Prima dell’alba

La biografia del rabbino capo della comunità ebraica di Roma che si convertì al cristianesimo. Pubblicata nel 1954 negli Usa, da qualche anno viene edita anche in Italia

di Giovanni Ricciardi

 «La conversione è un se­guire un appello di Dio. Uno non si converte né pri­ma né dopo, né quando vuole o preferisce, ma solo nell’ora in cui l’appello giunge. Giunto che è, a chi è rivolto non resta che una via sola, ed è obbedire».
     
A quest’appello Israel Zolli, allora rabbino capo della comunità ebraica di Roma, obbedì alla fine del 1944. Andò a cercare un sacerdote “sconosciuto” e chiese di essere istruito nella fede cattolica ricevendo il battesimo il 13 febbraio 1945. Un avvenimento che destò scalpore e risentimenti da parte degli ebrei di allora e che apparve quasi come un fulmine a ciel sereno, dopo gli anni delle deportazioni e dei lager nazisti. Ma così non era. La conversione di Zolli, sia pure improvvisamente deliberata, era stata preparata da un cammino di progressivo accostamento al cristianesimo, maturato durante tutta la vita. Ne dà testimonianza l’autobiografia da lui redatta e pubblicata nel 1954 negli Stati Uniti con il titolo Before the Dawn, «Prima dell’alba». Quel testo non era mai stato edito nel nostro Paese, benché l’autore l’avesse originariamente redatto in italiano. Ragioni di opportunità politica, forse.     Eugenio Zolli aveva scelto il nome di battesimo di Pio XII, Eugenio Pacelli, per gratitudine verso ciò che il Pontefice aveva fatto per gli ebrei durante la guerra. Ma già negli anni successivi un’altra “vulgata” su papa Pacelli andava a dominare l’editoria italiana e internazionale. Le pagine di Zolli contengono accenti di ammirazione e affetto verso Pio XII, anche se la sua conversione non può essere interpretata come un mero “debito di riconoscenza” nei riguardi del Papa: «La conversione» scrive Zolli «è un atto di Grazia di Dio e allo spirare dello Spirito Santo e della Grazia, si compie ogni conversione onesta. Non posso gloriarmi di nulla, proprio di nulla, e il dire che la mia conversione fu onesta equivale a: non fu disonesta, quindi alcun vanto. Giunta l’ora della Grazia, mi sono convertito».
     
A poco più  cinquant'anni di distanza da quella prima pubblicazione inglese, le Edizioni San Paolo hanno  dato   alle stampe qualche anno fa il testo originale redatto in italiano (Eugenio Zolli, Prima dell’alba. Autobiografia autorizzata), basato sul dattiloscritto recentemente ritrovato, e curato dal nipote Enrico De Bernart. Un libro che assume un po’ lo stile delle Confessioni di Agostino. Più che autobiografia vera e propria, compaiono cenni di memoria, episodi, incontri, ricordi d’infanzia, da cui Zolli prende spunto per meditare sulla propria vita, scoprire, nella trama della sua esistenza, fin da quando muoveva i primi passi nello studio delle Scritture alla scuola di Leopoli, sul finire dell’Ottocento, le tracce del suo cammino verso la fede cristiana. Qua e là fa capolino una non comune conoscenza delle Scritture, in particolare della lingua ebraica, che Zolli insegnò all’Università di Padova negli anni Trenta, nonché della tradizione talmudica: il professore si sofferma spesso a commentare questa o quella espressione della Bibbia, o a richiamare la sapienza ebraica del midrash (una forma di esegesi delle Sacre Scritture) e delle diverse scuole rabbiniche. Dappertutto un periodare lento e riflessivo, una prosa antica, che alterna il racconto alla riflessione spirituale, la meditazione delle Scritture al ricordo dei tragici eventi di cui Zolli fu spettatore e protagonista, soprattutto dopo l’8 settembre 1943, quando si trovò ad essere – lo era dal 1940 – rabbino capo della Sinagoga romana durante l’occupazione nazista.

Eugenio Zolli

     «Da mio padre imparai la grande arte di pregare piangendo» ricorda Zolli: «Durante la persecuzione nazista io ho vissuto nel cuore di Roma in una piccola stanza in mezzo al freddo, alla fame e al buio. E pregavo piangendo: “Oh Tu guardia di Israele, proteggi l’avanzo di Israele, fa’ sì che non perisca l’avanzo di Israele che tre volte al giorno dice: Ascolta Israele”. Sul mio capo pendeva una taglia di 300.000 lire, allora una cifra notevole; la Gestapo mi cercava per terra e per mare e io non sono mai riuscito a pregare per me. Ripetevo sempre di nuovo guardando da un angolo oscuro, attraverso le lacrime, il cielo stellato: “Oh Tu guardia di Israele…”».
     
All’indomani dell’arrivo dei tedeschi, Zolli, che negli anni in cui era stato rabbino a Trieste aveva avuto informazioni di prima mano sulla situazione degli ebrei sotto il nazismo, tentò invano di convincere il presidente della Comunità ebraica di Roma, Ugo Foà, a chiudere la sinagoga e gli uffici della comunità, a distruggere tutti gli elenchi e i documenti relativi agli ebrei romani e ad aiutare quante più persone possibile a emigrare all’estero o a rifugiarsi fuori da Roma. Ma Zolli ebbe a scontrarsi contro un incredibile muro di incomprensione. Foà e altri autorevoli membri della comunità erano convinti che il rabbino coltivasse allarmismi pericolosi e ingiustificati, tanta era la disinformazione che illudeva gli ebrei romani sulle vere intenzioni dei tedeschi: «Lei dovrebbe infondere coraggio» fu la risposta di Foà «anziché scoraggiare».
     E
quando, svanite le illusioni, Kappler chiese cinquanta chili d’oro agli ebrei romani come riscatto per evitare la deportazione, fu Zolli a presentarsi in Vaticano e a ottenere da Pio XII i 15 chili mancanti, in quelle terribili 24 ore di tempo concesse dal comando tedesco per consegnare la somma. Com’è noto, i nazisti non mantennero la parola e nell’ottobre del 1943 la Gestapo deportava più di mille ebrei verso una fine che purtroppo conosciamo. Il professore annota nel suo scritto documenti relativi a quegli anni, che potranno essere di sicuro interesse per gli storici. Ma in tutto il suo percorso dà conto pure di quei segni che fin dai primi anni della sua vita avevano fatto sorgere in lui una curiosità verso Cristo. Già nel 1938 aveva pubblicato un saggio interamente dedicato alla figura di Gesù dal titolo Il Nazareno. Nell’autobiografia Zolli ricorda le occasioni grazie alle quali  si era accostato al cristianesimo: ad esempio, gli amici cristiani della sua infanzia, come Stanislao, uno dei più cari compagni di scuola e di giochi, dal quale si recava a studiare una volta alla settimana. Il crocifisso «in legno semplice, con vicino un ramoscello d’ulivo», appeso nella stanza dell’amico, e la bontà premurosa di quella famiglia avevano lasciato in lui una traccia indelebile. Più tardi il giovane Israel si era accostato ai Vangeli con commozione, entrando in familiarità con la persona di Gesù: «Un dopopranzo» – siamo nel 1917 – «ero in casa solo soletto e scrivevo uno dei soliti articoli per la solita Lehrerstimme. Credevo di essere tanto lontano da me stesso. A un tratto misi la penna sul tavolo senza rendermi conto del perché di questa interruzione del lavoro e, come rapito, cominciai a invocare il nome di Gesù… Gesù era entrato nella mia vita interiore come un dolce ospite, invocato e bene accolto.  L’amore per Gesù non doveva significare rinnegare l’ebraismo né abbracciare il cristianesimo. Né negazione, né affermazione a carattere ufficiale. La Comunità  israelitica e la Chiesa rappresentavano per me vita religiosa, ciascuna per conto suo, organizzata, mentre io mi sentivo ebreo, perché naturaliter ebreo, e amavo naturaliter Gesù Cristo. In questo mio amore per Gesù non dovevano entrare per nulla né l’ebraismo, né il cristianesimo. Io al cospetto di Gesù e Gesù in me».
     
Questo accostamento a Gesù non significava allora e non significò mai per Zolli, tantomeno dopo la conversione, un rinnegare le proprie radici ebraiche: «Nel monoteismo di Israele trova la sua espressione l’anelito di generazioni intere; sono lunghi periodi di nostalgia, di sete di Dio, di un protendersi appassionato verso l’eterno mistero, che poi si riassumono rapidamente nell’anima di un singolo, di un uomo di Dio. […] Iddio chiama colui che da gran tempo lo cerca, lo invoca e l’uomo risponde: “Eccomi!”».

Sopra, ebrei rifugiati nel salone dei ricevimenti della residenza pontificia di Castel Gandolfo. Il rabbino Israel Zolli nella sinagoga di Roma, il 31 luglio 1944

     Del suo personale cammino alla ricerca di Dio Zolli darà più avanti quest’immagine: «Io sono mendico alle porte di Dio. All’infuori della mia povertà non ho nulla. Io sono proprio uno di quelli di cui sant’Agostino dice: “Che cosa può l’uomo offrire a Dio che non sia di Dio? Tutto dell’uomo è di Dio, solo i peccati sono dell’uomo”. E allora? E allora io dicevo a me stesso: Tu perché attendi? Che cosa attendi?».
     
La risposta per Zolli arrivò alla fine del 1944, quando, celebrando il “Giorno dell’espiazione” in quella sinagoga in cui, dopo la liberazione, era stato reintegrato come rabbino dall’amministrazione provvisoria americana, sentì la spinta decisiva ad aprirsi alla fede cattolica da un’apparizione di Cristo vicino a lui sull’altare. La conversione, come la racconta Zolli, ha del miracoloso. Mentre presiedeva la cerimonia nel tempio, ebbe una visione improvvisa di Gesù Cristo e  una voce disse a se stesso: «Tu sei qui per l' ultima volta». E così fu. L’avvenimento lo sconvolse ma cercò di non parlarne con nessuno. Ma la cosa ancor più straordinaria è che quella stessa sera ritornato a casa  sia sua moglie che sua figlia, indipendentemente l' una dall' altra, ebbero un' analoga visione. La moglie aveva visto la figura di Cristo in tunica bianca ma senza sentire nessuna voce stare vicino a Zolli e fu lei per prima a comunicare la straordinaria vicenda.La figlia invece notò  una luce che dava chiarore vicino al padre. Il Rabbino  capì che quella era una ferma chiamata.  Ne seguì una conversione a tre.
     Zolli non trasse vantaggi materiali dalla sua conversione. La comunità ebraica di Roma lo bandì come apostata, e fu costretto a lasciare la sua casa del Ghetto. Dovette anche resistere alle lusinghe di quegli ebrei americani che gli offrirono molto denaro in cambio di un ritorno alla religione dei suoi padri. Ebbe ospitalità e alloggio per qualche tempo, grazie all’allora rettore padre Dezza, all’Università Gregoriana, finché non trovò un piccolo appartamento per sé e per la famiglia. Scelse di farsi terziario francescano e, come Francesco, visse in povertà, fino alla morte, avvenuta nel 1956: «Gli ebrei che oggi si convertono» scrive «come ai tempi di san Paolo, hanno di solito, sotto tanti aspetti, molto o tutto da perdere e poco o nulla da guadagnare». Ma questo giudizio non fu per lui motivo di risentimento o di rimpianto. E la sua autobiografia è, da cima a fondo, anche un atto d’amore appassionato a Israele: «Io non ho rinunciato all’ebraismo. L’ebraismo è una promessa e il cristianesimo è il compimento».
     
Un compimento che non cessa però di essere attesa. Così, nel congedo, alla fine dell’autobiografia, due anni prima di morire, Zolli conclude: «Quando io sento il peso del vivere mio, quando sento la nostalgia immane di lacrime non piante, di beltà sfiorite e morte, in me morte, io piango il Cristo da me, in me, crocefisso... io mi sento simile a chi è giunto all’ora della morte, sento in me la coscienza di chi sta  morendo senza aver vissuto… Vive male chi non vive il Cristo in pieno. Noi non possiamo che confidare nella pietà del Signore, nella pietà del Cristo, ché l’umanità non sa che uccidere, perché non Lo sa vivere. Non possiamo confidare che nell’intercessione di colei che ebbe il cuore trafitto dalla stessa spada che trafisse il Figlio… Ma per Gesù Cristo né si soffre né si ama mai abbastanza. Io ancora attendo Cristo. Lo attendo, ora e nell’ora della mia morte. Gesù, Signore, vieni. Ti attendo…».

 

 

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L'Europa era ancora in preda alle battaglie finali della Seconda Guerra Mondiale, praticamente terminata in Occidente verso l'11 maggio 1945, con la capitolazione delle ultime forze tedesche, quando il 14 febbraio 1945 le Agenzie di stampa, fra le tante notizie belliche del momento, fecero sapere che il 13 febbraio il professore Israel Zolli, Gran Rabbino di Roma, si era convertito al cattolicesimo, ricevendo il Battesimo.
Fu una notizia stupefacente, che riempì di meraviglia l'Europa e l'America, suscitando alternativamente, incredulità, sdegno, commozione, odio; e da allora si scatenò per mesi e mesi, una ricerca delle cause che potessero aver prodotto tale mutamento, in uno dei più autorevoli rabbini del tempo.
Israel Zoller, era nato il 17 settembre 1881 a Brodj in Galizia, regione che dal 1923 faceva parte della Polonia, era figlio di un ebreo polacco e la madre era di famiglia rabbinica da più di quattro secoli e come tale desiderava che uno dei suoi figli diventasse rabbino (ministro del culto ebraico).
Israel crebbe perciò studiando a fondo la Legge di Mosè ed i Profeti, per rendere la sua vita conforme a questi insegnamenti.
Era ancora un ragazzo, quando in casa di un compagno cattolico, vide un crocifisso appeso alla parete e domandò: "Chi è quello?" e come risposta gli fu detto: "È Gesù, il Cristo, il Figlio di Dio morto per noi!".
Israel rimase colpito, e da allora cominciò ad interrogarsi "Perché gli Ebrei lo crocifissero? Era forse un criminale?", iniziando nel contempo a leggere il Vangelo donatogli da amici cristiani, rimanendone fortemente impressionato.
In seguito, leggendo e studiando il Libro di Isaia, venne a conoscere la figura del "Servo sofferente di Jahvé", descritto da un anonimo chiamato dagli studiosi "Secondo Isaia", e celebrato in quattro canti, nei capitoli 42-49 e 50-53.
In particolare nel capitolo 53 il 'Servo del Signore' è descritto come l'Uomo più innocente, eppure percosso e umiliato, tormentato fino alla morte, a causa dei peccati degli altri: "…Eppure, egli si è fatto carico delle nostre infermità e si è addossato i nostri dolori. Noi lo abbiamo ritenuto un castigato, un percosso da Dio e umiliato. Ma egli è stato trafitto a causa dei nostri peccati, schiacciato a causa delle nostre colpe. Il castigo che ci rende la pace si è abbattuto su di lui, per le sue piaghe noi siamo stati guariti…".
Israel Zoller si interrogò: "Il Crocifisso in cui credono i cristiani, non è forse questo 'Servo di Jahvé?" e l'inquietudine che lo pervase lo accompagnò nel suo lungo cammino in cerca della verità.
Frequentò prima l'Università di Vienna, poi quella di Firenze, dove conseguì la laurea in filosofia; studiando nel contempo anche nel Collegio Rabbinico.

A 30 anni nel 1911, fu nominato vice-rabbino di Trieste; il suo ministero ebraico, non gli impedì di proseguire nelle sue meditazioni e riflessioni sul Libro di Isaia prima citato, tutte le ipotesi cadevano man mano e una sola rimaneva valida.
Il rabbino Zolli raccontò. "Era un pomeriggio d'estate del terribile 1917, quando la penna mi cadde dalla mano… e dal fondo proruppe un grido di angoscia. Era l'anima che gridava: "Cristo, salvami!", aveva compreso, il 'Servo di Jahvé' è solo Gesù Crocifisso e poi risorto.
Nel 1920 Israel Zoller fu nominato Rabbino Capo di Trieste; qui sposò Emma Majonica dalla quale ebbe una figlia, Myriam, e sia l'una che l'altra, parteciperanno poi al suo travaglio in cerca della Verità.


Nel 1933, prese la cittadinanza italiana, cambiando il cognome Zoller in Zolli; gli fu data la Cattedra di Lingua e Letteratura ebraica all'Università di Padova, ma ormai anche in Italia, come già in Germania, Polonia, Austria, si era scatenato l'antisemitismo e a causa delle famigerate leggi razziali fu costretto a lasciare l'insegnamento.

Ma il Signore lo conduceva per mano, pur in tempi tanto difficili, soprattutto per gli ebrei europei, e nel 1940 anno dell'entrata in guerra dell'Italia, Israel Zolli diventò Gran Rabbino a Roma, cioè della più antica comunità ebraica occidentale.
Gli ebrei erano più o meno apertamente perseguitati e la vita della comunità era difficile e sofferta, il Rabbino cominciò con il mettere tutti in guardia per quello che stava per accadere, ma non sempre fu creduto; finché l'8 settembre 1943 la situazione scaturita dall'armistizio di Badoglio con gli Alleati, precipitò con l'occupazione di Roma da parte dei tedeschi di Hitler.
Iniziò per Israel Zolli la fase più cruciale della sua vita, che sfocerà nella conversione e nel riconoscimento di Cristo, Figlio di Dio; mentre il Gran Rabbino di Roma era cercato a morte, gli ebrei della comunità furono destinati alla deportazione, verso i famigerati campi di sterminio, allestiti in Germania e Polonia.
Il 27 settembre 1943, il colonnello delle SS Herbert Kappler, capo dei servizi di polizia a Roma occupata, pretese dalla Comunità ebraica, entro 24 ore la consegna di 50 kg d'oro, minacciandoli in caso di inadempienza, della deportazione verso la Germania.
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i ebrei romani racimolarono tutto quello che potevano, ma a fine giornata mancavano ancora 15 kg d'oro; allora il Rabbino Zolli si recò da papa Pio XII per chiedere il suo aiuto; il pontefice, tanto accusato in seguito di non aver condannato la persecuzione degli ebrei, diede disposizione che gli fosse dato quanto richiesto.
Ma la richiesta tedesca era solo un modo di depredarli, perché comunque gli ordini dei vertici nazisti erano perentori, infatti pur avendo ricevuto i 50 kg d'oro, la notte fra il 15 e il 16 ottobre 1943, duemila ebrei romani furono rastrellati e deportati, la casa del rabbino fu saccheggiata.
Israel Zolli,   fortunosamente scampò al rastrellamento e continuò a vivere precariamente nella dispersa comunità.

All'arrivo delle Forze Alleate a Roma, il 4 giugno 1944, Israel Zolli riprese il posto di Gran Rabbino e nel successivo luglio celebrò una solenne cerimonia nella Sinagoga, che fu radiotrasmessa., per esprimere pubblicamente la riconoscenza della Comunità ebraica a Pio XII, per l'aiuto dato loro durante la vergognosa persecuzione nazista.
Inoltre il 25 luglio 1944 si recò in udienza in Vaticano, per ringraziare ufficialmente il papa per quanto egli, personalmente o attraverso i cattolici, aveva fatto in favore degli ebrei, ospitandoli o nascondendoli in conventi e monasteri, per sottrarli all'odio razzista delle SS naziste; diminuendo così il numero già immenso di vittime.
Ma ormai era arrivato il tempo del gran passo; il 15 agosto 1944 festa dell'Assunzione della Vergine, si recò da padre Paolo Dezza gesuita dell'Università Gregoriana e gli disse. "Domando l'acqua del Battesimo e null'altro" e in una successiva intervista spiegò: "Quando ho visto la mia anima che traboccava di Cristianesimo, pur conservando infinita carità per le sofferenze del mio popolo, mi sono convinto che sarebbe stato disonesto proseguire per una via che non era più la mia".
Nel mese di settembre 1944, celebrò per l'ultima volta la festa dell'Espiazione nella Sinagoga romana, poi si dimise dalla carica di Gran Rabbino; la Comunità ebraica non sapeva il motivo di quel ritirarsi e gli fu così proposto l'incarico di direttore del Collegio Rabbinico, ma egli rifiutò.
Come già detto all'inizio, il 13 febbraio 1945 ricevé il Battesimo nella Cappella annessa alla sacrestia della Chiesa di S. Maria degli Angeli a Roma, per le mani di mons. Traglia, Vicegerente di Roma, prendendo il nome di Eugenio Pio, come riconoscenza a papa Pio XII (Eugenio Pacelli); la moglie Emma aggiunse al suo il nome di Maria in onore della Madonna, mentre la figlia Myriam per prepararsi meglio, volle attendere ancora un anno, prima di ricevere il Battesimo.
La domenica successiva, i coniugi convertiti, Eugenio Pio Zolli ed Emma Maria Majonica, ricevettero la Cresima e la Prima Comunione.
L
e critiche subite, le sue affermazioni in difesa della scelta fatta
La notizia si diffuse nel mondo e l'ex Gran Rabbino non ebbe più pace; il settimanale ebraico uscì stampato listato a lutto; si rifugiò per qualche tempo alla "Gregoriana"; fu contattato da ebrei americani, che volevano offrirgli un'ingente somma di denaro purché ritornasse all'ebraismo, che Eugenio Zolli rifiutò decisamente.
Anche i protestanti gli si rivolgevano, affinché mostrasse con la sua profonda conoscenza delle Sacre Scritture, che il primato del Papa non aveva fondamento nei Vangeli; ma egli rispose difendendo il primato petrino con grande competenza.
Agli ebrei che lo accusavano di essere un serpente covato nell'antica comunità israelitica, egli rispose: "Il mio Dio si è rivelato al mondo, dopo Mosè e i Profeti, in Gesù Cristo. Io sento per Gesù un amore ardente, fiammeggiante e per amore di Gesù Cristo ho rinunciato a tutto… Nulla chiesi e nulla ebbi da voi. Vi amo tuttora nel nome del Signore".
Quindici giorni dopo, il 4 marzo 1945 si recò in udienza da papa Pacelli per esternargli la sua devozione, come nuovo figlio della Chiesa Cattolica. Anziano, sofferente e povero, era comunque felice e prese a vivere una fervente vita cristiana, nella incrollabile certezza della verità del Cattolicesimo.
Assisteva ogni mattina alla celebrazione della Santa Messa con la Comunione Eucaristica, seguita da prolungata preghiera, diceva: "Si sta bene in cappella con il Signore, che non vorrei mai uscirne".
Continuava lo studio della Sacra Scrittura ed in ogni rigo vedeva Gesù Cristo; spesso ripeteva: "Voi che siete nati nella religione cattolica, non vi rendete conto della fortuna che avete avuto di ricevere fin dall'infanzia la fede e la grazia di Cristo; ma chi come me, è arrivato alla fede dopo un lungo travaglio di anni, apprezza la grandezza del dono della fede e sente tutta la gioia di essere cristiano".

Si sistemò in un appartamento distante dalla Sinagoga e cadute le leggi razziali, poté accedere di nuovo alla docenza universitaria; intraprendendo un efficace lavoro apostolico, anche verso i suoi antichi correligionari ebrei, per attirare verso Cristo i più ben disposti.
Non mancò lavoro letterario in cui egli non esponesse le virtù pacifiche e caritatevoli di papa Pio XII (Pastore Angelico), in effetti Eugenio Pio Zolli, divenne il più strenuo difensore e assertore dell'opera del papa a favore del suo popolo perseguitato.
Non mancarono nel mondo le ipotesi che il suo convertirsi fosse conseguenza della riconoscenza nutrita verso Pio XII, e lui sempre a confermare che il percorso fatto verso la Chiesa Cattolica, era maturato nei decenni precedenti, con lo studio delle Scritture e con la meditazione dei semitismi avvertibili nei Libri del Nuovo Testamento, e poi con la ricerca prorompente di Gesù, Figlio di Dio.
Nonostante ciò, volle comunque ribadire: "Io non ho esitato a dare una risposta negativa alla domanda se mi fossi convertito per gratitudine a Pio XII, per i suoi innumerevoli atti di carità.
Ciò nonostante, sento il dovere di rendergli omaggio e di affermare che la carità del Vangelo fu la luce che mostrò la via al mio cuore vecchio e stanco. È quella carità che tanto spesso brilla nella storia della Chiesa e che rifulge nell'opera del Pontefice regnante".
Nel 1945 pubblicò presso l'AVE di Roma il libro "Antisemitismo", nel 1946 sempre per l'AVE, pubblicò il suo capolavoro "Christus" che come diceva lui, era stato scritto più con le lacrime che con inchiostro; "Gesù Cristo soltanto ci può condurre in alto. Rivolgersi a Gesù significa ascendere. Gesù è la via e la guida più sublime. Gesù mio, ti amo. Sono beato di essere tuo. Voglio esserlo sempre di più, adesso e nell'ora della morte".
Fra i cattolici, fu conferenziere stimato e ricercato, non solo a Roma, come ai corsi tenuti all'Oratorio Filippino della Vallicella; ad Assisi partecipò nell'agosto 1946, al Corso Cristologico promosso dalla "Pro Civitate Christiana", svolgendo il tema: "La Carità di Cristo nel cuore di Pio XII"; nel 1953 andò all'Università "Notre Dame" di Indiana negli Stati Uniti, dove tenne una serie di conferenze e qui pubblicò "Before the dawn" (Prima dell'aurora) dove ribadiva che la conversione consiste nel rispondere alla chiamata di Dio e che quando arriva si può fare solo una cosa, obbedire!
Continuò a scrivere su diverse riviste e ancora pubblicò altri libri, fra cui "Da Eva a Maria" (1953), in cui esprimeva il suo grande amore per la Madonna, alla quale affidava sé stesso e il suo popolo; fu strenuo difensore negli ambienti protestanti del primato di Pietro.
Il grande studioso delle Sacre Scritture, che un giorno aveva detto sulla profezia di Isaia: "O il Servo di Jahvé è Colui che la Chiesa Cattolica ha riconosciuto e onorato fin da principio e riconosce tuttora come Figlio di Dio, o tutto è un caos e cadono tutte le Scritture", si spense serenamente a Roma il 2 marzo 1956 a 75