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Ottoni
ilgrandesonno
Non c'č nessuno che conti qualcosa per la strada oblunga
di solitudine. I vetri ciechi dei palazzi lasciano filtrare solo luci pressochč tombali. L'odore di gomma bruciata, il tanfo
di fogna a cielo aperto, guadagna in intensitą mentre
si fa sera e poi notte. I polmoni della cittą sembrano intasati. Il
marciapiede non offre niente da maledire, a parte le grinze ed i minorenni malcresciuti con lo sguardo vecchio ed i capelli folli.
Non č granchč come passeggiata dopo il vespro, niente
che possa meravigliare un passante assente, sempre
pił assente. Nell'azzardo di queste passeggiate che mi spingono sempre pił
lontano nella segreta speranza di urtare qualcuno, mi fermo
davanti alla vetrina d'un negozio. Un neon grigio illumina malamente d'un a giorno sporco e polveroso, trascurato,
abbandonato lą da chissą quale eternitą, gli ottoni untuosi d'un paio di
trombe ed il metallo attaccato dalla ruggine dei cembali. Le cinghie di
cuoio fieramente screpolate collegano in un assemblaggio pericoloso gli
strumenti divinamente rumorosi: quello quasi lo intendo,
o č una specie di ricordo? Corni,
cembali, tamburi,
campane, fisarmoniche aspettano - forse invano - di riprendere la loro
esistenza rumorosa. Un materiale superato da clown consumato, finito e
superato: quando ho visto un pagliaccio per l'ultima volta? Mi specchio di profilo nella vetrina, sbircio il mio
mento, ormai leggermente aguzzo, quindi non mi manca niente, ne ho
l'ispirazione e l'intenzione e la porta del negozio s'apre come per incanto
davanti a me. Entro e vedo uno strumento riflettersi in un vecchio specchio
dagli arabeschi sconosciuti, come se mi sopravvivesse nel cuore da una
vita. La mia mano ed il mio dito indice
interrogano il vecchio bottegaio grinzoso e curvo. Non chiede
ma implora piuttosto il quanto che a me sembra irrisorio. Esco. Lo strumento č in una borsa stretta e lunga, forse
troppo stretta e poco lunga. Forse č un 'impressione, ma credo che l'ottone abbia bisogno
d'aria, che voglia respirare, che sia impaziente, o lo sono io?. Lo faccio uscire come un bimbo dalla pancia della mamma
e subito mi sgancia dalle guance delle note confuse, dei si
bemolle rauchi che si schiariscono la voce, un fa da marcia in campo, un mi
bemolle schizza improvviso e lancinante. Qualche sguardo intorno si perde nel vuoto, altri si
solidificano ma non ci sono fughe
improvvise o attacchi di nervi, nemmeno cadute in catalessi. Gią molte
delle vittime passanti sono prostrate da ben altro, gocciolano bava
invisibile dalle labbra, hanno le membra contratte di chi non ce la fa pił,
ma in un soprassalto
quelli che hanno sopportato l' attacco delle note vibranti ed aggressive
per stasare i condotti cominciano a muoversi e fanno pensare al ballo di
San Vito: s'arrotolano intorno agli squilli che s'alzano e cadono per
terra, rimbalzano ed attraversano la strada. La tromba ha la febbre ed abbonda di note che chissą
dove s'erano nascoste in tutto quel tempo
trascorso in vetrina. Esplosione di note
sragionanti accenti allegri di pazzia salti pericolosi sul marciapiede nave allegra che affonda mentre i matti salutano felici la musica folle di slancio inusuale. Ma č tardi tuttavia. Il pubblico del marciapiede s'allontana, mentre la
tromba comincia a sonnecchiare suonando inesauribile in sordina: il jazz swinga sempre sotto il
cielo stellato.