Lindo Eroe Storia di un gattino meraviglioso (2004) |
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Come spesso succede, me lo trovai attorno a casa circa quattro annui fa. Era
piccolo, forse di un paio di mesi di età, e con l'occhio sinistro
danneggiato. Probabilmente era stato graffiato da un altro gatto. Mi fece
pena e presi a dargli i rifiuti di cucina. Lo feci malvolentieri
perché mi ero riproposto di non tenere più alcun gatto dopo
ciò che era successo ad una gattina che avevo avuto in precedenza;
aveva fatto una fine tragica e ne avevo sofferto molto. Perciò gli
davo poco da mangiare, sperando che trovasse casa altrove. Nonostante
ciò il gattino continuò a risiedere e a cibarsi presso di
me. Sia di giorno che di notte non si allontanava mai dal terreno
circostante l'abitazione, forse perché così si sentiva
più sicuro a motivo del suo handicap, come pure per il fatto che
era di razza piccola. In casa ci veniva solo per mangiare, perché
così l'abituai fin dall'inizio. Infatti, anche se lo facevo entrare
per dargli da mangiare, tuttavia gli mettevo l'ultimo pezzetto di cibo sulla
finestra, che poi chiudevo. In questo modo egli si abituò a vivere
all'esterno. Non solo, ma in seguito mostrò di prediligere la vita
all'aperto. Infatti solo di rado e in casi speciali, come spiegherò
più avanti, accettò di rimanere in casa per lunghi periodi di
tempo o di notte, altrimenti era egli stesso che mostrava il desiderio di
uscire.
Il cibo che gli davo era sempre poco e il gattino rimaneva magrolino.
Tuttavia, anche se gli davo poco da mangiare, pur con quel poco gli
manifestavo amore ed egli lo riconosceva. Gli offrivo i cibi in bocca ed
egli mangiava tutto dalla mia mano. Anche se non lo volevo, cominciai ad
affezionarmici. Come si fa a non voler bene a un gattino così piccolo
e in quelle condizioni! A sua volta egli non assaggiava niente senza prima
ringraziarmi. Infatti, come abbassavo la mano per dargli qualcosa, prima di
prenderla in bocca egli strofinava la testolina contro il dorso della mano e
solo dopo aver agito in questa maniera accettava il cibo. Tale comportamento
era indicativo del fatto che non dava per scontato niente di ciò che
gli davo e che era riconoscente di tutto ciò che facevo per lui.
Dopo qualche tempo cominciai a dargli anche altri cibi oltre ai rifiuti di
cucina, come croccantini e carne in scatola. Così, anche se
inizialmente non avrei voluto tenerlo per non dover soffrire quando sarebbe
venuto a mancare, tanto più in maniera tragica come la gattina che
l'aveva preceduto, mi trovai a prestare maggiore cura al gattino. Egli
cominciò ad ingrassare e a diventare anche un pochino delicato.
Nonostante le cure che mi presi di lui, continuai a considerarlo
semplicemente come un gattino sperduto, senza attribuirgli alcun nome, con
l'intima speranza che in questo modo avrei sofferto di meno quando l'avrei
perso. Tuttavia nel corso degli anni gli attribuii dentro di me vari nomi,
come 'Lindo,' perché quand'era sveglio non faceva che lavarsi,
oppure 'Eroe,' per la sua condotta straordinaria, nel senso che
spiegherò più avanti.
Lindo era un gattino molto sensibile e, direi, anche molto intelligente.
Apprendeva le cose con rapidità. Se cambiavo abitudini, bastava che
notasse un paio di volte il nuovo mio comportamento perché si
conformasse ad esso. Se cambiavo orari dei pasti, si adattava. Se per certi
pasti bisognava attendere prima di mangiare, attendeva. Per esempio, quando
abbrustolivo la polenta non gli davo niente da mangiare finché non
fosse pronta e non mi accingessi a mangiare anch'io. Solo dopo ciò
avrei cominciato a dargli qualche pezzetto di pelle di pollo arrosto, dei
croccantini o altre cose, a seconda di ciò che avrei mangiato. Ed
egli, quando mi vedeva mettere la polenta nel tegame, mi si sedeva accanto,
restando col musetto rivolto verso la finestra ed attendeva ad occhetti
chiusi. Di tanto in tanto si voltava per vedere qual era la situazione e,
mantenendo gli occhietti semichiusi, apriva la bocca per emettere un suono
appena percepibile. Quindi tornava a voltarsi verso la finestra.
Però, non appena sentiva che prendevo un pezzo di polenta dal tegame,
allora si ravvivava e cominciava a girarmi attorno eccitato, perché
gli piaceva molto la pelle di pollo arrosto.
Lindo aveva quest'altra bella caratteristica: stava sempre attento ad ogni
mia azione, così da comprendere il mio umore, come pure i miei
comandi. Infatti, sebbene non gli parlassi mai, né lo sgridassi, se
volevo che comprendesse qualcosa, lo facevo a gesti. Ed egli, da buon
gattino, in genere ubbidiva. Non solo, ma prese da me anche l'abitudine di
tenere la bocca praticamente sempre chiusa, senza mai lamentarsi a voce per
chiedere. Se voleva qualcosa lo manifestava a gesti, imitando il mio modo di
agire. Se gli rifiutavo qualcosa, egli tornava a chiedermelo. Se glielo
rifiutavo una seconda volta, egli non insisteva più. Così si
creò un certo linguaggio muto tra noi. In genere egli esprimeva i
suoi desideri puntando il musetto verso ciò che desiderava o verso
qualcosa che rappresentava il suo desiderio. Ad esempio, quando
puntava il musetto verso una certa porta significava che aveva fame; se lo
puntava verso un'altra era perché voleva uscire. Era bello vederlo
quando puntava il musetto verso qualcosa, perché lo faceva tenendo la
testina sollevata e gli occhetti puntati su di me, in modo da capire se
l'osservavo e se il suo gesto era compreso.
Con il tempo presi a pensare al gattino come ad un eroe, in quanto aveva
comportamenti e faceva cose che in genere i gatti non fanno, anche se tali
atti non avevano niente di coraggioso. Anzi, Lindo era un gattino molto
timoroso, non solo nei confronti degli uomini, ma anche verso gli altri
gatti. Riguardo alla sua 'eroicità' nel senso menzionato, una cosa
straordinaria che sapeva fare era quella di ridere. Evidentemente il ridere
fa parte della natura dei gatti, anche se non riconosciuta, perché
non si manifesta quasi mai, se non in casi eccezionali, o con gattini del
tutto eccezionali come Lindo-Eroe. In effetti, Eroe sapeva ridere. A volte
sorrideva semplicemente, ma in almeno due casi posso dire che proruppe in
una bella risata. E adesso racconto come andarono le cose in uno di questi
casi.
Ecco la circostanza in cui ciò accadde: ci fu un periodo di tempo in
cui di tanto in tanto entrava nella proprietà un gattone grosso
grosso e ben pasciuto. Era un vero bullo e lo mostrava fin dal suo modo
tronfio di camminare. Sembrava che andasse in giro col solo scopo di trovare
gatti da picchiare. E, purtroppo, di tanto in tanto veniva anche qui proprio
con quello scopo, sapendo che nei dintorni della mia abitazione c'erano
spesso dei gatti, tra cui il micino Lindo. Mentre gli altri gatti venivano
qui per godere la pace e l'ombra del parco che circonda la casa, egli veniva
quasi solo per litigare. Infatti, non ricordo di averlo mai visto sdraiato
in qualche luogo a sonnecchiare tranquillamente come facevano gli altri
gatti, ad eccezione di una volta che racconterò più avanti.
Per questo motivo ritengo che venisse solo per litigare, picchiare e per
mostrare che era il più forte. Infatti dopo un litigio egli non si
tratteneva nel giardino, e riguardo alle zuffe posso dire che era tremendo.
Mi capitò di vederlo una volta azzuffarsi con un altro gatto. Fu
veramente terribile. Egli stava sopra l'altro gatto e lo azzannava e
graffiava con furia selvaggia. A nulla servì che dall'alto gli
tirassi addosso una scarpa. Dovetti scendere e usare una scopa per porre
fine al litigio. Solo allora egli scappò via. Ma prima di lasciare la
proprietà si fermò per un istante e mi rivolse uno sguardo per
niente spaventato, ma con un ghigno malvagio sul muso, come per mostrare il
proprio compiacimento per l'azione malvagia che aveva compiuto e forse anche
per farmi capire che non mi temeva. Vista la sua attitudine, presi a farlo
scappare ogni volta che lo vedevo nella proprietà. Come conseguenza
egli cominciò a venire per lo più di notte. Da parte sua, Eroe
si rendeva ben conto del pericolo e per evitarlo si sistemava in luoghi
sempre diversi per trascorrere la notte. Purtroppo succedeva che, vuoi
perché il gattone scopriva Eroe o perché incontrava un
altro gatto, di notte udivo quasi sempre degli schiamazzi provenire dal
cortile o dall'orto. Allora decisi di trattenere Eroe in casa nelle ore
notturne. Nonostante ciò il gattone continuò a costituire un
serio pericolo per Lindo.
Ora avvenne che un giorno, mentre mi trovavo in una stanza del primo piano,
udii un grande schiamazzo provenire da fuori. Mi affacciai ad una
finestra, ma non riuscii a vedere niente, perché lo schiamazzo
proveniva da un folto cespuglio. Corsi giù, presi una scopa, mi recai
presso il cespuglio e la sbattei con forza contro di esso (in quel periodo
dell'anno il cespuglio era completamente impenetrabile alla vista).
Immediatamente vidi fuggire da una parte Eroe e dall'altra il gattone. Fino
a quel momento avevo avuto solo il timore che il gattone se la prendesse
anche con Lindo, visto che questi era poco più della metà
degli altri gatti. Probabilmente il gattone aveva scoperto Lindo che dormiva
nel folto del cespuglio e l'aveva assalito. Mi ero sempre illuso che Lindo
non venisse coinvolto nelle zuffe, tanto più che era un gattino furbo
e prudente. In quell'occasione invece ebbi la conferma che a volte ci andava
di mezzo anche lui. Ciò mi turbò parecchio, sia per
l'affezione che provavo, ma anche per la disparità di forze esistente
tra Lindo e quel gattone malvagio. Perciò, mezz'ora più tardi
decisi di accertarmi che il brutto gattone non fosse ritornato. Uscito di
casa con la scopa in mano, mi diressi al cespuglio. Era illogico pensare che
il gattone fosse ritornato così presto e che si fosse recato
nuovamente proprio in quello stesso cespuglio, ma in quel momento non
ragionavo e non volevo lasciare spazio all'incertezza. Così scesi e
con la scopa in mano mi diressi al cespuglio. Come mi vide uscire di casa,
Lindo mi seguì incuriosito, com'era solito fare quando mi vedeva
fuori casa (egli era un vero gattino da compagnia). Giunto presso il
cespuglio, sollevai la scopa e la sbattei con forza contro di esso. Fu
allora che Eroe scoppiò a ridere, emettendo un
"he-he-he-he-he-he!" La sua fu una vera risata, un suono
ripetitivo che non avevo mai udito emettere da alcun gatto. Oltre a
ciò notai che Eroe aveva il musetto raggiante, segno che aveva
compreso il motivo del colpo di scopa e che quindi la sua era stata una vera
risata di compiacimento.
Per qualche mese il gattone diede ancora dei problemi a me, a Lindo e ad
altri gatti del vicinato, ma poi per un certo tempo non lo vidi più,
né dentro la proprietà, né altrove. L'ultima volta che
lo vidi era alquanto malridotto. Un mio amico, che pure lo vide,
stentò a credere che fosse proprio quello il gattone terribile di cui
gli avevo più volte parlato. Non so immaginare in che modo fosse
stato ridotto così a mal partito. Comunque, quella fu l'ultima volta
che lo vidi.
Nei mesi successivi Lindo ebbe problemi anche con un altro gatto, problemi
di altra natura, di cui forse ne parlerò in un'altra occasione.
Quest'altro gatto lo trovai morto una mattina di maggio dello scorso anno.
Durante la notte qualcuno aveva gettato il suo corpo senza vita appena
dentro il cancello. Quando lo vidi era già rigido. Lo seppellii
nell'orto. Lindo-Eroe, che stava sdraiato sul selciato a prendere il sole,
quella mattina non mi venne accanto com'era solito fare. Mi seguì
solamente con lo sguardo, rimanendo dov'era. Morto quest'altro gatto, che
pure aveva dato dei problemi a Lindo-Eroe, questi trascorse gli ultimi
mesi della sua vita in tutta tranquillità, non avendo più
alcuno che lo disturbasse. Gli ultimi suoi mesi li visse da re.
Lindo-Eroe mostrava a volte anche un carattere scherzoso. Di tanto in tanto,
infatti, gli piaceva giocarmi qualche scherzetto e ne provava visibilmente
soddisfazione. Uno di questi, che racconterò fra breve, me lo faceva
all'ora del pranzo. Prima però voglio descrivere qualche altro
aspetto del carattere di Lindo.
Come scendevo per mangiare, sia a mezzogiorno che a sera, egli era ad
attendermi fuori della finestra del cucinino, poiché era lì
che mangiavo solitamente. La finestra era chiusa solo da un infisso a vetri,
perché all'esterno c'era un'inferriata. Quindi egli poteva salire sul
davanzale quando più gli piaceva e rimanere in attesa del mio arrivo.
Come entravo nel cucinino, di solito aprivo subito la finestra e lo lasciavo
entrare. Se però tardavo ad aprirgli, egli batteva con una zampetta
sui vetri per richiamare la mia attenzione. Entrato in casa, egli attendeva
con pazienza che gli dessi qualcosa da mangiare.
Come ho già detto, in genere non gli davo niente da mangiare se non
dopo aver iniziato io stesso. Egli doveva attendere che anche il mio pasto
fosse pronto e poi avremmo mangiato in compagnia. In tal modo veniva
rimarcato il fatto che il padrone ero io. Conscio o meno di questo, egli mi
attendeva pazientemente, senza lamentarsi, stando seduto sul pavimento,
lavandosi, oppure tenendo gli occhietti chiusi. Quando stava con gli occhi
chiusi, per qualche motivo che non conosco mi volgeva sempre le spalle e
stava rivolto verso la finestra. Però succedeva che non appena mi
recavo in qualche luogo, si risvegliava oppure smetteva di lavarsi e mi
seguiva, come se avesse voluto controllare ciò che facevo, o meglio,
per curiosare: ciò faceva parte del suo carattere. Se mi recavo nella
sala da pranzo per prendere qualcosa nel frigorifero, egli mi seguiva e
quando aprivo lo sportello del frigo vi infilava dentro la testa. Poi,
quando vedeva che stavo per chiudere lo sportello, la ritraeva. Nella
stessa maniera egli agiva quando aprivo la porticina dello stipetto posto
sotto i fornelli. Questo è a due piani: nella parte superiore vi
tenevo degli asciugamani, in quella inferiore, le pentole.
Perciò, non appena aprivo lo sportello, egli entrava, si voltava e
quindi usciva. Tuttavia non agiva sempre così, ma a volte mi
combinava uno scherzetto.
Come aprivo lo sportello, a volte succedeva che egli si sollevava sulle
zampette posteriori ed appoggiava quelle anteriori sopra gli asciugamani e
si metteva ad aprire e chiudere su di essi le zampette, tenendo le unghiette
in fuori. Come si può ben immaginare, gli asciugamani gli si
attaccavano alle unghie, così che come ritraeva le zampette a seguito
del mio rimprovero ne tirava giù uno. Immaginiamo la scena: apro lo
sportello, lui si alza, pone le zampette su un asciugamano (“Ah, che
morbido!”), comincia ad aprire e chiudere le zampette con le unghie in
fuori e al mio rimprovero tira giù un asciugamano. E come si
divertiva! Lo vedevo chiaramente dal musetto. Questo è uno scherzetto
che aveva imparato a fare ultimamente. Ma ce n'era un altro che mi fece in
alcune occasioni circa un anno fa. Successivamente egli smise di farlo
perché le cose finirono male.
Come ho già raccontato, Lindo preferiva stare all'aperto. A volte mi
chiesi se agisse così perché lo desiderava o se lo facesse per
timore di dispiacermi, tanta era la sua sensibilità! Infatti, quando
entrava per mangiare, si tratteneva per la sola durata del pasto e poi
chiedeva di uscire. Ma ci fu un periodo di tempo in cui, finito di mangiare
egli prese l'abitudine di incamminarsi verso la vicina sala. Giunto
lì, lo vedevo improvvisamente imboccare le scale e salire con una
certa fretta. La prima volta che ciò accadde, sapendo che quando
rimaneva in casa gli piaceva gironzolare, non ci feci caso. Ma quella volta,
dopo nemmeno un minuto lo udii piangere disperatamente. Il richiamo veniva
dalle scale. Provai a chiamarlo, ma egli piangeva ancora più
disperatamente. Sembrava che gli fosse successo qualcosa di terribile.
Preoccupato, salii di corsa le scale continuando a chiamarlo. Lo
trovai seduto sul pianerottolo dell'ultimo piano. Egli stava lì e mi
attendeva tranquillamente, col musetto sorridente. Me l'aveva fatta! Allora
lo presi in braccio e lo accompagnai giù, accarezzandolo sotto la
gola e strofinando la sua testolina contro la mia guancia, com'ero solito
fare quando lo portavo fuori. Egli rimase tranquillo tra le mie braccia
finché non giunsi agli ultimi gradini. A quel punto si mise a
dimenarsi in maniera irresistibile affinché lo ponessi a terra. Come
lo lasciai, egli si diresse alla porta d'uscita, attese che l'aprissi ed
uscì. Egli continuò a comportarsi in questa maniera ogni volta
che mi capitò di scendere le scale con lui in braccio per farlo
uscire. Sembrava che per lui l'essere accompagnato fino alla porta
significasse essere sbattuto fuori. O più probabilmente anche questo
faceva parte del suo carattere scherzoso.
Comunque, dopo quella prima volta egli prese l'abitudine di giocarmi di
tanto in tanto questo scherzetto. E ogni volta lo prendevo in braccio, lo
portavo giù ed egli usciva. La cosa si ripeté per tre o
quattro volte, finché un giorno non apportò una modifica allo
scherzetto. Anziché salire in cima alle scale, si nascose. Lo cercai
e lo chiamai a lungo, ma inutilmente. Più tardi, dovendo uscire, lo
cercai di nuovo e lo chiamai schioccando le labbra a mo' di baci, ma ancora
senza alcun risultato. Era introvabile. Ad un certo punto rinunciai,
poiché dovevo uscire. Alla sera, all'ora di cena, come aprii la porta
della stanza da pranzo, egli stava lì presso la porta e mi attendeva.
Entrò in cucinino, cenammo assieme come al solito e poi uscì.
Il giorno dopo, però, mi accorsi che aveva lasciato un solido ricordo
nella stanza da pranzo. L'aveva lasciato non sul pavimento dove avrei potuto
calpestarlo inavvertitamente, né in un luogo nascosto, come dietro la
poltrona, ma sopra di essa, proprio in mezzo, una poltrona sulla quale non
mi sedevo mai. Quindi il gattino aveva scelto un posto non nascosto, dove
difficilmente avrei potuto sporcarmi inavvertitamente. Inoltre la poltrona
era ricoperta da un tessuto impermeabile, il che rese più semplice il
suo lavaggio. Ma il fatto notevole fu che il gattino non cercò
minimamente di nascondere il fatto.
Quel giorno, come entrò per mangiare, lo condussi alla poltrona, gli
feci annusare il corpo del reato, gli diedi un leggero ceffone sulla testa,
lo portai alla porta e lo gettai fuori malamente per fargli capire che ero
arrabbiato. Quindi tornai nel cucinino. Non feci in tempo ad arrivarci
che era già alla finestra. L'aprii, gli diedi un altro schiaffetto
sulla testa e lo rigettai fuori. Immediatamente egli tornò sulla
finestra. Ciò mi parve strano, perché nonostante non lo
picchiassi mai – quella fu la prima volta che lo feci – sapevo
che temeva anche solo un gesto di minaccia da parte mia. Quella volta invece
non sembrava provare alcun timore. Compresi che stava semplicemente
accettando la punizione. Era come se dicesse: "Ho sbagliato. Puniscimi
per quanto basta, ma poi perdonami". Allora lo lasciai entrare, ma non
gli diedi da mangiare. Lui mi si sedette accanto senza lamentarsi e senza
chiedere alcunché. Finito che ebbi di mangiare, non chiese nemmeno di
uscire come al solito ma, come mi incamminai verso le scale, mi precedette
e, giunto a mezza rampa, fece una capriola e si mise ad agitare le zampette
per giocare. Allora compresi che stava chiedendo la pace. Provai il
desiderio di chinarmi e grattargli per un istante il ventre, ma mi imposi
di continuare a mostrargli che ero arrabbiato. Così lo ignorai e
passai oltre. Egli mi sorpassò di nuovo e, saliti di corsa alcuni
gradini della seconda rampa, fece un'altra capriola e prese di nuovo ad
agitare le zampette per giocare. Ancora una volta lo ignorai. Saliti gli
ultimi gradini, entrai nella sala superiore e mi sedetti al computer.
Chiaramente addolorato, egli mi seguì, si accovacciò sul
pavimento accanto a me e rimase lì per una decina di minuti. Poi mi
chiese di uscire. A quel punto considerai chiuso l'incidente e decisi che al
successivo incontro i nostri rapporti sarebbero ritornati quelli di sempre.
Dopo quella volta, per molto tempo Lindo non mi giocò più
scherzetti di quel genere. Egli tornò a nascondersi qualche volta
solo dopo che ebbe iniziato a rimanere dentro di notte, ma allora egli
disponeva di una cassetta in cui fare i propri bisogni.
É da notare che Lindo non aveva l'abitudine di gettarsi a terra
agitando le zampette per giocare. Quella fu una delle rare volte in cui lo
fece. L'episodio, perciò, rende chiaro il motivo del suo
comportamento ed illustra pure non solo la sensibilità e
l'intelligenza di Lindo, ma anche il fatto che ci teneva molto ad avere un
buon rapporto con me. In questa come in altre occasioni si poté
comprendere che nutriva un grande timore di perdere tutto ciò che la
nostra amicizia comportava, non solo il cibo e l'affetto, ma anche la
protezione dagli altri gatti e un tetto in caso di bisogno. A questo
riguardo forse influì il trauma che aveva subito in tenera
età, quando fu abbandonato e in qualche modo perse un occhio. Allora
trovò presso di me un padrone amorevole che lo protesse e lo
privilegiò rispetto agli altri gatti. Di ciò egli era
evidentemente molto riconoscente. Non per niente non si scordava mai di
ringraziarmi quando gli davo da mangiare. E quando lo lasciavo entrare
– non l'ho ancora detto – non scendeva dalla finestra se prima
non gli avevo espresso una manifestazione di affetto, consistente nello
stringergli delicatamente la testina tra le mani. Egli amava quel gesto e lo
si capiva chiaramente dall'espressione sorridente del suo musetto.
A Lindo mostravo amore non solo dandogli i pezzettini di cibo in bocca, ma
anche mettendolo spesso personalmente sulla finestra quando voleva uscire.
In un certo senso era come se con quel gesto avessi voluto risparmiargli la
fatica di balzare sulla finestra alta poco più d'un metro, una
stupidaggine per un gatto, anche se piccolino, ma in realtà era solo
una manifestazione d'affetto. Abituatosi a ciò, egli apprezzò
quel gesto e lo considerò parte dei nostri buoni rapporti. Questo lo
mostrò un giorno di primavera in cui pranzai tenendo le finestre
aperte. Finito di mangiare, vista la finestra della stanza da pranzo aperta,
egli si diresse di corsa verso di essa per uscire. Improvvisamente si
ricordò che avevo l'abitudine di porlo io sopra la finestra. Egli
stava già per balzare sul davanzale, quando si arrestò di
botto. Compresi che voleva che ve lo mettessi io. Mi ci avvicinai, lo presi
in braccio e lo posi sul davanzale. Subito egli saltò giù
dall'altra parte.
C'è un altro aspetto che illustra la relazione che esisteva tra Lindo
e me, e cioè che egli si considerava parte della famiglia e
probabilmente riteneva di avere dei doveri nei miei confronti in cambio del
cibo che gli davo. Un giorno egli era appena salito sul davanzale della
stanza da pranzo ed io gli stavo accanto, quando si udirono degli uccelli
bisticciare ad una decina di metri, producendo un forte rumore. Forse erano
merli che si stavano contendendo un vermetto. Udito ciò, Lindo
fissò per un istante nella direzione da cui veniva il rumore per
rendersi conto della situazione, poi si volse verso di me, mi rivolse uno
sguardo d'intesa, come per dire: “adesso ci penso io a quegli
uccellacci.” Quindi saltò giù dal davanzale e si diresse
di corsa verso gli uccelli. Quelli, naturalmente, volarono via. A parte la
natura cacciatrice dei gatti, con quello sguardo egli mostrò di
ritenersi, per quanto in suo potere, responsabile della tranquillità
della casa.
Lindo si sarebbe potuto definire un gattino di buona famiglia perché,
oltre che salutarmi al mattino la prima volta che ci vedevamo, lo faceva
anche in molte altre occasioni. Per esempio, quando mi vedeva lasciare la
casa. Se stava sdraiato al sole e non aveva voglia di accompagnarmi fino al
cancello, allora mi seguiva con lo sguardo fin dal momento in cui uscivo di
casa. Questo era il minimo che faceva. Il più delle volte,
però, mentre gli passavo accanto mi accoglieva con un lungo e felice
"miiieeeeee". Ci fu una volta che nel suo rigirarsi per seguirmi
con lo sguardo gli successe una cosa buffa. Uscito di casa, lo vidi sdraiato
al sole sopra la pedana di legno su cui era posta la sua casetta (si
trattava di una pedana alta circa 15 centimetri, la quale si trovava ad un
paio di metri dalla porta principale). Come mi vide uscire, si volse subito
verso di me e continuò a seguirmi con lo sguardo mentre gli passavo
accanto e mi dirigevo verso il cancello, ruotando nello stesso tempo anche
il proprio corpo. Nel rigirarsi si spostò verso l'orlo della pedana e
cadde sul selciato sottostante. Non fu niente di serio, ma egli
mostrò di essersi divertito, tanto che mi chiesi se non l'avesse
fatto volutamente, per gioco.
Quando doveva entrare in casa, invece, Lindo rimaneva sul davanzale della
finestra del cucinino finché non gli rivolgevo il consueto saluto,
che consisteva nello stringere la sua testina fra le mani. Se non lo
facevo, egli rimaneva sul davanzale e cercava di attirare la mia attenzione
muovendo la testa a destra e a sinistra e pestando il davanzale con le
zampette anteriori. A volte compiva quest'azione anche per qualche altro
motivo che non sempre compresi. Una sera – era l'ora di cena –
stavo chiudendo le finestre, quando egli salì sull'ultima che stavo
chiudendo. Era una finestra della stanza da pranzo. Chiusa l'imposta dietro
di lui, mi aspettai che scendesse, ma non lo fece (non ricordo se gli
strinsi la testina tra le mani in quell'occasione). Tornai ad invitarlo a
scendere, ma egli... niente! Rimase sul davanzale continuando a
compiere quel gesto tipico con la testa e con le zampette come se volesse
dirmi qualcosa. Ripensandoci, ritengo che volesse proprio che gli stringessi
la testina tra le mani, ma allora non lo compresi, perché usualmente
lo faceva solo quando entrava in casa. Poiché non voleva scendere e
non era mia consuetudine tirarlo giù con la forza, chiusi la finestra
a vetri, spensi la luce e mi recai in cucinino a preparare la cena. Mi
aspettai che chiamasse. Invece non fece niente. Dopo cinque minuti tornai
nella stanza ed aprii la finestra. Egli mi accolse sorridente, come se
avesse compiuto una grande azione, o forse fece semplicemente buon viso a
cattivo gioco. Comunque scese subito e mi seguì nel cucinino, dove
cenammo assieme.
In altre occasioni, quando mi dirigevo verso il cancello, Lindo non si
limitava a seguirmi con lo sguardo o salutarmi con un lungo
"miee", ma mi accompagnava. Come oltrepassavo il cancello,
però, egli si tratteneva all'interno. Se poi vedeva che mi apprestavo
ad attendere qualcuno, come succedeva quando avevo un appuntamento, allora
rimaneva lì ed iniziava a lavarsi. Al ritorno a casa invece, come
sentiva il rumore del lucchetto del cancello, mi veniva incontro fin
sull'orlo del selciato, come se temesse di sporcarsi le zampette se ne fosse
sceso. Da lì, stando con la testa sporta in avanti, mi aspettava
finché non lo raggiungevo e poi mi seguiva fino alla porta. Se era di
giorno, non entrava. Egli attendeva lì, sapendo che dopo un istante
sarei uscito e gli avrei dato qualcosa da mangiare. Infatti, l'avevo
abituato che ogni volta che ci incontravamo gli offrivo sempre qualcosa da
mangiare. Di sera invece, quando tornavo col buio, egli entrava con me.
Spesso non lo vedevo per il buio, ma non appena accendevo la luce lo
trovavo dentro casa. Allora andavo a prendere la scatola dei croccantini,
gliene offrivo alcuni ed attendevo che li mangiasse. Come finiva, egli si
dirigeva alla porta, l'aprivo ed egli usciva. Era bello sentire nel silenzio
della notte il rumore che faceva mentre sgranocchiava i croccantini.
Lindo era dotato di notevole sensibilità ed intelligenza. Ciò
che ora vado a raccontare metterà bene in risalto queste sue
qualità. Il suo comportamento mostrerà ancora una volta che
egli era un vero eroe. Il pensarci mi fa desiderare di riaverlo per
riempirlo di carezze.
Circa due anni fa mi procurai il necessario perché il micetto potesse
trascorrere la notte in casa. Si andava verso la fine dell'autunno e temevo
che il micetto prendesse i reumatismi se avesse continuato a dormire
all'aperto. Allora disposi nella sala al pianterreno una cassetta con il
materiale apposito, in modo che potesse fare i suoi bisogni. La mostrai al
micetto ed egli comprese subito l'uso che ne poteva fare. Perciò da
quel giorno ad una certa ora prima di andare a letto presi l'abitudine di
uscire di casa e chiamarlo. Il micetto stava sempre nelle vicinanze e come
lo chiamavo entrava e trascorreva la notte all'interno, al riparo dal freddo
e dall'umidità. Fin dalla prima sera egli comprese subito che poteva
rimanere dentro perché, dopo essere entrato ed aver mangiato i soliti
croccantini non si diresse alla porta per uscire com'era sua consuetudine,
ma, guardatosi un po' attorno, cominciò a girovagare per la sala
senza mostrare la minima intenzione di uscire. A quel punto spensi la
luce e me ne andai a letto. Perciò, sin dall'inizio del suo ultimo
inverno il micino cominciò a trascorrere le notti in casa e, in caso
di pioggia, anche le giornate.
Ora avvenne che una sera – si era verso la fine di febbraio –
non appena entrato, Lindo corse alla cassetta per fare i suoi bisogni. Ero
sbigottito; non tanto arrabbiato, ma irritato per il fatto che, dopo avere
trascorso l'intera giornata all'aperto, non appena entrato si recasse subito
alla cassetta. Allora, un po' per irritazione e un po' per scherzo, gli
parlai, dicendo: "Ma come! sei stato fuori tutto il giorno e vieni
qui a fare i tuoi bisogni?" Il tono della mia voce non era per niente
irritato; al contrario, pronunciai le parole con tono scherzoso. Ma egli,
non essendo abituato a sentirmi parlare, evidentemente comprese che lo
stessi rimproverando. Infatti, nel mentre che parlavo rimase come
paralizzato sopra la cassetta, fissandomi con gli occhi sbarrati. Nel vedere
questo avrei dovuto capire che cosa stava provando, ma purtroppo non ci
diedi molto peso. Così, finito di parlare spensi la luce e salii al
piano superiore. Dopo qualche minuto il micino salì le scale, venne
presso la porta della sala dove mi stavo trattenendo per qualche istante
prima di coricarmi e si mise a gemere; era chiaramente afflitto per quello
che aveva fatto. Oggi, ripensandoci, mi si stringe il cuore di non averlo
ricevuto aprendo la porta. Sono sicuro che si sarebbe rappacificato e forse
mi avrebbe chiesto di uscire. Ma allora ragionai stupidamente che se gli
avessi aperto egli avrebbe compreso che avrebbe potuto continuare a fare i
suoi bisogni nella cassetta sia di giorno come di notte, mentre avrei
preferito che la usasse solo quando rimaneva in casa. Ma mi sbagliavo,
perché Lindo era un gattino molto sensibile ed aveva sicuramente
già compreso che non avrebbe dovuto approfittare della cassetta
più del necessario. Durante la notte lo udii lamentarsi di tanto in
tanto (quanto soffro nel ricordare quest'esperienza!). Fui più volte
sul punto di alzarmi da letto. Purtroppo, sia per pigrizia, sia per non
dover lasciare il tepore del letto, non lo feci.
Il giorno dopo avvenne che mi recai alla vicina baracca per prendere della
legna. Allora egli mi venne accanto, fece l'atto di scavare una buchetta sul
pavimento di cemento e si dispose come se dovesse fare i propri bisogni
lì, accanto a me. Ero sbalordito! Il mio primo pensiero fu che mi
stesse prendendo in giro. Fui sul punto di dargli un piccolo scappellotto,
ma mi trattenni, perché mi ero ripromesso che non l'avrei mai
picchiato, salvo in casi estremi e comunque in forma molto lieve. Allora
lasciai perdere. Mi limitai ad osservarlo, continuando a chiedermi perplesso
quale fosse il significato della sua azione. Nei giorni successivi scoprii
che, contrariamente a ciò che avevo pensato in un primo momento, non
c'era stata alcuna malizia nel comportamento di Lindo. Infatti, da quel
giorno in poi, per circa un mese, ogni volta che mi vedeva all'esterno Lindo
mi veniva accanto, compiva il gesto di scavare una buchetta e fingeva di
fare i propri bisogni. In varie occasioni fu visto anche da amici in visita.
A quel punto, notato che non si serviva più della cassetta durante la
notte, compresi che con quel gesto Lindo-Eroe mi stava semplicemente dicendo
che era molto spiacente per ciò che aveva fatto e che in futuro
avrebbe evitato di fare i propri bisogni in casa. E così fece. Dopo
quella sera, solo in rarissime occasioni egli si servì ancora della
cassetta. Per quanto possibile si trattenne sempre dal fare i propri bisogni
fino al mattino. Non appena scendevo, egli mi chiedeva subito di uscire,
senza soffermarsi a mangiare qualche croccantino mentre bevevo il
caffè. Dopo un paio di minuti egli rientrava e faceva colazione
assieme a me. Davanti ad un gattino del genere non c'è che da levarsi
il cappello!
A questo punto devo chiarire una cosa. Dalle esperienze che ho raccontato
riguardo a Lindo sembra emergere che egli nutrisse un grande timore di me e
che reagisse in certi modi solo per timore di una punizione. Al contrario
posso dire che, ad eccezione dei pochi casi che ho raccontato in cui mi
mostrai severo nei suoi confronti, e ne sono spiacente tanto che ne soffro
al solo pensiero, in genere lo trattai sempre con molto affetto. Non solo,
ma ero anche sempre disposto a ubbidire ai quasi tutti i desideri che egli
manifestava con il linguaggio gestuale. Se mi indicava di voler uscire, ero
pronto ad accompagnarlo alla porta; se voleva venire al piano superiore con
me, lo lasciavo venire; se voleva qualcosa, gliela davo immediatamente.
Salvo alcune cose che gli erano vietate ubbidivo a tutte le sue richieste.
Anzi, il mio comportamento verso di lui era quasi servile e posso dire che
egli se ne rendeva conto, tanto che a volte sorrideva compiaciuto
nell'osservare con che prontezza gli ubbidivo. Per questo motivo sono
convinto che la sua premura nel fare ciò che mi era gradito nascesse
più dal desiderio di non dispiacermi che dal timore di me. Infatti,
se non fosse così egli non si sarebbe preso la libertà di
farmi degli scherzetti. Egli mi voleva bene e sapeva che anch'io volevo bene
a lui. Aggiungo questa precisazione perché, come dicevo, dalla
lettura dei racconti potrebbe sembrare che Lindo nutrisse grande timore nei
miei confronti, il che non era per niente vero. I racconti illustrano solo
alcuni episodi dei rapporti fra Lindo e me, non il quadro completo.
Lindo aveva una caratteristica che lo faceva apparire nobile, o almeno
così mi disse una volta un'amica. Infatti, quando gli davo da
mangiare dei croccantini, quasi sempre ne lasciava due o tre nella
padellina. Qualcuno potrebbe dire che li lasciava perché, tra i
tanti, quelli erano di un gusto che non apprezzava molto. Non è
vero, perché osservai che non appena ne aggiungevo di nuovi, egli
mangiava anche quelli che aveva tralasciato; però poi ne avanzava
ancora due o tre. Una volta continuai a versare croccantini per quattro o
cinque riprese, stupendomi di volta in volta che avesse così tanta
fame. Eppure ogni volta non li mangiava tutti. Come ne rimanevano un paio,
egli annusava a destra e a sinistra, annusava anche sopra di essi, sollevava
la testina dalla padellina e mi fissava per chiederne altri, come se la
padellina fosse rimasta completamente vuota.
Una bella caratteristica di Lindo era che spesso mi accompagnava dovunque
andassi nell'ambito della proprietà. E quando mi fermavo, egli mi si
sedeva accanto e cominciava a leccarsi il corpo. A volte mi accompagnava
fino al cancello, quando uscivo, ma non usciva sul marciapiede. Se vedeva
che rimanevo fuori per attendere qualcuno, egli rimaneva all'interno del
cancello e, come al solito, iniziava a lavarsi. Sembrava che avesse paura di
uscire fin sul marciapiede. Se mi avviavo verso la piazza per prendere
l'autobus, egli mi seguiva fin dove poteva, ma restando sempre all'interno
della siepe.
Una volta Lindo mi seguì alla stessa maniera, ma per un altro motivo,
e purtroppo gli capitò qualcosa di spiacevole. Ecco come andarono le
cose. Da primavera ad autunno mi recavo di tanto in tanto a potare la
siepe dal lato della strada. Una di quelle volte egli mi seguì
rimanendo al di là della siepe, all'interno della proprietà.
Ricordo che dovevo potare la siepe nel tratto che va dal cancello
all'incrocio. Partii dall'incrocio e pian piano mi mossi potando verso il
cancello. Man mano che mi spostavo, anche Lindo si spostava assieme a me.
Come compivo un passo, egli mi seguiva. Ora il fatto è che non potavo
mai la parte interna della siepe, ma la lasciavo crescere incolta e c'erano
dei punti dove un rampicante creava dei folti cespugli, dentro ai quali non
si riusciva a vedere niente. Anche Lindo, con un solo occhietto, non poteva
vedere gran che dentro quel groviglio di rampicanti. Ad un certo punto udii
un gran baccano provenire dall'altro lato della siepe. Comprendendo di cosa
si trattava, a mia volta mi misi a far rumore, sbattendo le mani sopra la
siepe e gridando. Allora vidi fuggire il gattone cattivo. Evidentemente
Lindo, senza accorgersi, si era avvicinato al gattone che stava riposando
nascosto dal verde e ne era sorta una furiosa lite. Fortunatamente in
quell'occasione c'ero là io, perciò il gattone scappò
via subito e Lindo fu salvo.
Lindo fu un gattino stupendo, la cui compagnia recava vera gioia. Purtroppo
non ho più quel gattino meraviglioso. Dopo di lui ne ebbi un altro,
Topina (un maschio), forse un suo discendente perché di razza
piccola, ma purtroppo morì giovane, forse preso in una trappola per
grossi ratti! Dico questo perché due giorni dopo accadde la stessa
cosa a Micione, l'altro gatto che possiedo, ma egli riuscì a
liberarsi rompendo il grosso cartone con il vischio che gli si era attaccato
ad un fianco. Ora possiedo solo Micione, che accolsi quando aveva alcuni
mesi di età. Era estremamente selvatico, pauroso, magro ed affamato.
Anche lui è straordinariamente simpatico, anche se non possiede
l'intelligenza di Lindo. Forse un giorno racconterò anche qualcosa di
lui.
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