________________________________________________________________________________________________________________

 

       Sorcio e l’eremita

 

 

ilgrandesonno

 

 

 

 

Sorcio viveva da vent’anni in quella vecchia casa, a Vallebuia. Ne conosceva tutti gli anfratti e tutti i camminamenti. Poteva girarla ad occhi chiusi in orizzontale ed in verticale, dal soffitto ai pavimenti, per le scale e su per i camini. Non c’era mobile e relativo contenuto, che avesse segreti, per lui:abiti, maglioni, borse, calze, libri, giornali, televisioni, stereo, altoparlanti, scarpe. Aveva assaggiato un po’ di tutto. Preferiva la cucina tradizionale, formaggio, frutta e pane ma non disdegnava qualche volta, i cibi esotici, unti e oleosi e pieni di fibra. Lui era un assertore convinto che i pasti dovessero essere variati, e non avariati.
Topo di campagna e signore di campagna. Aveva messo al mondo uno smisurato numero di figli, ma sempre aveva detto loro di trovarsi una casa propria, una volta raggiunta l’età per metter su famiglia. Ognuno doveva avere le proprie comodità e la propria privacy. Senza dare troppo nell’occhio. Perché l’altro abitante della casa, il socio a metà, quello lungo e dinoccolato, aveva accettato di buon grado la sua presenza.

Una volta, si erano trovati l’uno di fronte all’altro, in cucina. Sorcio era giovane ed inesperto allora.
Si era fermato appena si era accesa la luce, sul pavimento in cotto, proprio in mezzo alla stanza. Il socio lo aveva guardato perplesso, dall’alto del suo metro e ottanta. Nel vederlo così piccolo e umile gli aveva ispirato una strana tenerezza. Ci mancò poco che lo carezzasse sulla testa grigia. Sorcio aveva sentito quell’ondata di affetto, ma appena ripresosi dalla sorpresa, si era fiondato sotto il frigorifero, a riprendere un po’ il fiato.

Quello non fu l’unico incontro, ma Sorcio non fu mai invadente e "Un metro e ottanta" non lo disturbava mai.
Unmetroeottanta viveva da vent’anni in quella vecchia casa di campagna. In tutto quel tempo aveva accumulato una quantità incredibile di ciarpame. Non c’era angolo della casa in cui non fosse appoggiato qualche cosa. Gli armadi erano pieni, il ripostiglio pure. Qua e là, un po’ da tutte le parti, libri. Uno sopra l’altro, perigliose torri di Pisa sempre in procinto di crollare. Per aprire le finestre doveva prima togliere i libri dal davanzale. Per mettersi a mangiare, prima doveva ricavarsi uno spazio sul tavolo. La libreria era stracolma ed era impossibile cercarvi un libro. Tutta colpa di quel maledetto di suo cognato. Negli anni '70, come secondo lavoro, si era messo a vendere enciclopedie e l'aveva sempre per casa a piangere miseria. Ora suo cognato viveva in una villa lussuosa e lui in compenso aveva una libreria stracolma di volumi che mai, o quasi, aveva aperto. Aveva immaginato che se fosse riuscito a togliere di giro quella tonnellata di storia ed enciclopedie, avrebbe rimediato un bel po' di spazio. Ma come farlo era un problema.
Un giorno che era particolarmente alle strette nella mente gli era balenato un ricordo.
Gli alianti. Gli alianti nell'hangar. Per non occupare lo spazio in terra, venivano appesi in aria. Aveva trovato la soluzione: avrebbe appeso la cultura alle travi di castagno che attraversavano e sorreggevano il soffitto.

Aveva acquistato un pannello di multistrato di due metri per due metri, lo aveva fatto a fette e ne aveva ricavato quattro ripiani quadrati di un metro di lato. In un cantiere navale  si era provvisto di bulloni provvisti di anello mobile in testa con relativi dadi , di una trentina di metri di cima arancione e di quattro bozzelli. Aveva avvitato i bulloni con gli anelli ai quattro angoli dei ripiani. Agli anelli aveva annodato un metro di cima ciascuno e li aveva legati insieme. Poi aveva fissato i bozzelli ai travi del soffitto. Per ultimo aveva passato la cima sopra i bozzelli e l’aveva legata saldamente con le quattro cime fissate agli anelli dei bulloni.
La Storia del Mondo Antico si era giustamente sistemata al primo ripiano. Al secondo la Storia del Medioevo. Al terzo al Storia del Mondo Moderno. Al quarto la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico e la Storia della Letteratura Italiana. Aveva tirato su uno alla volta i ripiani e ne aveva fissato il capo delle cime annodandolo ai doppiganci piantati nelle pareti. Carichi sospesi. Cultura sospesa. Faceva anche un certo effetto scenico quell’immanenza culturale nello spazio e la
libreria aveva di nuovo scaffali da riempire. Contento di sé stesso si era stropicciato le mani e si era accinto alle rifiniture, tra le quali ci stava pure una bella mano di cera per mobili ai travi.

Sorcio aveva trovato molto piacevole quella novità. Era divertente saltare dai travi ai ripiani e da ripiano a ripiano. O scivolare lungo le funi, aggrapparsi ad esse e risalire. Unmetroeottanta aveva fatto proprio un bel lavoro. C'era anche da mangiare, lassù. Carta e fibra unta. La cera era colata lungo una cima e l'aveva permeata proprio vicino al bozzello.

Era l'ora di cena, per Sorcio. Unmetroeottanta stava in poltrona, là in basso e leggeva, come sempre. Sorcio aveva orinato sulla cima imbevuta di cera, così per ammorbidirla un po’, poi golosamente l’aveva attaccata coi suoi piccoli e taglienti denti. Mangiava con gusto quell'esotica fibra, filo dopo filo, millimetro dopo millimetro. L'ultimo morsetto aveva tranciato di netto la cima saporita e la Storia del Pensiero Filosofico e Scientifico insieme alla Storia della Letteratura Italiana, una trentina di chilogrammi di Sapere, si erano abbattute con gran fracasso misto a dolore sul cranio di Unmetroeottanta.

L'eremita di Vallebuia non parla, non legge, non scrive. Vive sotto un antico arco medioevale. Guarda sempre il vertice dell'arco, come se avesse paura che gli cadesse in testa. Se vi venisse in mente di avvicinarlo, state attenti a non avere un libro con voi. Pare che diventi mordace.