LA SFIDA
"La speranza è la decisione militante di vivere con la certezza che noi non abbiamo esplorato tutti i possibili se non tentiamo l'impossibile" (R. Garaudy)
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Te l'avrò chiesto decine e decine di volte. E tu puntualmente rispondevi: "Domani no, magari la prossima volta." E ci portavi mio fratello più piccolo l'indomani. Ma non era perché tu pensavi non fosse una cosa da femmine il pescare. No papà, tu sei nato nel 1922 ma queste grosse differenze non le hai mai fatte tra noi. Era solo perché la barca non era tua ma dei nostri amici di vacanza. Gli stessi ogni anno, i proprietari di quel piccolo motoscafo che spinto dal tuo motorino tre cavalli creava una scia bianca spumosa in mezzo al blu e all'argento del mio amato Ionio. Arrivava però la prossima volta, quella in cui gli amici la prestavano a te la barca e tu ti sentivi libero di farci salire chi volevi. Così io, bambina di 7 anni, andavo a letto con l'ansia di chi aspetta di vedere l'albero ricolmo di regali a Natale. E la mattina la voce della mamma mi richiamava veloce dal sonno. Ero già in piedi, all'alba, ti aiutavo a spingere il carrello che portava la barca giù per il passaggio di mattoni sulla spiaggia, affondavo i piedini in quella sabbia grigia, non ancora illuminata dal sole, fredda in superficie e più calda man mano che il piede andava giù. Spingevo con quel poco di forza che potevo avere, felice che in quella giornata avrei potuto essere lì con te. Immergevo i piedi nell'acqua incredibilmente tiepida e saltavo su, ogni volta emozionata. E poi incantata guardavo te, il mio eroe, mentre tentavi disperatamente di far partire quel piccolo motore ormai vecchio e mal funzionante. E via per il nostro mare. Mi mettevi l'esca e dicevi: "Tu sei attenta e sensibile, la pescherai subito una bella vopa o uno sparo. Cala la lenza, giù, giù, continua fino a quando la vedrai galleggiare sull'acqua. Allora sarà a fondo. Conta quante bracciate hai dato e poi torna su di metà. Brava, vedi, ora sei a mezz'acqua, è lì che ci sono i tuoi pesci preferiti." Si tornava quando il sole cominciava a diventare caldo, con il secchio pieno di pesci guizzanti: "Guarda lì, è Taranto quella, e dall'altra parte, quando il cielo è terso si vedono anche i monti della Calabria." Eri sempre abbronzato tu, dal primo giorno d'estate, indosso la maglia e il costume di lana, come si usava quando eri ragazzo. Ancora adesso indossi lo stesso costume ma bagni appena i piedi e vai via che senti subito freddo, come me quando ero così piccola. Ho ricordi di passeggiate in pineta, tu che ci spiegavi i nomi delle piante e di lunghe camminate mattutine sulla spiaggia, per arrivare al fiume. Tutti e tre noi bambini seguivamo i tuoi grandi passi e intanto raccoglievamo telline, o ti portavamo strane palline nere e viscide: "Cosa sono queste papà?" "Sono uova di seppia bambini." E la sera eravamo ancora tutti lì, stavolta con un secchiello e un retino in mano, a caccia di granchi. Attenti a scorgere nell'acqua quasi immobile una lieve montagnola, ecco lì si nascondeva sotto la sabbia il granchio, con le chele spalancate in attesa della preda, ignaro che la preda di quel giorno sarebbe stata lui. Eri giovane papà quando morì la tua prima moglie, avevi appena 45 anni. Un giovane vedovo con tre figli da accudire, come avevi accudito la tua C. fino all'ultimo suo respiro. Ti presentavano signorine perbene interessate al discreto matrimonio con un ferroviere in carriera. Tu chiedevi alle tue sorelle di non farlo ancora. Ti saresti risposato solo per amore, ai tuoi figli bastavi tu. Lavoravi fuori e in casa per non far mancare niente a loro. E quel giorno in vettura il riscaldamento non funzionava. La mamma, un caratterino, si lamentò subito con il capotreno. Con il suo tono di voce alto, che si sente pure da molto lontano, lo chiamò innervosita: "Insomma che venga il macchinista, qui non possiamo continuare a morire di freddo." E tu sei andato a vedere, hai lasciato il treno all'aiuto e hai scoperto che era arrivato di nuovo l'amore. Quella donna così bella, così forte, così sicura ti ha salvato papà. Era una ragazza di buona famiglia, non aveva mai toccato uno straccio in vita sua, mai tolto un granello di polvere, mai stirato o cucinato, le sue mani delicate erano nate solo per suonare il pianoforte a detta di sua madre e suo nonno. Lavorava però, all'improvviso da ragazza benestante e studentessa universitaria, si era trovata a causa della morte del nonno senza soldi e senza possibilità di continuare gli studi. Aveva fatto un concorso statale e l'aveva vinto. Prendeva quel treno tutti i giorni per raggiungere il suo posto di lavoro a Bari. E tu guidavi quel treno tutti i giorni o quasi. Ha amato i tuoi figli dello stesso amore dei suoi. Lo diceva con orgoglio a chiunque: "I figli non sono quelli che si partoriscono, ma quelli che si amano, io ho sei figli." E lo ha dimostrato curando la tua E. fino all'ultimo, quando una malattia tanto simile a quella di sua madre ce l'ha portata via. Ha imparato per te e per loro a fare tutte quelle cose in casa che non aveva mai fatto prima. E' stato il tuo amore a rendere possibile questo papà. Tutte quelle pietanze meravigliose che ora sa preparare e con le quali ci ha rimpinzato da piccolini, sono nate dal tuo amore. Da quel tuo dire: "Mia moglie l'ho sposata non perché faccia la serva ai miei figli, ecco perché io la aiuto tanto in casa." Da quell'amore che si respirava, siamo nati prima io e mio fratello, vicinissimi, con soli 19 mesi di differenza l'uno dall'altro. Restavi a casa con noi quando eravamo malati, che attraversassero gli altri la stradina che dagli uffici portava alle case se avevano bisogno di te. Ci costruivi magici fiori ripassando il filo colorato in mezzo a chiodini fissati su un pannello di legno, facevamo castelli con rotoli di carta igienica, ci permettevi di ritagliare figure e incollarle su un vecchio frigorifero non funzionante che era diventato il nostro armadio dei giochi. Noi eravamo più importanti del tuo lavoro che pure era di responsabilità. Avevi cominciato come fuochista, impalando tonnellate di carbone nelle locomotive ed eri diventato dirigente di tutto il deposito di manutenzione. Quel luogo incantato dove abbiamo trascorso la nostra infanzia. Ed eri stimato da tutti i tuoi collaboratori. Ricordo ogni volta che tredicenne prendevo da sola il treno per Roma per le vacanze da mia sorella, il conduttore controllava il biglietto chilometrico e, leggendo il cognome, subito esordiva: "Lei è la figlia di Don Angelo signorina?Me lo saluti tanto il suo papà, è una bravissima persona. Lui è stato mio istruttore ai corsi qui in ferrovia. Un bravo insegnante e un ottimo capo." Io ero così orgogliosa di questo e lo ero anche quando bonariamente ti prendevi la tua rivincita sul greco della mamma. Tentavi di spiegarle le più semplici leggi fisiche o matematiche e lei subito ti interrompeva: "Angelo lo sai, è inutile che insisti, sarà pure interessante ma io quelle cose non le capisco e non le capirò mai." Tu mi guardavi e sorridevi e tentavi di spiegarle a me bambina, unica interessata. E com'è bello ora essere ancora la tua sola uditrice quando gli occhi ti si illuminano mentre descrivi il funzionamento della locomotiva diesel. Ci accompagnavi a scuola tutte le mattine. Ci hai accompagnato alla materna così come all'Università. Tutte le volte ad ascoltare i tuoi lamenti sulla mamma: "E parla sempre, e chi si crede di essere con quel suo sfoggio di greco e latino, e pensa di avere sempre ragione lei." Ma poi ci portavi con te il giorno di San Valentino a scegliere la rosa più bella solo per lei. Ancora adesso lo fai: "Sei la stata la mia amica, sorella, moglie, amante, e la madre migliore del mondo. Grazie per tutto quello che mi hai dato." Quando mamma me lo ha letto ancora quest'anno, un po' l'ho invidiata. Ascoltavamo i tuoi lamenti in quella macchina e le tue storie della guerra: "E mi ricordo di quando all'armistizio ci ubriacammo tutti e passai tre giorni sotto coperta a dormire. Quando mi svegliai la guerra non era finita." E le cacce ai sommergibili, i topi che correvano lungo le corde della nave, i traffici illeciti di sigarette e sale. Le tue storie della guerra e quelle di quando eri ragazzo: "Andavamo, appena finite le scuole, alla masseria degli zii a Lecce. Le zie erano tutte contente: E' arrivatu l'Angiulino nostru. Io aiutavo lo zio nei campi e a mungere le mucche e poi ci riposavamo sotto a un albero e mangiavamo fichi d'india a volontà." "Quando abitavo a Gallipoli, non volevo mai tornare a casa all'uscita da scuola. Me ne andavo sugli scogli a raccogliere le cozze patelle. Tornato a casa, non era più ora di pranzo. Vostro nonno mi faceva vedere il piatto di pasta e poi lo andava a chiudere nel suo armadio, a chiave. E la sera me lo ripresentava così com'era e dovevo fare in fretta, perché il piatto era uno per tutti al centro della tavola e se non eri veloce non mangiavi." "Quando il nonno fu mandato dalla ferrovia a Bologna, era una vita tutta diversa. Lì le donne portavano i pantaloni, alcune erano separate anche se non esisteva ancora il divorzio. E c'era la neve. Quanta neve bambini! Si affondava fino al ginocchio. Ci voleva un'ora a piedi da casa mia per arrivare alla scuola elementare." E noi ipnotizzati ti ascoltavamo. E poi papà, avevi già 54 anni quando hai scoperto che il mare ti stava regalando ancora un'altra figlia. Era stata una fuga romantica estiva la vostra, una passeggiata serale sulla spiaggia. E' nata quella bambina con gli occhi color del mare, l'unica in famiglia ad avere occhi così. La chiamavano la selvaggia da piccolissima, quella pelle scura come la tua, quegli occhi luminosi e i ricciolini biondi, sempre in movimento. E chi non conosceva la storia ogni volta ti diceva: "Don Angelo, ma è sua nipote questa?" E tu ti sentivi vecchio e avevi paura. Che non l'avresti vista crescere. Che non avresti visto noi e i nostri figli. E invece hai potuto piangere quelle due lacrime subito asciugate il giorno della mia laurea, il giorno del mio matrimonio, ogni volta che rivedi i miei figli e li abbracci. Due importanti lacrime per un uomo di altri tempi come te che non si è mai vergognato di mostrare i suoi sentimenti. La mamma mi ha raccontato della festa di F., il mio nipotino. Avevi trovato tra le tue cose alcune vecchie foto dei tuoi amati treni e avevi deciso di regalargliele. Le hai date alla mamma ma quando lei le ha tirate fuori dalla borsa per darle al bimbo, tu ti sei tanto arrabbiato. "Dove hai preso quelle foto? Quanti soldi hai speso per comprarle?" "Ma Angelo", ha provato a dire lei "sono quelle che mi hai dato tu l'altro giorno." Tu ancora arrabbiato hai affermato di non averle mai viste, allora lei ha capito e ti ha rassicurato dicendoti che non erano costate molto. Coltivi il tuo giardino, guidi ancora l'auto, costruisci ogni giorno qualcosa che può servire in casa, aggiusti ancora tutto quello che richiede di essere riparato. Se non fosse per quei vuoti di memoria, nessuno lo direbbe che hai l'età che hai. Hai compiuto 86 primavere ieri e tu sei ancora qui papà. Io non ero con te, i miei bambini non erano con te e non sai quanto ho pianto per questo, perché non so se ci sarà ancora un compleanno da poter festeggiare insieme. Ti ho fatto i miei soliti auguri veloci, perché noi due siamo sempre stati contrari a troppe smancerie. Non abbiamo bisogno di tante parole per capire quanto ci amiamo. Ma ho voluto ugualmente scrivere tutto questo. Perché, anche se non leggerai, volevo dirtelo che tu per me sei il miglior papà del mondo. Ti voglio bene, tanti auguri papà.
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Non ho il dono della sintesi, soprattutto quando parlo di sentimenti.
"Se avessi una figlia la vorrei come te." Ti ringrazio tanto Up, è un grande complimento questo che non penso di meritare. Ho riletto l'ultima tua frase un po' di volte, se vai sul mio profilo leggerai sui difetti impulsiva.....ho seguito il tuo consiglio, domani sera parto e rientro giovedì mattina. Grazie, davvero.