ilgrandesonno


Il drusiano





A meno che non si viva nella giungla amazzonica o ad Ushuaia è difficile non avere scheletri nascosti nel doppiofondo dell’anima o nelle segrete pieghe della vita o murati nelle fondamenta della propria casa. Tutti hanno qualcosa di clandestino da tener segreto. Non dico di vizi obbrobriosi, passati di cui vergognarsi od errori infamanti. Se ci pensi poi lo trovi, possa essere piccolo quanto vuoi: ce l'hai. Forse potrebbe essere una minima infrazione alla morale corrente, una fuga dopo un urto ad un paraurti, l'aver calpestato con somma soddisfazione una lucertola, ma se te ne ricordi, vedi che è rimasta là da qualche parte per dirti: hai sbagliato e dovresti pagare. Si svegliò di soprassalto, impaurito, e guatò nel buio, ansando come se avesse corso. Gli scheletri dentro il suo armadio ballavano la rumba. Sentiva quelle ossa tintinnargli lugubramente nei denti e nelle orecchie. Fuori dalla finestra il cielo si illuminò e lo schianto secco del tuono tornò a far tremare i vetri della finestra. Guardò la sveglia. Erano appena le sei. Stava sognando quando il tuono lo aveva tirato fuori dal sonno molesto. Sognava di scappare, come sempre, ma il risveglio non aveva migliorato affatto la sua condizione, almeno non più di tanto. Certo, smetteva di correre, smetteva di cercare angoli bui o anfratti o sgabuzzini, fossati o frasche intricate, ma non riusciva a spogliarsi dall'incubo di essere inseguito da qualcuno.
Scappava forse da quel maledetto drudiano coi baffi spenti come i suoi occhi. Se lo ritrovava sempre tra i piedi. I loro sguardi mai si erano incrociati. Ma non passava giorno che non lo vedesse: tra la folla, dall’altra parte della strada, alla guida di un'anonima bianca utilitaria, riflesso in una vetrina: prendeva i suoi stessi tram, mangiava le stesse schifose pizze che mangiava lui. Si muoveva ingobbito, una via di mezzo tra chi finge di guardarsi i piedi per non farsi vedere negli occhi e chi se ne frega del mondo circostante.
Ma un giorno aveva fatto un errore madornale, per un pedinatore. Aveva affondato la faccia dietro un giornale a rovescio.Quel giorno ebbe la consapevolezza che non stava più facendo un passo da solo, che ogni istante della sua vita era spiato. Ed è dannatamente complicato vivere normalmente, quando si è spiati sempre, senza respiro: si è destinati ad alterazioni interne, manomissioni senza rassegnazioni, si è presi nelle spire di un serpente in paziente attesa dell'ultimo respiro prima d'esserne ingoiati e fagocitati.
Il drudiano non era nè alto nè prestante. Era un uomo che non significava niente. I suoi abiti erano fatti apposta perchè gli sguardi scorressero sopra di lui senza trovare appigli; un uomo di mezza età fra tanti, un uomo quasi invisibile sulla cui presenza potreste aver avuto dubbi, c'era chi? non mi ricordo, ma siete sicuri che ci fosse anche lui? una specie d'invitato ad una festa che nessuno va a salutare e che se ne sta a far tappezzeria con un bicchiere tra le mani, di cui nessuno si ricorda. Una fregatura se occorresse avere un alibi, dimostrare che si è stati in un luogo ad una certa ora, una fortuna se si fosse catturati dopo una rapina e nessuno si ricordasse di aver visto quella faccia, quelle spalle.
Il drudiano aveva trasformato la sua vita in un pozzo senza fondo. Lo scoprire di essere pedinato e controllato gli fece considerare essenziale vivere riflettendo su ogni minimo gesto e passo che faceva e, se si distraeva un attimo, subito ricomponeva i suoi pensieri e si domandava se per caso avesse fatto qualcosa di imprudente o se fosse diventato più vulnerabile.
Lo temeva, sì, ne sentiva l'ostilità e ne aveva paura, per il male che poteva fargli ma non si sarebbe fatto portar via tranquillamente. Intanto lo odiava. Le sue ghiandole stavano lubrificando le rotaie dell'odio:paura ed odio formano una miscela micidiale, putrida e torba, velenosa ed urticante, una bomba umana naturale e pronta ad essere innescata, quindi lo odiava alla morte, l'avrebbe voluto vedere morto e stecchito, lo avrebbe voluto vedere coi suoi occhi stretto in una bara, avrebbe lui stesso inchiodato con soddisfazione il coperchio se gliene fosse stata data l'occasione.
La notte più che dormire, smaniava, ed al risveglio, appena si rendeva conto di respirare nel suo miserando essere, subito l’apprensione e l’ansia lo assalivano: andava ad aprire uno spiraglio di finestra per guardare giù in strada, per farsi poi sbattere nuovamente sul letto dalla stanchezza mortale che l'assaliva al pensiero che il drudiano stesse facendo la stessa cosa dalle centinaia di finestre socchiuse dei palazzi sulla via. A braccia aperte guardava il soffitto senza vederlo, vedeva tuttavia sé stesso, disperato, carico di paura e d’odio.
Nella sua inattività non si era reso conto di aver iniziato a concepire un piano: era emerso alla sua coscienza così, un po' alla volta, nel suo peregrinare tra passi senza svolta e direzione. Avrebbe costretto il drudiano ad un chiarimento in un modo o nell'altro, l'avrebbe preso per il collo e gli avrebbe intimato di parlare, perchè mi pedini? perchè ce l'hai con me? parla! carogna! e guardami negli occhi perdìo quando ti parlo! Chi sei? cosa vuoi? doveva solo sorprenderlo avvicinandolo e perchè no? doveva lui stesso pedinare il drudiano, approfittare di un momento di calca nella folla, puntarlo ed andargli incontro, senza guardarlo negli occhi, come faceva lui.
Così scese in strada e quel giorno per la prima volta da chissà quanto tempo, si sentiva già un po' liberato. In tutti i casi una decisione è una decisione, comunque la si prenda, e camminava quindi un po' più sciolto quasi pregustando l'occasione che gli si sarebbe potuta presentare certo com'era d'avere il drudiano alle calcagna. La folla sconosciuta gli apparve meno molesta, e prestava ascolto anche ai chiacchiericci mozzati dei passanti che come refole di vento lo sfioravano. Il traffico intenso gli appariva sì rumoroso, ma meno claustrofobico, anzi lo incuriosiva un poco, ma dove andava tutta quella gente? Ebbe il dubbio d'essersi perso qualche cosa anche nelle vetrine un po' meno specchio alle sue spalle e, strano a dirsi, si trovò fermo a guardarvi dentro, benchè quello fosse un marciapiedi che percorreva da anni, ma quanti? quanti ne erano passati? Si scoprì anche a dare un paio d'occhiate al soffitto della strada, per l'occasione azzurro ma un po' più azzurro di quel che si ricordava, ed a guardare bene, a guardare meglio, forse lo si sarebbe potuto dire turchese, ma volendolo osservare con più attenzione e meno limitato dalle facciate dei palazzi e dai loro tetti camminando si spostò verso destra, sì, era proprio turchese o si diceva turchino? o era ghiandaia? Forse udì lo stridìo della frenata o forse no.
Un po’ per abitudine si guardò dietro le spalle, si fermò davanti alle vetrine per vedere l’altro lato della strada, occhieggiò e sbirciò dentro le utilitarie bianche. Non c'era traccia del drudiano, che il mondo stesse diventando davvero un posto migliore? Poco più là il traffico era fermo e qualche clacson fastidioso strombazzava spazientito niente affatto desideroso di vedere un mondo migliore. In mezzo alle auto ferme si andava formando un capannello di persone. Come multipli eco gli giunsero le voci della folla, è morto, c'è rimasto secco, lo dico sempre, io, non si vive più in questa città, sì però s'è buttato sotto l'auto, poveraccio, chissà da dove viene, boh! c'è poco sangue, a volte basta un niente, senza nemmeno rendersene conto si ritrovò nel capannello di gente a guardare l'uomo steso sull'asfalto sporco e si guardò intorno come un Caino. S'immaginava già un funerale striminzito, veloce e menefreghista. La deposizione nella fossa della bara contenente quel che era stato il drudiano una scocciante formalità. Il muratore che la chiudeva sbuffava perchè non si vedevano mance. L'incubo era terminato. Accennò un respiro a pieni polmoni, liberatorio, ma scoprì che non aveva affatto bisogno di respirare, anzi era da un bel po' che non prendeva fiato, eruppe allora in una risata silenziosa: comunque fosse andata era finita, dal fondo del canyon alzò gli occhi all'azzurro cielo e saltò su per non tornar più giù.





(C) ilgrandesonno - Tutti i diritti riservati