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rose bianche






Quando finiscono rimangono sempre in silenzio, per un po', da un po' di tempo. Lui guarda fuori della finestra. Dalla strada non viene nessun rumore.
C'è un barbaglio di luce che si riflette sul palazzo di fronte, un riflesso strano, obliquo, come se sulla facciata fosse dipinto un fondale, una specie di sipario. Lui guarda nuovamente l'orologio.
Sono le ventitre e quarantatre. Cammina lenta la lancetta dei minuti. Quella delle ore sta inesorabilmente ferma.«Merda», dice. Gli è scappata di bocca. Se n' è tanto riempito che gli è scappata via mentre la sua mente vaga.Tutto questo è plausibile? La prossima volta che me ne andrò, il mare lo porterò con me, pensa, mentre la sua mente dondola in su ed in giù per il golfo lontano ed inala aria finta che sa di ruggine, di salmastro. Pieno di mare e vuoto di reale, così, per ammansire il freddo su certe cicatrici avvista l'onda lontana, la sottile differenza di colore d'una refola. Si sente un pittore senza pennelli quindi ci prova con parole colorate, macchie sbafate, odor di pioggia battente, di legno bagnato e canapi irrigiditi, gli sterpi e la scogliera, isole e bastimenti, diverse nostalgìe di quel che è stato e non è stato, di essenziali spezie d'un passato lontano - forse era il suo o forse era dell'altro - quello che vedeva la luna particolarmente grande e splendida.
« Che c'è, amore?», lei gli domanda « ho fatto qualcosa di sbagliato?»
« No, tesoro - replica lui - tu sei perfetta ed io son pazzo di te», le dà una pacca sul sedere e scivola dal letto. In men che non si dica scivola nei pantaloni e nelle scarpe e di lì a poco scivola dalla porta e se ne va, non senza essere prima scivolato sulle labbra umide per un bacio che lei voleva lungo e lui breve.
"Potrei fare a pezzi qualche cosa», lei dice, parlando alla camera,«potrei spaccare i vetri della finestra, tagliare i fili della luce, spegnere la televisione assurdamente allegra, infilare la porta sulle scale ed uscire all'aperto e correre, fare chilometri da qui.»
Si domanda se ciò le servirebbe. D'altra parte qualsiasi cosa può sbocciare sotto due palpebre spalmate d’ombretto rosa cipria e qualsiasi cosa può accadere. La sua attenzione torna alla stanza che attende una risposta. E' quel che volevi sapere no? - chiede - ora lo sai, puoi dividere con me questo segreto che mi porto dietro oppure no. Non mi sento più leggera, ora che so, e quel che dev'essere sia e basta così, un secondo prima che agguanti il vaso da fiori e lo scagli sul pavimento ed un singhiozzo le esca dalla gola, forse di rabbia, di dolore o tutt'e due. I cocci di ceramica si spandono a raggiera, tintinnando quasi allegri mentre le loro molecole si sgranano come i grani d' un rosario. Le rose troppo bianche invece restano lì, i petali sgualciti e bagnati, a galleggiare in una pozza d'acqua acquitrinosa che manda un odore - ancora accettabile - di minima decomposizione, quella dei cimiteri. Lacrime capillari, solo una velatura liquida, come se da una donna possa piovigginare, e sono le peggiori: sono pianto di vento, vento che porta scompiglio tra capelli e pensieri, fischiando stringe la testa in una morsa, infilandosi tra le trame fa stringere il bavero al collo.
Eppure ora tutto è più limpido.
Il più è fatto.
Una fine si prende sempre per i capelli, perchè non ne resti solo una bavosa scia di lumaca. Si ritorna dal vivo al quasi niente, mezzi sfumati, appena abbozzati, strappi da ricucire, aghi per suturare, ricami sui bordi, orli slabbrati dal tempo sprecato e istanti che mordono il cuore, ritorni distanti.










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