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Natale in bianco e nero

 
Caro Babbo Natale,
quest’anno non voglio nessun regalo.
Portali a tutte le persone che credono ai bambini tristi.
Tanto sono poche”.
Monica, 8 anni

                      

Credo a Babbo Natale.
Da quest’anno.
Per questo ho deciso di scrivergli.
Per la prima volta nella mia vita.
Perché adesso sono un bambino buono.
Anch’io.
Ho impiegato sedici anni ma alla fine ce l’ho fatta. Alla fine l’ho capito.
Era ora!
Per il resto della vita potrò fare un oceano di peccati,
poiché ho scontato tante di quelle colpe
che se anche facessi esplodere la bomba atomica mi dovrebbero assolvere.
Per aver preventivamente scontato la mia pena.
Mia madre morì mettendomi al mondo.
Forse già sapeva a quale esistenza sarei andato incontro
e non ha retto all’idea di vedermi condannato così.
Mio padre invece ha sempre goduto di ottima salute.
A ben pensarci non ricordo un solo momento felice passato con lui.
Ma non dimentico le lacrime spese per quello che mi ha fatto passare.
Gli uomini che rinunciano ad essere padri bisognerebbe mandarli tutti
su una qualche isola deserta.
 
 
Mi chiamo Martina, ho dodici anni e se sapessi scrivere, questo, sarebbe il mio Diario.
Da un anno ho smesso di grugnire ed ora posso parlare normalmente anch’io.
E’ bello dare un nome alle cose. Bellissimo poterle descrivere.
Prima era tutto uguale. O forse, più semplicemente,
se anche avessi saputo parlare nessuno sarebbe mai stato a sentirmi.
Prima, vivevo con mio padre e con i miei due fratelli, handicappati mentali,
 in una baracca nel bosco.
Pochi metri. Un grande letto matrimoniale, col materasso marrone.
Un catino di plastica ed un piccolo forno arrugginito,
appoggiato ad un vecchio tavolo di legno.
Senza sedie.
Tutti insieme, appassionatamente.
La mamma se n’è andata quando avevo quattro anni.
Il papà ha cominciato a violentarmi quando avevo quattro anni.
Non so dove sia andata la mamma.
Non so perché ancora lo chiamo papà.

Lucia ha poco meno di due anni.
Vive in strada.
Appartiene alla seconda generazione dei bambini di strada.
Figli delle ragazzine stuprate dai predatori stranieri,
o nati dalle giovani coppie che in strada vivono da qualche tempo
condividendo lo spazio di un tombino.
Due cuori e una fogna.
La bimba è il perfetto simbolo dell’attuale oblio di un popolo.
Zampetta fuori dal noto fast food, invisibile al mondo che le passa accanto.
Di tanto in tanto si attacca alla vetrina e guarda il suo coetaneo che si rotola
in un mare di palline colorate nell’apposito spazio ricreativo.
Una vetrina. Due mondi.

Le prove oggi iniziano alle 16,00, un’ora prima del solito.
Bisogna provare il Requiem di Mozart ed il lavoro da fare è molto più arduo.
Il Maestro non sopporta i dilettanti.
Nessuno dei suoi giovani allievi può permettersi il lusso di sbagliare.
Tutti perfetti. Tutti pronti.
Guai a contraddirlo, né tanto meno a mettere di mezzo i genitori. “Che stiano a casa a pensare ai fatti loro e non si intromettano nel suo lavoro”.
Ad ognuno il suo.
I bambini arrivano puntuali -guai se così non fosse- e dopo averlo salutato si preparano diligentemente agli esercizi.
Alcuni però, dovranno fermarsi oltre il tempo stabilito.
Strano, ad ascoltarli sembrava non avessero fatto alcun sbaglio.
Eppure, di lì a poco le note lasceranno il posto alle lacrime.
 
 
Poi un giorno i bambini si stancano.
Capiscono che tutto deve finire.
Cercano dentro la loro sofferenza, tutta la forza necessaria per parlare,
visto che nessuno li aiuta e fortunatamente vengono creduti.
Alcuni hanno accanto adulti che capiranno.
Altri purtroppo cercheranno in una prossima vita, una nuova occasione di speranza.
 Speranza di poter nascere, e vivere, da bambini.
Manca solo il lieto fine.
Questo: l’Orco viene sconfitto ed il Bene trionfa sul male.
Non tutti però vivranno felici e contenti.
Non tutte le favole infatti sono uguali.
Resterà sempre, in fondo al cuore, una macchia, segno di una cicatrice
più profonda di quanto noi si possa immaginare

dalle pagine di “L’inferno degli angeli”, di Massimiliano Frassi (Ferrari Editrice)

Stralci di storie vere. Il resto, qui, è inenarrabile.
Fotogrammi in bianco e nero tratti dal film della vita di tanti piccoli angeli scaraventati all’inferno per la sola colpa di essere bambini, così tanti che non si contano più.
Questo mio Natale senza colori è dedicato a loro, piccoli principi in gabbia senza via d’uscita, senza uno spiraglio di luce.
E’ tempo di svegliarsi.
Svegliarsi dal torpore ed osservare il mondo con occhi nuovi e pieni d’amore.
Attuare l’intima rinascita del vero Natale, quello di tutti i giorni fatto di gesti e di sorrisi,
di parole buone e cose semplici.
Il Natale della tolleranza e del rispetto, della solidarietà
verso i piccoli dimenticati e traditi che non chiedono nulla, solo di essere bambini.
E’ tempo di scegliere. 
Scegliere consapevolmente da che parte stare: indifferenti spettatori che assistono all’ennesimo dramma sull’ennesimo innocente, al di la’ di una sottile parete,
o laboriosi attori che si mettono in gioco per cambiare il corso delle cose
e smuovere la coscienza di chi, volutamente, resta a guardare.
 
A tutti i bambini che bambini non sono, ne’ lo sono mai stati.
Per colpa anche nostra.

Greta Blu