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oggy







«Che giorno è?»
E' una mattinata di bruma anticiclonica. Una strana mattina di un luglio mezzo vuoto o mezzo pieno, di quelle indecise sul da farsi, forse pioverà, forse no, intanto arrivano refole un po' da tutte le direzioni. La notte è stata chiara d'una luna dalla faccia di sfinge, gli uccelli notturni sono stati silenziosi e quelli diurni gli hanno dato il cambio un po' impigriti dal fresco d' un alba estiva per caso, un po' ingrigita. Ho deciso che sono stanco e perciò trascino piedi e scorie di pensiero della notte appena trascorsa fuori dal bureau. Non sono molto lucido, vale a dire che non penso a niente di preciso per il momento. Non che non ne abbia di che pensare. Le mie mani per esempio hanno bisogno di materiale cedevole: pelle, capelli, tempo, pelle, parole, respiri, confidenze, risate, pelle, occhi carezzevoli, pelle su pelle, ma dopo un paio di mesi di nottate, di giorni arrotolati su giorni, arriva sempre lo "spiazzamento", così lo chiamo quel guadagnare la vita senza una specie di meta, come una lettera spedita senza l'indirizzo. Ci sono, certo che ci sono, vado e vengo dove c’è da andare e venire, ci vedochiaro, anche ad occhi chiusi volendo, ma ho come l’impressione di trovarmi nei dintorni, mai in quel luogo preciso dove dovrei essere.
A cosa devo pensare se non so nemmeno che giorno sia?
A cosa devo pensare quando il giorno che m'appresto a vivere non ha nemmeno un nome?
Potrebbe anche essere il giorno prima, il domani o il dopodomani. Che differenza farebbe? Ho perso i nomi dei giorni, anche se conosco le date.
Così sto camminando con lo sguardo sulla punta delle scarpe ed un po' perso nei pensieri, quando quasi mi scontro con una bella donna. Mi colpisce così bene e così tanto che la battezzo Oggi, e sarebbe un oggi speranza oggi bellissima giornata oggi sei bello, anzi, Oggy con la ypsilon, che fa un po’ esotico. Adesso che ci penso non mi ricordo più nemmeno il suo viso. Mi ricordo solo che era bella, veramente bella, non saprei dire altro. No, non chiedetemi il colore dei capelli, degli occhi, com'era vestita, non sono un testimone attendibile, se è di quello che abbisognate.
Mi si getta quasi tra le braccia e saltella di gioia ed esclama la sua felicità nel rivedermi.
«Come stai? Come va? Cosa sei diventato, allora?»
«Cosa sono diventato?» Non sono diventato niente, le rispondo, confuso e stupefatto. Forse avrei anche potuto diventare qualcos'altro, ma certo non sospetto nemmeno cosa, non è che il tempo profuso a piene mani e pieni giorni mi abbia schiarito le idee tanto confuse dalla nascita.
Allora Oggy bruscamente si scusa per lo scambio di persona che ha fatto e se ne va lasciando la scena quasi correndo, confusa, oppure in ritardo, in direzione del porto, allontanandosi nella foschia che sale dal mare.
Mi rammarico di non essere l’uomo che quella donna, Oggy, crede di aver riconosciuto. Invidio quell’Altro. Quello a cui ho rubato un abbraccio. Lo battezzo Felice. Non può che essere un uomo felice se una bella donna come Oggy gli si getterebbe al collo.
Mi guardo intorno.
Sono di nuovo solo per strada, la donna sorprendente è scomparsa, così come è apparsa. Infilo nel bar accanto al forno: è il primo che trovo.
Un paio di uomini fumano fuori della porta. Dentro,altri uomini bevono caffè e fanno finta di percorrere i fatti del giorno prima commentando i giornali. Benché si sia di primo mattino ordino una birra. L’uomo del banco non batte ciglio, per lui birra o caffè o un Pernod sono la stessa cosa, è finito il tempo dei baristi filosofi: questo ha l’aria di chi prenderebbe a morsi il primo venuto, quindi lo battezzo Allegria, tanto per fare un po’ di sarcasmo di quello interiore, senza pretese. Ordino un’altra birra e ne ordino un’altra e poi un’altra ancora, ma non fatevi idee sbagliate: non ho proprio niente da dimenticare, ormai ho già rammentato tutto. Forse ne bevo troppa, e Allegria mi da l’impressione di sapere quel che mi passa per la testa, perché si sta facendo sempre più minaccioso e muove sopracciglia e bicipiti in alternanza. Appoggiato coi gomiti sul banco di granito da banche, tra le macchie circolari lasciate da tazze di caffè e bicchieri di tequila della notte prima, atolli appiccicosi su un Pacifico rosato cosparso di briciole di brioches, faccio quello di passaggio e guardo dentro lo specchio, dietro la sfilata di bottiglie d’alcool colorato d'ambra, tutti preziosi malto delle Highland's; forse Allegria è un fine collezionista. Chissà se si attiene alla bibbia del collezionista vero: due bottiglie d'ogni marca, una da scolare ed una da tenere per i posteri.
Proprio in faccia a me, proprio accanto alla macchina espresso finto ottone, c’è un viso. Più lo guardo e più mi dico che quella faccia esiste, ne sono certo, mi sembra proprio una faccia che incoraggia tutti i brutti vizi, vivere compreso, anche se non me ne ricordo bene come. In un certo modo è come se mi vedessi per la prima volta, abbastanza distintamente e mi sento un po’ come un ladro colto sul fatto. Come se mi fosse stata tolta una maschera. E quella che vedo là nello specchio è la mia vera faccia: detto tra di noi non è che mi piaccia granchè, nessun mistero, nessuna varietà e, fatto ancora peggiore, nessuna alternativa. Ma alzo lo stesso il bicchiere di birra e bevo - compreso di succhio e risucchio - alla salute di quel mezzo vecchio sconosciuto, ed anche alla salute di Oggy, Felice ed Allegria, ma che ne è stato dell' oggi, del domani, della felicità, e quale allegria?
Ci sono Arcobaleni in partenza per il tesoro nascosto, da qualche parte?
Se ne sapete qualcosa, fatemi una voce, ve ne prego.












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