L'AFRICA DEI MARTIRI

Da Korogocho, jambo! Dai sotterranei della vita e della storia, il mio augurio di Buon Anno. Non è facile augurare Buon Anno quando si è testimoni oculari dei disastri prodotti dai signori della morte, qui a Korogocho e in quest'Africa sempre più alla deriva. Eppure è proprio qui, dove più si sperimenta la morte, che più si vive la vita. È qui che si tocca con mano la chiesa dei poveri, dei diseredati, degli schiacciati, dei rifugiati, che continua a pregare, sorridere, danzare, sperare nonostante tutto. È la chiesa dei martiri... di "coloro che sono passati per la grande tribolazione e hanno lavato le loro vesti rendendole candide col sangue dell'Agnello". (Ap 7,14). Semplici cristiani, sacerdoti, suore e vescovi capaci di donare la propria vita per i fratelli, in difesa della giustizia, per i grandi valori del Regno.

Fino a ieri è stata l'America Latina il continente dei martiri. Ho l'impressione che oggi l'Africa stia raccogliendo il testimone. Il 1996 ci ha regalato tre grandi martiri africani: Pierre Claverie, vescovo di Orario (Algeria), Joachim Ruhuna, vescovo di Gitega (Burundi), e Christophe Munzihirwa, vescovo di Bukavu (Zaire). Tre giganti dell'Africa, morti perché hanno scelto la giustizia e la vita.

"I loro carnefici hanno commesso il peggiore dei crimini: hanno rinnegato Dio, il Creatore. Non è uccidendo che restituirai la vita ai tuoi cari; diventerai anche tu un assassino e il Signore ti maledirà", gridava Ruhuna il 23 luglio '96 durante l'omelia funebre per le vittime del massacro di Bugendama. Ma un tutsi non può parlare così, e fu freddato da altri tutsi il 9 settembre 1996.

Il vescovo Munzihirwa è caduto vittima di un'imboscata il 29 ottobre dello stesso anno. Pochi giorni prima aveva firmato un appello per la pace ricordando ai tutsi che "il Kivu rappresenta la disperazione creata dal Burundi e dal Rwanda... Nel 1994 sono venuti i rifugiati tutsi, poi la grande massa degli hutu. Noi abbiamo accolto tutti. Ora i governi di Kigali e di Bujumbura mandano un'armata per sterminare nei campi profughi i loro concittadini e massacrare noi che li abbiamo accolti. Lo fanno dopo che l'ONU ha tolto l'embargo delle armi sul Rwanda". Un uomo con una tale lucidità mentale e il coraggio di "fare la verità" non poteva che essere soppresso.

Claverie è stato ucciso, con il suo autista, il 1° agosto. Tornava da una celebrazione in ricordo dei sette monaci massacrati a Tibhirine in primavera. Anche il vescovo di Orano aveva deciso di restare in un paese insanguinato dalla violenza, figlia di un processo di ideologizzazione della religione. "Sono convinto che l'umanità esiste solo al plurale - aveva affermato in un discorso tenuto a Marsiglia nel '95. Quando pretendiamo di possedere tutta la verità e cediamo alla tentazione di parlare in nome dell'umanità, cadiamo nel totalitarismo e nell'esclusione... lo sono credente. Credo che c'è un Dio; ma non ho la pretesa di possederlo, né attraverso Gesù né attraverso i dogmi della mia fede. Dio non si possiede. Non si possiede la verità e io ho bisogno della verità degli altri". E concludeva: "Se solo si arrivasse, nella crisi algerina, a concepire che l'altro ha il diritto di esistere e che porta una verità da rispettare, allora non avremo corso invano i pericoli ai quali siamo esposti".

Finché abbiamo vescovi-martiri di questa statura, la brezza della speranza non abbandonerà l'Africa, anche all'inizio del nuovo millennio che non si preannuncia facile.

 

CONVERTIRSI ALLA NONVIOLENZA

Giorni amari per l'Africa, che gronda sangue innocente. Giorni amari per lo Zaire, in fiamme da Bukavu a Kisangani. Fiumane di rifugiati, di sfollati, di vecchi, donne e bambini in cammino sulle strade d'Africa. Il tutto a soli due anni dal bagno di sangue in Rwanda, e in contemporanea con la lenta ma continua carneficina in Burundi e con l'insurrezione in atto a Bangui.

Lo Zaire è solo un ulteriore esempio della "violenza apocalittica" che ci minaccia tutti. Certo, ci sono precise ragioni economiche e politiche, ma non spiegano tutto. "I dirigenti di Kigali non hanno forse mire espansionistiche?", scriveva Christophe Munzihirwa, arcivescovo di Bukavu, pochi mesi prima di essere trucidato. "Non sono forse sostenuti da certi paesi della regione (Uganda e Burundi) e da certe potenze occidentali che affermano di incoraggiare la democrazia mentre utilizzano la posizione geografica del Rwanda e della minoranza che lo comanda per assicurarsi il controllo sull'avvenire politico ed economico di quel gigante che è lo Zaire e, forse, anche di altri paesi della regione dei Grandi Laghi?".

Parole vere, firmate con il sangue. "Questa guerra, che i mass media chiamano dei banyamulenge, è in realtà un'invasione che ha preso l'avvio dall'Uganda", scriveva ancora Munzihirwa.

L'esercito degli invasori è composto di soldati ugandesi, rwandesi, burundesi, e da mercenari di gran lunga meglio equipaggiati dell'armata zairese. Questo, dopo che l'ONU ha tolto l'embargo sulle armi al Rwanda". Grande lucidità, questa dell'arcivescovo assassinato. Ma non è ancora lucidità totale.

È giocoforza ormai ammettere una verità fondamentale: la violenza ci è sfuggita di mano. È questa la vera grande crisi antropologica di oggi. Tutti i mezzi che l'uomo ha inventato, dai tempi delle città-stato e degli imperi, per domare la violenza, sembrano franare. Oggi siamo chiamati dalla storia ad una scelta: togliere il velo (è questo il vero significato della parola greca "apocalisse") per leggere finalmente la realtà ed evitare l'apocalisse finale, impedire che l'umanità venga travolta dalla violenza tout court. Una convocazione a ritornare al Vangelo, a quel povero Gesù di Nazaret, il primo che ha spezzato il ciclo della violenza. Siamo tutti davanti a un bivio: accettare la nonviolenza attiva di Gesù o essere travolti dalla violenza apocalittica.

"La nostra chiesa - afferma padre Niall O'Brien, [2] da oltre vent'anni missionario nell'isola di Negros (Filippine) - trova difficoltà a seguire l'esempio di Gesù che ha rifiutato la spada. La sua ambiguità toglie credibilità perfino alle sue dichiarazioni sul valore assoluto della vita fin dal seno materno. È come se usasse due pesi e due misure. Il giorno in cui la chiesa - conclude padre O'Brien - sarà animata da una tale passione per la vita da portarla a condannare ogni uccisione, quel giorno potremo offrire credibilmente ai nostri fratelli e sorelle che hanno abbracciato il mitra un'opzione ben più radicale di quanto essi abbiano mai sognato". È, questo, davvero un sogno? Possiamo sperarlo per il Giubileo? Da quattro anni gli obiettori di coscienza italiani chiedono un'udienza con il papa.A quando quest'incontro? Sarà un piccolo segno verso la conversione di questa nostra chiesa al suo Maestro.

In Africa, dove la violenza apocalittica ci potrebbe travolgere, attendiamo con impazienza qualche segno di conversione. Sarebbe il più bel dono del Giubileo.