LA SFIDA
"La speranza è la decisione militante di vivere con la certezza che noi non abbiamo esplorato tutti i possibili se non tentiamo l'impossibile" (R. Garaudy)
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Sull'autobus numero 3 trovo Beppe, che è salito alla fermata in centro. Io abito in periferia, immagino il San Paolo simile al mio quartiere. Imbocchiamo il viale d'ingresso, qualche albero mezzo seccato, palazzi vecchiotti, poca gente per strada.
Scendiamo. C'è da fare ancora un pezzo a piedi per la chiesa. Il mondo cambia nel breve spazio di poco più di cinquecento metri. Solo quel viale iniziale fa assomigliare ancora il quartiere ad una città. Spariscono gli alberi, vedo grandi stradoni deserti. E palazzi altissimi, senza un balcone. E' tutto stranamente silenzioso, quasi tranquillo. Poche auto parcheggiate, a una manca il fanalino posteriore, a un'altra hanno rubato un tergicristallo, la terza ha le ruote a terra. Sento voci maschili che urlano e ridono. Provengono da una sala giochi più avanti. Un tipo con un'aria pericolosa fuma appoggiato al muro; dentro, sullo sfondo, si intravede un biliardo e bottiglie vuote di birra ovunque. Macchinette di videogiochi illegali lungo le pareti. Il tipo fuori mi radiografa con lo sguardo mentre passo, inconsciamente mi stringo accanto al mio amico. Immagino le parole oscene che devono attraversare la mente di quell'uomo. "Beppe ma dove abiti tu è così? I bambini dove giocano? E le mamme dove vanno per fare la spesa?" E poi non c'è un negozio neanche a pagarlo, un panificio, una macelleria, un minimarket qualsiasi. "E' anche peggio dove abito io. Aspetta e vedrai Chiara." "Ma Beppe qui non possono giocare i bambini, è pericoloso. Com'è possibile che non puliscano? Non ci passano quelli della nettezza urbana? "
Ci accoglie Maria Cristina con un sorriso a trentadue denti e ci accompagna nel seminterrato dove si svolge la Scuola Popolare. La chiamano così. E' una scuola parallela a quella statale, non si tratta di aiutare i bambini a svolgere i compiti assegnati in classe ma di insegnare le basi. Scoprirò più tardi che ci sono bambini di terza e quarta elementare o addirittura più grandi che non sanno ancora leggere e scrivere. Semplicemente a scuola non vanno. O se ci vanno imparano poco. Hanno genitori analfabeti. Alcuni evadono la scuola per lavorare. Le insegnanti faticano. Molte hanno fatto domanda di trasferimento, non vedono l'ora di fuggire, andare in quartieri più tranquilli dove i bambini diano maggiore soddisfazione. E' una scuola ma è anche un'oasi, un posto in cui scoprire cosa vuol dire crescere e diventare adulti senza fretta, in cui è possibile incontrare delle persone che ti ascoltano, in cui mangiare una merenda, un lusso per quasi tutti loro.
Subito mi si avvicina una bimbetta di circa cinque anni, bruna, occhi neri, profondi e luminosi. "Ciao, come ti chiami?" Sorrido:"Va bene Catia, facciamo che tu mi insegni il dialetto e io l'italiano. Si dice ti insegno non ti imparo." Figli? Io sono una studentessa universitaria di soli 19 anni, perché dovrei avere dei figli? "Non ho figli Catia."
"Non preoccuparti Chiara, l'impatto iniziale è un po' forte per chiunque. Ti porterò a casa di Catia e Nino se vorrai venire ancora. Il padre è in carcere, sai loro sono Lorusso, imparentati con i Capriati." Capriati, questo cognome… Capriati quando l'ho sentito? E certo, l'ho letto sul giornale, i Capriati e gli Strisciuglio, sono due clan di delinquenti che si ammazzano tra loro per conquistarsi il mercato della droga. Altro che impatto iniziale. Un brivido di paura mi percorre. Sarà meglio se questo particolare non lo racconto a mia madre. Maria Cristina continua: "Non sono tutti figli di mafiosi qui. Tanti sono figli di operai, di ambulanti. Gente povera Chiara. La mamma di Catia ha ventuno anni. Le ragazzine scappano di casa presto, sognano una vita diversa, un marito gentile, che non le picchi almeno; si ritrovano peggio di prima, spesso a vivere con la famiglia del marito perché una casa per loro non c'è, neanche un lavoro. Non usano mezzi di contraccezione, è considerato da prostitute. Piuttosto abortiscono. Quasi tutte hanno tre o quattro figli. E hanno fatto minimo due aborti. Ma ti sto dicendo troppe cose. Capirai da sola, te lo auguro di capire e imparare a guardare." Una ragazza interrompe la nostra conversazione entrando trafelata nella stanza. E' Giovanna, la sorella di Maria Cristina, ha due anni meno di me. Si avvicina a Michele, che con i suoi ventiquattro anni appena compiuti è il maggiore del gruppo e, cercando di non piangere, dice: "Sono andata a casa di Tommaso, non è venuto neanche la volta scorsa e volevo chiedere alla mamma cosa fosse successo. Mi ha detto che è in ospedale. Stava giocando per strada dietro un cassonetto. Hanno cominciato a sparare, un'auto ha sbandato e ha travolto il cassonetto e il bambino. Per fortuna pare si sia solo rotto una gamba. Io vado via prima, così passo dall'ospedale a trovarlo." Sparano, sparano davvero, anche alle tre del pomeriggio.
"Tieni l'ho fatto per te." Indica il segno nero e dice: "Questa sono io e quella grande sei tu." Incapace di ringraziare, con quel foglio in mano, all'improvviso credo di percepire tutto il suo dolore di piccolo sgorbietto insignificante e invisibile agli occhi del mondo e decido che tornerò ancora lì, si tornerò.
Scriverò un'ultima parte perché sento di avere ancora qualcosa da dire per loro. Quello nel video qui sotto è il quartiere Paolo VI di Taranto. Così era il CEP di Bari. Quella costruzione con la cupola nella prima foto in alto è la chiesa dove si svolgeva la scuola popolare. Il video è di gennaio di quest'anno, da cui deduco tristemente che nulla è cambiato in 18 anni. Il San Paolo di Bari invece è migliorato parecchio. Ma l'indifferenza e l'ignoranza di certe situazioni che sono in ogni città a pochi metri da noi rimangono. |
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Hai usato il termine giusto, "fama", quella che ha fatto e continua a fare male a quartieri come il San Paolo, non soltanto a Bari. Io non lo avevo mai visto, tanti baresi non ci sono mai andati, nelle case, a vedere la gente come vive, a guardare con gli occhi ma non solo, con il cuore, a comprendere che anche se ci sono tanti delinquenti, ci sono allo stesso modo tante donne e bambini innocenti che subiscono solo il potere della "fama". Hanno giudicato e basta. Hanno diviso il mondo in baresi e "ceppisti". Io sono grata dell'opportunità che ho avuto di vivere quella realtà, mi ha cambiato profondamente. Ma magari della "fama" racconterò nella terza e (giuro!) ultima puntata :)
Certo che è faticoso fare il faraone eh, prima Berlino, poi il mare, ora di nuovo un viaggio :))