Mio figlio, che va all'asilo, mi ha sorpresa dimostrandomi di saper usare perfettamente il mouse colorando un intero campo di fiori su un sito web apposito.
Sceglieva un colore diverso per ogni petalo, si spostava con il cursore dopo aver fatto la sua scelta, cliccava e voilà, petalo rosa, o viola, o rosso.
No ma dico? Io il pc ho cominciato ad usarlo all'università, che mia madre era di quelle che nel vic 20 e nel commodore 64 ci vedeva chissà quali strane diavolerie che ci avrebbero alla lunga stravolto le menti.
I bei giochi di una volta, tuttavia, questi ragazzini se li scordano e così temo anche il senso dell'amicizia, del condividere quel poco che avevamo noi con gli altri ragazzini della nostra età, dello stare all'aria aperta.
Ve lo ricordate il gioco della campana?
Io ricordo che scendevamo in cortile, alla ricerca di qualche pezzo di muretto crepato da cui poter staccare una pietrolina bianca. Con quella tracciavamo per terra la scacchiera, segnavamo i dieci numeri e cominciavamo le gare a tirare il sasso sul numero giusto, raccoglierlo saltellando senza toccare le strisce divisorie e così passavamo intere mattinate.
Io poi avevo la fortuna di abitare in un deposito locomotive, una zona attrezzata per la manutenzione e il ricovero dei treni.
Una specie di mondo fantastico.
Mio padre dirigeva l'area, quindi noi potevamo tranquillamente andarci a giocare con i nostri compagni.
Al centro del deposito, lui amante del verde e della natura, aveva creato una zona di relax per i ferrovieri che, finito il turno, andavano lì a dormire, o a mangiare, in attesa del successivo treno.
C'era una bella vasca centrale con i pesci rossi, circondata da alberi e panchine e quattro aiuole molto grandi.
Ecco noi eravamo sempre lì, con le biciclette, oppure a saltare la corda, a raccogliere insetti mezzi affogati dalla vasca e porli amorevolmente sulle panchine ad asciugare per poi fargli riprendere il volo, a fare canestro nei cerchi di protezione della scala che saliva su su fino al grande faro per l'illuminazione del piazzale, a dondolare sull'altalena di legno, mia personalissima, che portavo giù da casa tutte le volte come una reliquia e appendevo ai due ganci sistemati al di sotto della pensilina per il parcheggio delle auto.
Per non parlare di quando andavamo nella zona più abbandonata ad ammirare la mitica E.636 e la locomotiva ancora più antica, quella a vapore, tutta nera e lucida, e il carro soccorso che tirava su i treni sviati, e la piattaforma girevole, grossa specie di fossato sul quale arrivava un binario morto dove il treno poteva essere completamente girato e riparato.
E poi tutti di corsa in bici per la stradina malmessa che portava fino all'ufficio di mio padre, entravamo in silenzio e restavamo incantati a guardare i pesciolini multicolore nel grande acquario dell'ingresso.
"Papà ma ci porti tutti al bar delle sud-est a prendere il gelato?"
E lui "attenzione, guardate il semaforo sul binario, è rosso; bene il treno è fermo ancora in stazione, possiamo attraversare tutti e mi raccomando in fretta."
E di quel gelato che usciva bicolor dalla macchinetta premendo la leva mi ricordo ancora il sapore inconfondibile.
L'inverno erano gare di monopoli, domino, shanghai, dimmi dammi e comanda, nomi cose e città.
Ecco, guardando mio figlio, spero non avrà soltanto ricordi di dvd, ipod, play station e fiori colorati da solo davanti a un pc.