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             Giuditta

 

 

ilgrandesonno

          

 

 

 

 

Ti chiamerò Giuditta, ma ti potrei chiamare anche Irene, Lucilla, Flora, un nome qualsiasi, basta che sia il tuo, e ti racconterò una piccola storia, una piccola storia d'amore o quasi, una di quelle che ti restano attaccate per sempre da qualche parte tra testa cuore e fegato, come direbbe una donna molto smaliziata, di quelle che non tengono più un diario, ma una cronaca.
Per qualche tempo anch'io sono stato giovane, benchè la cosa m'appaia a volte molto strana, ora che non vado più dall'indovina a chiedere del mio futuro e del passato, e credi a me, di quello ricordi solo Primo, Prima, perchè gli altri, tipo Secondo, Seconda, Durante e così via, si perdono nella nebbia e nelle nevi.
Lavoro in un albergo, con tutto quel che segue, si capisce. Un sacco di ragazze bionde more rosse che secondo me potrebbero essere tutte Miss Italia, vengono al mare per rosolarsi al sole, ruotare le anche in discoteca, andare a dormire all'alba, e lasciar levitare l'anima ai tramonti rossi.
Come si dice? Cercano di non farsi mancare niente. Ma sono o non sono tutte uguali?
Sono tutte belle. Te lo posso assicurare.
La ragazza di cui ti scriverò, lei no, lei era diversa, veramente differente. I suoi occhi sono nella mia mente e sono passati ormai trent'anni. Verdeazzurro, ed erano occhi pieni d'amore.
Il nostro primo incontro, che tenerezza.

Ogni tanto, mentre lavoro, mi sento osservato. Lei è là che mi guarda. Non una volta, ma diverse volte. Mi pare che i suoi occhi sorridano, ma come si fa ad esserne sicuri?
Non sono mica uno sfacciato e qualche volta mi sono già scottato, così non rilancio sguardi carezzevoli o smielati. Però non posso fare a meno di accorgermi, che quella ragazza non va mai sulla spiaggia e che passa il suo tempo nei vasti spazi dell'albergo, almeno per il tempo ch'io sono obbligato a farlo. La cosa è effettivamente strana, sorprendente. Non va al mare, ed allora cosa fa?
Così, cara Giuditta, Irene, Lucilla, Flora, Felicia, mi faccio coraggio ed una mattina le rivolgo un timido saluto, t'ho amato dal primo momento che t'ho visto, dicono i suoi occhi, mentre le sue parole mi sorridono e la sua mano e le sue piccole e lunghe dita sfiorano le mie.
Nei rari momenti liberi che ho, stiamo sempre insieme e la cosa ha ripercussioni abbastanza serie sulle nostre vite precedenti. E se non dovessimo più tornare a casa, cosa faremmo?
Una sera di quelle classiche di luna, di sciabordìo d'onda, qualcosa di cedevole nelle gambe, forse per il profumo che la sua pelle emanava, forse per la malinconia, ci troviamo abbracciati e ci baciamo, le sue braccia avvinghiate al mio collo così strette che non riesco quasi a respirare ed è come se lo avessimo fatto da sempre; siamo vicini dentro e fuori, e non smettiamo di guardarci negli occhi. Abbiamo la sensazione di essere alla creazione del mondo.
Ora. Qui. Dove andremo da qui?
Come faremo a ritrovare la strada di casa? Forse dovremo metterci delle briciole di pane nelle tasche. Magari potremo vivere qui per sempre, vivremo da regina e re.
Al banchetto, quella sera la Luna sfacciata e nuda, ci offre un cesto di frutta ed evitiamo accuratamente di mangiare la mela e quando il serpente arrotolato ci rivolge la parola io e lei ci alziamo e ce ne andiamo insieme, perchè un forte vento s'è levato. Noi ci teniamo stretti. Il vento aumenta. Se mi dovessi lasciare...non mi lasciare andare.Non ci lasciamo andare.
Ora.
Ci sono tante donne d'una certa età in giro, ed i miei capelli son d'argento o quasi. Ho affisso dei volantini in giro per vedere di ritrovarla. E' mille volte più bella di me.
Giuditta è sempre così giovane.