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      L’amore è vario

Ilgrandesonno

 

 

 

 

 

 

 

 

                                                                                     

 

Con uso sapiente di fondo tinta, Liana ammorbidiva e lisciava un po' il suo viso. Pensava a Rolando, e le venne in mente 'Potta di Ferro'. Potta di Ferro appena si accorgeva che una delle ragazze della casa aveva un ritardo, tirava fuori i suoi spilloni. Quanti aborti le aveva procurato? Se ne avesse fatto uno di meno, forse adesso avrebbe avuto un figlio. Un ragazzo come Rolando, un ragazzo che avrebbe potuto avere la sua stessa età.
Sapeva bene che la loro era una situazione al limite, ma quando mai la sua vita era stata nei limiti? Di buon senso ne aveva sempre avuto poco sennò non si sarebbe ritrovata a battere ancora per la strada. Alcune sue ex colleghe s’erano sistemate, alcune prestavano anche i soldi a strozzo. Per quel che ne sapeva non avevano smesso ma s’erano fatte una cerchia di quelle particolari, per gusti particolari, pochi clienti un po’ strani e soprattutto silenziosi. Lei invece si faceva sbattere ai bordi della statale e non sapeva mai con chi aveva a che fare. Non aveva mai avuto un magnaccia e non lo voleva, ma non poteva più fare a meno della compagnia di Rolando, la notte.
Con la sola presenza del ragazzo qualcosa era cambiato, coi clienti. Lui parlava poco, lo stretto necessario, «..quanti siete? Ora parlo io con la signora, aspettate qui. Solo due, non di più. Tornate domani notte..», niente di complicato, cose così, ma la sua giovinezza prendeva di sorpresa le persone che nel dubbio si facevano più rispettose. Da quando c'era Rolando nessuno si era più preso gioco di lei, ed era stufa e stanca di subire le prese in giro di quei cafoni. Quello che vedeva nello specchio era ancora un bel viso, ed anche se gli anni e la vita le pesavano nello sguardo, i suoi alti zigomi, gli occhi azzurri e la bocca dalle labbra ben disegnate  facevano ancora voltare gli uomini per strada.
La sera prima, col ragazzo, si era divertita in un bar, pieno di bravi-uomini-padri-di-famiglia.
Si erano messi d'accordo, lei e Rolando. C'erano due o tre persone che voleva umiliare là dentro, per quanto ne era stata umiliata lei e la serata era quella giusta. Si era caricata bene, con qualche bicchierino di grappa.
A braccetto e sorridenti erano entrati e si erano avvicinati al banco. Il barista se ne stava in silenzio, ombroso: Liana non era la benvenuta in quel locale. Avevano chiesto da bere ed avevano brindato  toccando i loro bicchieri, poi si erano guardati in giro. Nell'aria fumosa, gli uomini, soli clienti, giocavano a carte occhieggiando lei e Rolando di straforo, tra un liscio ed un busso.

    

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«Ragazzi. Mi sembra che ci sia un bel mortorio, qua dentro, eh? », aveva detto Rolando, sfacciatamente a voce alta e, come solo un ragazzo può fare, aveva posato un innocente sguardo circolare sulle facce di tutti gli avventori .
Qualcuno lo aveva fissato alzando i sopraccigli. Altri non lo avevano nemmeno considerato.
« Scusate, eh? Ma da quanto tempo non vedete un po' di pelo biondo? »
A quelle parole, tutti avevano alzato le teste, guardandolo tra il dubbioso e lo sconcertato.
« Liana, per favore, fai vedere qualcosa a questa brava gente, che si ricordino come è fatta una donna vera…»
Liana, aveva sorriso mostrando i denti e, guardando tutti negli occhi aveva divaricato un le lunghe gambe e si era eretta  in tutta la sua altezza: era più alta della metà degli uomini, là dentro. Aveva aspirato tutta l’aria ferma del bar sollevando il seno prosperoso; con la mano destra aveva sollevato la gonna dalle ginocchia forti da risaia su fino al pallido ventre, con la sinistra aveva abbassato le mutande fino a mezza coscia,  aveva proteso il bacino in fuori, aveva esposto il suo sfacciato ed abbondante vello biondo in una posa sconcia, maleficamente puttana, che sussurrava prendimi, mordimi, mangiami, infilami subito.
«Adesso che l'avete vista, sapete di cosa si tratta..», aveva detto, a voce roca, un po’ ansante, come infoiata.
« Beh, Liana, adesso possiamo andare, tirati su le mutande.. », a Rolando era venuta una certa fretta.
Nel bar perfino il fumo faceva rumore, nel silenzio tombale ch’era caduto come una coperta.
Velocemente Liana s’era ricomposta le vesti e sghignazzando avevano guadagnato velocemente l'uscita, sotto gli sguardi inebetiti del barista e dei suoi avventori.

Avevano fatto una corsa abbastanza veloce nella notte per nascondersi nell'ombra scura della campagna e si erano fermati ansimanti solo quando erano arrivati al vecchio bunker tedesco ch’era il loro rifugio. Liana saltellava sui tacchi  sul pavimento sconnesso e gramignoso e rideva ed applaudiva come una ragazzina. Stanca e sudata si era appoggiata con le spalle al cemento armato grigioferro. Dalle feritoie entrava un po’ di chiaro di luna. Rolando le si era avvicinato, era un’ombra nell’ombra.
« Sono stato bravo? », le aveva chiesto.
Liana l’aveva abbracciato e lo aveva baciato, lo aveva stretto a sé, aveva spinto il suo bacino per sentirlo. Lo voleva, lo voleva subito dentro. Aveva voglia, ogni tanto anche una puttana da casino può averne voglia, no? Avrebbe potuto essere suo figlio, certo, ma quale madre non ha mai immaginato, una volta, di insegnare al figlio come si fa?