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di notte, con la luna







Guardati.
Dalla notte che su tutte predomina.

Sorge la Luna nella Notte del Non Pentimento. Sopra le nere chiome di alberi i cui rami sembrano protendersi verso di esso, l'astro si leva, in apparenza senza peso e potente; rimane basso sulle colline, grande, arancione e splendente come se la sua traiettoria fosse un ruzzolone cataclismico sulla terra e non la consueta orbita intorno al pianeta degli uomini e delle donne.
Contro il disco perfetto un corvo vola verso il suo ramo al lato opposto dell'immenso campo di grano. In qualche punto delle frondose solitudini del bosco una volpe latra. Il grano ha un colore argenteo nel chiaro di luna; gli alberi che lo circondano dai quattro lati formano corridoi di tenebre nella profondità della foresta. Da quell'ombra emerge la Vergine, velata di bianco, piccola, accompagnata dalla Madre e dal canto delle donne che in attesa sul limitare del grano maturo la circondano e la salutano stringendosela al petto. Insieme si inoltrano nel campo. Giungono al centro, dove é stato disteso un ampio lenzuolo bianco. La Vergine vi si siede velata, strettamente avvolta nel suo manto affinchè nessuna parte del suo corpo sia visibile. Le donne le si fanno intorno in cerchio.
Stanno in attesa, mentre la luna sale sempre di più in cielo. D'un tratto dall'ombra del bosco emergono due figure che si inoltrano nel mare di grano. Una donna precede un uomo, lo guida tenendolo per la mano. L'uomo ha gli occhi bendati e si muove con una certa difficoltà, traballante come un ubriaco. Nel mezzo al campo di grano, intorno al lenzuolo bianco, le donne si passano di mano in mano delle coppe dalle quali bevono avidamente come ansiose di inghiottirne il contenuto. Si sono suddivise in gruppi e nel modo più casuale danno inizio ad un sorta di libera danza, improvvisata, senz'alcun movimento prescritto, a volte armoniosa, a volte frenetica, ondeggiante, a volte a scatti repentini. Una di esse comincia a cantare in una bizzarra lingua, con una cadenza bizzarra e bizzarre variazioni, un'altra traccia strane figure sulla faccia della luna, e tutte, tutte, girano intorno al lenzuolo bianco dove la ragazzina attende supina.
L'uomo viene condotto bendato davanti al corpino della Vergine ed in piedi viene denudato e carezzato tra le cosce divaricate, toccato e graffiato nella schiena, sui glutei; gli viene tolta anche la benda e così, ora, lui può vedere tutte le donne che lo circondano ed i loro sguardi neri come pozzi e le loro labbra aperte a mostrargli le lingue svettanti nell'aria, poi vede la Vergine, vede quel corpicino nudo, pallido come la luna, privo di alcuna peluria, supino ed a cosce aperte davanti a lui e non può non avere occhi che per lei. La guarda nel cristallino brillante di luna cercando di capire l'incredibile e vi legge sfida sfrontata ed un'ombra di impossibile saggezza. Le accarezza le gambe a pizzicotti e le agguanta in una mano un gluteo piccolo e sodo.
Il corpo della ragazzina ha ancora tutta l'acerbità dell'infanzia, ed è ancora un po' informe. E' una donna in miniatura, un frutto agro eppure umido come un frutto maturo pronto da mangiare.
L'uomo gliela titilla con la punta delle dita. Lei gli afferra il pene con le due piccole mani, cercando e frugandolo sotto. Forse quelle piccole dita mettono paura all'uomo, seppur forse ebbro o drogato perchè tenta di trattenerle le braccia, ma non ce la fa a tenerla lontana. La Madre si fa loro vicina. Come tutte le altre donne intorno anche lei scotta e smania, ma il rituale deve andare avanti: l'uomo deve fare la sua parte, indispensabile benchè minima, e deve essere un fuoco da bruciare. L'uomo insinua una mano fra le cosce calde della Madre e la sente bagnata,« voglio te», le dice; la donna si tira su la gonna, gli agguanta il pene e ne strofina la punta tra le sue cosce. Fa le fusa all'uomo come una gatta. Gli prende una mano e se la preme sul seno:« Prima lei», gli risponde. La piccola Vergine vuole essere aperta subito, vuole dimostrare d'avere appreso la lezione perciò s'incunea tra l'uomo e la Madre. Fa tutto da sola. Gli si mette a cavalcioni per strusciargli col pancino sul pene, poi allarga le magre cosce, si apre la fessura con le dita e tenendola aperta per inghiottire la parte arroventata, spinge e le si apre e le si dilata e l'uomo non comprende come possa fare a riceverne così tanto, e lei seguita a divorarne, a grado a grado, imperterrita fino ad averlo tutto dentro e pare che se la sia come rivestita del pelo dell'uomo e ride, ride, la cucciola, oh, quanto mi piace averlo dentro, dice alla Madre, con la voce scossa dai colpi di reni.
Brava, brava, le risponde la Madre, hai imparato tutto, hai imparato bene, e lei gorgoglia, spasima e geme e l'uomo non vorrebbe, vorrebbe togliersela da lì sopra, vorrebbe sbatterla lontano e prendere e sfondare la puttana che l'ha portato in mezzo a quel campo di grano, pazze bastarde, tutte quelle donne che intorno lo guardano mentre si scopa una bambina, non la volevo scopare, devo esser matto per esser venuto qui, ma il suo pene ha un cervello suo nella testa pelata lucida ed infiammata e continua a scivolare dentro ed a cozzare contro il retto del gracile corpo della ragazzina.
A lei esce una fiumana tra le cosce. Un profluvio che sembra non aver mai fine da quella natura glabra che l'ha preso tutto dentro e palpita ad ogni colpo di reni della penetrazione. Bambina perversa, non dovrebbe neanche saperlo, alla sua età, che si fanno certe cose, pensa l'uomo come può, intanto però spinge e spinge in fondo e la ragazzina se lo tiene stretto con le sue magre cosce intorno al collo. Non è più una bambina, ormai, ma una donna che lo vuole tutto per sè ed a lungo.
Nella pazzia al chiaro di luna l'uomo ha la faccia contorta in uno spasimo di lussuria, un suono tremendo, un ruggito, gli vibra in gola; lo tira fuori, glielo sbatte sulle piccole cosce aperte e poi torna ad immergerlo nella molle ferita rossa ed infiammata, e poi di nuovo e poi ancora e poi di nuovo ed ancora: ogni volta é una nuova conquista, un altro grido fino al primo schizzo ed all'ultimo grido, ma l'ultimo grido gli viene tagliato via: è questione di pochi secondi. Una donna intreccia le dita tra i capelli dell'uomo, lo costringe ad arrovesciare la testa e si scosta quando, con un'espressione folle, la Madre balza contro di lui. Una spicchio di luna d'argento lucente le scintilla nella mano. La Madre solleva lo strumento affilato e guidandone la lama con la mano libera lo passa fulmineamente sulla gola esposta lasciando che affondi. L'ultimo ruggito si trasmuta in un urlo selvaggio per sparire in un gorgoglìo rosso e schiumoso torrente che sorge da un sipario squarciato per inondare il petto il ventre e le cosce dell'uomo e poi sul lenzuolo e sulla vergine e sulla terra. Una donna si avvicina con una coppa, un'altra abbassa ancora di più la testa ciondolante verso la schiena per raccogliere il sangue ed ancora sangue, ed altro sangue, altre coppe ed altre donne e poi bevono e spargono il sangue sul grano intorno, mentre la luna non se ne fa poi granchè specie: continua a rotolare per il cielo ed a splendere sempre più argentea e sempre più altezzosa, o forse complice.
Il grano ha un brivido, una specie di fruscìo lo percorre gelido, un' onda, un sussulto, o forse é solo il vento di terra, quando le ombre delle donne si dileguano nella profondità di tenebra del bosco.

Tremate.
Tremate.
Le Streghe son tornate.






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