Fossi ancora una bambinetta delle elementari, visto il tempo che c'è oggi da queste parti, saprei bene come cominciare il consueto tema, che si è ripetuto uguale per tre anni.
"Oggi, giornata dei defunti, la mia famiglia ed io siamo andati come ogni anno al cimitero di Taranto. La fitta nebbia ed il freddo pungente creavano un’atmosfera di tristezza e invogliavano a rimanersene a letto al calduccio sotto le coperte. Ma noi ci teniamo a non dimenticare nessuno …."
Ogni anno eravamo lì, tra le tombe monumentali rosso-brune tinte dagli ossidi di ferro della vicina Italsider, oggi Ilva.
In mezzo alla confusione di questi giorni, tra odore di crisantemi e ceri.
A me piaceva andarci e domandare chi fossero tutti quei visi sconosciuti che sorridevano dalla fotografia in bianco e nero riprodotta sull’ovale di ceramica delle tombe all’interno delle cappelle di famiglia.
"Perché quello lì l’avete messo in alto mamma?"
"Quel signore non è della nostra famiglia, era un operaio che lavorava per mio nonno e non aveva soldi per farsi una tomba. E lui gli ha regalato il posto."
"E quel bambino? Anche i bambini muoiono mamma?"
"Quello era il figlio di un mio cugino, era tanto malato poveretto. La sua mamma da allora è stata sempre triste."
La cappella cominciava pian piano ad affollarsi di parenti.
Come un personaggio di favola compariva all’improvviso la strega assassina di guance.
Prendeva le mie e stringendole forte continuava a ripetere a mia madre: "Annetta, ma tua figlia più cresce e più assomiglia a tua madre. Sei identica a nonna Carolina bambina, vanne orgogliosa."
Mi dicevo che se avesse continuato ancora per un po', avrei smesso di assomigliarci alla nonna.
Nella cappella della famiglia di mio padre non c’era mai nessuno.
Solo sua sorella, continuamente affaccendata a togliere un fiore secco, lisciare il lino della tovaglia sull’altare, accendere un cero, versare acqua dalla brocca metallica nei piccoli vasetti di vetro.
"Papà ma la signora così bella che era la tua prima moglie non è la mamma?"
"No, lei è la mamma dei tuoi fratelli maggiori. Ma non parliamo di lei che c’è la zia. Vieni con me, andiamo a lasciare un fiore ad altri. Dove non va mai nessuno."
La prima moglie di mio padre era una siciliana, bellissima, dagli occhi e i capelli nerissimi.
Ogni volta a casa, nel vecchio album incartapecorito, mi incantavo a guardare le sue foto anni quaranta, sembrava un’attrice.
La famiglia di mio padre non accettò mai quel matrimonio.
La suocera di mio padre aveva lasciato suo marito, rigido e freddo militare, per scappare con un attendente dello stesso, di molto più giovane di lei.
E quest’infamia perdurava sulla bella siciliana innocente e sui suoi figli, i miei fratelli, discriminati per questo da tutti i miei parenti.
Non si chiedeva di loro a mio padre, se commettevano qualche sciocchezza di ragazzini era colpa del DNA marcio.
Quando la loro madre morì giovanissima, nessuno si preoccupò di quei tre ragazzi se non mio padre.
E quanto fastidio dà ancora oggi quel posto occupato in cappella, tra i più bassi e accessibili, dal mio nipotino, morto a pochi giorni dalla data presunta del parto per un errore medico.
Nessuno andava sulla tomba del giovane attendente, morto prematuramente anch’egli.
Noi si e continuavamo il giro per tutto il cimitero in cerca delle tombe abbandonate e polverose, quelle sulle quali nessuno posava un fiore da tempo.
Lasciavamo il nostro pensiero a persone mai incontrate e così voglio fare oggi con mio figlio visitando un intero cimitero sconosciuto.
Per non dimenticare.
Ad esempio a me piace il sud - N. Di Bari