J.G. Ballard - Crash

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Dieci giorni fa, rubandomi la macchina dal garage sotto il mio appartamento, aveva risalito a cozzi la rampa di cemento, come una macchina omicida scagliata fuori da una trappola. Ieri il suo corpo giaceva sotto le luci ad arco della polizia ai piedi del cavalcavia, velato da un delicato rabesco di sangue. La positura spezzata di gambe e braccia, l'insanguinata geometria del viso, sembravano parodiare le istantanee di ferite da scontri di cui erano tappezzate le pareti del suo appartamento. Ho abbassato lo sguardo per l'ultima volta sul suo inguine enorme, intriso di sangue. Venti metri pił in lą, illuminata dai fari circolari, l'attrice stava come librata sul braccio dell'autista. Vaughan aveva sognato di morire nell'istante dell'orgasmo di lei. Prima della sua morte, Vaughan aveva preso parte a numerosi scontri. Quando penso a lui, lo vedo nelle macchine rubate che guidava e sfasciava, superfici di metallo e plastica deformati che l'hanno abbracciato per sempre. Due mesi prima l'avevo trovato sul ponte inferiore del cavalcavia dell'aeroporto, dopo la prima prova della sua morte. Un tassista stava aiutando due hostess intontite a uscire da una piccola auto che Vaughan aveva tamponato sbucando da una galleria di una rampa d'accesso dove s'era tenuto in agguato. Mentre mi avvicinavo di corsa a lui, lo vidi attraverso il parabrezza frantumato della decappottabile bianca presa al parcheggio del Terminal Oceanico. La sua faccia esausta, dalla bocca sfregiata, era illuminata da arcobaleni spezzati. Strappai la porta ammaccata dai gangheri. Lui, seduto sul sedile cosparso di vetro, era intento a studiare, con sguardo compiaciuto, la propria posizione. Le sue mani, le palme all'insł accosto ai fianchi, erano coperte del sangue dei ginocchi fratturati. Esaminate le macchie di vomito sui risvolti della giacca di cuoio, si piegņ in avanti per toccare i globi di seme appiccicati alla chiesuola del cruscotto. Cercai di estrarlo dalla macchina, ma le sue natiche strette erano come saldate insieme, quasi irrigidite nello sforzo di espellere le ultime gocce di fluido dalle vescicole seminali. Sul sedile accanto, le foto strappate dell'attrice cinematografica che gli avevo riprodotto la mattina stessa nel mio ufficio. Sezioni ingrandite di labbro e sopracciglio, gomito e solco fra i seni, formavano un mosaico spezzato. Per Vaughan, scontro automobilistico e sessualitą s'erano uniti in un matrimonio definitivo. Lo ricordo nelle notti con giovani donne nervose, sui sedili posteriori schiacciati di auto abbandonate in depositi di sfasciacarrozze, e ricordo le foto di lui e di loro nelle varie posizioni di atti sessuali malagevoli. Illuminate dal flash della sua Polaroid, facce tirate e cosce tese sembravano quelle di superstiti di una catastrofe sottomarina. Quelle aspiranti puttane, che egli incontrava nei caffč notturni e nei supermercati dell'Aeroporto di Londra, erano le prime cugine delle pazienti che apparivano nelle illustrazioni del suo manuale di chirurgia. Durante lo studiato corteggiamento di donne vittime di incidenti, Vaughan era ossessionato dai bulloni di infezioni anaerobiche e dalle ferite facciali e genitali. Per il suo tramite venni a scoprire il vero significato dello scontro automobilistico, il senso delle ferite da colpo di frusta e da cappottaggio, le estasi degli scontri frontali. Insieme visitammo il Road Research Laboratory a una trentina di chilometri da Londra, e osservammo i lanci di veicoli calibrati contro blocchi di cemento. Dopo le visite, nel suo appartamento, Vaughan proiettava film al rallentatore di collisioni sperimentali da lui fotografate con la cinepresa. Seduti nel buio sui cuscini da pavimento, osservavamo gli impatti silenziosi succedersi tremolanti sulla parete davanti a noi. Le ininterrotte sequenze di schianti prima mi calmavano, poi mi eccitavano. Guidando solo sull'autostrada ; sotto la vampa gialla delle luci al sodio, mi immaginavo al comando di quei veicoli lanciati allo schianto.
Brano tratto da "Crash" di J.G. Ballard - Bompiani