Che se non fosse per papà e per l’incredibile distanza, so che saresti già a casa da me.
Ho trentanove di febbre, mio marito fuori fino a sabato, nessuna amica, neanche più la baby sitter.
Saresti qui dalla tua "bambina", che bambina non ha mai voluto esserlo, persa da sempre in un mondo tutto suo fatto di libri, poche amicizie selezionate, pochi divertimenti.
Con i tuoi piedi ormai zoppi, avanti ad antinfiammatori fino a che si consumerà il fegato, ma chi ti ferma a te?
Sono settandue oggi mamma, chi lo direbbe?
Quella pelle del viso ancora così liscia, i capelli castani, solo qualche ciocca d’argento vicino alle orecchie.
Ti fa tanto arrabbiare questa cosa, lo dicevi alla parrucchiera di turno quando voleva tingerti: "Per favore no, non vedo l’ora di poter diventare tutta bianca e invece sono ancora del loro colore."
Come quando sposina fresca decidesti di farti delle mèches d’argento, per non far sfigurare tuo marito: tu così giovane e bellissima, lui di quattordici anni più grande, con tre figli adolescenti.
Papà, ti prese per matta vero?
Come poteva non essere orgoglioso di averti accanto?
Gli uomini si giravano a guardarti, impossibile non notarti con quel fisico prosperoso, e la parola sempre pronta e tagliente, determinata, instancabile, una forza della natura.
Una donna da amare o da odiare, non certo una da vie di mezzo.
E così è stato anche per noi due.
Amore ed odio estremi.
Esasperata dal mio carattere così difficile, ti rivolgevi a me con i tuoi epiteti gentili: "Sei una strega. Una vipera velenosa."
E poi mi tiravi i tuoi strali terribili: "Lo avrai un giorno un figlio peggiore di te, cocciuto, testardo, che ti farà disperare. Ti auguro di soffrire molto per questo."
Come ti capisco ora mamma, soffro per me e per lui quando lo guardo, so quanto male gli fanno le mie parole come a me facevano male le tue.
Mio figlio così simile a me, come riuscire a districarsi con qualcuno che sembra fuoco e fiamme e dentro è solo burro e zucchero, ma non sa come mostrarlo?
Noi due siamo così.
Reagiamo davanti alle persone forti, siamo dolci con chi sa leggerci dentro.
Ti odiavo. Perché le tue collaboratrici, davvero poco volenterose, intente a ridipingersi le unghie e leggere il giornale, non facevano che parlarmi male di te che pretendevi molto e facevi bene il tuo lavoro.
Ti odiavo. Perché sembravi così sciatta. E non concepivo come una donna bella e intelligente potesse essere trascurata e una casalinga parecchio superficiale.
La nostra casa un pout-pourri di mobilio. A te non interessava per niente.
Di che colore fossero i divani e se si intonassero con le tende.
"L’importante" dicevi, "è uscire di casa con i letti rifatti ed i piatti puliti. Il resto quando si ha tempo. La casa è fatta per essere vissuta, non per essere mostrata."
Trovavo così stridente il contrasto tra questo modo di pensare e di vivere, tra la vecchia cucina in legno che papà amava ridipingere in colori vivaci all’improvviso senza avvertirti,e tutte quelle riviste di arredamento che comunque compravi, sognando di case bellissime e impeccabili.
Ti odiavo. Perché andavamo in giro per boutique, provavi vestiti e non compravi mai nulla.
Mi vergognavo al tuo posto. Ricordo anche di quando, tu in camerino, dissi alla commessa che era inutile perdere tempo con te.
Non capivo che da ragazza potevi permetterteli, da madre di sei figli e moglie di un impiegato statale con mutuo a carico, non più.
Ti amavo. Quando ci divertivi con le mille e variegate attività natalizie, quando preparavi la focaccia da mangiare sulla spiaggia, quando cucinavi piatti nuovi, quando mi portavi macedonie colorate con bigliettini augurali durante i pomeriggi di studio per l’esame di maturità e per quelli universitari.
Amavo tanto la tua mollica di pane di buona fortuna, che normalmente buttavo convinta che mi portasse male.
Ti amavo. Perché casa nostra era un porto di mare. Ci poteva entrare chiunque a qualunque ora e senza scomporti preparavi pranzi interi in mezzora, dolce compreso.
Ogni amico era benvenuto. Ogni proposta sempre accettata.
Ti amavo. Perché avevi sempre una risposta per tutto, purchè non si trattasse di matematica ovviamente, traducevi al posto mio le odiate versioni di latino, eri rappresentante di classe e di sezione e tutti i professori ti conoscevano e ti stimavano.
Ti amavo. Perché anche se non capivi affatto come una figlia potesse essere così incosciente da andare a trovare dei bambini in un quartiere in cui si sparava, facevi la spesa per quelle famiglie e mi chiedevi di portargliela.
Ti odiavo. Tutte le volte che parlavi di mio fratello minore come di un figlio perfetto.
Affettuoso, bravissimo a scuola e all’università, simpatico.
Ora lo so mamma, i figli si amano tutti allo stesso modo ma non sono tutti uguali: siamo esseri umani, ragioniamo per affinità e simpatie.
Ti amavo. Perché il tuo cuore era il più grande di tutti.
Poche avrebbero cresciuto tre figli di un’altra come se fossero suoi, poche sarebbero partite ogni fine settimana per assistere nostra sorella all’ospedale a Milano, poche avrebbero preso un autobus tutte le mattine alle cinque per permettere a me di riposare dopo le notti insonni con il grande e lo avrebbero cresciuto con tante attenzioni, poche sarebbero state sempre disponibili per chiunque e per qualsiasi motivo.
Odiavo i tuoi ricordi di bambina, le lacrime di nostalgia che trovavo ridicole almeno quanto le mie adesso.
Amavo il tuo saper stare in mezzo alla gente, come portavi avanti instancabile qualsiasi conversazione.
Odiavo e amavo.
La lontananza, l’essere mamma anch’io, le esperienze, mi fanno dire oggi soltanto che ti amo e spero che un giorno i miei figli possano dire di me che sono stata una mamma in gamba almeno quanto te.
Tanti auguri mamma.
Un bacio!
A presto!
p.
Tanti auguri a tua madre. In bocca al lupo a te, riprenditi presto! Un abbraccio.