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la fitta







Dall'altra parte del canale era un giorno di baldoria, forse era una festa di partito o forse era la ricorrenza di un patrono. Il parco era pieno di gente, tutti vivaci e festosi negli abiti estivi. Il sole splendeva in un cielo senza nuvole, una lieve brezza scendeva dal promontorio ed increspava il mare ed i vestiti delle donne. Da sotto un tendone a strisce blu e bianche un'orchestrina suonava entusiasmanti canzoni sempreverdi.
M'arrampicai sul sentiero che si diramava in tre direzioni e mi unii alla folla, afferrando al volo l'aria vivace che si respirava.
Dovevo aver l'aspetto di un ragazzo qualunque, ma invero mi sentivo un po' speciale, chi è che non si sente speciale da ragazzo?
Euforia giovanile a parte, mi trovavo là senza alcun scopo, se non quello di attraversare il canale avanti ed indietro, ma sapete com'è quando da ragazzi ci si sente predisposti ad avvenimenti eccezionali?
Fu così che la vidi a qualche metro di distanza che passeggiava avanti ed indietro sul sentiero. Di tanto in tanto lanciava delle occhiate verso il domani: un po' come me. Così la riconobbi immediatamente, sebbene non sapessi affato come. Ve lo dico: nel momento che la vidi seppi che era lei, la ragazza del mio domani. Teneva le braccia piegate con indifferenza sul petto. Indossava un leggero abito estivo dai colori pastello ed ai miei occhi sembrò che nessun abito più delizioso avrebbe potuto essere indossato da nessun'altra ragazza al mondo. I capelli corti le incorniciavano con grazia il viso ed il modo in cui teneva la testa, il modo in cui dava il cambio ai piedi nel passo sembravano non essere mai stati applicati prima.
La spiai per parecchi minuti, agganciato dalla sua immagine. La gente si accalcava dietro di me ma per quanto mi riguardava avrebbe potuto anche non esserci nessuno. Mi detti una spinta e proseguii, un po' meno sicuro di me speciale. La ragazza del mio domani mi lanciò per caso un'occhiata ma mi guardò nello stesso modo disinteressato con cui guardava chiunque. Mi trovai quindi solo a quasi un metro da lei e, lo devo pur dire, mi batteva forte il cuore, ve lo giuro: batteva da solo. Intanto mi si affollavano alla mente parole alla rinfusa con le quali avrei voluto presentarmi, rivelarmi arguto ed un po' più maturo, proporle due o tre passi insieme, disperatamente d'un tratto, insicuro di me stesso, ingombrante ed inadeguato con due mani di troppo, incisivi di troppo, assurdamente sbilenco e magro.
Quando già mi trovavo ad un passo da lei, la ragazza si voltò dall'altra parte. Percepii come una fitta, in fondo era la prima volta che la sentivo e non potei certo dargli un nome anche se aveva una caratteristica diversa dalle altre fitte. Non sapevo che significato avesse, ma mi turbò parecchio e non potei far altro che indietreggiare. A quel punto non saprei dire quale fosse il mio aspetto dinanzi a lei, avrei potuto essere una scimmia od un cane perchè avevo perso tutte le mie latitudini nel mondo e le mie già scarse certezze, figurarsi quelle nel domani. Lo chiamano imbarazzo, e ve lo dico, per un ragazzo è un maglio che gli cala sulla testa. E proprio in quel momento lei mi guardò coi suoi tranquilli occhi grigi e quello fu effettivamente troppo.
Devo confessarvi che il suo sguardo si fece lievemente curioso come se fosse riuscita a scorgere qualcosa di enorme importanza per me, lo so, poteva essere stata solo un'impressione, ma in fondo si trattava sempre del mio domani.
Sorrise, inaspettatamente, non saprei dire perchè, forse le apparivo davvero come un simpatico scimpanzè, ma io ebbi così la scusa per poter dire qualcosa. Invece la fissai, senza neppure riuscire a pensare cosa avrei potuto dire, semplicemente immobilizzato dall'inatteso che m'aveva seppellito.
Passò qualche momento: non potevo più tenere testa a quella turbolenza. Feci un passo indietro. Poi un altro. Durante i lunghi secondi del mio sguardo fisso ed ammutolito la ragazza aveva continuato a sorridermi e, mentre me ne andavo, il suo sorriso diventò più aperto e mi sembrò che le sue labbra si schiudessero come per dire qualcosa.
Era davvero troppo per me.
Mi voltai dall'altra parte per non mostrare il rossore del mio viso ed iniziai a correre. Dopo pochi passi mi fermai e guardai di nuovo verso di lei, ad una specie di distanza di sicurezza. Continuava a guardarmi, continuava a sorridermi. In un film il protagonista avrebbe gridato ti amo, ma là nel parco c'era troppa gente: sarebbe apparso grossolano. Rimasi in piedi sotto gli alberi, mi chinai in avanti contro il tronco d'una quercia e la presi a pugni, presi a pugni il mio oggi ed il mio domani, mi scalfii le nocche per fare pari con quello che m'aveva scalfito dentro. Chiodo scaccia chiodo, dolore scaccia dolore, m'augurai che mi venisse un mal di denti.
Presi il traghetto in anticipo e tornai dalla mia parte del canale. Non c'erano misteri, mi mentii, dall'altra parte del canale, nessuna varietà e, fatto ancor peggiore, c'era una fitta che faceva male all'attesa di un domani che un giorno o l'altro avrebbe pur dovuto cominciare. Confidai che col tempo mi sarei fatto insensibile e mi leccai le nocche.












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