No, non stava succedendo nulla, quel giorno, quel primo di maggio. Era un giorno più o meno come gli altri, forse peggio perchè minacciava pioggia a sorpresa, e le piazze quando piove e sei senza ombrello sono sempre troppo vaste. Non stava succedendo veramente nulla, ed era meglio così, a parte qualche effluvio di memorie ingorde, di memoria deleterie o moribonde che apparivano a caso, per caso, e che s'incrociavano senza mai riuscire ad incontrarsi. I timori e gli strappi, i sorrisi, i dolori, tutto era spostato, come se fosse stato impossibile o fortuito considerare e vivere allo stesso tempo. L'eventuale si produce senza effetto immediato: è vuoto di senso nello stesso istante della sua manifestazione e diventa significativo soltanto quando è già passato.

Secondo me, quello che poi accadde quel primo di maggio non è ancora passato.

Si può parlare d' una specie di riunione, in verità. Ci eravamo visti, piovuti addosso, intrecciati in modo molto meccanico. Una specie d'intrallazzo di circostanze ci aveva spinto a commettere-ammettere uno di quegli errori di cui nessuno mai si è pentito e mai si pentirà, visto che in fondo non è stato commesso: ne esisterebbe un resoconto sulla cui chiarezza ci sarebbe da discutere, visto che è provata solo da colori passati ed ingialliti, appassiti forse, del poco che ci saremmo ricordati di quel giorno.

La riunione - decido di nominarla così, perchè è così che si chiama l'incontro di due metà possibili - avvenne a causa d' un selciato, fondamentalmente individualista, che aveva pensato bene di mettersi in evidenza d' un buon centimetro. Quella diseguaglianza ovvia, lungi da suscitare le usuali recriminazioni e discriminazioni sull' ingiustizia, il cielo, la viabilità comunale, il partito al governo, rosso o nero, non causarono che un sommovimento tanto breve quanto intenso. Nel movimento inconsciente che ne seguì, una specie di chiamata alle armi d'emergenza per afferrarsi ad una realtà più stabile, la mia mano avvolse rotondità pettorali significative a più d' un titolo, che non erano le mie e, d' altronde, il loro sesso non corrispondeva al mio.

Questa mia mano, che s' era fuorviata in uno ciao inopportuno, molto extraparlamentare e poco auspicabile tra gente civilizzata, aveva iniziato una palpazione più che insinuante: aveva ovviamente dimenticato il suo scopo primo, aiutare il corpo a non perdere l'equilibrio e restare sulla imparziale verticale. La mia faccia, destatasi con ritardo all'accaduto, arrossì benchè non proprio imberbe, la mia bocca balbettò scuse altisonanti nel traffico assordante ma la mano di destra, indipendentista, nazionalista, malcresciuta e maleducata, continuò a toccare il morbido terreno salvatore.

Un primo maggio

 

ilgrandesonno

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


                         

 

 

 

 

 

 

         

 

           

 

 

 

                  

              

 

 

 

 

Logicamente, ci si sarebbe potuto immaginare una reazione dall' altra parte, almeno di un suo spostamento a sinistra, o d' un piede al centro, per cui la rapidità e la potenza dell'assalto avrebbero potuto svanire in un contatto molto meno voluttuoso, considerato  l'obiettivo, l'oggetto palpato e concupiscente. I miei testicoli si ritirarono per farsi forza e le mie guance si scavarono nell'attesa di quella riscossa, di una controffensiva chiara, netta, una giusta risposta ipotetica. Che non venne. Stranamente fu la bocca di fronte che reagì: denti luminosi d'un biancore zen bloccavano una lingua rosa ed aguzza che portava un «...ma le pare..?»piuttosto piacevole.

La mano destra continuò dunque a deviare per le circostanze a suo vantaggio, e proseguì in una verifica attenta di quei contorni che s' adattavano molto bene alla loro forma mantenuta ben concava. Che fare quando una mano entra in contatto con un certo tipo di realtà e vi si installa con manifesta soddisfazione? Cosa rispondere alle gambe che vogliono dispiegarsi in una fuga salubre, agli occhi che cercano qualcosa da fissare decorosamente, alla gola che cerca un appoggio incerto per uscire da un vicolo cieco?

Il gesto seguente fu certamente suscitato dal panico del povero cervello, che non ostacolava più nulla di quel che accadeva dopo la mancata caduta sul selciato, e nemmeno ostacolava membra certamente sempre più indipendenti e libere. La mano destra lasciò le rotondità finora accessibili per l'alta fine della schiena. La seconda, invidiosa, si protese verso  altre circonferenze graziose e si smarrì al fondo della schiena suddetta: dato che

l' accoglienza non fu male nel suo genere, vi premette senza vergogne  ed anche deliziata di quella sua scoperta. Le gambe, di concerto leggermente dissonanti, si piegarono leggermente, per preoccupazione di stabilità. Alla rovescia, un altro membro, teso, che soltanto questi giochi di mani, questo sorriso e quella voce avevano commosso, spinse a suo vantaggio in un'esplorazione sommaria del ventre. Tanto non c'era altro da fare, perché fermarsi, visto che le sensazioni sembravano passare più che bene da un lato all'altro?

La bocca, purtuttavia vicino al cervello smarrito non parlò, ma si lasciò andare ad applicarsi sulla sua simile in un certo suo modo di guardare, in un suo certo qual modo di conoscere più a fondo, poiché gli occhi avevano gettato il velo pudibondo  delle loro palpebre su questo spettacolo che rifiutavano di comprendere chiaramente e preferivano fingere di non esserci. La lingua provò lo smalto di quei denti freddamente, ma incontrò la sua uguale; si destò della sua apatia con un guizzo leggero veramente e piacevolmente riconosciuto seppur sconosciuto. Onorate d'essersi trovate, si lisciarono e si legarono, si lasciarono sfuggire qualche goccia di saliva che scivolò dagli angoli abbassati delle labbra, scivolò dai menti sugli abiti e sulle scarpe, allargandosi in piccole macchie umide. Forse fu per  la preoccupazione della loro pulizia o per il timore di danneggiare gli abiti, o fu il richiamo di quello spazio pubblico che occupavamo indebitamente ed ostruendo il passo a tutta la gente che aveva certamente voglia di andare da qualche altra parte del mondo, ma frettolosamente decidemmo di rinviare l' essenziale di quell'incontro-scontro, confidando e sperando in un piacere aumentato da un'attesa diciamo fremente.

Peccato che nel respiro ansante, negli occhi lucidi, nella vacuità d'un cervello assente, nel tremito dei corpi assaliti dalla voglia, omettemmo di scambiarci nomi, indirizzi e numeri di telefono: trovarsi - ritrovarsi dopo essere stati separati da una vita aveva cancellato ogni ragionevolezza.  

Ecco perchè quel che accadde quel primo di maggio non è ancora passato, è fermo là, ed anche se in un secondo momento la mente razionale si incarica di rimettere in ordine le cose, un certo disorientamento sale sempre su per  qualche stella anche se è giorno, anche se oggi è di nuovo il primo di maggio, di mill'anni dopo.