L'ho sentito raccontare anche da una mamma sconosciuta stamattina alla radio.
Mi ci sono immedesimata ancora, cosa deve essere, nella gioia, nell'attesa, e nel dolore.
E ho pensato di trasmettervelo con un piccolo cammeo delle mie vacanze.
Dietro al vetro ad aspettarla.
"Com'è la tua amica mamma?", chiede mio figlio curioso.
"Ah boh! E chi lo sa? Lei è sempre diversa, una volta bionda, una volta bruna."
Arriva, bionda e nera, capelli cortissimi, la gonnellona e gli stivali come sempre.
"Ingegnere come sta?", chiede a mio marito.
E' lei che me l'ha presentato.
Lei, la sua casa e l'esame di fisica II da preparare in tre furono galeotti.
"Allora che raccontate?"
"Ma come che raccontiamo? Noi!!! Tu devi raccontare, è un mese che aspetto, da quando mi hai mandato quella foto e non siamo più riuscite a sentirci."
E mi tornano alla mente i nostri discorsi di ragazze.
"Io lo sento forte e sviscerato il desiderio di maternità. Spero di averlo un figlio un giorno."
Rispondevo: "Per me non è così. Un figlio è una bella cosa ma bisogna essere consapevoli di quello che si fa. Perché lui non ti chiede di venire al mondo."
Il destino ha fatto il resto.
Dopo nove anni, innumerevoli tentativi naturali e non, le mille lacrime versate che non sapevo come asciugare, dopo i sensi di colpa quando le raccontavo dei miei bambini, dopo le domande, le valutazioni, gli incontri, i corsi, le visite dallo psicologo, i documenti, finalmente arriveranno.
Non se lo aspettavano.
Pensavano di dover fare l'ennesimo colloquio conoscitivo.
Dice di aver pianto tutto il tempo mentre compilava ancora documentazione.
Di aver chiesto scusa per questo e di essersi sentita rispondere che è normale per una donna che "partorisce".
Racconta di tutti i dettagli che seguiranno, dei lunghi sei mesi che ancora mancano all'arrivo in Italia dei suoi figli.
Vedrai amica che voleranno.
Gemechis, Bacha e Mitike sono stati il più bel regalo di Natale, anche per me.
Tutto l'universo obbedisce all'amore