LA SFIDA
"La speranza è la decisione militante di vivere con la certezza che noi non abbiamo esplorato tutti i possibili se non tentiamo l'impossibile" (R. Garaudy)
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Ieri è stato il compleanno di quelli che posso definire senza incertezze i miei due più cari amici. Una donna e un uomo. Accomunati da una data di nascita, dall’iniziale del nome, da uno strano destino di identiche e tristi vicende familiari. Due persone meravigliose, incontrate in anni diversi della mia vita, frequentate in modi e tempi diversi, e per me ugualmente importanti, parte di me.
Abitavamo sullo stesso pianerottolo, l’una di fronte all’altra. Quante cose abbiamo fatto insieme! Lunghi inverni passati a giocare con bambole, colori, giochi di società. Estati di biciclette ed altalene. Pomeriggi di adolescenti costrette da una severa educazione a trascorrere la maggior parte del tempo in casa tormentandoci di Baglioni mentre parlavamo di questo e di quel ragazzino. Intervallati da brevi e tanto attese passeggiate in centro, rigorosamente a piedi, tre quarti d’ora solo per arrivare, in giro a guardare vetrine scintillanti, sognando di quando saremmo state adulte e avremmo potuto permetterci quelle bellissime scarpe o quelle trousse piene di ombretti colorati. Siamo cresciute insieme, ci siamo frequentate sempre meno dall’università in poi. Abbiamo scelto vite diverse e poi ce le siamo scambiate: io impegnata nella ricerca di Dio e della fede, lei sempre più attratta da cose futili, bei vestiti, belle serate divertenti, bei gioielli. E poi, come in un gioco di specchi, io concentrata a finire gli studi e procurarmi un lavoro e l’indipendenza economica, lei sposa di un ex seminarista, missionaria laica per tanti anni in Benin, madre prima di me di due splendidi e vivacissimi bambini. E' tornata ad abitare con marito e figli nella casa dell’infanzia; di fronte sullo stesso pianerottolo c’è un appartamento vuoto, ancora di proprietà dei miei genitori. Ci siamo riviste la scorsa estate, in quella camera dove eravamo solite giocare. Sedute sul vecchio divano, sembrava così strano parlarci con la stessa spensieratezza di allora. Eravamo lì a guardare quattro bambini che giocavano insieme divertiti. Eravamo lì a volerci bene, come ieri quando ci siamo sentite per gli auguri.
Lo conosco da due anni, ci siamo potuti vedere soltanto quattro volte in questo tempo, comprendendo anche i pochi minuti passati insieme quando ci siamo conosciuti. Nonostante questo l’amicizia con lui è altrettanto profonda, il feeling altrettanto unico, come difficilmente mi succede con la gente. Ci siamo incontrati per caso per lavoro, erano i miei ultimi giorni in azienda prima di cominciare l’avventura del trasferimento. Avventura che ho scoperto essere molto difficile e se non ci fosse stato lui a sostenermi con la sua voce lontana, unica voce adulta in tante giornate da sola, unica voce paziente, equilibrata, serena e divertente, non so come avrei fatto. E ora vorrei avere io voce per lui, ora che sono difficili le prove che con tanto coraggio e semplicità sta affrontando. E risolvergli ogni piccolo problema che si aggiunge nelle sue giornate che so bene come possono essere, piene di cose sempre uguali, difficili e tristi da fare, combattuti tra la speranza e l'impotenza, tra una preghiera a cui non si crede davvero e la perdita di fiducia in tutto, in dio e negli uomini. E non c'è il tempo per farlo, non c'è un modo di essergli accanto davvero e dimostrare con azioni concrete l'amicizia. E non ci sono parole abbastanza giuste o utili che possa dire. E avrei voluto dirlo anche a lui, vorrei dirglielo ogni giorno quanto bene gli voglio. E quanto gli sono grata di quello che mi ha dato standomi accanto da lontano, anzichè ridurmi ad un semplice sms per non disturbare le sue giornate dense e complicate.
Auguri di cuore. Chissà se mi pensi - C. Baglioni |
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