L'AFFARE ROVINATO

di Anton Chekhov (1882)

Traduzione originale dal russo

Volevo piangere disperatamente! Mi misi a piangere ed ecco che mi sembrò di stare meglio.

Era una serata stupenda. Mi agghindai, mi pettinai, mi profumai e mi affrettai da lei come un don Giovanni. Lei vive in una dacia a Sokolnik. É giovane, bella, riceverà 30.000 in dote, ha una certa istruzione e ama me, un autore, come una gattina.

Recatomi a Sokolnik, la trovai seduta sulla nostra panca preferita, posta sotto abeti alti e slanciati. Nel vedermi, si alzò in fretta e mi venne incontro raggiante.

Come siete crudele! — disse. — Dovevate tardare così tanto? Sapete bene che mi annoio! Che sagoma che siete!

Le baciai la bella manina e, tutto tremante, mi sedetti sulla panca accanto a lei. Tremavo, mi si stringeva il cuore; lo sentivo infiammato e prossimo a scoppiare. Il polso scottava.

E che ingenuo! Ero venuto per decidere finalmente il mio destino. Tutto sarebbe stato deciso dalla mia supplica... Quella serata sarebbe stata decisiva.

Il tempo era stupendo, ma non mi interessava. Non ascoltavo neppure l'usignolo che cantava sopra le nostre teste, nonostante fosse d'obbligo ascoltare l'usignolo a qualsiasi rendez-vous, per quanto poco onesto.

— Perché tacete? — chiese, guardandomi in viso.

— Ecco... è una serata così meravigliosa... Sta bene la vostra maman?

— Sta bene.

— Mm... Ecco... Io, vedete, Varvara Pietrovna, desidero parlarvi... É proprio per questo che sono venuto... Ho taciuto, taciuto, ma ora... servo vostro! non sono più disposto a tacere.

Varia piegò la testa e con i ditini che tremavano prese a tormentare un fiorellino. Lei sapeva di cosa egli aveva intenzione di parlare. Tacqui e quindi proseguii:

— Perché tacere? A che scopo tacere e non farmi coraggio, quando prima o poi dovrò dar sfogo... al sentimento e alla lingua. Forse voi vi offenderete... o non afferrerete, ma... cosa?

Tacqui. Bisognava comporre una frase adatta.

"Su, parla! — protestavano i suoi occhietti. — biascicone! Perché ti tormenti?"

— Voi, infine, già da molto tempo avete intuito, — continuai, e tacqui, — il motivo per cui voglio venire qui ogni giorno e con la mia presenza infastidisco i vostri occhi. Come non indovinare? Voi, in verità, già da molto tempo con la vostra perspicacia avete intuito il mio sentimento, il quale... (Pausa) Varvara Pietrovna!

Varia si chinò ancora di più. Le sue piccole dita si misero a tamburellare.

— Varvara Pietrovna!

— E allora?

— Io... Sì, ma cosa dire?! É ugualmente chiaro... Amo, ecco tutto... Che altro dire? (Pausa) Amo terribilmente? Vi amo così tanto che... Con una parola, prendete tutti i romanzi che si trovano in questo mondo, leggete tutte le spiegazioni che vi si trovano riguardo all'amore, ai giuramenti, ai sacrifici e... voi riceverete ciò che... adesso è nel mio petto... Varvara Pietrovna! (Pausa) Varvara Pietrovna!! Perché tacete?!

— Che cosa vi succede?

— Forse che... no?

Varia sollevò la testa e sorrise.

"Ah, che mi prenda un colpo!" — pensai. Lei sorrise, mosse le labbra e in maniera appena udibile proferì: "Perché no?"

Afferrai disperatamente la mano, con accanimento la baciai, con furia afferrai l'altra mano... Che cara! Fintanto che mi detti da fare con le sue mani, ella stette con la testolina sul mio petto, così che per la prima volta compresi di quale magnificenza fossero i suoi stupendi capelli.

La baciai sulla testa e il mio petto divenne tanto caldo come se vi fosse stato posto un samovar. Varia sollevò il viso, così che non mi restò altro da fare che baciarla sulle sue piccole labbra.

Ed ecco che, quando Varia fu infine nelle mie braccia, quando la decisione di sottoscrivere la consegna dei trentamila era già presa, quando in una parola erano praticamente assicurati una bella moglie, dei bei denari e una bella carriera, il diavolo mi fece sciogliere la lingua...

Desiderai far bella figura davanti alla mia promessa sposa, splendere in quanto ai princìpi, lodare. D'altronde, non so nemmeno io che cosa volessi... Ne uscì una cosa terribile!

— Varvara Pietrovna! — iniziai dopo il primo bacio. — Prima di ottenere da voi la parola di divenire mia moglie, ritengo un sacrosanto dovere, per evitare dei grossi malintesi che potrebbero sorgere, dirvi alcune cose. Sarò breve... Sapete voi, Varvara Pietrovna, chi e che cosa sono io? Sì, sono onesto! Sono lavoratore! Io... io sono orgoglioso! solo un poco... Ho un futuro davanti... Ma sono povero... Non possiedo nulla.

— Lo so, — disse Varia. — Non è nel denaro la felicità.

— Sì... Ma chi parla di denaro? Io... io sono orgoglioso della mia povertà. I copechi che ricevo per il mio lavoro letterario non li scambierei con quelle migliaia che... con le quali...

— É chiaro. Ora...

— Io sono abituato alla povertà. Per me non significa niente. Riesco a stare una settimana senza mangiare... Ma voi! Forse che voi, che non riuscite a fare due passi senza assumere un cocchiere, che vestite ogni giorno un vestito nuovo, che gettate via il denaro, non sapendo nemmeno che cosa sia il bisogno, voi, per cui un fiore non di moda è già un motivo di grande infelicità... Forse che accettereste di separarvi a motivo mio dalle benedizioni terrene? Mm...

— Io ho soldi. Li ho in dote!

— Sciocchezze! Per scialacquare una decina, un altro migliaio, sono sufficienti alcuni anni... E poi? Bisogno? Lacrime? Credete, mia cara, alla mia esperienza! Conosco, so quello che dico! Per combattere le necessità bisogna possedere una forte volontà, un carattere disumano!

"Sì, e pure dico sciocchezze!" — pensai e proseguii:

— Riflettete, Varvara Pietrovna! Pensate quale passo state per intraprendere! Un passo senza ritorno! Se ne avete la forza, allora venite con me, se non avete la forza per combattere, allora rifiutatemi! Oh! É meglio che rimanga senza di voi, piuttosto che... voi senza la vostra pace! Quei cento rubli che mi dà la letteratura mensilmente non sono nulla! Non sono sufficienti! Perciò riflettete... prima che sia troppo tardi!

Balzai in piedi.

— Riflettete! Dove c'è debolezza, là vi sono lacrime, biasimi, precoci capelli grigi... Vi preavverto, perché sono una persona onesta. Vi sentite abbastanza forte da condividere con me una vita che esteriormente non è per nulla simile alla vostra, che vi è estranea? (Pausa)

— Ma possiedo la dote!

— Quanto? Venti-trentamila! Ha, ha! Un milione! Ma poi, oltre a questo, mi sarà permesso di impossessarmi di ciò che... No! Mai! Ho dignità io!

Feci alcuni passi presso la panca. Varia si mise a pensare. Ero trionfante. Poiché si era messa a pensare, era chiaro che mi stimava.

— Perciò, o la vita con me, con le privazioni, oppure la vita senza di me, con la ricchezza... Scegliete... C'è la forza? Ce l'ha la forza la mia Varia?

E continuai a parlare a lungo in tale maniera. Senza rendermi conto, mi appassionai. Parlavo e nello stesso tempo provavo dentro di me uno sdoppiamento. Una parte di me mi attraeva a quello che dicevo, ma l'altra fantasticava: "Aspetta, madre mia! Vivremo sui tuoi 30.000 in maniera da infuocare il cielo! Finché durerà!"

Varia ascoltava, ascoltava... Infine si alzò in piedi e mi tese la mano.

— Vi ringrazio! — disse, e lo disse con una tale intonazione che mi fece fremere e mi indusse a fissarle gli occhi. Sugli occhi e sulle guance brillavano delle lacrime.

— Vi ringrazio! Avete fatto bene a essere sincero con me... Io sono troppo effeminata... Non posso... Non sono come voi...

E scoppiò in pianto. Avevo commesso una stupidaggine... Mi smarrisco sempre quando vedo una donna piangere, e qui in maniera comprensibile. Nel mentre che pensavo a cosa fare, lei trattenne i singhiozzi e si asciugò le lacrime.

— Avete ragione, — disse. — Se venissi con voi, vi ingannerei. Non è da me essere vostra moglie. Sono una riccona, effeminata, vado in vetturino, mangio beccacce e costosi pasticcini. A pranzo non mangio mai minestra o shcì [minestra di cavoli]. Perfino mia madre mi rimprovera costantemente... Io mi stanco... E poi i vestiti... Tutto questo sarebbe a vostro carico rammendare... No! Addio!

E facendo un gesto tragico con la mano, pronunciò una frase appropriata come i cavoli a merenda:

— Non sono degna di voi! Addio!

Detto ciò, si volse e rientrò in casa. E io? Rimasto come uno stupido, non pensando a niente, la osservai allontanarsi, sentendomi come se la terra tremasse sotto di me. Tornato in me e resomi conto di dove mi trovavo e di quale enorme schifezza mi avesse creato la lingua, emisi un urlo. La sua impronta si era già raffreddata quando volli gridare: "Tornate indietro!"

Pieno di vergogna, me ne tornai a casa con le pive nel sacco. Alle porte della città non c'era più il tramvia a cavalli. Non avevo nemmeno i soldi per un vetturino. Dovetti tornarmene a casa a piedi.

Dopo tre giorni mi recai a Sokolnik. Nella dacia mi dissero che Varia era in qualche modo ammalata e si stava preparando ad andare con il padre a Pietroburgo, dalla nonna. Anche quello fu un buco nell'acqua...

Ora sono a letto, mangio il cuscino e mi batto la testa. Mi sento stringere il cuore... Lettore, come posso aggiustare la cosa? Come posso riottenere la mia parola? Cosa dirle o cosa scriverle? C'è da perdere la testa! L'affare era rovinato — e in che modo stupido l'avevo rovinato!