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Lorenzo
nasce a Firenze il 27 maggio 1923 in una famiglia dell'alta borghesia colta,
a venti anni il giovane Lorenzo Milani incontra Cristo, ed è colpo
di fulmine.
Diventa cattolico e entra in seminario, dove
ha compagni illustri, da mons. Bartoletti a don Rossi, a don Nesi. Ordinato
sacerdote nel 1947, è cappellano a San Donato di Calenzano, dove
fonda una scuola serale che gli provocherà l'ostilità dei
benpensanti, nel 1954 e lo farà trasferire alla minuscola Barbiana,
dove la scuola diventa a tempo pieno con al centro l'educazione linguistica;
egli stesso conosce 5 lingue e sa affascina re i suoi pochi, poveri alunni.
Una volta a Barbiana, fra i primi atti, egli si comprerà la tomba.
La Firenze di quegli anni, dal punto di vista politico e ecclesiastico
è stimolante, rispetto alla media nazionale; ma per don Milani,
è giunto il momento di rompere i legami fra potere costituito e
Chiesa, per fare scelte a favore dei poveri. La scuola è lo strumento. "Esperienze
pastorali" (1958) raccoglie dati, riflessioni, proposte scaturite dai suoi
7 anni a San Donato, ed esce con l'imprimatur ("irrituale") della Curia
e con una lunga prefazione di mons. D'Avack. lì libro ottiene contrastanti
giudizi. Apprezzato negli ambienti progressisti anche cattolici, la destra
lo bolla come opera classista e il Sant’Officio - sotto il papato di Giovanni
XXIII - ne dispone il ritiro, vietandone ristampe e traduzioni (divieto
tuttora in vigore). Milani proclama la sua obbedienza alla Chiesa, però
è ormai convinto che la scelta dei poveri sia la scelta di Cristo
e vorrebbe che la Chiesa lo approvasse e ne desse un segno concreto, con
l'affidamento ad una grande parrocchia o al seminario. Le autorità
giudicano il carattere di Milani difficile ed aspro e come possono lo isolano. La
Firenze cattolica si prepara al Concilio con riunioni e referendum, Milani
con il suo amico Borghi solleva la questione (1964) di come il vescovo
possa disporre a suo piacimento del seminario e dei suoi rettori. L'arcivescovo
FIorit non gradisce e l'isolamento di Milani aumenta. Intanto la salute
del prete ha crisi sempre più frequenti.L'episodio dei cappellani
militari che giudicano l'obiezione di coscienza una viltà, fa intervenire Milani,
che manda
ai giornali (1965) una vibrata risposta, che verrà pubblicata solo
da "Rinascita" e che gli costerà un processo per apologia di reato,
che lo costringerà a scrivere - impossibilitato a partecipare all'udienza
- una sentita "Lettera ai giudici" nella quale ripercorre la storia d'Italia
alla ricerca del vero senso dell'obbedienza e della coscienza. Il
tema dell'obiezione di coscienza, oggi risolto, allora divideva sia ambienti
politici sia ecclesiali: ci vuoi poco perché don Milani venga chiamato
il prete rosso". Che con i suoi ragazzi, freneticamente lavora alla più
famosa "Lettera a una professoressa", pubblicata sei settimane prima della
sua morte, testamento spirituale di un
"profeta disarmato". Assolto con formula piena, il 26giugno 1967 muore
in casa della madre. In appello sarà poi condannato. Temperamento
non facile, orgoglioso, comunque consapevole delle sue capacità,
dichiarava obbedienza ad ogni costo alla Chiesa: "Noi la Chiesa non la
lasceremo perché non possiamo vivere senza i suoi Sacramenti e senza
il suo Insegnamento". Ma d'altra parte riteneva anche che spesso bisognava
mettere l'autorità ecclesiastica di fronte al fatto compiuto: "L'esperienza
insegna, quando la cosa l'è bella e fatta, il vescovo è molto
più largo che quando gli si chiede prima...". Ciò non è
solo furbizia, ma soprattutto responsabilità: ciascuno ha la grazia
del suo stato: il sindaco per fare il sindaco, il papa per fare il papa,
e il parroco per fare il parroco. |
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