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nightclubbing







Le luci colorate degli spot rimbalzavano sul suo corpo in movimento, lucido di sudore. I capelli biondi, lunghi e dritti quando non volavano a tempo di musica schiaffeggiando l'aria e l'immaginazione del pubblico, le scendevano fino al fondoschiena. Sarebbe riuscita a sedersi sulla propria chioma, ci si sarebbe potuta coprire in mancanza d'una foglia di fico. Un amante avrebbe potuto arrampicarsi su quei capelli, tirarsi su e salire al suo balcone, giocare a fare l'auriga prendendoli per briglie oppure legarsela stretta al proprio ormeggio con una gassa d'amante.
La spogliarellista-ballerina si librava in aria, con i seni abbondanti e le natiche oscillanti; piroettò mimando un aeroplano, le braccia come eliche, il busto in penché in avanti e tutti volarono con lei. Una scossa sinuosa le partì dal bacino e subito spinse la testa all'indietro, ad occhi aperti verso il cielo: aprì le lunghe gambe e lentamente e ritmicamente s'accosciò nella figura del limbo, passando sotto un'asta che vedeva solo lei. Il pube gonfio era una calamita che avrebbe attratto qualsiasi astronave di passaggio sul suo monte di Venere. Trattenni il respiro per il tempo necessario a deglutire fantasie esotiche. Era un bel po' di tempo che non mettevo le dita tra le cosce di una donna.
Sulle ultime note la ballerina nuda e scalza si raddrizzò, si inchinò, e salutò il pubblico correndo via, prima che dagli applausi passassero ai fatti. L'avrebbero applaudita anche se avesse ballato la danza dell'orso, pensai, ma non tutte sarebbero state capaci di ballarla come lei. Le luci colorate degli spots sulla pista si spensero. Il pianoforte accennò una lenta samba stagionata, tanto per calmare un po' le acque mosse.I bicchieri e le bottiglie ripresero a tintinnare tra un commento e l'altro. La ragazza si sarebbe fermata ancora per un po' da quelle parti.
Sulla pista al buio feci il solito giro per raccogliere gli indumenti che la spogliarellista aveva sparpagliato in giro. Un raccattapanni, ecco cos'ero. Non mi piaceva fare il raccoglitore di mutande, anche se fatte di brillantini. Sfilai a testa bassa in direzione del camerino della francesina.
Bussai.
«Veronique?»
La porta si aprì. La bionda più bella del momento, con la maniglia della porta in mano, stava dietro un minuscolo asciugamano da bidet col quale s'impegnava a coprire il seno dai capezzoli color ambra mentre scopriva la peluria bionda del pube. Ripetè coprendo il pube e scoprendo il seno.
Feci l'uomo di mondo fingendo di non vedere l'altenarsi di visioni del genere celestiale fino a che riesci a non respirare, «Sei bella ed abbastanza in carne per far venire la voglia di mangiarti», le dissi convinto.
« E dai,su! », esclamò lei, « lasciami in pace» ma sorrise.
Con una sola mano libero Veronique non poteva prendere la paccotiglia di lustrini profumati che tenevo in braccio come un bambino piccolo. Va bene, pensai, è stato piacevole, ma non vorrai mica che stia tutto il giorno sulla porta con questi morbidi brillantini?
« Scusa tanto.. ». Entrai senza far complimenti, ma facendo il possibile per guardare solo i suoi piedini nudi e lasciar correre il resto che prendeva tutto il camerino, quindi appoggiai gli abiti di scena su un piccolo divano. Lei si era seduta davanti allo specchio contornato di lampadine. Iniziavo a vederla come una ragazza nuda qualsiasi, così mi presi la comodità di fare un respiro. Mi guardava dallo specchio, tanto vicina che avrei potuto toccarla e mi sorrideva come se fossi proprio la persona che aspettava da chissà quanto tempo. Intanto si metteva il reggipetto. Bianco. I colori a volte narrano delle storie false o sono vittime di pregiudizi. Così quel bianco su di lei tutto mi ispirava meno che purezza.
« Ma in Francia le donne si vestono tutte come te? », era una battuta scema, lo sapevo, ma abbastanza scemo mi sentivo, così vestito di tutto punto con una donna nuda ed intoccabile.
Lei mi guardò incredula, poi capì lo scherzo e fece una risatina argentina, o forse dovrei dire francese, sapete, quelle risatine che salgono su dal ventre e gorgogliano appena, come un torrentello di montagna.
« Vedi di piantarla», scherzò. Finsi di essere offeso ma intanto la spiavo compiaciuto mentre con la linguetta puntuta tra i denti si concentrava sul sistemarsi i capelli. Me la immaginai con le sue lunghe gambe avvinghiate attorno al mio collo, non so se fosse una visione celestiale, ma certo una visione lo era eccome.
« Ti va di bere qualcosa? », azzardai.
Mi guardò dallo specchio.
« Vengo a bere al bar. Merci. »
Uscii dal camerino e tornai in sala. Lo spettacolo era terminato, ed erano pochi i clienti rimasti. Le ragazze cercavano di vuotargli le tasche del tutto, girando e soffermandosi ai tavoli, ma la nottata ormai volgeva al termine.
Andai al bar e mi sedetti su uno sgabello.
Il conte che aveva avuto Ugolino tra gli antenati era ubriaco come al solito, e cincischiava il culo di Helga, la sua bionda-ghiaccio preferita, mentre il barman ne approfittava per fargli bere ancora qualche altro intruglio di sua invenzione: naturalmente l'alcool aumentava ad ogni drink.
Il profumo precedette Veronique di un quarto d'ora buono. L’aria era diventata densa come l’acqua e l’orologio s’era fermato di colpo. Si sedette sullo sgabello accanto al mio.
Erano sgabelli girevoli. Veloce come una trottola ruotai e mi fermai proprio di faccia a lei.
Veronique accavallò le gambe per mostrarmi le sue mutandine bianche, "...mettait du blanc pour cacher la couleur un peu blanc de sa peau.."
Con la punta della scarpa dal tacco infinito mi toccò tra le gambe, poi iniziò a massaggiarmelo con la suola. Per me fu come aver vinto un pacchetto vacanze alla Grande Bahama per una quindicina di giorni, albergo a quattro stelle, sonni tranquilli su morbidi materassi a molle, pasti preparati da chef di fama mondiale, guide turistiche gioviali ed esperte, nonchè di facili costumi.
« Che fai per Ferragosto? », mi chiese e sorrideva, Veronique, come se non stesse prendendomi a pedate tenui e solleticose nel cavallo dei calzoni.
Naturalmente quello era il modo giusto e sacrosanto per aver bisogno di una immediata doccia gelata.
« Cosa vuoi che faccia?Sarò qui a lavorare, come te.» Da buon compagno di sventura le grattai con delicata noncuranza il ginocchio accavallato con la punta delle dita, mentre mi portavo l'altra mano al volto come se avessi dimenticato il portafoglio in treno.
« Mi sa che m'è andato qualcosa in un occhio», le dissi. Il mio occhio stava benissimo, non c'era assolutamente niente, ma come potevo farla avvicinare di più? Lei si alzò dallo sgabello e mi fu sopra il viso. Quando le sue tette mi sfiorarono qualcosa mi punse nel petto e mi lasciò uno sbaffo di sangue all'altezza del cuore, o forse era tutta colpa dello Chanel "Cuir de Russie"? Diavolo d'un profumo...
Ma io non ero che un uomo ordinario. Mi guardai intorno e vidi in giro solo altri uomini ordinari come me. Presi coraggio per uscire da un momentaneo attimo di smarrimento: ci vuole poco a farsi del male con una donna come quella.
« Se fossimo in un film adesso ci innamoreremmo l'uno dell'altra», le dissi a stento.
Veronique mi guardò, improvvisamente con aria pensierosa ed una specie di sorrisetto di compatimento.
« Forse no. Devo confessarti che a me piacciono les femmes... », arcuò le delicate bionde sopracciglia e fece le spallucce. La guardai meglio, la riguardai una, due, tre o quattro volte ancora, negli occhi ed in tutto il resto di quel ben di Dio. L'osservai bene dalla testa ai piedi in un andata e ritorno senza fine. Poi scossi la testa.
Rimanemmo a fissarci negli occhi mentre la mia anima indietreggiava dalla sua facendo un looping all’indietro.
« Mi dovrò abituare all'idea », dissi con la voce più bassa che avevo. Comunque meglio lesbica che d’un altro ordinario come me, pensai e pensai anche alla volpe ed all’uva, ed anche a quel greco maledetto che aveva già previsto tutto. "..jamais une voix plus douce n'a frappé mes oreilles; je serais heureux de vous entendre encore.."











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