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     Sognolandia

 

 

ilgrandesonno

 

 

 

 

     

 

                                                                                                                                                                                           

 

Era un giorno come tanti, nella Valle di Sognolandia.

Per anni ed anni il cielo, sotto il sole smagliante, si era sempre più ornato di un caleidoscopio di deltapalani, aquiloni e di palloni multicolori. Volare nella Valle era il più sublime dei sogni, ed anche il più abusato. Era quella un' epopea di Fiere del Volo di suprema qualità, di artistiche policromìe, di fantastiche acrobazie, montagne di sogni tripartiti tra nuvole che volavano controcorrente ed in solitario, si riposavano adagiandosi sui crinali dei monti che circondavano

la valle e là si trasformavano in ruscelli argentini e poi in fiumi eloquenti ed impetuosi; tutte cose eccelse ed atte sommamente ad occultare le macchinazioni della vita codarda, dell'ignavia e della solitudine.

Quel giorno, l'azzurro era immacolato come l'occhio di un neonato, sapete tutti

del suo incanto.

Il Fiume dei Colori, che era sempre solcato dalle polene esotiche di mille imbarcazioni invelate a caccia delle refole di vento e delle nuvole chiare, quel giorno il fiume era verdazzurro ed i pescatori di onde scrutavano l'estuario dritto innanzi alle loro prore, in cerca dell'approdo.

Erano accorsi tutti nella Città dei Poeti, le cui guglie grattavano le nuvole  e formicolavano come se fossero vive.

L'attesa incombeva sulla Città come una cappa immobile, essudante  corpi e confondendo menti e nessuno, ma proprio nessuno, dall'infante al morente, voleva mancare all'accadimento. Le farfalle, trascurate, stavano fuori delle porte  in attesa di essere sognate.

Non era nuova la Città dei Poeti a certe attese che avrebbero sollevato il mondo. Era la curiosità tentatrice di vedere il Sogno rinnovarsi: anche Icaro desiderò vedere le stelle due volte. I personaggi di rango erano tutti presenti: la Regina Frustrazione detta "La triste", la Principessa Malinconia, dallo sguardo sempre perso sui rami spogli del Viale dei Tramonti Rossi, Re Solitario, " l'Ombroso ", silente disertore della parola, ma intendente di sensi nonchè di golosità di decomposte sapienze. Tutti, ma proprio tutti aspettavano il Sogno, solo la cui bellezza lo rendeva tale, quello che una volta era chiamato musa, altre ispirazione, adesso Sogno, a volte di eccellenza, altre di illusorie e fugaci apparizioni o di furbizia volpina o di

sontuose menzogne vestite pur sempre di damaschi broccati. Ed era talmente rara la sua venuta, che un certo reverenziale timore serpeggiava, davanti ad un avvenimento di quella portata. Un mondo di sussurri e grida, di ovazioni appena mormorate e scivolose, di sommesse affermazioni, che tutte insieme diventavano frastuono assordante. Anche le nuvole, come pigri

tartarughe, s'erano fermate.

Come sarebbe stato il nuovo Sogno? Quali le sue nuove vesti?

Quali novità e verità avrebbe svelato per i posteri?

Da che parte sarebbe spuntato a cavallo del suo destriero ingualdrappato di stemmi con sfingi rampanti? Dalla Notte di Virgolandia, là ad ovest delle Montagne Nere o dall'Oriente dell'Alba rosata ed impreziosita dalle piume dei cirri d'alta quota?

Orecchi ed occhi allenati da sempre e, studiati appunto perchè cogliessero i primi vagiti del Sogno attendevano vergini, bisbigliando poemi allo sterminato e frantumato popolo di sognatori.

Anche La Donna Variabile, altera o zuccherosa, inquieta od esuberante, innescata di scintille o spenta come una lucciola scarica, pestifera, capricciosa, soffice come gommapiuma od appassita come una rosa mutilata, con la bocca di rosa un po' imbronciata, attendeva trattenendo il respiro. Perchè lei, vedete, ha il cuore infranto.

Una volta di più, ha dissipato nel nulla i sogni suoi.

«Stavo arrivando alle Stelle..», si diceva sconsolata.

L'uomo della sua fantasia, una volta ancora, era scomparso nelle nebbie del Nord, o forse era stato un ciclone, od un vortice-gorgo, o forse era una cosa fatta da se stessa, o forse era la sua fantasia che l'aveva abbandonata, non lo sapeva bene, non lo sapeva più: forse non l'aveva mai saputo. Forse l'aveva conosciuto o forse no, forse era scomparso in un orifizio temporale, forse era stata un'allucinazione, forse un sogno di seconda categoria, uno di quelli ad occhi

aperti. La Donna Variabile da sempre l'aveva atteso, da sempre l'attendeva, da sempre lo cercava; si aggirava per le suburre, i chiassetti, i vicoli, i bordelli ed i lupanari, luoghi preferiti dai sogni degli uomini, forse di poca fede. S' annotava le scritte sui muri, come una spia coglieva con le prensili orecchie una sillaba e la giustapponeva ad altra sillaba, tratteneva tra i polpastrelli delicati un sospiro, un gesto di veloce infingimento; nel suo occhio senza fondo catalogava la mano tesa in un gesto di maschera, od un sorriso artatamente duplice  che s'affermasse negando. 

 

  

trascolorare di gesti tra umano e nient’affatto umano o quasi, e fluttuava, come

 

deve fare appunto una Donna Variabile, quindi fluttuante, ai margini di una

 

certa follia poetico-degenerante, adorante regole di solidità mai imposte,

 

precaria della veritiera realtà suburbana, sognante le arcane supreme sfere: il

 

Romanticismo.

E' scesa la notte, sulla Valle di Sognolandia.

Nessun Sogno è apparso da nessun orizzonte visibile od invisibile. La Città dei

 

Poeti si è svuotata. Uomini e donne, nomadi e stanziali, si sono ritirati nella

 

propria mera esistenza. Sotto un cielo basso ed involabile, le barche galleggiano

 

muffose nell'acqua torbida e stagnante; dissoltisi gli spazi sontuosi tra i finti

 

palazzi e le falsamente luminose  facciate d'aria, i balconi ormai sono

 

pericolosamente in bilico sul Vero attrezzato a strapiombo. I viali della Città si

 

trasmutano in un labirinto di indistinte voci, in angiporti di errabonde vocali, in

 

slarghi di lacunose interiezioni, in passerelle di segrete affermazioni sull'essere.

La Donna Variabile, lei non sogna da sola. Lei interroga mercanti, briganti,

 

danzatrici del ventre, inesperti nocchieri, mercenari al soldo di sintetiche

 

luminosità. Lei non sa più come si fa a sognare, quindi si appende ai sogni altrui,

 

clandestina e pedinatrice, per sottrarli e farseli propri ma, se sono appena un po'

 

enigmatici equivoca, elabora ed ammicca, smette di fluttuare e cade per la terra

 

sollevando nuvolette di minuziosa polvere di Luna Nuova che ricadendo si

 

posano su di lei come un velo d'ombra, spegnendone lo scintillìo, occultandone il

 

corpo dormiente nell'opacità senza riflessi di una statua grigia e pallida nella

 

notte, in una fontana asciutta e silenziosa, in un'illusione, insomma. «Dove sono

 

finite le Stelle?», si domanda fissando le sue muse, sopravvissuta alle sue

 

illusioni, come un oleandro senza un fiore.

E dunque vedi, fino a che punto sia necessario il Sogno, i suoi rumori di fondo, il

 

fruscio infinito della sua eterna simulazione; conoscerne le stravaganze , le

 

cabale ed i sofismi viziosi, gli estri maliziosi disseminati a bella posta che

 

annunciano l’avvento di uomini scomparsi - o mai apparsi - inedite figure di

 

future dannazioni.

Il Sogno, il tramite, a volte sleale assente caro a tutti ed anche se talora caro non

 

è, mai disdegnato oltre che amato, è - e resta - l’interprete di un certo incedere 

 

senza il quale non esisterebbe che la vita secca ed il suo travaglioso compiersi.

 

Giorno dopo giorno, notte dopo notte senza il Sogno. Il Vuoto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La Donna Variabile coglieva, scorgeva, annotava, rammentava; tuttavia non agiva; non interrompeva, anzi, lasciava che tutto si compiesse e si mostrasse in certi segni infiniti e minimi, in quel discorrere innumerevole che non discendeva da bocche - in verità - nominabili; in quel

trascolorare di gesti tra umano e nient’affatto umano o quasi, e fluttuava, come deve fare appunto una Donna Variabile, quindi fluttuante, ai margini di una certa follia poetico degenerante, adorante regole di solidità mai imposte, precaria della veritiera realtà suburbana, sognante le arcane supreme sfere: il Romanticismo.

 

E' scesa la notte, sulla Valle di Sognolandia.

Nessun Sogno è apparso da nessun orizzonte visibile od invisibile. La Città dei Poeti si è svuotata. Uomini e donne, nomadi e stanziali, si sono ritirati nella propria mera esistenza. Sotto un cielo basso ed involabile, le barche galleggiano muffose nell'acqua torbida e stagnante; dissoltisi gli spazi sontuosi tra i finti palazzi e le falsamente luminose  facciate d'aria, i balconi ormai sono pericolosamente in bilico sul Vero attrezzato a strapiombo. I viali della Città si

trasmutano in un labirinto di indistinte voci, in angiporti di errabonde vocali, in slarghi di lacunose interiezioni, in passerelle di segrete affermazioni sull'essere.

La Donna Variabile, lei non sogna da sola. Lei interroga mercanti, briganti, danzatrici del ventre, inesperti nocchieri, mercenari al soldo di sintetiche luminosità. Lei non sa più come si fa a sognare, quindi si appende ai sogni altrui, clandestina e pedinatrice, per sottrarli e farseli propri ma, se sono appena un po' enigmatici equivoca, elabora ed ammicca, smette di fluttuare e cade per la terra sollevando nuvolette di minuziosa polvere di Luna Nuova che ricadendo si posano su di lei come un velo d'ombra, spegnendone lo scintillìo, occultandone il corpo dormiente nell'opacità senza riflessi di una statua grigia e pallida nella notte, in una fontana asciutta e silenziosa, in un'illusione, insomma.
«Dove sono finite le Stelle?», si domanda fissando le sue muse, sopravvissuta alle sue

illusioni, come un oleandro senza un fiore.

E dunque vedi, fino a che punto sia necessario il Sogno, i suoi rumori di fondo, il fruscio infinito della sua eterna simulazione; conoscerne le stravaganze , le cabale ed i sofismi viziosi, gli estri maliziosi disseminati a bella posta che annunciano l’avvento di uomini scomparsi - o mai apparsi - inedite figure di future dannazioni.

Il Sogno, il tramite, a volte sleale assente caro a tutti ed anche se talora caro non è, mai disdegnato oltre che amato, è - e resta - l’interprete di un certo incedere  senza il quale non esisterebbe che la vita secca ed il suo travaglioso compiersi.

Giorno dopo giorno, notte dopo notte senza il Sogno. Il Vuoto.