_______________________________________________________________________________________________________________
Il Carro de’ Tespi
ilgrandesonno
Una voce:
..Pulirla, certo,
pulirla... Erzi: ..Chiamate almeno..qualche
donna. Avvertite..che venga una
vettura. E poi il padre. Fatelo venire..con
una scusa...non ditegli... Cust: Elena. Non morire. Vivi.(silenzio) Elena... (con spavento e quasi
furore ) Ma dunque
questa ragazza morirà? ( balbettando) Ma questa
ragazza...poco fa era qui...per un nulla diventava
rossa..era così giovane... io vorrei
dirle... (s'interrompe). Come se assistessero ad una messa, le donne stavano
sedute e gli uomini in piedi, un po' defilati e pronti all'uscita, ché una volta un uomo mai si sarebbe seduto sulla panca
d'una chiesa, ma là, in quella piccola e spoglia piazza - solo uno slargo
tra le facciate scrostate delle case - coperta da uno strato di grosso
bianco pietrisco, si andava a consumare una specie di rito che con la
religione aveva in comune solo la fede di chi crede nel profano oltre che
nel sacro, e che ha bene in mente il
patto della momentanea sospensione dell'incredulità. La compagnia era arrivata nel primo pomeriggio. Non con
un carro tirato da giganteschi buoi della val di
Chiana, ma con un residuato della recente guerra: un Dodge
a tre assi che probabilmente era stato trafugato
all'Ottava Armata ed usato nel traffico del mercato nero. Per quei tempi,
quel camion ansimante e fumigante, scorbutico e rumoroso, dagli scarichi
puzzolenti di nafta e coi pneumatici di gomma
piena semibruciati era un moderno "Carro de' Tespi". Il cassone dietro la cabina era coperto da un paio di
strati di logori tendoni, anch'essi residuo di vecchi accampamenti cuciti
assieme. La carrozzeria malandata era stata riverniciata alla buona ed
aveva il colore impreciso delle spennellature a mano, rugose, sode, sulla
ruggine che sgallava in superficie. Con un grattare di metallo, un ritorno di fiamma ed una
fumata nera, un rotolìo di differenziale senza
una goccia d'olio, il camion si era fermato. Ne erano discese quattro
persone che si dividevano la cabina chissà come. Un uomo di mezz'età, con un nero e rado riporto di
capelli e dal viso di vecchia faina - dal modo di fare sembrava il
capocomico - parlottava fitto con un giovanotto, magro, dritto, coi capelli ricci impomatati ed un pomo d'adamo secco ed in fuori di chi pare che abbia una bella
voce da cantante; una donna dall'età indefinibile di certe femmine tra i
quaranta ed i cinquant'anni, con occhiaie
profonde ed occhi neri e penetranti, ma con lo sguardo di chi ha visto
troppe cose e quasi sempre poco piacevoli, teneva per la mano una giovane e
bella ragazza dai capelli castani, lunghi sulle spalle e un poco mossi, ad
onde, ma opachi come il rame quando è vecchio, come opachi ed un po' spenti
sembravano i suoi occhi, seppure intinti nell'azzurro, ma con il bianco un
po' arrossato, malaticcio. Al calar del sole, quando il vento abbandonava il mare e
girava da terra e le falene e le zanzare prendevano a svolazzare intorno
alle rare lampade gialle appena accese, un'insolito scalpiccio e
chiacchiericcio s'avvicinava verso
quello spiazzo di pietrisco grossolano solitamente adibito a mercato
del pesce o delle vacche. La gente del paese, informata dal passa-parola ed
incuriosita, usciva dalle abitazioni con la sedia in mano, le donne coi ferri per fare la calza, gli uomini con la sigaretta
in bocca. Quella sera lo spiazzo diventava il Teatro, con le sue magìe, piccole e grandi che fossero, rare occasioni di
far volare l'anima dai corpi magri, macilenti, distorti dalla guerra.
La cabina del Dodge fungeva da
camerino. I teli del cassone erano la gonna che copriva le
vergogne dei vecchi penumatici screpolati mentre
s'inventavano anche d'essere una specie di sipario, dietro il quale in gran
segreto si sospendeva il tempo per fuggire in altri cieli ed in altri mondi
o chissà dove. Tutti si facevano più vicini possibili al Sipario. Cust: (si sta guardando la mano
con terrore) Ho il suo sangue qui,
sulla
mano! Io non l'ho toccata, non l'ho toccata!.( si pulisce istericamente) Croz :
Oh mio Dio, Cust! E' qui la madre!
L'hanno chiamata. E adesso, chi glielo dice,
come si fa. Oh che seccatura, che pasticcio.. Come faceva buio, il dramma iniziava. Erano storie fosche, tormentose. L'Estraniazione era di
là da venire, e gli attori, innati istrioni, esageravano gesti, scandivano
il testo in tempi biblici e guardavano il pubblico come se fosse un loro
particolare confidente e complice. Il pubblico dal canto suo, incitava gli attori o
manifestava la sua contrarietà gridando il suo
diniego, si arrabbiava e si faceva sotto il palco, e c'era anche chi
bestemmiava. Le donne di solito piangevano sferruzzando. Elide: Oh, ma cosa volete ancora da me! (lasciandosi
trascinare dentro, diffidente e
piagnucolosa) Che c'è, che c'è?
Lasciatemi stare!Lasciatemi in pace... Cust: (gridando) Non potrete più starvene in pace, Elide!
Vostra figlia. La vostra
bella...cara Elena (quasi solo a sé stesso) è morta. E' morta.
L'attrice giovane
scese tra la gente con un secchiello di latta zincata. Si muoveva con la
grazia possibile data dal pietrisco, fingendo di guardare i visi invece del
vuoto, ed adescava le offerte per il dramma appena messo in scena. Gli uomini,
giovani e vecchi, galanti ed incuriositi ne spiavano le fattezze e per fare
gli uomini di mondo ostentavano manate di monete e le facevano tintinnare
arditamente. Le donne commosse ed aggregatici, la carezzavano con lo
sguardo, quella giovane morta rediviva che aveva fatto inumidire i loro
occhi, ed anch'esse andavano a frugare nei piccoli borselli. La "morta" piangeva, e non si capiva perchè,
dato che era pur bella e viva ed andava meticolosamente raccattando nel
pietrisco le monete che mani sbadate avevano lasciato cadere fuori del
secchiello, quando un bimbetto, dopo essersi rufolato
nelle tasche ed averne tirato fuori un diecino -
di sicuro era l'unico che possedeva - e dato che l'uomo è uomo anche se
piccino, lo aveva ficcato timidamente nel secchiello, non senza fissare gli
occhi rossi di pianto ed il viso bagnato di lacrime di quella strana
ragazza. Nello stupore generale l' attrice piangente si lasciò cadere seduta per terra a gambe incrociate, lì in mezzo alla
piccola folla, ed improvvisamente abbracciò il bimbetto stringendoselo al
seno: «Gioia mia, vieni da me, vieni da mamma
tua...». Il bimbo, stupefatto, sentì le lacrime e le labbra della donna
bagnargli il viso e si trattenne da un gesto di ripulsa, forse per timore o
forse per sorpresa, ma sua madre lì vicina non
equivocò e s'avventò come una furia sull'attrice:«Lascia stare mio figlio!
Tu sei pazza!» L'attrice non voleva saperne di lasciarlo andare, anzi
strinse il bimbetto ancora più forte tra le braccia e le gambe facendogli
affogare il viso nei suoi lunghi capelli ramati. La folla intanto s'era
allargata a cerchio, per non perdersi niente e consumava gratis un' altra messa in scena. La madre del bimbo gridava:
«Lascialo, maledetta!», ed intanto strattonava con una mano il figlio per i
calzoni corti e con l'altra la chioma dell'attrice per separarli. «E' mio! mio, mio!» strillava l'attrice e guardava le facce
intorno con occhi da tigre, gli sputava contro ed intanto scalpitava
nel pietrisco, sollevando un nugolo
di polvere. «Ferme! ferme, perdìo! E voi? che state a guardare? Fate qualcosa, no? Separatele!» , gridò l'attor giovane ed insieme agli altri due
attori della compagnia si tuffò nella mischia e sollevò di peso la giovane
attrice che adesso pareva in preda a convulsioni e che come una serpe si
divincolava in aria, gonne al vento, senza vergogna, le belle cosce lisce e
pallide sfacciatamente aperte a mostrare la biancheria. Un mormorìo si levò tra gli
uomini, un lamentoso sospirare tra le donne. « Scusate, soffre un po' di nervi», disse il capocomico
con la mano sul cuore, «ha perso un bimbo, l'ha
perso di recente. Una disgrazia. No. Non ci voleva. Scusate signori e
perdonate. E' un dramma: un vero dramma, perdere
un figlio.Voi lo sapete. Non c'erano medicine.
Non c'è stato niente da fare. La vita..», sì, la
vita a volte è il vero dramma, ben più grande di tutti i drammi che una
penna può inventare e sviscerare, tremenda e nomade, passeggera dentro
storie eguali che non hanno eguali. Ognuno conserva la sua, ognuno ne ha la
sua riserva, ognuno ne è consumato. Fuori scena.