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             Il quadro

 

 

ilgrandesonno

          

 

 

 

 

Lo so che quando ti ho detto che mi ricordavi tua madre, non era un complimento. Lo so che i miei parenti non ti sono mai stati simpatici. Ma non ti preoccupare, perchè non lo erano nemmeno a me, simpatici. Comunque anche se mi fanno male i piedi e le gambe, vado lo stesso a fare un giretto nel bosco. Perchè? Perchè mi va di star solo.

Il bosco fa un rumore come un cinghiale
Il bosco fa un rumore come un serpente
Il bosco fa un rumore come uno scoiattolo
Il bosco geme come una quercia storta
Il bosco geme come il vento tra i capelli d’una donna
Ho scelto il bosco per appendervi i fantasmi

Non è difficile entrare nel bosco. E' più difficile uscirne dalla parte giusta, che sarebbe quella da dove ci sei entrato. Succede più spesso di quel che si pensi, anche ora che ci sono i Gps a disposizione. Mica tutti vogliono entrare nel bosco e sapere ogni secondo dove sono.
C'è chi entra nel bosco giusto per perdersi, almeno distrarsi, almeno cercarsi, almeno tentare di ritrovarsi. Ed è molto complicato ritrovare se stessi se non ci si è resi conto di essersi persi.
Per perdersi non ci vuole molta esperienza. Anzi, non ce ne vuole affatto. Quindi se ci si ritiene esperti è consigliabile entrare nel bosco dopo essersi scolate un po' di birre ad alta gradazione. Così è più semplice perdere l'orientamento. Puoi avere qualsiasi demone protettore che vuoi  ed aver superato il corso di Sopravvivenza&Combattimento - che è una specie di gioco al massacro – ma vedrai che dopo una serie di fetenzìe e giravolte ubriache comprese di vomito e pantaloni calati, ti sei perso per davvero.

M'immagino già con la barba ispida e lunga di tre giorni, la faccia lercia, il corpo puzzolente e naturalmente m’immagino anche lo sguardo sarcastico del primo coglione che mi ritroverà e mi sbeffeggierà. Decido di salire in quota.
In cima al monte forse posso orizzontarmi, salendo su un albero.
Non ci sono alberi, in cima al monte. Ma c’è una larga radura erbosa con una  specie di casa in rovina proprio al centro. Sembra abbandonata. Le finestre sono inchiodate con delle assi. Mi stropiccio gli occhi dallo stupore. Chi può mai aver abitato una casa come quella? Sotto una veranda malmessa e pericolante c’è un buco nero come una bocca sdentata: la porta è aperta, spalancata, forse divelta da qualche visitatore precedente, un curioso oppure qualcuno che vi ha trovato riparo, uno come me o peggio, anche.

Il sole sta per calare e non temo imboscate, ma una notte all'addiaccio sì. Entro dentro il buio della stanza che è l'unico vano della casa, dal pavimento ingombro di varie schifezze al soffitto mezzo scoperchiato. Una specie di branda rasoterra con un materasso che deve aver visto la guerra mondiale è posta sotto l’unica finestra senza ombra di vetri; un armadio stretto ed alto, di legno vero e solido, sgraffiato, sbilenco ed unto sta appoggiato alla parete davanti alla finestra; in faccia alla porta divelta c’è un camino di pietra nero di fuliggine dentro e fuori con un mucchietto di cenere sul focarile  che sembra solidificato. Sul davanzale della finestra ci sono un mozzicone di candela ed un semivuoto pacchetto di fiammiferi di legno.

Fa scuro.
Accendo la candela per guardare un po' meglio in giro. In cima all'armadio, ad un palmo della trave che sostiene il soffitto, fa capolino una cornice dorata. Un quadro. Chi l'ha infilato lassù? E perchè?
Mi stendo sulla branda e dormicchio. Ma quel quadro si sta prendendo tutta la mia curiosità. Da quando ho lasciato la strada principale e mi sono infilato nel bosco non ho avuto nessun pensiero che mi sorprendesse. Tutto scontato o quasi.
Mi alzo dalla branda e vado davanti all'armadio. E' troppo alto. Nemmeno portando la branda lì davanti ce la farei ad arrivare in cima. Provo a saltare da fermo. Provo a saltare prendendo una piccola rincorsa dalla veranda e sbatto contro l'armadio. Nemmeno si è accorto di me e della mia spinta. Tento di arrampicarmi come un gatto sulle tende ma scivolo frustrato. Provo ad appoggiarmi con tutta la forza per vedere se ce la faccio a smuoverlo ma è come se fosse murato al suolo. Lo apro per vedere cosa contiene e senza sorpresa lo trovo vuoto, assurdamente vuoto profondo ed alto: un armadio in cui perdersi, un armadio in cui nascondersi e magari scomparire in qualche doppiofondo. Esco fuori della casa e faccio un giro completo intorno ad essa, cercando qualcosa che possa servirmi per arrampicarmi in cima all'armadio, ma non c'è traccia di niente che   possa sollevarmi di tre piedi da terra.
Torno dentro la casa, deciso a dimenticarmi del quadro ed a dormire. Mi stendo sulla branda e spengo la candela.
Ma il quadro si affaccia di nuovo alla mia mente. La sua cornice dorata è di buona fattura, per quel che posso averne scorto. Ma è la base di un quadro verticale o il lato di un quadro orizzontale?
Opto per il verticale, sì. Dev'essere messo in verticale, la figura od il paesaggio, un ritratto o un paesaggio boschivo, un albero in primo piano, un sentiero, una figura che si allontana.
Ecco che me lo comincio ad immaginare: quasi lo vedo. Forse ha i colori dell'autunno. Ma perchè proprio dell'autunno? Potrebbe anche essere un'immagine estiva, solare, con ombre evidenti e verdi forti e gialli del secco dell'erba, oppure un mattino piovoso, con le foglie lucide, bagnate, da cui sgocciola l'acqua e mosse dal vento di scirocco, un cielo cupo, grigio, grigio scuro, quasi nero.

Ormai sono tre giorni che sono davanti all'armadio. Non vado mai fuori. Però ho dipinto il quadro. O almeno ritengo di averne compreso il soggetto. Tre persone sedute in una barchetta. Un uomo, una donna ed una bambina sono su una barchetta verde, in un laghetto d'acqua verde e trasparente impossibile, quasi colore della menta. Ed anche la barchetta è verde come la menta, ma quella verdissima e freddissima. Sembra quasi che la barca  si rifiuti di stare a galla, scivola sull'acqua di menta come una goccia di pioggia lungo un vetro. La barca non ha chiglia, non ha remi, non ha vela. L'uomo e la donna si sorridono perchè non hanno capito quanto rischiano, su una barchetta così. La bambina invece si tiene con entrambe le mani ai bordi della barchetta, come se dipendesse da lei tenerla dritta o inclinata. Ma sì, ne sono certo, è lei che la tiene bilanciata. Sembra strano ma i destini dell’uomo e della donna sono nelle sue piccole mani, nella sua debolezza: tutto dipende da lei. Chissà se l'acqua è fredda.
Questo non lo so. Non lo voglio sapere. O meglio: l’ho sempre saputo.