Prima
dell’alba
La
biografia del rabbino capo della comunità ebraica di Roma che si convertì al
cristianesimo. Pubblicata nel 1954 negli Usa, da qualche anno viene edita anche
in Italia
di Giovanni Ricciardi
«La conversione è un seguire un appello di Dio. Uno
non si converte né prima né dopo, né quando vuole o preferisce, ma solo
nell’ora in cui l’appello giunge. Giunto che è, a chi è rivolto non resta che
una via sola, ed è obbedire».
A quest’appello Israel Zolli, allora rabbino
capo della comunità ebraica di Roma, obbedì alla fine del 1944. Andò a cercare
un sacerdote “sconosciuto” e chiese di essere istruito nella fede cattolica
ricevendo il battesimo il 13 febbraio 1945. Un avvenimento che destò scalpore e
risentimenti da parte degli ebrei di allora e che apparve quasi come un fulmine
a ciel sereno, dopo gli anni delle deportazioni e dei lager nazisti. Ma così
non era. La conversione di Zolli, sia pure
improvvisamente deliberata, era stata preparata da un cammino di progressivo
accostamento al cristianesimo, maturato durante tutta la vita. Ne dà
testimonianza l’autobiografia da lui redatta e pubblicata nel 1954 negli Stati
Uniti con il titolo Before the Dawn, «Prima dell’alba». Quel testo non era mai stato
edito nel nostro Paese, benché l’autore l’avesse originariamente redatto in
italiano. Ragioni di opportunità politica, forse. Eugenio Zolli
aveva scelto il nome di battesimo di Pio XII, Eugenio Pacelli, per gratitudine
verso ciò che il Pontefice aveva fatto per gli ebrei durante la guerra. Ma già
negli anni successivi un’altra “vulgata” su papa Pacelli andava a dominare
l’editoria italiana e internazionale. Le pagine di Zolli
contengono accenti di ammirazione e affetto verso Pio XII, anche se la sua
conversione non può essere interpretata come un mero “debito di riconoscenza”
nei riguardi del Papa: «La conversione» scrive Zolli «è un atto di Grazia di Dio e allo spirare dello Spirito
Santo e della Grazia, si compie ogni conversione onesta. Non posso gloriarmi di
nulla, proprio di nulla, e il dire che la mia conversione fu onesta equivale a:
non fu disonesta, quindi alcun vanto. Giunta l’ora della Grazia, mi sono
convertito».
A poco più cinquant'anni
di distanza da quella prima pubblicazione inglese, le Edizioni San Paolo
hanno dato alle stampe qualche anno fa il testo
originale redatto in italiano (Eugenio Zolli, Prima
dell’alba. Autobiografia autorizzata), basato sul dattiloscritto
recentemente ritrovato, e curato dal nipote Enrico De Bernart.
Un libro che assume un po’ lo stile delle Confessioni di Agostino. Più
che autobiografia vera e propria, compaiono cenni di memoria, episodi,
incontri, ricordi d’infanzia, da cui Zolli prende
spunto per meditare sulla propria vita, scoprire, nella trama della sua
esistenza, fin da quando muoveva i primi passi nello studio delle Scritture
alla scuola di Leopoli, sul finire dell’Ottocento, le
tracce del suo cammino verso la fede cristiana. Qua e là fa capolino una non comune conoscenza delle Scritture, in particolare
della lingua ebraica, che Zolli insegnò
all’Università di Padova negli anni Trenta, nonché della tradizione talmudica:
il professore si sofferma spesso a commentare questa o quella espressione della
Bibbia, o a richiamare la sapienza ebraica del midrash
(una forma di esegesi delle Sacre Scritture) e delle diverse scuole rabbiniche.
Dappertutto un periodare lento e riflessivo, una prosa antica, che alterna il
racconto alla riflessione spirituale, la meditazione delle Scritture al ricordo
dei tragici eventi di cui Zolli fu spettatore e
protagonista, soprattutto dopo l’8 settembre 1943, quando si trovò ad essere –
lo era dal 1940 – rabbino capo della Sinagoga romana durante l’occupazione
nazista.
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«Da mio padre imparai la grande arte
di pregare piangendo» ricorda Zolli: «Durante la persecuzione nazista io ho vissuto nel cuore di
Roma in una piccola stanza in mezzo al freddo, alla fame e al buio. E pregavo piangendo: “Oh Tu guardia di Israele, proteggi l’avanzo
di Israele, fa’ sì che non perisca l’avanzo di Israele che tre volte al giorno
dice: Ascolta Israele”. Sul mio capo pendeva una taglia di 300.000 lire,
allora una cifra notevole; la Gestapo mi cercava per terra e per mare e io non
sono mai riuscito a pregare per me. Ripetevo sempre di nuovo guardando da un
angolo oscuro, attraverso le lacrime, il cielo stellato: “Oh Tu guardia di
Israele…”».
All’indomani dell’arrivo dei tedeschi, Zolli,
che negli anni in cui era stato rabbino a Trieste aveva avuto informazioni di
prima mano sulla situazione degli ebrei sotto il nazismo, tentò invano di convincere
il presidente della Comunità ebraica di Roma, Ugo Foà,
a chiudere la sinagoga e gli uffici della comunità, a distruggere tutti gli
elenchi e i documenti relativi agli ebrei romani e ad aiutare quante più persone possibile a emigrare all’estero o a rifugiarsi
fuori da Roma. Ma Zolli ebbe a scontrarsi contro un
incredibile muro di incomprensione. Foà e altri
autorevoli membri della comunità erano convinti che il rabbino coltivasse
allarmismi pericolosi e ingiustificati, tanta era la disinformazione che
illudeva gli ebrei romani sulle vere intenzioni dei tedeschi: «Lei dovrebbe
infondere coraggio» fu la risposta di Foà «anziché
scoraggiare».
E quando, svanite le illusioni,
Kappler chiese cinquanta chili d’oro agli ebrei romani come riscatto per evitare
la deportazione, fu Zolli a presentarsi in Vaticano e
a ottenere da Pio XII i 15 chili mancanti, in quelle terribili 24 ore di tempo
concesse dal comando tedesco per consegnare la somma. Com’è noto, i nazisti non
mantennero la parola e nell’ottobre del 1943 la Gestapo deportava più di mille
ebrei verso una fine che purtroppo conosciamo. Il professore annota nel suo
scritto documenti relativi a quegli anni, che potranno essere di sicuro
interesse per gli storici. Ma in tutto il suo percorso dà conto pure di quei
segni che fin dai primi anni della sua vita avevano fatto sorgere in lui una
curiosità verso Cristo. Già nel 1938 aveva pubblicato un saggio interamente
dedicato alla figura di Gesù dal titolo Il Nazareno. Nell’autobiografia Zolli ricorda le occasioni grazie alle quali si era accostato al
cristianesimo: ad esempio, gli amici cristiani della sua infanzia, come
Stanislao, uno dei più cari compagni di scuola e di giochi, dal quale si recava
a studiare una volta alla settimana. Il crocifisso «in legno semplice, con
vicino un ramoscello d’ulivo», appeso nella stanza dell’amico, e la bontà
premurosa di quella famiglia avevano lasciato in lui una traccia indelebile.
Più tardi il giovane Israel si era accostato ai Vangeli con commozione,
entrando in familiarità con la persona di Gesù: «Un dopopranzo» – siamo nel
1917 – «ero in casa solo soletto e scrivevo uno dei
soliti articoli per la solita Lehrerstimme.
Credevo di essere tanto lontano da me stesso. A un tratto misi la penna sul
tavolo senza rendermi conto del perché di questa interruzione del lavoro e,
come rapito, cominciai a invocare il nome di Gesù… Gesù era entrato nella mia
vita interiore come un dolce ospite, invocato e bene accolto. L’amore per Gesù non doveva significare
rinnegare l’ebraismo né abbracciare il cristianesimo. Né negazione, né
affermazione a carattere ufficiale. La Comunità israelitica e la Chiesa
rappresentavano per me vita religiosa, ciascuna per conto suo, organizzata,
mentre io mi sentivo ebreo, perché naturaliter
ebreo, e amavo naturaliter Gesù Cristo. In
questo mio amore per Gesù non dovevano entrare per nulla né l’ebraismo, né il
cristianesimo. Io al cospetto di Gesù e Gesù in me».
Questo accostamento a Gesù non significava allora e non significò mai
per Zolli, tantomeno dopo la conversione, un
rinnegare le proprie radici ebraiche: «Nel monoteismo
di Israele trova la sua espressione l’anelito di generazioni intere; sono
lunghi periodi di nostalgia, di sete di Dio, di un protendersi appassionato
verso l’eterno mistero, che poi si riassumono rapidamente nell’anima di un
singolo, di un uomo di Dio. […] Iddio chiama
colui che da gran tempo lo cerca, lo invoca e l’uomo risponde: “Eccomi!”».
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Del suo personale cammino alla
ricerca di Dio Zolli darà più avanti quest’immagine: «Io sono mendico alle porte di Dio. All’infuori della mia
povertà non ho nulla. Io sono proprio uno di quelli di cui
sant’Agostino dice: “Che cosa può l’uomo offrire a Dio che non sia di Dio?
Tutto dell’uomo è di Dio, solo i peccati sono dell’uomo”.
E allora? E allora io dicevo a me stesso: Tu perché attendi? Che cosa attendi?».
La risposta per Zolli arrivò alla fine del
1944, quando, celebrando il “Giorno dell’espiazione” in quella sinagoga in cui,
dopo la liberazione, era stato reintegrato come rabbino dall’amministrazione
provvisoria americana, sentì la spinta decisiva ad aprirsi alla fede cattolica
da un’apparizione di Cristo vicino a lui sull’altare. La conversione, come la racconta
Zolli, ha del miracoloso. Mentre presiedeva la
cerimonia nel tempio, ebbe una visione improvvisa di Gesù Cristo e una voce disse a se
stesso: «Tu sei qui per l' ultima volta». E così fu. L’avvenimento lo sconvolse
ma cercò di non parlarne con nessuno. Ma la cosa ancor più straordinaria è che
quella stessa sera ritornato a casa sia sua moglie che sua figlia,
indipendentemente l' una dall' altra, ebbero un' analoga visione. La moglie
aveva visto la figura di Cristo in tunica bianca ma senza sentire nessuna voce
stare vicino a Zolli e fu lei per prima a comunicare
la straordinaria vicenda.La
figlia invece notò una luce che dava
chiarore vicino al padre. Il Rabbino capì che quella era una ferma
chiamata. Ne seguì una conversione a
tre.
Zolli non trasse vantaggi materiali dalla
sua conversione. La comunità ebraica di Roma lo bandì come apostata, e fu
costretto a lasciare la sua casa del Ghetto. Dovette anche resistere alle
lusinghe di quegli ebrei americani che gli offrirono molto denaro in cambio di
un ritorno alla religione dei suoi padri. Ebbe ospitalità e alloggio per
qualche tempo, grazie all’allora rettore padre Dezza,
all’Università Gregoriana, finché non trovò un piccolo appartamento per sé e
per la famiglia. Scelse di farsi terziario francescano e, come Francesco, visse
in povertà, fino alla morte, avvenuta nel 1956: «Gli ebrei che oggi si
convertono» scrive «come ai tempi di san Paolo, hanno di solito, sotto tanti
aspetti, molto o tutto da perdere e poco o nulla da guadagnare». Ma questo
giudizio non fu per lui motivo di risentimento o di rimpianto. E la sua
autobiografia è, da cima a fondo, anche un atto d’amore appassionato a Israele:
«Io non ho rinunciato all’ebraismo. L’ebraismo è una
promessa e il cristianesimo è il compimento».
Un compimento che non cessa però di essere attesa. Così, nel congedo,
alla fine dell’autobiografia, due anni prima di morire, Zolli
conclude: «Quando io sento il peso del vivere mio, quando sento la nostalgia
immane di lacrime non piante, di beltà sfiorite e morte, in me morte, io piango
il Cristo da me, in me, crocefisso... io mi sento simile a chi è giunto all’ora
della morte, sento in me la coscienza di chi sta morendo senza aver vissuto… Vive male
chi non vive il Cristo in pieno. Noi non possiamo che confidare nella pietà del
Signore, nella pietà del Cristo, ché l’umanità non sa che uccidere, perché non
Lo sa vivere. Non possiamo confidare che nell’intercessione di colei che ebbe
il cuore trafitto dalla stessa spada che trafisse il Figlio… Ma per Gesù Cristo
né si soffre né si ama mai abbastanza. Io ancora attendo Cristo. Lo attendo,
ora e nell’ora della mia morte. Gesù, Signore, vieni.
Ti attendo…».
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L'Europa
era ancora in preda alle battaglie finali della Seconda Guerra Mondiale, praticamente
terminata in Occidente verso l'11 maggio 1945, con la capitolazione delle
ultime forze tedesche, quando il 14 febbraio 1945 le Agenzie di stampa, fra le
tante notizie belliche del momento, fecero sapere che il 13 febbraio il
professore Israel Zolli, Gran Rabbino di Roma, si era
convertito al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo.
Fu una notizia stupefacente, che riempì di meraviglia l'Europa e l'America,
suscitando alternativamente, incredulità, sdegno, commozione, odio; e da allora
si scatenò per mesi e mesi, una ricerca delle cause che potessero aver prodotto
tale mutamento, in uno dei più autorevoli rabbini del tempo.
Israel Zoller, era nato il 17 settembre
Israel crebbe perciò studiando a fondo
Era ancora un ragazzo, quando in casa di un compagno
cattolico, vide un crocifisso appeso alla parete e domandò: "Chi è
quello?" e come risposta gli fu detto: "È Gesù, il Cristo, il Figlio
di Dio morto per noi!".
Israel rimase colpito, e da allora cominciò ad interrogarsi
"Perché gli Ebrei lo crocifissero? Era forse un
criminale?", iniziando nel contempo a leggere il Vangelo donatogli da
amici cristiani, rimanendone fortemente impressionato.
In seguito, leggendo e studiando il Libro di Isaia, venne a conoscere la figura
del "Servo sofferente di Jahvé", descritto
da un anonimo chiamato dagli studiosi "Secondo Isaia", e celebrato in
quattro canti, nei capitoli 42-49 e 50-53.
In particolare nel capitolo 53 il 'Servo del Signore'
è descritto come l'Uomo più innocente, eppure percosso e umiliato, tormentato
fino alla morte, a causa dei peccati degli altri: "…Eppure, egli si è
fatto carico delle nostre infermità e si è addossato i nostri dolori. Noi lo
abbiamo ritenuto un castigato, un percosso da Dio e umiliato. Ma egli è stato
trafitto a causa dei nostri peccati, schiacciato a causa delle nostre colpe. Il castigo che ci rende la pace si è abbattuto su di lui, per le
sue piaghe noi siamo stati guariti…".
Israel Zoller si interrogò: "Il Crocifisso in
cui credono i cristiani, non è forse questo 'Servo di Jahvé?"
e l'inquietudine che lo pervase lo accompagnò nel suo lungo cammino in cerca
della verità.
Frequentò prima l'Università di Vienna, poi quella di Firenze, dove conseguì la
laurea in filosofia; studiando nel contempo anche nel Collegio Rabbinico.
A 30 anni
nel 1911, fu nominato vice-rabbino di Trieste; il suo ministero ebraico, non
gli impedì di proseguire nelle sue meditazioni e riflessioni sul Libro di Isaia
prima citato, tutte le ipotesi cadevano man mano e una sola rimaneva valida.
Il rabbino Zolli raccontò. "Era
un pomeriggio d'estate del terribile 1917, quando la penna mi cadde dalla mano…
e dal fondo proruppe un grido di angoscia. Era l'anima che gridava:
"Cristo, salvami!", aveva compreso, il 'Servo
di Jahvé' è solo Gesù Crocifisso e poi risorto.
Nel 1920 Israel Zoller fu nominato Rabbino Capo di
Trieste; qui sposò Emma Majonica dalla quale ebbe una
figlia, Myriam, e sia l'una che l'altra,
parteciperanno poi al suo travaglio in cerca della Verità.
Nel 1933, prese la cittadinanza italiana, cambiando il cognome Zoller in Zolli; gli fu data
Ma il Signore lo conduceva per mano, pur in tempi tanto difficili, soprattutto
per gli ebrei europei, e nel 1940 anno dell'entrata in guerra dell'Italia,
Israel Zolli diventò Gran Rabbino a Roma, cioè della
più antica comunità ebraica occidentale.
Gli ebrei erano più o meno apertamente perseguitati e la vita della comunità
era difficile e sofferta, il Rabbino cominciò con il mettere tutti in guardia
per quello che stava per accadere, ma non sempre fu creduto; finché l'8
settembre 1943 la situazione scaturita dall'armistizio di Badoglio con gli
Alleati, precipitò con l'occupazione di Roma da parte dei tedeschi di Hitler.
Iniziò per Israel Zolli la fase più
cruciale della sua vita, che sfocerà nella conversione e nel
riconoscimento di Cristo, Figlio di Dio; mentre il Gran Rabbino di Roma era
cercato a morte, gli ebrei della comunità furono destinati alla deportazione,
verso i famigerati campi di sterminio, allestiti in Germania e Polonia.
Il 27 settembre 1943, il colonnello delle SS Herbert Kappler, capo dei servizi
di polizia a Roma occupata, pretese dalla Comunità ebraica, entro 24 ore la
consegna di
Gl
Ma la richiesta tedesca era solo un modo di depredarli, perché comunque gli
ordini dei vertici nazisti erano perentori, infatti pur
avendo ricevuto i
Israel Zolli, fortunosamente
scampò al rastrellamento e continuò a vivere precariamente nella dispersa
comunità.
All'arrivo
delle Forze Alleate a Roma, il 4 giugno 1944, Israel Zolli
riprese il posto di Gran Rabbino e nel successivo luglio celebrò una solenne
cerimonia nella Sinagoga, che fu radiotrasmessa., per
esprimere pubblicamente la riconoscenza della Comunità ebraica a Pio XII, per
l'aiuto dato loro durante la vergognosa persecuzione nazista.
Inoltre il 25 luglio 1944 si recò in udienza in Vaticano, per ringraziare
ufficialmente il papa per quanto egli, personalmente o attraverso i cattolici,
aveva fatto in favore degli ebrei, ospitandoli o nascondendoli in conventi e
monasteri, per sottrarli all'odio razzista delle SS naziste; diminuendo così il
numero già immenso di vittime.
Ma ormai era arrivato il tempo del gran passo; il 15 agosto 1944 festa
dell'Assunzione della Vergine, si recò da padre Paolo Dezza
gesuita dell'Università Gregoriana e gli disse. "Domando l'acqua del
Battesimo e null'altro" e in una successiva intervista spiegò:
"Quando ho visto la mia anima che traboccava di Cristianesimo, pur
conservando infinita carità per le sofferenze del mio popolo, mi sono convinto
che sarebbe stato disonesto proseguire per una via che non era più la
mia".
Nel mese di settembre 1944, celebrò per l'ultima volta la festa dell'Espiazione
nella Sinagoga romana, poi si dimise dalla carica di Gran Rabbino;
Come già detto all'inizio, il 13 febbraio 1945 ricevé il Battesimo nella
Cappella annessa alla sacrestia della Chiesa di S. Maria degli Angeli a Roma,
per le mani di mons. Traglia, Vicegerente
di Roma, prendendo il nome di Eugenio Pio, come riconoscenza a papa Pio XII
(Eugenio Pacelli); la moglie Emma aggiunse al suo il nome di Maria in onore
della Madonna, mentre la figlia Myriam per prepararsi
meglio, volle attendere ancora un anno, prima di ricevere il Battesimo.
La domenica successiva, i coniugi convertiti, Eugenio Pio Zolli
ed Emma Maria Majonica, ricevettero
L
La notizia si diffuse nel mondo e l'ex Gran Rabbino non ebbe più pace; il
settimanale ebraico uscì stampato listato a lutto; si rifugiò per qualche tempo
alla "Gregoriana"; fu contattato da ebrei americani, che volevano
offrirgli un'ingente somma di denaro purché ritornasse all'ebraismo, che
Eugenio Zolli rifiutò decisamente.
Anche i protestanti gli si rivolgevano, affinché mostrasse con la sua profonda
conoscenza delle Sacre Scritture, che il primato del Papa non aveva fondamento
nei Vangeli; ma egli rispose difendendo il primato petrino
con grande competenza.
Agli ebrei che lo accusavano di essere un serpente covato
nell'antica comunità israelitica, egli rispose: "Il mio Dio si è rivelato
al mondo, dopo Mosè e i Profeti, in Gesù Cristo. Io sento per Gesù un
amore ardente, fiammeggiante e per amore di Gesù Cristo ho rinunciato a tutto…
Nulla chiesi e nulla ebbi da voi. Vi amo tuttora nel nome del
Signore".
Quindici giorni dopo, il 4 marzo 1945 si recò in udienza da papa Pacelli per
esternargli la sua devozione, come nuovo figlio della Chiesa Cattolica.
Anziano, sofferente e povero, era comunque felice e prese a vivere una fervente
vita cristiana, nella incrollabile certezza della
verità del Cattolicesimo.
Assisteva ogni mattina alla celebrazione della Santa Messa con
Continuava lo studio della Sacra Scrittura ed in ogni rigo vedeva Gesù Cristo;
spesso ripeteva: "Voi che siete nati nella religione cattolica, non vi
rendete conto della fortuna che avete avuto di ricevere fin dall'infanzia la
fede e la grazia di Cristo; ma chi come me, è arrivato alla fede dopo un lungo
travaglio di anni, apprezza la grandezza del dono della fede e sente tutta la
gioia di essere cristiano".
Si
sistemò in un appartamento distante dalla Sinagoga e cadute le leggi razziali,
poté accedere di nuovo alla docenza universitaria; intraprendendo un efficace
lavoro apostolico, anche verso i suoi antichi correligionari ebrei, per
attirare verso Cristo i più ben disposti.
Non mancò lavoro letterario in cui egli non esponesse le virtù pacifiche e
caritatevoli di papa Pio XII (Pastore Angelico), in effetti
Eugenio Pio Zolli, divenne il più strenuo difensore e
assertore dell'opera del papa a favore del suo popolo perseguitato.
Non mancarono nel mondo le ipotesi che il suo convertirsi fosse conseguenza
della riconoscenza nutrita verso Pio XII, e lui sempre a confermare che il
percorso fatto verso
Nonostante ciò, volle comunque ribadire: "Io non ho
esitato a dare una risposta negativa alla domanda se mi fossi convertito per
gratitudine a Pio XII, per i suoi innumerevoli atti di carità.
Ciò nonostante, sento il dovere di rendergli omaggio e di affermare che la
carità del Vangelo fu la luce che mostrò la via al mio cuore vecchio e stanco. È quella carità che tanto spesso brilla nella storia della Chiesa e
che rifulge nell'opera del Pontefice regnante".
Nel 1945 pubblicò presso l'AVE di Roma il libro
"Antisemitismo", nel 1946 sempre per l'AVE, pubblicò il suo
capolavoro "Christus" che come diceva lui,
era stato scritto più con le lacrime che con inchiostro; "Gesù Cristo
soltanto ci può condurre in alto. Rivolgersi a Gesù significa ascendere.
Gesù è la via e la guida più sublime. Gesù mio, ti amo. Sono beato di essere
tuo. Voglio esserlo sempre di più, adesso e nell'ora della
morte".
Fra i cattolici, fu conferenziere stimato e ricercato, non solo a Roma, come ai
corsi tenuti all'Oratorio Filippino della Vallicella;
ad Assisi partecipò nell'agosto 1946, al Corso Cristologico promosso dalla
"Pro Civitate Christiana",
svolgendo il tema: "
Continuò a scrivere su diverse riviste e ancora pubblicò altri libri, fra cui
"Da Eva a Maria" (1953), in cui esprimeva il suo grande amore per
Il grande studioso delle Sacre Scritture, che un giorno aveva detto sulla
profezia di Isaia: "O il Servo di Jahvé è Colui
che