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minuti







Quell'anno la primavera giunse nella bassa arrivando piano, preceduta da un inverno cordiale, senza freddure eccessive, senza disagi ghiacciati, forse con qualche serata umida e nebbiosa più del solito, ma i cespugli e gli alberi al mattino parevano stupiti da quel sole caldo, invero mai così caldo come quell'anno sui campi piatti e squadrati all'infinito. Forse si può anche dire che la terra non girò bella rotonda, perfetta, comunque non gira mai come l'anno prima od il mese prima, od il giorno prima. Che è sufficiente anche un solo minuto per farla scivolare sulla sinistra e che l'assenza di calcoli matematici ed astronomici non fa sbagliare quel che non si conosce.
Dopo lo scossone guardai in giro, inspirai ed espirai istanti, contai molto le percezioni del niente, varietà assortite di quel che avrei voluto che fosse, credevo in quel che pensavo ma chissà se l'avrei mantenuto.
Ma dai.
Non è possibile, il fatto è che tu hai torto.
Io non mi do mai ragione.
Così corro per le strade fino a farmi scoppiare i polmoni. Silenziosamente mi enuncio che non basta potere, occorre anche volere, come in quei settantatrè minuti incollati gli uni agli altri per prendere fiato e vita e mormorare in silenzio che io speravo, mentre gravitavo sulla terra senza una ragione vera. A volte cado, pensai, ma non dissi una parola una.
Succede.
La luce ed il giorno se ne andavano sempre più veloci, i ricordi si tuffarono nelle onde del mare. Il mese di luglio se ne andò un po' rinculando ed il mese d'agosto s'avvicinò: la gente non si sarebbe presa più nemmeno il tempo di respirare, o di pensare, pur di vivere di più, e la mia testa si limitò a guardarsi intorno. Appresi a godermi la speciale realtà dei miraggi. Una volta, ma forse due, li presi anche sul serio.
Continuai a dirmi che non basta potere, occorre anche volere, mi presi tredici minuti incollati gli uni agli altri per prendere fiato e mormorare in silenzio che c' ero, cercavo anche non so bene cosa, trattenevo qualcosa senza sapere cosa. Il mondo passava, la gente mi sorpassava e mi sedevo spesso sulla panchina verde aspettando che partisse: direzione in capo al mondo. Lassù non fa né caldo né freddo, lassù non esiste il quaggiù. Il quaggiù è il pressapoco. Ci ho creduto? Te lo sei voluto, ma non hai potuto.
Dopo novanta tuffi continuo a dirmi che non basta volere, occorre anche potere, basterebbe anche un solo minuto incollato al vuoto per prendere fiato ed agganciarmi una volta tanto all'impossibile ed imprevedibile rotazione del mondo. Forse esistono dei giorni fatti di piena luce, dove la notte non esiste e dove le ombre non sono che cerchi nell'acqua. Invisibili, solo una lieve risonanza di sciabordo. Oppure posso continuare a girare intorno al vuoto e fermare l'istante: dovrei essere così abile da riuscire a ripigliarlo con le mani dietro la schiena, senza guardarlo, ad occhi chiusi, sorprenderlo mentre meno se l'aspetta. Riuscire a fregare il mondo che gira imperfetto ed imprevedibile, salirci sopra dalla parte giusta, quella infallibile. Non vorrete mica una dettagliata descrizione, no? Io non ne so proprio niente, sapete. Solo qualche colloquio di natura intima, tra me e me e qualche depliant turistico. Ah! anche un manifesto poetico intitolato non c'è più tempo, non c'è più posto. Però quello l'ho perduto.













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