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Donne







" Bambina innamorata,
stanotte t'ho sognata..
sul cuore addormentata
e sorridevi tu..."
Te la ricordi questa canzone, Maria? Certo che te la ricordi. In effetti non ero io che la cantavo. Eri tu. Al posto della 'a' mettevi la 'o' e a me sembrava una cosa un po' ridicola, perchè bambino proprio non mi ci vedevo più.
Però un certo effetto me lo facevi, anche se non mi rendevo conto bene quale tipo d'effetto fosse.
Mentre tu stavi a cantare ed a guardarmi - una cittadina come te, con un ragazzotto di campagna come me - m'immaginavo una nostra passeggiata in Via veneto. Quella strada ch’era così famosa anche nella mia palude.
Però vedi Bianca, io ti ho sempre portato rispetto. Forse negli anni ne avrai anche riso, di me, per la ritrosia che avevo a farti sentire quel mio coso che s'induriva appena ti sfioravo.Dici che ho perso un'occasione?
Ne ho perse tante, quindi una più od una meno che differenza vuoi che faccia? Comunque, anche tu - ed io me lo ricordo bene - allontanavi sempre la tua pancia dalla mia. Di te mi ricordo bene le tue attese. Non credo che ci sia stata un'altra ragazza che mi abbia mai aspettato così a lungo.Ti sedevi su quel muretto dall’altra parte della strada ch'era sempre giorno ed io passavo e ripassavo a vedere s'eri sempre là, mentre lavoravo col nervosismo di chi non vede l'ora d'andarsene. Poi non so cosa successe, cara Lia. Da sdraiarmi su di te, morbida e piccola, a ritrovarmi tra le braccia di un'altra a mezzanotte.
Considera Alessia, che Laura m'aspettava a casa sua, non quella Laura, quell'altra. In comune non avevano che il nome: dalle iridi grigie e trasparenti dell'una al marrone scuro dell'altra, occhi che quando ti fissavano sembravano trapassarti da parte a parte. L' una col seno piccolo e le cosce lunghe e forti, l'altra lunghe gambe nervose da ballerina e tette che facevano fischiare gli avventori dei bar seduti nei dehors. E tu Pia, che presi sotto un'acquazzone a primavera, con le teste coperte da un giacchetto di pelle ed i corpi nudi lasciati a farsi lavare dalla pioggia, certo non ero il primo, ma di me t'innamorasti, o almeno lo dicevi, mentre quella volta in casa tua, cara Marisa, la prima volta che tuo marito s’assentò, volesti per forza mettere mano a quella maledetta Polaroid che mi sembrava una cosa più sconcia che erotica. Eppur lo feci con te, ma me ne vergognavo e non ne sono mai andato fiero di quegli scatti che ti facevo. Eppoi Katia, ti ricordi delle serate dolci di primavera, in Poggio, sulle panchine, col tuo impermeabilino trasparente alla moda di allora e la minigonna che da seduta mostrava sempre la tua biancheria? Chiudevi gli occhi e spalancavi la bocca. Sembravi un uccellino in attesa dell'imbeccata. All'inizio mi eri sembrata molto fine e delicata ed avevo con titubanza affrontato la questione, poi mi resi conto che l'apparenza a volte confonde le idee. Non scrivemmo mai i nostri nomi sul legno di quelle panchine. Non ne avemmo mai il tempo. Quanto a noi, Federica cara, fummo marito e moglie di nascosto per molti anni, quindi che dire? Tu sai meglio di me come fummo felici, anche se nel frattempo accaddero molte cose e forse ora ne hai la bocca amara.«La vita s'ha da vivere», dicevo sempre e tu cara Mélanie mi prendesti in parola. Quante migliaia di chilometri percorrevi ogni anno con la tua Mustang rosa per venire a trovarmi? Furono anni memorabili, di indelebili ricordi, anche se avevi un bel po' di problemi: una giovane vedova come te, Micaela, non poteva non avere pettegolezzi dietro. E allora perchè non approfittarne? Tanto, che tu fossi stata una donna seria o meno, sempre i pettegolezzi ci sarebbero stati, o un fidanzato stanco che ritorna ad essere geloso e dopo un po' ti chiese addirittura di sposarlo e ti sposò contento, anche se aveva saputo di noi due, Beatrice, che per un'estate intera fosti mia come non lo eri mai stata di nessuno. Parole tue, Graziella, ma con te il mese durò un anno intero, tra alti e bassi. Ma io non ero più lo stesso e spesso, sempre più spesso mi fermavo a domandarmi sul senso delle cose e sulla vita stessa.
Non mi sentivo più una pietra rotolante e allora Franca, Rita, Yvonne che potevo mai fare se non fermarmi un poco a respirare? E quando tu, Fiorella, Vera, Metella, mi dividevi la giornata tra lo spogliarmi ed il rivestirmi, che mi sembrava d'essere uno di quei cabarettisti dai vestiti mutevoli in un batter d'occhio?
Tanto per capire.
La mia stanza è un letto con le lenzuola lise, dicevo sempre. Un bagno con abbondanza di acqua corrente calda e fredda. Un uscire dalle camere di fretta per entrare in altre camere.
Mi son guardato nello specchio ed ho stentato a riconoscermi: non avevo un aspetto familiare. Avevo un succhiotto sulla spalla sinistra. Elena, dove mi hai morso quell'ultima volta? Avevi un'espressione mesta, quando ti rimproverai, mi sembra di ricordare che eri anche un po' arrabbiata. Mi hai lanciato una lunga occhiataccia senza battere ciglio e quando sei venuta mi hai chiamato per nome. Non l'avevi fatto mai e sapevi quanto mi piaceva, Anna, che tu pronunziassi il mio nome in quegli istanti. Forse per ricordarmi come mi chiamavo, visto che a me non pensavo quasi mai. Ma ci pensavi tu a ricordarti di me, Angela (angelo mio), che il giorno prima delle nozze volesti esser mia una volta ancora ed erano passati ben quattro anni dall'ultima volta che avevamo fatto l'amore insieme, te ed io.
Chissà se sei felice.
Io...?
Io non lo so, dovrei pensarci un po’.








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