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I tre fratelli
ilgrandesonno
Stanotte che la
luna scimitarra e senza occhi ferisce le stelle di taglio, il mare dal
dorso nero cerca di vederla almeno un paio di volte riflessa
mentre suona le sue onde pendolari e fantasiose. Il mare è un grande narratore e le tempeste strombazzano la sua fama
ai quattro venti. Racconta storie che arrivano da isole, da porti ed
orizzonti brumosi e, se non sono le Isole di Sottovento o il porto non si
chiama Moresby, gli piace lo stesso rammentare di
quand' era scaglioso, non piatto vetro trasparente, ed il vento ch'era sorto nel quadrante maledetto vorticava, e di
padri e figli non rimaneva traccia
ma, non importa, una storia è una storia, ed il mare ne racconta
tante, basta restare un po' con lui a tu per tu. C'è anche chi ne ha paura
e fugge, e c'è chi invece si mette a poppa-mare per spiarne la scia e
perdersi nella schiuma, ed allora arrivano un po' tutti, chi era sul ponte
di comando, chi nella stiva, chi dormiva e chi era di guardia, tra quelli ch' erano nati sulla terra ma per sbaglio, fatti non di
polvere ma di sabbia finissima di fondale ed è per quelli che il mare
racconta, quando il mare dal dorso nero vede riflessa almeno un paio di
volte una falce, una luna scimitarra e senza occhi che ferisce le stelle di
taglio. Erano tre fratelli, abbastanza simili tra di loro nell'aspetto abbronzato
e robusto, nella faccia aperta e nel fare libero e spigliato. Erano diversi
per il modo di affrontare i casi della vita, senza una guida paterna
com'erano cresciuti. La morte del padre, un marinaio disperso in mare, era avvenuta quando erano ancora piccoli ed il maggiore dei
tre a malapena ne conservava uno
scampolo di memoria, confuso e nebbioso. Erano tempi difficili, quelli (per la povera gente quando mai non lo sono?), e sulla costa il lavoro
era scarso e raro come un terno al lotto. Nanni, il fratello maggiore, aveva
armato un gozzo vecchio di cent'anni, trovato
sulla spiaggia dopo una mareggiata e, aiutato da un mozzo sedicenne, faceva
finta di pescare lungo costa, tentando di dimostrare doti da capofamiglia. Beppe, il secondo, si era fatto furbo di una certa
predilezione della madre per lui, e se ne stava sempre intorno
casa, riparando i guasti ed imbiancando i muri, sfoggiando anche una
certa vena artistica. Curava un po' l'orto, ma non tanto, e portava a spasso
i cani di casa. Il terzo fratello, il minore, Maso, era un ragazzotto un po' viziato, tormentato dalla mancanza di
soldi per le tasche. Se n'usciva di casa all'albeggiare e
se ne stava fuori fino a sera, sempre ad infrattarsi
nelle scogliere più ripide o a sdraiarsi nelle ghiaie di qualche
spiaggia nascosta e deserta a far sogni e castelli in aria. La madre giudicava la situazione dei suoi figli poco
stabile e priva di futuro così, non sapendo a che santo votarsi, ne parlò
ad un vecchio amico di famiglia, un certo Gotti,
il quale in gioventù aveva lavorato col suo povero marito. Il Gotti negli anni si era dato
da fare ed era ormai un piccolo armatore. Aveva messo su una flottiglia di
pescherecci. S'accordarono sulla necessità di dare un futuro a quei
tre ragazzi. «Penso di poterla aiutare, Emma, e non solo per la
memoria del suo povero marito, che è stato un mio collega ed amico e di cui
sempre rimpiangerò la scomparsa, ma anche per una mia necessità. Sto per
armare una barca nuova per la prossima campagna di pesca, una bella barca
all'antica, fatta coi migliori legnami...», il
Gotti si interruppe come preso da un pensiero improvviso,« ebbene sì. La
chiamerò " I Tre Fratelli "e, dato che i suoi figli sono marinai
nati, ne affiderò il comando al maggiore ed i
minori saranno il suo equipaggio». Alcuni giorni dopo, il peschereccio " I Tre
Fratelli", colle fiancate azzurre a liste bianche, usciva dal porto e
prendeva il largo. I fratelli a bordo mandavano baci alla madre, ritta
sull'estremità del molo, sotto il faro di dritta, che li salutava
sbracciandosi, commossa ed orgogliosa.
Il peschereccio "I Tre Fratelli" pescava a
metà canale quando ad un tratto, verso le dieci di
sera il tempo si fece brutto. Un impetuoso ed imprevisto colpo di vento
investì ambo le rive del canale. Non era stato emesso nessun avviso di
burrasca, anche se quel tratto di mare era famoso per le follie del vento e
delle correnti. Nanni ebbe un presentimento. Chiamò i fratelli e fecero
consiglio. Bisognava ritirare le reti a bordo e tornare in porto.
Immediatamente si dettero da fare. Il vento, fino ad allora
moderato, iniziò a soffiare con sempre più violenza. Il cielo si fece di pece, un'ombra nera scese sulla superfice del mare che prese a rumoreggiare e
schiumare. Con uno spaventoso frastuono il libeccio si avventò sul
canale, scavandovi valli e sollevando colline le cui cime erano
frastagliate dalla schiuma. La "I Tre Fratelli" si diresse verso terra
filando col vento in poppa e cavalcando l'onda ad una velocità vertiginosa.
Lo scafo scricchiolava sotto sforzo. I tre fratelli avevano indossato le cerate e stavano in
silenzio, intimoriti dallo scatenarsi degli elementi. Nanni teneva il timone ed i suoi fratelli, non volendolo
lasciare solo con quella responsabilità, gli stavano aggrappati, cercando
le luci sulla costa e guardando la bussola. «Corriamo dritti sul Basso! », gridò Nanni, a voce
strozzata, «la barca non si fa manovrare!» Il "Basso" era una secca assai temuta, intorno
alla quale il mare si squarciava, irrompendovi con violenza. « Attenti! Reggetevi! Ci siamo! Siamo sul Basso!» Il peschereccio ne era stato
aspirato. Girò su sé stesso, ricevendo un urto interminabile dalle acque
sconvolte e quasi si capovolse, poi fu lanciato fuori dal
cerchio infernale, inclinato su un fianco, senza governo, alla deriva, col
timone spezzato ed il fondo spaccato dalla zavorra. Dal fasciame sfondato di babordo le onde spazzavano la
coperta della barca e ne invadevano l'interno. Per due ore, con un'ascia, una mazza ed una leva, i tre
fratelli abbatterono tutto quel che potevano
dell'attrezzatura esterna: liberata la tolda, il pericolo di capovolgersi
era minore. C'era solo da sperare che lo scafo senza governo, non
affondasse per l'acqua che penetrando al suo interno l'appesantiva sempre
di più, fino a sembrare una bara galleggiante. I tre fratelli avevano smesso di urlare e di agitarsi
frenetici: avevano raggiunto l'insensibilità della disperazione e la morte
poteva ormai infierire. Sedevano abbracciandosi stretti, guardandosi nel
bianco degli occhi allucinati, in attesa di
un'onda più malefica, del suo contraccolpo feroce, del mare urlante che li
voleva ingoiare.
«Emma...!» Si svegliò di soprassalto. Sentì il suo nome scandito
netto e chiaro nella mente e nella camera buia. Così forte che l'aveva destata.
Rabbrividì dall'emozione. Aveva sognato suo marito. L’aveva chiamata. Il
suo povero giovane marito. Così giovane che lei avrebbe
potuto esserle madre, ora. Stette in ascolto, sotto le coperte, ad
occhi ed orecchi aperti. "Chiamami ancora, ti prego. Dimmi cosa vuoi...". Una lacrima scese sul guanciale scivolando sulla sua
stanca guancia. Si scosse e si sollevò. Accese la piccola lampada a fianco del letto e guardò la
piccola foto incorniciata del suo bel marinaio. "Cosa succede, cosa volevi dirmi?" Il vento fece tremare i vetri della finestra e la tenda
si sollevò, spinta da uno spiffero o da chissà
cos'altro. Un nuovo brivido la percorse ed
un'apprensione strana si fece padrona della sua persona. I pensiero dei suoi tre figli
in mare le tolse il respiro. Scese dal letto di fretta, si vestì sommariamente, scese in
strada e sola nella notte ventosa corse fino ai moli battuti dalle onde, in
direzione della Capitaneria. Forse faceva ancora in tempo, se c'era un po'
di giustizia divina, ma doveva far presto, presto, presto... L'ambiguo segnale spariva e riappariva sul verde schermo
del radar. Nella buia plancia si respirava la tensione della caccia nella
notte. Gli scrosci di mare a prua si frangevano sul ponte, sembravano voler
demolire le strutture dello scafo e le sicurezze degli uomini che
silenziosi guatavano nella burrasca. Durante il "time on target" ( tempo durante il
quale il bersaglio veniva illuminato illuminato dal fascio elettronico sventagliato), capo Genna riuscì a rimuovere l'ambiguità ed agganciò il bersaglio. Il peschereccio
"I Tre Fratelli" - che altri non poteva essere in mare quella
notte - diventava
visibile ogni qual volta cavalcava la cresta dell'onda, per scomparire
subito dopo nel cavo di quella successiva. La motovetta ogni-tempo, affrontava il mare ed il vento di prora,
acconsentendo, per quanto possibile, il moto ondoso. Il timoniere accennava
a salire sulle onde prendendole per linee oblique, dando motore ed
eseguendo degli slalom per risalirne le creste. Quando con la luce dei fari riuscirono ad illuminare il
peschereccio semiaffondato, senza governo ed in
balia delle onde, la frenesìa e la tensione fecero proruppere i marinai in
grida rabbiose e quasi animalesche. Non c'era tempo da perdere: erano
arrivati appena in tempo. Fu sparata una sagola a
bordo del peschereccio per unghiarlo e tenerlo a
bada. Nanni ed i suoi tre fratelli erano allo stremo delle
forze e della ragione. Un lungo ed all'apparenza interminabile tempo fu necessario
per trasbordare i naufraghi, mentre il timoniere della motovedetta aveva di
che lanciare maledizioni per tenere il peschereccio-bara lontano dal suo
scafo. Era un balletto allucinante, scandito dalle manovre di timone e di
motore e dalle invettive dei marinai contro il mare rabbioso, gorgogliante,
ringhiante e schiumante, alla luce dei fari che illuminavano a volte il
cielo nero, a volte l'acqua nera che sembrava
accanirsi contro i loro sforzi, bestia intelligente ed irosa alla quale
stia per essere sottratta la preda. Quando anche Nanni, per ultimo, fu a bordo della
motovedetta, i due potenti Isotta Fraschini ruggirono di soddisfazione, il timoniere accostò a
sinistra imprimendo una scodinzolata beffarda al mostro rimasto a bocca
asciutta. I tre fratelli erano salvi. Ma "I Tre Fratelli",
il peschereccio bianco a liste azzurre, lentamente sparì sotto le acque,
inghiottito nel silenzio dei fondali. Il mare mugugnò,
mentre la forza del vento sembrava calare:« I
conti tornano. Sempre "i tre fratelli" sono. Mi ritengo
soddisfatto» L'ombra nera
acquattata nel fondale stava silenziosa. «Tu
invece sei rimasta a bocca asciutta», sembrava quasi allegro, il mare, dopo
la sfuriata. «Tutto mi sembra estremamente chiaro», bisbigliò l'Ombra Nera, «qualcuno
si è messo in mezzo. Li avevo quasi presi, i tre fratelli, ma se per te non
fa differenza, per
me è lo stesso: è vasto il mare, e miliardi gli orizzonti da schiantare »,
e si dileguò nel nulla.