Terapia delle psicosi e teatro:
Il percorso avviato a Padova
dal Dr. F. Della Pietra

a cura di
V. Mantovani & A. Cordioli



" Sono stanca di vivere, mi dispiace, ma faccio tanta fatica, la testa è imbottita. Pensieri, pensieri, pensieri, è come se fossi senza corpo, le gambe ed i piedi mi fanno male, sono gonfi, pesanti. Trascinarsi. Sono stanca di vivere a queste condizioni. Chi vorrebbe vivere murato vivo? Il troppo è troppo. Quante vite! Una reale, una che avrei voluto, una che vivo nel mio cervello, una che rifiuto. Vorrei confidenza, ma non do confidenza. Vorrei parlare, ma di cosa? Non so parlare, non so sentire, non conosco la lingua del cuore, sono un 'isola. Sono ancora viva, per modo di dire. Piango, ma se non soffro perché piango ? Ma se sono senza amore perché piango? Sono stanca, troppo stanca, tutto mi accusa, tutti mi accusano, ormai ogni parola è rivolta contro di me: ogni parola, ogni notizia, ogni discorso. Non credo più a me stessa, non so volare, non ho energie, mi vedo, mi disprezzo, non riesco a reagire, non riesco a cedere, a piegarmi, ho paura di tutto, troppa paura. Fermarmi. Io scappo, scappo in continuazione. Ogni giorno è come se fosse l'ultimo. Penso alla morte come ad una liberazione. Liberazione di che cosa? Troppi ricordi. Troppi. Troppo male. Troppo tutto. Troppo avanti. Prigioniera".

Floriana


Era il 1987 quando fu raccolta questa testimonianza.
E' in quel periodo che nasce e si concretizza, a Padova, il progetto di affiancare alla terapia della psicosi un'esperienza di teatro e di espressione corporea. Ideatore e fautore del progetto è il dottor F. Della Pietra, che già da tempo si era reso conto dell'opportunità di integrare il percorso psicoterapico con un'attività in grado di offrire al paziente uno spazio di attualizzazione del proprio vissuto. In tale momento egli avrebbe potuto cercare di esprimere, in una condizione protetta, quei sentimenti e quei pensieri affiorati grazie alla terapia. La decisione di avviare questo tipo di percorso integrato nasce dunque dall'acquisita consapevolezza dell'importanza che ha , per un paziente psicotico, il poter tornare in contatto con la realtà. La schermatura della finzione offre a tali persone l'opportunità ed il luogo per poter "sperimentare" una serie di accadimenti; tali gesti danno l'occasione di mobilitare possibilità comunicative gravemente sopite nella condizione di
non-esistenza psicotica. In un contesto di gioco parzialmente protetto, l'attività di teatro offre dunque una specie di verifica "sul campo" dei progressi avvenuti all'interno della relazione terapeutica.

Prendersi (Della Pietra, 1990) cura di un paziente psicotico, in una dimensione più globale, comporta l'assunzione di un atteggiamento di particolare duttilità da parte del terapeuta che in tale compito è chiamato a rispondere dei diversi bisogni del paziente emergenti nel corso del processo terapeutico. Il paziente psicotico in alcuni momenti di intensa sofferenza, quando vive con estrema lucidità la sensazione terrificante di sfacelo, necessita di sentire la persona che si prende cura di lui vicina e capace di metabolizzare i suoi vissuti angosciosi e di riproporglieli privi delle cariche distruttrici.
Benedetti (1979) ammette la possibilità che il terapeuta ha di stabilire un contatto con il mondo spettrale dello psicotico purché egli sia disposto a capirne le leggi ed accettarle, ponendosi sullo stesso piano dello psicotico. Non si tratta di "follia a due", spiega, ma del paradossale compito per il terapeuta di essere integro e folle ad un tempo e, usando una metafora, di scendere fin nel pozzo della follia per incontrare il malato, mantenendo però salda una "sicura" sul bordo del pozzo per risalire con lui.
Lungo il tortuoso ed incerto percorso di risalita, per restare nell'ambito della metafora, interviene nell'esperienza clinica cui si accennerà, proprio il teatro, elemento solitamente estraneo a tali vicende, che si avvale di un universo fatto di finzione, rappresentazione e spazio scenico e che qui funge da alleato funzionando come una sorta di contenitore per lo psicotico in cui tutto è concesso perché
tutto è sospeso tra la fantasia e la realtà. Esso diventa così teatro della crescita, del cambiamento, della "personazione", dove l'evento vissuto realmente assume più rilevanza drammatica dell'evento rappresentato.


E' interessante notare che persona (lat.), derivato dall'etrusco phersu, significa, prima di tutto, maschera di teatro, secondariamente personaggio; phersu corris
ponde al greco ðñüóùðïõ (volto) da cui deriva ðñïóùðåúïõ (maschera). La maschera e legata alla persona come l'ombra al corpo.(artaud)
L'individuo, come l'attore, cerca di offrire allo sguardo una immagine, cerca di materializzarsi in quanto personaggio attraverso la cristallizzazione di una "vocazione" nel comportamento.
La nozione di persona rimanda sempre alla nozione di individuo (indivisibile) e di globalità.
Questo essere totale si protegge dietro, o si esprime attraverso diverse maschere. Ma ne esiste tuttavia una che è privilegiata e che specifica maggiormente l'identità propria della persona: la sua personalità. La dualità volto/maschera, corpo / costume, essenza / apparenza, persona/personaggio si cancella man mano che l'individuo prende coscienza e possesso del suo territorio corporeo; della sua immagine specifica e globale.
Nella crisi psicotica le diverse maschere, i diversi personaggi della persona perdono contatto tra di loro, sono scissi gli uni dagli altri; l'essere perde, in tal caso, la propria unità, il proprio senso specifico e globale, e si smarrisce nel mondo della pluralità. Lo psicotico diventa una persona-gruppo, un gruppo dove regna una parziale reciproca visibilità tra personaggi che si ignorano; il dialogo tra di loro è interrotto. L' Io si frammenta, si disintegra.
L'individuo rischia di perdere la sua immagine e cerca continuamente di recuperarla, ma non può fare ciò da solo. Merleau-Ponty dice " l'uomo può conoscersi solo uscendo da se stesso, cioè proiettandosi fuori di se, per riscoprirsi. Ma per vedersi l'uomo ha bisogno di mediatori, i quali agiscono come specchi dove egli cerca di ritrovarsi." Come dice Resnik, nell'analisi il mediatore, lo specchio, è personificato dall'analista. Il paziente si vede in lui e attraverso lui.
Dunque (Della Pietra, 1982), un approccio di tipo psicoterapico con pazienti psicotici e schizofrenici richiede prima di tutto una effettiva presa di contatto tra il terapeuta ed il paziente. Per effettiva presa di contatto si intende quella vicinanza emotiva che si stabilisce, spesso in maniera immediata, tra i due prima ancora che si realizzi un vero e proprio attaccamento; essa è legata in gran parte alla capacità empatica del terapeuta di comprendere fino in fondo la drammatica sofferenza dello psicotico.
Pao (1979) afferma che il paziente psicotico schizofrenico erige ogni tipo di difesa per evitare qualsiasi coinvolgimento.
Ciò è vero, ma è pur vero tuttavia, come hanno avuto modo di sperimentare sia Pao sia tutti quelli che hanno intrapreso un simile percorso, che lo stesso psicotico in condizioni che lui “sente” di sicurezza, e sappiamo di quanta e di quale profonda sensibilità sia esso dotato, non esiti ad immergersi in un rapporto terapeutico. E' necessario pertanto che il terapeuta sappia adoperarsi fin dall'inizio per offrire la massima garanzia ad un soggetto che non può più rischiare e per il quale un ulteriore fallimento assumerebbe significato di catastrofe irreparabile. "Uno dei primi compiti della psicoterapia (Pao, 1979) è quello di fargli superare la sua paura all'attaccamento".
Quando questo avviene si realizza un rapporto profondo e complesso, in cui il terapeuta assumerà funzione vitale per lo psicotico e rappresenterà per esso l'unica vera possibilità di salvezza.
In questa fase, non certo breve, di entrata in contatto e di sviluppo e consolidamento di un attaccamento, il paziente comincia a provare un graduale sollievo dallo stato di terrore o di annichilimento in cui versa, sperimentando un iniziale ed incerto ristabilirsi del senso di coesione del sé. Solo successivamente lo sforzo terapeutico deve essere concentrato nel tentativo di modificare quelle che Pao indica come "le opinioni distorte che il paziente ha su di sé e sul suo mondo oggettuale", quelle opinioni che hanno portato lo psicotico ad erigere una barriera tra sé ed il mondo esterno.

Nel tentativo, in questa fase, di favorire nello psicotico un'apertura verso il mondo oggettuale, compito definito da Pao tremendo e gravoso, si è pensato di offrirgli, nell'esperienza di animazione teatrale, una possibilità in più.
E' questa una possibilità costituita dal creare un momento e uno spazio diversi da quelli ambulatoriali ed istituzionali e realizzata attraverso la formazione di un gruppo impegnato in un lavoro (che nello stesso tempo è un gioco) che permette ai pazienti partecipanti di lasciare emergere, in un clima rassicurante di accettazione, fantasie anche molto primitive, valenze aggressive e distruttrici, parti di sé inaccettate, precedentemente scisse, proiettate e quindi negate, emozioni e affetti gravemente sopiti nella non-esistenza psicotica. Una vera e propria palestra dove, paradossalmente attraverso il gioco e la finzione, è possibile sperimentare il senso del reale, del corpo e quindi di quel sé che va via via formandosi e che è condizione indispensabile per entrare in rapporto con il mondo esterno.
L'attività di animazione teatrale così congegnata è sorta nell'aprile '87 e si è articolata attraverso un ciclo di incontri settimanali per la durata di due mesi. L'iniziativa è stata poi ripresa nell'autunno dello stesso anno per continuare fino a giugno '88. Un'attività molto simile continua tutt'oggi grazie allo sforzo del Dr. Della Pietra , di alcuni strutturati del II SPDC di Padova e degli studenti volontari della Facoltà di Psicologia.
L'esperienza clinica riguarda un gruppo di giovani pazienti psicotici che, in una particolare fase del trattamento psicoterapico individuale ambulatoriale, sono stati invitati dal loro terapeuta, a partecipare, insieme ad alcuni operatori dell'equipe territoriale, a dei corsi di animazione teatrale condotti da una coppia di professionisti. Sia gli operatori che i pazienti vi hanno partecipato come "allievi" e con adesione spontanea. Parallelamente al procedere delle attività venivano stabiliti degli incontri periodici degli operatori e conduttori con i terapeuti, che ovviamente non partecipavano agli incontri di animazione. Tali incontri erano delle vere e proprie occasioni di confronto, verifica e discussione sul lavoro svolto e su eventuali difficoltà sorte con i pazienti psicotici. Nell'89, anno successivo, è stato approntato un nuovo lavoro più elaborato ed impegnativo in cui i pazienti sono stati chiamati a collaborare nella stesura dei testi, oltre che nella preparazione scenica, e la rappresentazione finale è stata offerta, questa volta in un teatro vero, ad un pubblico di bambini. Il lavoro, imperniato sulla messa in scena di una fiaba, comprendeva sia parti recitate con la tecnica delle ombre cinesi, tecnica utilizzata quasi esclusivamente nella prima rappresentazione, sia parti in cui l'attore veniva a trovarsi a diretto contatto con il pubblico. Il raggiungimento dell'obiettivo, realizzato con la rappresentazione pubblica del lavoro preparato durante gli incontri settimanali, testimonia della crescita, non solo teatrale, dei singoli pazienti partecipanti.
Durante la preparazione del lavoro, negli incontri di animazione e di recitazione, ognuno dei pazienti poteva sperimentare diverse manifestazioni espressive anche cariche di emozioni e di affetti mantenendo la sicurezza della non realtà di ciò che si andava facendo. Freud (1978) precisa, in riferimento alla tragedia, che molte cose che sul piano della realtà sarebbero sgradevoli, in quello della fantasia risultano invece accettabili, anche piacevoli, pur restando nella loro essenza penose.
"Nel teatro, come per il gioco e l'area transizionale di Winnicott, si manipolano elementi della realtà per metterli al servizio della fantasia. Il teatro pertanto viene a costituirsi come zona intermedia tra immaginario e realtà. E in questo ambito intermedio tra vero e fantastico, tra spontaneità e controllo che l'attore si pone e vive le sensazioni. Lo spettacolo mette in gioco una finzione, ma è anche un fatto concreto." (Colombo, 1988).

A differenza di altre iniziative di cui è ricca la letteratura psichiatrica in tema di riabilitazione di pazienti psicotici, l'esperienza citata si distingue per essere stata realizzata, sì, dall'istituzione, in quanto da essa ideata, programmata e seguita, ma a livello pratico in forma estranea ad essa. Infatti il luogo dove i pazienti si sono ritrovati e si ritrovano settimanalmente è costituito dalla sede dell'associazione teatrale e i conduttori del corso sono operatori specifici del campo dell'animazione e delle arti espressive e comunicative e non si prestano pertanto ad evidenti riferimenti con le istituzioni psichiatriche. I pazienti inoltre vi partecipano spontaneamente. Tali condizioni, (Della Pietra, 1982), sono importanti e stabiliscono la singolarità di questo lavoro: infatti, se da una parte inizialmente hanno procurato delle grosse difficoltà in quanto i pazienti invitati a partecipare hanno dovuto superare notevoli resistenze (ed è un eufemismo tale definizione, in termini più realistici si è trattato di veri e propri sentimenti di panico), d'altra parte hanno permesso loro di vivere la sensazione di partecipare ad un'attività che almeno apparentemente potesse rientrare nella sfera della "normalità".
Apparentemente perché in loro comunque sin dall'inizio è stata netta la consapevolezza e pertanto la sicurezza di venirsi a trovare in un contesto familiare e protetto. Ma era proprio questa opportuna, tacita ambiguità che offriva loro la possibilità di fingere e quindi di provare la normalità e di scoprire che non era poi così irraggiungibile e così temibile. Una sorta di prova e finzione della realtà (qui intesa come normalità) attraverso la prova e la finzione della recita. Uno psicotico che si sottopone a tutto questo, che tradotto in termini di impegno emotivo equivale ad un carico enorme, è uno psicotico, di fondo, desideroso di crescere, di costituire un sé funzionante e quindi idoneo all'apertura verso un mondo oggettuale. Con ciò è possibile mostrare come nello psicotico, anche nel più disturbato, esista sempre una parte disponibile al cambiamento che, se adeguatamente sostenuta e stimolata, può condurre il paziente ad acquisire la forza ed i mezzi necessari per ritornare a vivere.
Benedetti (1979) spiega l'atteggiamento di comprensione della malattia mentale come un modo di sentire la psicosi che va molto al di là della comprensione concettuale. Perché la psicosi, afferma, la si può comprendere solo nella misura in cui la si condivide e tutto il lavoro di conoscenza produce la crescita di una nuova dimensione della personalità.
Concepisce il rapporto terapeutico come la struttura fondativa e portante dell'intero processo di strutturazione nel paziente psicotico. La specificità di tale rapporto, aggiunge, si individua soprattutto nella dualizzazione del vissuto psicotico: dualizzazione da intendersi come possibilità di condividere sia esperienze di morte sia esperienze di vita.
Così (Della Pietra, 1990), quando nel corso del trattamento, nello psicotico cominciano ad affiorare desideri emancipativi è possibile adottare interventi terapeutici atti a favorirne ed a sostenerne l'espressione.
Una presa in cura di un paziente psicotico si distingue non solo per l'importanza vitale degli obiettivi perseguiti e per l'intensità e la qualità delle valenze affettive ed emotive in gioco, ma anche per l'atteggiamento comprensivo (nel senso di prendere dentro) del terapeuta che perciò si avvale di un setting più vario, libero da rigidità e schematismi e mutevole nel tempo e, infine, si distingue per l'allargamento dell'area di intervento a disposizione del terapeuta con diversità dei mezzi di cui gli è concesso servirsi.
Riflettendo sul fatto che questi soggetti hanno bisogno di sperimentare gli affetti, la socializzazione i contatti con gli altri, si è voluto agevolare la loro evoluzione, già avviata nel rapporto psicoterapico, attraverso percorsi paralleli ed integrativi.
L'esperienza qui ricordata è solo un esempio di come si possa offrire al paziente la possibilità di muoversi e dare forma al proprio mondo interno, anche attraverso fattori strutturanti supplementari, come quello del teatro e dell'espressione corporea.
E' da considerarsi, pertanto, illuminata l'iniziativa del Dr. Della Pietra , nel lontano 1987, di attivare tale percorso integrativo alla psicoterapia; percorso che ha dato, nel tempo i suoi frutti.
Tali spazi rappresentativi diventano infatti luogo della sperimentazione e si offrono come contenitore per una graduale formazione del senso del corpo che prelude alla crescita di un sé: dal corpo alle sensazioni e quindi le emozioni ed i sentimenti, dalle presentazioni alle rappresentazioni.
Lo spazio scenico, da spazio vitale è divenuto luogo della finzione del gioco dove sé e non sé coesistono, luogo della personificazione e riparazione.


" Oggi sono andata ad espressione corporea […]
E' bello sentirsi, in armonia, le braccia, le gambe, la testa, le mani, i piedi, gli occhi, il naso, la bocca, le orecchie. Sono contenta di andare è un modo per stare insieme, per esprimersi, è qualcosa di nuovo, ed a me piacerebbe continuare anche dopo.
E' come se cominciassi una nuova vita. Spero tanto che continui, che non sia solo un momento, che queste emozioni, queste sensazioni, questi sentimenti prendano vita, escano, prendano forma.
Mi inserirò. Prenderò coscienza delle cose. Un passetto alla volta.
Vedo tanto spazio davanti a me, è tutto aperto. "

Floriana







Bibliografia


Benedetti G. et al., " Paziente ed analista nella terapia delle psicosi"
Ed. Feltrinelli , Milano, 1979

Colombo G., Brevi E.,” Psichiatria e Teatro
Quaderni Italiani di Psichiatria, VII, 1, 1988

Della Pietra F., "Percorsi integrati nella terapia delle psicosi",
Estratto dagli atti del convegno " Schizofrenia: labirinti e tracce.", 1990

Della Pietra F., Campani A., " Quando la Finzione modifica la realtà…psicotica"
Estratto dagli atti del convegno nazionale Nuovi Percorsi dell'assistenza
Psichiatrica, 1988

Della Pietra F., Colombo G., Bertin I., " Dal rito alla tragedia"
Ed. Biblioteca Patron di Psicologia, Bologna, 1982

Freud S.,”Il poeta e la fantasia
Opere, Ed. Boringhieri, Torino, 1978

Gaddini R. , " Patologia psicosomatica come difetto maturativo"
Rivista di psicoanalisi, 1981

Pao P.N., " Disturbi schizofrenici"
Trad. it. Raffaello Cortina, Milano, Ed. or. 1979

Resnik S., " Persona e Psicosi "
Trad. it. Einaudi, Torino, Ed. or. 1972

Winnicott D.W., " Gioco e realtà"
Trad. it. Armndo, Roma, Ed. or. 1971

Zapparoli G.C., " La psicosi e il segreto"
Ed. Boringhieri, 1987