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una fine così





Si sentiva invecchiato. Non era solo per una questione d' età, ma un esaurimento dovuto a tutte le tensioni accumulate in quegli ultimi anni, chessò, la malattia, il riposo mortale della solitudine, gli affari che di mese in mese erano scesi alla quota del non ritorno, l'autorepressione, la depressione, la stitichezza, chi più ne ha più ne metta. Il suo sguardo s' era incavato, gli occhi affossati ed invisibili erano utilizzati solamente per scrutare con troppa attenzione il poco e vuoto che lo circondavano. Gli orecchi disincantati dai suoni troppo acuti, lo fuorviavano con una certa abilità verso un mondo interno cavo, silenzioso, sommamente isolato, una specie di fenditura nascosta.
Nel nulla, ci si stanca: quando ci si trova soli non resta che annoiarsi di sé stessi, non vi pare?
Ora, tuttavia, avrebbe gradito di non essere stato così sfuocato verso la vita. Perché aveva trovato così inutile e dispendioso credere nella felicità? In fondo gli erano capitati dei momenti di vero piacere, lunghi fino alla stanchezza, ma era stato un piacere egoista, solitario, incondiviso, un piacere tanto simile alla masturbazione solitaria, l'esplosione nello spazio del liquido che si arriccia e che cade disegnando trine morbide e bagnate sulla pelle, getto caldo che salta e rotola dalla pelle sulle lenzuola e poi svapora lasciando che il suo profumo ti svegli di buonumore al mattino. Sempre a volersi distinguere in uno solo, uno soltanto, come se non fosse mai stato cosciente degli altri.
Finchè non aveva raggiunto la sera, la sera che imponeva la sua copertura di piombo come una mano che ti sfiora per strangolarti meglio in seguito.
Il timore delle carezze tra pelli stanche, le ossa che schiudono cosce pendenti, i muscoli slabbrati, le mucose pallide, una macedonia di frutta stanca, marcita. Alcuni tentativi inutili erano abortiti in uno sfogliare di rancori a dispetto del desiderio. Rancori rivolti verso sé stesso che gli impedivano di lasciarsi andare.
Posò la testa sul cuscino di paglia della cuccia di plastica per non odiare oltre il suo alitarsi addosso, per non ricordare un altro alito profumato che un' altra bocca emetteva nel ritmo dei sospiri affannosi e si rinchiuse nel minimo necessario di disperazione per non emettere un ridicolo ruggito da falso leone in una gabbia di visioni impossibili. Tossì debolmente un catarro smussato e schifoso: lo stava riempiendo, ormai, ed il sudore di ghiaccio intollerante ed insopportabile non cessava di scuoterlo in brividi sempre più lunghi.
Perché nessun vero amore aveva dunque smaltato la sua vita insipida? Forse era stato un predestinato, certificato fin dalla nascita per rimanere solo, un parassita isolato, ma ora non si sentiva affatto originale. Cadeva stancamente in una luccicante marea di frasi scomposte, di liste scorbutiche, violente ma senza più sangue, frottole e antefatti non più sperimentabili, tra poesie e vomiti di Campana, tra visi di morti viventi e morìe di navi e treni ed invero si sentiva un innesto andato male, innestato vivo ad un ramo secco e che sa di esserne strappato senza avere germogliato. Aveva la testa piena di memorie che cadevano in strati e che si sfogliavano una sull'altra come pagine scollate d'un libro vecchio e nemmeno mai aperto.
Perchè mai non aveva sputato fuori tutto quello che aveva dentro, quel che avrebbe potuto dirsi, quello che avrebbe potuto dire loro, dire a lei quel che non le aveva detto mai.
Quella sera, la malattia tentava di distrarlo dai suoi pensieri col trucco del respiro difficile: gli pareva che l'aria superasse appena il confine delle labbra mentre le sue parole si fermavano là dentro quel confine e lasciavano che fossero gli occhi a farfugliare sordidi ricordi gementi. Non aveva dunque avuto il diritto di meritarsi la felicità? Gli sarebbe stato necessaria una tacca ogni giorno per poterla esigere, si sentì rispondere da lui stesso.
Sentì una presenza che si avvicinava e si diffondeva intorno a lui. Avrebbe onorato l'ospite con tutta la sua persona e tutte le sue memorie comprese, in cambio d'una piccola pressione, una morte truccata d'insignificanza. In fondo era la sua morte, quella che aspettava lui soltanto, insignificante com'era stata la sua vita, un momento lungo quasi un secolo, niente di più, niente di meno, niente di rilevante, niente di che.
Grazie.

L'una per l'altro
Io t'ho aspettato
Tutt'al più lontano
Dalla vita
Compresso nei timori
Il freddo m'assaggiava
Il sangue scorreva
Di dubbi e di sfortuna
Difficoltà vestite d'incertezza
Stare vicini
Era un insensatezza
Fu meglio perdersi
Per ritrovarsi meglio
L'una per l'altro, mai.






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