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Red-Hell







Il dado è stato lanciato. Il punto è cinque.
L’asso: il prigioniero nello spazio quattro.
Non sempre si può scegliere. Quasi mai si può scegliere. A volte sembra di scegliere. Sembra di sopprimere le discordanze. Sembra di non fare compromessi, di congiungersi agli ideali, ai percorsi giusti, agli spazi sereni. Per noi e per gli altri, i cui destini intersecano i nostri.
Nel visibile, ciò appare a volte reale. Nell’invisibile si arrovellano i dubbi, i pentimenti, le nostalgie. Non esistono verità e certezze senza remore.
Si cerca solo di conciliare il visibile con l’invisibile. Il più possibile.
Che non strida.
Che non ci tormenti.
«Cosa fai per vivere?»
E' un bel po’ che m' aspetto questa domanda, ed anche molte altre. Del resto è una domanda che spesso e volentieri mi pongo anch'io.
«Per ora non lo so con precisione. Diciamo che sono in cerca»
La musica non ci disturba. E' sapientemente ammaestrata. Lascia discorrere i clienti seduti sugli sgabelli che circondano il banco bar, una specie di ‘boxe-ring’, all’ interno del quale alcune bionde bar-girls in attillati e rossi e lucenti shorts e minime canotte bianche si muovono svelte per facilitare le sbornie degli avventori. Il rosso-nero ed il princisbecco si sprecano lì nel ‘Red Hell’. Il DJ sta rivisitando i successi del passato. Mi sono levato la soddisfazione di bere uno stravecchio single malt, anche se lo sguardo della ragazza che me l'ha servito, versandolo goccia a goccia nel balloon gelato, e quello d'una stupefatta Mélanie, m'hanno svelato un paio di cose. Punto primo la bar-girl m'ha sorriso civettuola perché mi ha preso per uno in soldi ed ha preso una bella cantonata. Punto secondo, Mélanie si è stretta a me, quasi per rivendicare la proprietà sul sottoscritto, e questo lo trovo proprio giusto. Molto giusto.
«Sei un pazzo. – dice Mélanie, ridendo e nascondendo il suo viso sul mio petto. «Pazzo?! – le chiedo stupito - perché pazzo?»
« Il whisky invecchiato, e quel rituale. Mi sa che costi un occhio. Vedi nessuno con il balloon in mano? Guardati intorno.»
Credo intensamente di aver ben altro da guardare. Non ho occhi che per lei, insomma ci guardiamo come nessun altro sulla terra sia ancora in vita, lo sapete tutti, mica sono leggende.
«Perché? C’è qualcun’ altro qui intorno? Io non vedo nessuno.Vedo solo te», tuttavia do un’occhiata in giro: i beoni parevano stupiti sotto gli spot luminosi.
Mélanie mi si stringe ancora più sotto, potremmo stare seduti sullo stesso sgabello, staremmo più comodi, e s' infila sotto il braccio col quale mi sorreggo il mento.
« Accendimi una sigaretta - mi fa - accendila tu, per me.»
Brucio la punta d'una Gitane senza filtro, secca e tosta, senza bagnarla, tenendola per un mezzo millimetro appesa alle labbra, di lato, che fa tanto Yves Montand. Lei mi offre la sua bocca semiaperta, come se fosse pronta a succhiarmi la lingua, mi sembra che la sua saliva sfrigoli come una miccia. «Le tue labbra sono troppo, per queste sigarette», sorrido guardandole la bocca e desiderando già di infilarla, ma di colpo penso ad un’ altra bocca, bella e carnosa come quella, anch’essa mia. Un sottile senso di colpa mi sorprende, uno stridore che di colpo fa scomparire anche Mike Jagger, Mélanie ed il suo profumo, il luogo stesso in cui mi trovo, forse la terra è vuota come una campana, forse è un grande criceto che la fa ruotare, sennò cosa sarebbe quello squittìo impazzito che all'improvviso m'infuria nel cervello? mi venga un colpo ma mi rivedo con l'altra, mano nella mano, sulla spiaggia, mentre camminiamo sul bordo dell’onda lenta ed un vapore fluttua su di noi come una vela, e ci trasporta sotto una luna splendente come un limone che illumina quel posto dove per la prima volta abbiamo fatto l’amore, dove tutto ha avuto inizio, non è mica stato bello quello che hai fatto, ma chi parla, io o lei? il ritmo dei tamburi cala e mi sento sbagliato. Una piccola pena mi si fa largo da qualche parte nel petto. Lotto un po' per scacciarla, inspirando forte l’aria fumosa, aprendo le orecchie al rumore dissonante che non è più musica, facendo penetrare l’odore della bella femmina che ho al fianco su per le narici, dentro al cervello. Via, via, sensi di colpa, cosa ci fate qui? non è proprio il caso, non vi voglio. Riemergo, con una piccola cicatrice pulsante.
«Dov’eri? », mi chiede Mélanie.
« Come dov’ero? Qui, no?», e le circondo le spalle con tutto l’affetto che posso chiamare a riva, non concupiscenza: affetto sincero, per quanto non possa proclamare durata ed impegno, comunque ci provo.
«No. Non eri qui», ecco: è diventata improvvisamente triste, così succede in certe combinazioni errate: si percepiscono. «A volte mi capita di fissarmi su un pensiero - le dico - dammi un bacio.», non la voglio vulnerabile, la voglio forte ed intraprendente, e non riesco ad impedirmi di pensare che di lì ad un anno, o giù di lì, ciascuno di noi starà con qualcun altro. O soffrirà. O starà leccandosi altre ferite, « d'accordo, d'accordo, non è necessario che ti scusi», le nostre labbra si toccano, calme, piene e calde, ma hanno un po' il gusto del poi.
Ci guardiamo negli occhi.
Sappiamo ambedue che la felicità è sempre passeggera, come un filo di vento fresco in una giornata torrida ed afosa, come il baluginare di un faro in una notte buia, come scoprire un'isola azzurra dopo giorni e giorni di navigazione, come toccare terra dopo un volo rapido impetuoso ed il cuore martella nelle tempie, come scorgere un fumo di legna bianco e denso che esce in pigre volute dal camino di una casa solitaria sulle pendici di una montagna, in una giornata di neve, mani e piedi gelati, lo zaino pesante, il corpo che trema; la stanchezza della marcia è un singhiozzo nel respiro gelido, nei polpacci duri e gonfi di acido lattico. Un attimo che mi possa riposare, per favore, al caldo di una fiamma, bere un brodo caldo, sciogliermi le stringhe degli scarponi, sentire una voce, scaldarmi.
Poi riprendere il cammino.







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