." E infine: "Tutto il giorno avevo lottato contro la mia angoscia e l'avevo vinta, ma nell'anima c'era una terribile sensazione come se mi fosse successa una qualche disgrazia e io potessi dimenticarla solo temporaneamente, ma era essa lì nel fondo dell'anima e mi dominava."

È una delle situazioni più semplici, forse anche banale che potevo fare ma comunque mi sembra significativa ed emblematica per caratterizzare come appunto anche dietro l'esperienza apparentemente così omogenea, così univoca si nasconda invece questo continuo conflitto fra l'essere e l'apparire, fra i comportamenti e i significati. Certo andare alla ricerca di significati dietro a pareti così rigide e così impermeabili non è facile, occorre come ha scritto S. Weil "educarsi all'intuizione", a questa diversa forma di conoscenza a volte più temibile, a volte più infinitamente captante e labirintica di quanto non sia la conscenza razionale.

Ma allora leggere alcune straordinarie poesie di George ???? , leggere quello che hanno scritto Hoffmanstall e Rilke, significa anche avvertire in forma straordinariamente concreta come alcune esperienze che noi definiamo psicotiche tout court, fanno parte anche della vita psicologica normale quando certo in noi esistano queste sonde, questi colpi di sonda, queste antenne rabdomantiche che ci consentono di far lievitare in noi strutture che essere solo segnate dal non-senso e dalla mancanza di significato. Cose queste in parte slegate, anche perché hanno sentieri interrotti nel senso che quel poco che possiamo dire quando abbiamo incontri come questo, del quale sono infinitamente grato a tutti, se si riesce a testimoniare qualcosa, è solo seguendo questi sentieri che si interrompono, questi flashback che magari poi lentamente o oscuramente riescono ad aprire brecce dentro la nostra indifferenza ed apatia.

Se noi leggiamo alcune pagine di Hoffmanstall, ad esempio "Andreas o i congiunti", uno dei romanzi più belli che mai siano stati scritti, di una intensità e fascino straordinario, se leggiamo anche "Le braci" di ?????, "I quaderni di Marte" di Rilke; ebbene troviamo strutture di significato che difficilmente potremmo distinguere da quelle che sono esperienze psicotiche che fanno parte di una vita schizofrenica, o di una vita segnata dalle depressioni che scarnificano, che mettono la disperazione nel cuore e che fanno vivere la morte come una speranza contro ogni speranza.

Allora testi letterari, che come ha scritto C. Jaspers, riescano a farci capire come gli enigmi della vita psicologica difficilmente possano essere nominati, colti, ritrascritti solo utilizzando la luce solare della ragione, ma che possono invece essere colti fino in fondo se riusciamo a fare questo trasloco; certo non è facile fare il richiamo estremo della spiegazione razionale e quello indefinito, oscuro balbettante che è il richiamo della comprensione soggetta certo ad ogni rischio di soggettivazione, di discrezione soggettiva, che invece la spiegazione, quella fisica, certo assume in sé placida, sicura di sé, estranea ad ogni ombra e ogni penombra.

Concluderei che anche A. Einstein in una sua lettera famosa abbia scritto come anche le grandi invenzioni, la teoria della relatività, mai sarebbe stata raggiunta e colta da lui se questo vento, che viene chissà da dove, dell'intuizione non gli avesse fatto bruciare tappe momenti, sequenze di quel lentissimo e inconcludente processo segnato dalla pura e semplice ragione.

Solo qualche immagine, dunque, a volte solo qualche frammento di riflessione, con questa ultima conclusione (ed è stato M. Heidegger a scriverlo) in alcuni testi poetici e letterari come ad esempio, secondo Heidegger (più grande filosofo con Husserl), "Le elegie di Duino", questo poema rabdomantico e oscuro di R. M. Rilke aveva colto in maniera inaudita le stesse altezze a cui Heidegger era giunto, dal punto di vista filosofico, con una lentezza e fatica immensamente superiori.

APPLAUSI!!!

(sbobinatura a cura dei "Lapsusblu")