Palude
un' ultima volta mi sono
rivisto sul solito argine
le acque del fiume marcivano ferme ed ho riso di me che esploravo le vertigini
dell'assurdo per tutto quello che mi sono perso Nel delta, sulla palude verde, ombre ad
ali spiegate, gli uccelli si stagliano contro un cielo dai colori a strati
successivi, dal biancogrigio all'azzurro
scuro. Come
la memoria. I gabbiani prendono il colore dal loro
paesaggio e pertanto se ne vestono cambiando dal grigio perla al verde scuro
ad eccezione d'uno solo, uno soltanto, il più vicino, che sembra quasi nero.
Difficile vederne la testa in volo, a parte alcuni,
ma di tutti si vede la coda bianca sfrangiata d'uno strano celeste. Sembra
che se ne fuggano tutti irresistibilmente attratti dall'orizzonte marino la
cui linea si ferma contro le onde della pineta lontana. Dall'argine il mio
sguardo si arrampica alla loro altezza ed è come se mi trovassi dietro l'oblò
di un aeroplano. Ricordo
le nuvole nevose. Il tempo si mette al bello e le zanzare
s'innalzano in colonne sulle acque ferme o quasi della palude. Sarà per
quello che i gabbiani sono così ciarlieri. Li sento gridare incessantemente.
La loro voce inumana risuona insistente facendo crepitare l'azzurro del cielo
alto e rimbombante. Non saprò mai di quale ferita sono stato
il frutto. A volte un grido d'un
gabbiano mi colpisce nel suo stridore. Non è un lamento e lo so bene, ma è il
ricordo di qualcosa che non rammento o che ho perduto senza saperlo e ciò mi
disorienta e mi spoglia d'ogni soluzione ch'io possa
credere d'aver trovato mai. Quale assurdità.
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