la fine del mondo


Ti ricordi la fine del mondo la sera del 20 settembre 1986 alle 00,20? Io me ne ricordo. Io mi ricordo anche di tutte le parole che azzardai nel luglio precedente: parlavo da solo. No. Non è vero. Parlavo con un dio. A quei tempi ci credevo. Era una via di mezzo tra il ringraziamento, gli accordi ed il compromesso. La solita storia, no? Tu dai una cosa a me ed io sono soddisfatto per tutto il resto che ho e per quello che non avrò mai: bisogna contentarsi. Io mi ricordo anche prima dell'aprile di quell'anno. Da gennaio a marzo basta ch'io mi ricordi d'un solo giorno: erano tutti uguali. La gente dice che le persone cambiano ed io ti dico che nessuno lo sa meglio di me.
Lei sa della luce che traspare dal cuore e che s'infiltra nei recessi nascosti della mente. All'inizio la felicità é un dato di fatto. Lei lo sa in silenzio. Io lo dico sottovoce, così già la sua mano s'allontana dalla mia bocca per finire in cima al niente, quindi è colpa mia se è venuta la fine del mondo? Bisognerebbe essere un granello di polvere e volare in un raggio di luce. Non è quello che saremo? Uno spolvero di pelle secca che rimarrà a svolazzare per aria finchè qualcuno non la respirerà, ed io sarò là. Quella sarà un'altra fine del mondo, ma ormai ci sono abituato. Ce ne sono state altre, anche se di minore importanza, nel senso che se uno è già passato da una fine del mondo c'è e non c'è, quindi puo' anche assistervi con una specie di curiosità. Ma dove andremo a finire? Ma io ti amo, dice lei. Questo mi coglie di sorpresa, acciglio un po' la fronte, ma avverto un senso di calore dalle parti del cuore, però vedete, tutto quello che riesco ad esprimere è «è tardi per questo», così propone, amiamoci adesso, rimaniamo qui e non pensiamo ad altro, «fino alla fine del mondo?», le chiedo, e non so se sia una domanda sincera, perchè la fine del mondo c'è già stata tante volte per me, ed ogni volta è stato faticosissimo ricominciare, far finta che niente fosse accaduto, vedere il mio corpo camminare guardandolo distante, vederlo agitarsi, sudare, quel corpo che fece di me un ragazzo come tanti, che al mattino alzo e vesto e che si trascina in giro, chiudo nel bagno, porto a rantolare sulla spiaggia chiedendo udienza ai sogni, ma con l'ironia d'una pianta secca che sogna i fiori profumati. Ora dovrei scrostare dal cristallino l'immagine del suo viso, quelle delle sue gambe e quelle dei suoi seni che mi strattonano gli occhi, l'immagine del suo culo che mi agita, nelle sue mosse ragazzine m'agita, ora dovrei dirle: «Vai via da me, ti prego, ti prego, te lo chiedo con tristezza, vai via da me, da me che non mi sopporto più, dal mio scheletro sbilenco senza più cuore e sogni, un servo della mente che non ha più speranze, che non ha forze», ma tutto questo lei sembra già saperlo perchè é con una strana malinconia che posa la sua testa sul mio petto, ad ascoltarmi il cuore, forse, o forse a versare una lacrima senza esser vista, una lacrima per me, per lei, per noi sopravvissuti.