LA SFIDA
"La speranza è la decisione militante di vivere con la certezza che noi non abbiamo esplorato tutti i possibili se non tentiamo l'impossibile" (R. Garaudy)
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C'era una gran confusione in quella sala. Gente andava, gente arrivava. Nomadi, barboni, cristiani, musulmani, ebrei, vecchi e bambini. Sul fondo il banco della cucina, l'odore delle pietanze calde si diffondeva simile a quello degli ospedali. "Anche tu quest'anno qui?", le chiese Rosaria. Sorrise, finalmente un viso conosciuto. Rosaria l'aveva ospitata a casa sua durante le precedenti vacanze pasquali. I tavoli erano attaccati l'uno all'altro, difficile passare con i vassoi in mano. Sembrava una tranquilla pizzeria, di quelle nelle quali era abituata a trascorrere i sabato sera con gli amici. L'aria era serena, tutti ridevano, qualcuno di tanto in tanto si alzava per augurare buon Natale agli angeli di Sant'Egidio. Un angelo? Gli altri forse. Lei no davvero. Non si sentiva affatto così. Spaesata piuttosto. Indecisa su come approcciare quella gente. Così fuori posto, lei, la sua casa calda, i suoi vestiti, l'università. I bambini erano un'altra cosa. D'altronde Roma non era certo la sua piccola città. Ogni volta che arrivava a Termini, tutta quella gente, tutti quei visi, quegli abiti diversi, colorati e multiformi. Una voce dalla cucina la distolse dai suoi pensieri: "Al tavolo quattro non hanno avuto ancora nulla. Vai a chiedere cosa possiamo servirgli." Provò a sorridere come le aveva suggerito Rosaria. Si rivolse a un uomo dimesso con la barba lunga: "Cosa posso portarvi da mangiare? Se non gradite maiale abbiamo altra carne." L'imbarazzo e la timidezza avevano sotterrato perfino qualunque regola di buona educazione imparata fino a quel momento. L'uomo continuò: "E poi vorremmo presentarci. Io sono il rabbino capo di questa città. Sono venuto a fare festa con gli amici cristiani. A condividere il pane con loro. Perché Natale è questo soprattutto, è condivisione, è amicizia, è dono." "Ora tocca a te con le presentazioni" continuò, "tu chi sei?" Era certa che la voce non sarebbe uscita. "Io sono Francesca. Ho ventuno anni. Studio all'università e lavoro con i bambini della scuola popolare. La conoscete voi la scuola popolare? Sono bambini di un quartiere periferico. Sono venuta a Trastevere anche a Pasqua, ad ascoltare Andrea. Sono contenta di essere qui." Doveva essere stata l'atmosfera, lo spirito del Natale, o forse quel Gesù in cui ancora non credeva ad aver provocato quel suono. Le parole erano uscite dalla sua bocca, o almeno così le era parso, e tuttavia avevano un non so che di sconosciuto. "Siamo felici anche noi che tu sia qui. E abbiamo molta fame! Cosa c'è di buono stasera?" In ricordo di Federico Aldrovandi |
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