L’AMORE DI DIO E LO SCANDALO DEL MALE

 

Ogni giorno, nella nostra vita quotidiana,   facciamo l’esperienza della  tentazione a cedere al male, constatiamo  che siamo quasi invitati da un certo comune sentire e da un quasi palese vivere  a ricambiare il torto ricevuto, ad  infliggere una sonora sconfitta a quanti   tentano di  travolgerci e a vendicare i torti subiti. Eppure Cristo non ci indica questa strada, non sollecita reazioni di contraccambio, non chiede vendetta. Giovanni Paolo II  scriveva , in una sua lettera, che per essere giusti occorre perdonare ed essere misericordiosi. Come dire che se proprio vuoi riconoscerti giusto ammetti che sei fallace, che commetti errori.Non possiamo partire con troppe sicurezze.La giustizia nasce dal perdono. S. Francesco  elaborando il testo paolino della carità cristiana che è paziente, benigna, che non si adira e che tutto perdona , nulla rimprovera ma tutto accetta ,concepisce la perfetta letizia. Così la perfetta letizia non consiste nel convertire  gli atei, nel risuscitare i morti e nel fare proseliti ma nel sopportare le ingiustizie con serenità e al limite anche la persecuzione.La perfetta letizia è vincere se stessi! Tanto è il bene che mi aspetto che ogni pena mi è diletto, diceva ancora il poverello come a ricordarci l’ammonizione di Cristo: quando mi rivedrete non mi chiederete più nulla.La gioia insomma cancellerà ogni ricordo del male.

Eppure di fronte alla malattia e alla sofferenza, specie degli innocenti , sentiamo  lo sbigottimento e a volte dobbiamo frenare l’istintivo interrogativo: perché Dio che è buono permette tutto questo?

 

 Troppo spesso,  anche  se inconsciamente, abbiamo un’idea blasfema di Dio: chi di noi,  che pure siamo padri cattivi ( Mt 7,9-11), pretenderebbe la morte del figlio in espiazione di un’offesa? Ma come può richiederlo Dio, che è solo Amore purissimo e infinito? Flores D’Arcais, ha detto che quando scopriamo di essere , verso i nostri figli, dei padri più buoni di quanto pensiamo che Dio padre sia buono  nei nostri confronti, allora nasce l’ateismo…Come dire che ci riteniamo più buoni di Dio!

Eppure il dolore, oltre ad essere maestro di vita, diventa un aiuto prezioso  nella medicina e ci avvisa in anticipo su disfunzioni a carico di vari organi.Il cancro è terribile perché non dà nessuna avvisaglia prima di iniziare le sue terribili metastasi. Isak Dt'nesen dice infatti:

«Sono persuasa che i momenti difficili mi abbiano aiutata a comprendere meglio come la vita sia infinitamente bella e ricca in ogni senso possibile, e come le cose che ci colmano di ansietà siano totalmente prive d'importanza».

 

Dio è un Dio crocifisso. Dio è il Dio che si lascia sconfiggere. Dio è il Dio  che mi ha lavato i piedi, Dio è il  Gesù di Nazareth: A questo Dio  non eravamo abituati, cercavamo un Dio potente, un Dio che eliminasse i cattivi, che vincesse i nemici in modo spettacolare. E invece?

Invece Dio  si è fatto come uno di noi. Piccolo, umile, semplice.Ubbidiente ai  genitori ( stava loro sottomesso) , lavorava accanto al padre terreno Giuseppe . Non si alleò con i potenti per dominare i popoli. E al momento della prova accettò l’umiliazione di un processo falso, di una condanna ingiusta e il dolore di una morte atroce.

 

“Guardiamo con attenzione- ci ammonisce S. Francesco - fratelli tutti, il buon pastore che per salvare le sue pecore (cf. Gv. 10,11; Eb. 12,2) sostenne la passione della croce.
Le pecore del Signore l’hanno seguito nella tribolazione e persecuzione (cf. Gv. 10,4), nell’ignominia e nella fame (cf. Rm. 8,35), nella infermità e nella tentazione e in altre simili cose; e ne hanno ricevuto in cambio dal Signore la vita eterna. Perciò è grande vergogna per noi servi di Dio, che i santi abbiano compiuto queste opere e noi vogliamo ricevere gloria e onore con il semplice raccontarle!”  

 

“Nell' Antico Testamento l'uomo durante la malattia sperimenta il proprio limite, e nello stesso tempo percepisce che la malattia è legata, in modo misterioso, al peccato. I profeti hanno intuito che essa poteva avere anche un valore redentivo per i peccati propri e altrui. Così la malattia era vissuta di fronte a Dio, dal quale l'uomo implorava la guarigione.

 

La compassione di Gesù verso gli ammalati e le sue numerose guarigioni di infermi sono un chiaro segno che con lui è venuto il Regno di Dio e quindi la vittoria sul peccato, sulla sofferenza e sulla morte. Con la sua passione e morte, egli dà nuovo senso alla sofferenza, la quale, se unita alla sua, può diventare mezzo di purificazione e di salvezza per noi e per gli altri.

 La Chiesa, avendo ricevuto dal Signore l'imperativo di guarire gli infermi, si impegna ad attuarlo con le cure verso i malati, accompagnate da preghiere di intercessione. Essa soprattutto possiede un Sacramento specifico in favore degli infermi, istituito da Cristo stesso e attestato da san Giacomo: «Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio nel nome del Signore» (Gc 5,14-15).”

( Compendio Catechismo Chiesa cattolica )

 

Dio crea un mondo ordinato e buono

 Per il fatto che Dio crea con sapienza, la creazione ha un ordine: « Tu hai disposto tutto con misura, calcolo e peso » (Sap 11,20). Creata nel Verbo eterno e per mezzo del Verbo eterno, « immagine del Dio invisibile » (Col 1,15), la creazione è destinata, indirizzata all'uomo, immagine di Dio,  chiamato a una relazione personale con Dio. La nostra intelligenza, poiché partecipa alla luce dell'Intelletto divino, può comprendere ciò che Dio ci dice attraverso la creazione,  certo non senza grande sforzo e in spirito di umiltà e di rispetto davanti al Creatore e alla sua opera.  Scaturita dalla bontà divina, la creazione partecipa di questa bontà (« E Dio vide che era cosa buona [...] cosa molto buona »: Gn 1,4.10.12.18.21.31). La creazione, infatti, è voluta da Dio come un dono fatto all'uomo, come un'eredità a lui destinata e affidata. La Chiesa, a più riprese, ha dovuto difendere la bontà della creazione, compresa quella del mondo materiale.

Dio trascende la creazione ed è ad essa presente

 Dio è infinitamente più grande di tutte le sue opere:  « Sopra i cieli si innalza » la sua « magnificenza » (Sal 8,2), « la sua grandezza non si può misurare » (Sal 145,3). Ma poiché egli è il Creatore sovrano e libero, causa prima di tutto ciò che esiste, egli è presente nell'intimo più profondo delle sue creature: « In lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo » (At 17,28). Secondo le parole di sant'Agostino, egli è « interior intimo meo et superior summo meo – più intimo della mia parte più intima, più alto della mia parte più alta ».

Dio conserva e regge la creazione

 Dopo averla creata, Dio non abbandona a se stessa la sua creatura. Non le dona soltanto di essere e di esistere: la conserva in ogni istante nell'« essere », le dà la facoltà di agire e la conduce al suo termine. Riconoscere questa completa dipendenza in rapporto al Creatore è fonte di sapienza e di libertà, di gioia, di fiducia:

« Tu ami tutte le cose esistenti, e nulla disprezzi di quanto hai creato; se tu avessi odiato qualcosa, non l'avresti neppure creata. Come potrebbe sussistere una cosa se tu non vuoi? O conservarsi se tu non l'avessi chiamata all'esistenza? Tu risparmi tutte le cose, perché tutte sono tue, Signore, amante della vita » (Sap 11,24-26).

 Dio realizza il suo disegno: la provvidenza divina

 

 La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. È creata « in stato di via » (« in statu viae ») verso una perfezione ultima alla quale Dio l'ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta. Chiamiamo divina provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione.

« Dio conserva e governa con la sua provvidenza tutto ciò che ha creato, "essa si estende da un confine all'altro con forza, governa con bontà eccellente ogni cosa" (Sap 8,1). Infatti "tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi" (Eb 4,13), anche quello che sarà fatto dalla libera azione delle creature ».

 La testimonianza della Scrittura è unanime: la sollecitudine della divina Provvidenza è concreta e immediata; essa si prende cura di tutto, dalle più piccole cose fino ai grandi eventi del mondo e della storia. Con forza, i Libri Sacri affermano la sovranità assoluta di Dio sul corso degli avvenimenti: « Il nostro Dio è nei cieli, egli opera tutto ciò che vuole » (Sal 115,3); e di Cristo si dice: « Quando egli apre, nessuno chiude, e quando chiude, nessuno apre » (Ap 3,7); « Molte sono le idee nella mente dell'uomo, ma solo il disegno del Signore resta saldo » (Prv 19,21).

Spesso si nota che lo Spirito Santo, autore principale della Sacra Scrittura, attribuisce alcune azioni a Dio, senza far cenno a cause seconde. Non si tratta di « un modo di parlare » primitivo, ma di una maniera profonda di richiamare il primato di Dio e la sua signoria assoluta sulla storia e sul mondo educando così alla fiducia in lui. La preghiera dei salmi è la grande scuola di questa fiducia.

 Gesù chiede un abbandono filiale alla provvidenza del Padre celeste, il quale si prende cura dei più elementari bisogni dei suoi figli: « Non affannatevi dunque dicendo: "Che cosa mangeremo? Che cosa berremo?" [...]. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta » (Mt 6,31-33).

 

La provvidenza e le cause seconde

 

 Dio è il Padrone sovrano del suo disegno. Però, per realizzarlo, si serve anche della cooperazione delle creature. Questo non è un segno di debolezza, bensì della grandezza e della bontà di Dio onnipotente. Infatti Dio alle sue creature non dona soltanto l'esistenza, ma anche la dignità di agire esse stesse, di essere causa e principio le une delle altre, e di collaborare in tal modo al compimento del suo disegno.

 Dio dà agli uomini anche il potere di partecipare liberamente alla sua provvidenza, affidando loro la responsabilità di « soggiogare » la terra e di dominarla.  In tal modo Dio fa dono agli uomini di essere cause intelligenti e libere per completare l'opera della creazione, perfezionandone l'armonia, per il loro bene e per il bene del loro prossimo. Cooperatori spesso inconsapevoli della volontà divina, gli uomini possono entrare deliberatamente nel piano divino con le loro azioni, le loro preghiere, ma anche con le loro sofferenze.  Allora diventano in pienezza « collaboratori di Dio » (1 Cor 3,9)  e del suo Regno.  Dio agisce in tutto l'agire delle sue creature: è una verità inseparabile dalla fede in Dio Creatore. Egli è la causa prima che opera nelle cause seconde e per mezzo di esse: « È Dio infatti che suscita » in noi « il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni » (Fil 2,13).  Lungi dallo sminuire la dignità della creatura, questa verità la accresce. Infatti la creatura, tratta dal nulla dalla potenza, dalla sapienza e dalla bontà di Dio, niente può se è separata dalla propria origine, perché « la creatura senza il Creatore svanisce »;  ancor meno può raggiungere il suo fine ultimo senza l'aiuto della grazia.

 

La provvidenza e lo scandalo del male

 

 Se Dio Padre onnipotente, Creatore del mondo ordinato e buono, si prende cura di tutte le sue creature, perché esiste il male? A questo interrogativo tanto pressante quanto inevitabile, tanto doloroso quanto misterioso, nessuna risposta immediata potrà bastare. È l'insieme della fede cristiana che costituisce la risposta a tale questione: la bontà della creazione, il dramma del peccato, l'amore paziente di Dio che viene incontro all'uomo con le sue alleanze, con l'incarnazione redentrice del suo Figlio, con il dono dello Spirito, con la convocazione della Chiesa, con la forza dei sacramenti, con la vocazione ad una vita felice, alla quale le creature libere sono invitate a dare il loro consenso, ma alla quale, per un mistero terribile, possono anche sottrarsi. Non c'è un punto del messaggio cristiano che non sia, per un certo aspetto, una risposta al problema del male.

Ma perché Dio non ha creato un mondo a tal punto perfetto da non potervi essere alcun male? Nella sua infinita potenza, Dio potrebbe sempre creare qualcosa di migliore.  Tuttavia, nella sua sapienza e nella sua bontà infinite, Dio ha liberamente voluto creare un mondo « in stato di via » verso la sua perfezione ultima. Questo divenire, nel disegno di Dio, comporta, con la comparsa di certi esseri, la scomparsa di altri, con il più perfetto anche il meno perfetto, con le costruzioni della natura anche le distruzioni. Quindi, insieme con il bene fisico esiste anche il male fisico, finché la creazione non avrà raggiunto la sua perfezione.

Gli angeli e gli uomini, creature intelligenti e libere, devono camminare verso il loro destino ultimo per una libera scelta e un amore di preferenza. Essi possono, quindi, deviare. In realtà, hanno peccato. È così che nel mondo è entrato il male morale, incommensurabilmente più grave del male fisico. Dio non è in alcun modo, né direttamente né indirettamente, la causa del male morale. Però, rispettando la libertà della sua creatura, lo permette e, misteriosamente, sa trarne il bene:

« Infatti Dio onnipotente [...], essendo supremamente buono, non permetterebbe mai che un qualsiasi male esistesse nelle sue opere, se non fosse sufficientemente potente e buono da trarre dal male stesso il bene ».

Così, col tempo, si può scoprire che Dio, nella sua provvidenza onnipotente, può trarre un bene dalle conseguenze di un male, anche morale, causato dalle sue creature: « Non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio. [...Giuseppe…] Se voi avete pensato del male contro di me, Dio ha pensato di farlo servire a un bene [...] per far vivere un popolo numeroso » (Gn 45,8; 50,20).  Dal più grande male morale che mai sia stato commesso, il rifiuto e l'uccisione del Figlio di Dio, causata dal peccato di tutti gli uomini, Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia,  ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione. Con ciò, però, il male non diventa un bene.

« Tutto concorre al bene di coloro che amano Dio » (Rm 8,28). La testimonianza dei santi non cessa di confermare questa verità:

Così santa Caterina da Siena dice a « coloro che si scandalizzano » e si ribellano davanti a ciò che loro capita: « Tutto viene dall'amore, tutto è ordinato alla salvezza dell'uomo, Dio non fa niente se non a questo fine ».
E san Tommaso Moro, poco prima del martirio, consola la figlia: « Non accade nulla che Dio non voglia, e io sono sicuro che qualunque cosa avvenga, per quanto cattiva appaia, sarà in realtà sempre per il meglio ».
E Giuliana di Norwich: « Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente nella fede, e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito in bene [...]. Tu stessa vedrai che ogni specie di cosa sarà per il bene ».

Noi crediamo fermamente che Dio è Signore del mondo e della storia. Ma le vie della sua provvidenza spesso ci rimangono sconosciute. Solo alla fine, quando avrà termine la nostra conoscenza imperfetta e vedremo Dio « a faccia a faccia » (1 Cor 13,12), conosceremo pienamente le vie lungo le quali, anche attraverso i drammi del male e del peccato, Dio avrà condotto la sua creazione fino al riposo di quel Sabato  definitivo, in vista del quale ha creato il cielo e la terra.

 

 ( Catechismo chiesa cattolica Parte Prima, sezione seconda , professione della fede )

 

 

 

 

 

 

L’ENIGMA DEL DOLORE, LA RISPOSTA DEL MISTERO

 card. Javier Lozano Barragán

Papa Giovanni Paolo II ci ha lasciato una grande eredità. Tra i tesori che abbiamo ricevuto, eccelle quello della dottrina sulla sofferenza e sul dolore. Lui ci ha insegnato il vero senso di questo enigma che tormenta da sempre lo spirito umano. Anzi, che è la vera prova nella quale si fa valida o no una religione. E lo ha fatto doppiamente: prima per iscritto, nella Lettera Apostolica “Salvifici Doloris”; poi con la sua stessa sofferenza, specialmente nella sua malattia terminale, e con la sua morte. Lui ha messo in pratica quello che tante volte aveva insegnato.

Nei suoi scritti Giovanni Paolo II dice che la sofferenza è qualcosa di più vasto della malattia, poiché esistono una sofferenza fisica e una sofferenza morale. Oltre alla sofferenza individuale, vi è poi una sofferenza collettiva, che è dovuta agli errori e alle trasgressioni degli uomini, specialmente alle guerre. Vi sono momenti in cui questa sofferenza collettiva si addensa. La sofferenza ha il suo soggetto in ciascun uomo. Tuttavia, non rimane racchiusa nell'individuo, ma genera solidarietà con le altre persone che soffrono; giacché il solo ad avere una coscienza speciale di questo è l'uomo e ogni uomo. La sofferenza implica così la solidarietà. È difficile precisare la causa della sofferenza, o del male che è unito alla sofferenza. L'uomo pone questo interrogativo a Dio e di frequente arriva alla negazione stessa di Dio, perché pensa di non trovarne la causa.

La sofferenza e il male

La sofferenza, dice il Papa, consiste nell'esperienza della privazione del bene. Tale privazione è il male. La causa della sofferenza è così un male; pertanto, sofferenza e male non si identificano. Riguardo al male, questo è privazione: genera dolore, tristezza, abbattimento, delusione e perfino disperazione, a seconda dell'intensità della sofferenza. Ma perché si è avuta questa privazione e chi l'ha causata?

Per rispondere, il Papa abbandona il terreno dell'enigma e passa a quello del mistero. Non cerca di farlo con l’oscurità nebulosa di un mito, ma entra nel pieno del nucleo della fede cristiana. Nella fede cristiana, il mistero non è oscurità, ma chiarezza abbagliante. Inoltre, il mistero cristiano non è solo qualcosa che si contempla, bensì che si sperimenta. Solo sperimentando il mistero ci si può addentrare nella sua comprensione. Solo vivendo il mistero della sofferenza cristiana si può comprendere ciò che significa la sofferenza e, come ha detto il Papa, trascenderla e superarla.

Cristo nella sua vita mortale ha soppresso il dolore con i miracoli, ha assunto su di sé l'umana sofferenza e consapevolmente l’ha patita sulla croce. L'unica risposta, pertanto, potrà venire solo dall'amore di Dio nella croce. La soluzione al problema della sofferenza la dà Dio Padre e consiste nell’offrire il proprio Figlio. Il male è il peccato e la sofferenza la morte. Con la croce vince il peccato, con la risurrezione la morte.

Giovanni Paolo II conclude dicendo che in Cristo si rivela il mistero dell'uomo e il mistero dell'uomo è in special modo il mistero della sofferenza. In Cristo si rivela l'enigma del dolore e della morte. Solo nell'amore si può trovare la risposta salvifica del dolore. Il dolore di Maria e dei Santi ci aiuti a trovare questa risposta. La sofferenza si trasformi in sorgente di forza per tutta l'umanità.” ( I.L.B.)

 

 

 

Il dolore e l'amore: senso di un rapporto

Il problema del male e della sofferenza, particolarmente della sofferenza degli innocenti, è un mistero che sfida da sempre il pensiero degli uomini, e che tante volte sfocia nello scandalo e nella diffidenza verso Dio: se il mondo è opera dell'amore divino, come si spiega la realtà del male e del dolore? è Dio impotente o è forse un sadico che si rallegra dell'afflizione umana?

La fede cristiana e la retta ragione attestano che Dio non solo è sommamente buono e onnipotente, ma è pure sapienza infinita. Questa consapevolezza, però, invece di risolvere la questione, sembra acuirla: se il Signore sa ciò che è bene per noi, può farlo, e la sua bontà lo inclina a realizzarlo, allora perché il male? Qui la ragione non può rispondere; lo fa soltanto la fede: l'origine del male si trova nel peccato, quello dei progenitori e nei peccati di tutti gli uomini. E, appunto, Dio sa perfettamente, vuole amorevolmente e realizza provvidenzialmente la sconfitta del peccato tramite l'amore: il peccato, che è l'origine del male, deriva dall'egoismo; la santità, che è l'origine del bene, deriva dall'amore oblativo. Un amore non soltanto a parole, ma coi fatti e nella verità (cfr 1 Gv 3, 18), cioè un amore che propende a cercare il bene altrui prima del bene proprio. "Se il peccato, rifiutando l'amore, ha generato la "sofferenza" dell'uomo che in qualche modo si è riversata su tutta la creazione (cfr Rm 8, 20-22), lo Spirito Santo entrerà nella sofferenza umana e cosmica con una nuova elargizione di amore, che redimerà il mondo" (Giovanni Paolo II, Enc. Dominum et vivificantem, n. 39).

L'intimo legame tra sofferenza e amore è evidente anche nei rapporti umani: il vero amore si dimostra nella disposizione a sacrificarsi per la persona amata. Chi non è disposto al sacrificio, non ama veramente. Perciò Gesù insegna: "Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici" (Gv 15, 13). In definitiva, il dolore è la pietra di paragone dell'amore, è la prova indiscussa dell'amore autentico. Inoltre, il conseguimento dei beni umani comporta, di norma, sforzo e privazione: lavorare con intensità, rinunziare a determinati piaceri per mantenere la salute, fare esercizi per essere in forma, e tanti altri.

Ma qui bisogna capir bene: il dolore o la sofferenza per sé non sono appetibili, né possono dirsi beni o fonti di bene, poiché contrastano diversi ambiti della vita umana: la pace, il benessere, la salute, ecc. Perciò non è tanto il dolore o la sofferenza, quanto piuttosto l'atteggiamento interiore con cui li si accetta che può convertire tali mali in sorgente di bene, anzi di un bene molto più alto del male sofferto. Il Signore Gesù ci promette: chi rinunzia ai beni di questa terra a causa del Vangelo, riceverà già al presente il cento per uno e nel futuro la vita eterna (cfr Mc 10, 29-30); e Paolo può scrivere: "Sono lieto delle sofferenze che sopporto per voi e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa" (Col 1, 24).

Tutto ciò si può comprendere profondamente soltanto se si guarda alla Passione e Morte di Gesù Cristo. Egli accetta liberamente la sofferenza per amore del Padre e dei Suoi fratelli, gli uomini.

Tutta la storia della salvezza attesta le parole di Giovanni: "Dio è amore" (1 Gv 4, 8.16); ma il grado dell'amore di Dio per noi si può intravedere soltanto nell'evento Cristo e, particolarmente, nella Sua Passione e Morte (Gv 3, 16). Come diceva Paolo VI un Venerdì Santo: "Chi ha dato al dolore dell'uomo il suo carattere sovrumano, oggetto di rispetto di cura e di culto, è Cristo paziente, il grande fratello d'ogni povero, d'ogni sofferente. V'è di più: Cristo non mostra soltanto la dignità del dolore; Cristo lancia una vocazione al dolore. Questa voce, figli e fratelli, è fra le più misteriose e le più benefiche che abbiano attraversato il quadro della vita umana. Gesù chiama il dolore a uscire dalla sua disperata inutilità e a diventare, se unito al suo, fonte positiva di bene, fonte non solo delle più sublimi virtù - che vanno dalla pazienza all'eroismo e alla sapienza -, ma altresì alla capacità espiatrice, redentrice, beatificante propria della Croce di Cristo. Il potere salvifico della Passione del Signore può diventare universale, e immanente in ogni nostra sofferenza, se - ecco la condizione - se accettata e sopportata in comunione con la sua sofferenza. La "compassione" da passiva si fa attiva; idealizza e santifica il dolore umano, lo rende complementare a quello del Redentore" (Insegnamenti II, 1964, p. 212).

Non va però dimenticato che non è il dolore né, pertanto, la Passione e Morte di Gesù il volere diretto e l'ultima parola di Dio:  esse sono un mezzo, vale a dire il passo obbligato per arrivare alla Risurrezione e alla Glorificazione. La croce è un evento pasquale di vita e di risurrezione che, tramite la sofferenza, porta alla piena felicità. E ciò non soltanto per Gesù di Nazareth, ma anche per tutti coloro che vogliono essere Suoi discepoli e, di conseguenza, che vogliono identificarsi con Lui. Come insegna la Prima Lettera di Pietro: "Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme" (2, 21). L'esempio di Gesù - in modo particolare le Sue sofferenze, patite per ognuno di noi - ci fa comprendere la necessità di una donazione al prossimo senza riserve, l'esigenza di vivere una solidarietà universale, il bisogno di amare e di perdonare tutti gli uomini e particolarmente (poiché umanamente è più difficile) quelli che ci osteggiano o rifiutano.

Il dolore e l'amore di Maria

Maria, la prima discepola di Gesù, capì molto bene la realtà del dolore e perciò seppe accettare con amore tutte le sofferenze che comportò la sua vita terrena. Lo fece in un'unione così intima con Gesù e seguendo così valorosamente le Sue orme, da essere veramente Madre, accanto a Cristo sulla Croce, di tutti gli uomini. Così lo ricorda il Vaticano II: "Concependo, generando, nutrendo, presentando Cristo al Padre nel tempio, soffrendo con il Figlio suo morente sulla croce, ha cooperato in modo tutto speciale all'opera del Salvatore con l'obbedienza, la fede, la speranza e l'ardente carità, per restaurare la vita soprannaturale delle anime. Per questo motivo fu per noi madre nell'ordine della grazia" (Lumen gentium, n. 61).

Arcivescovo Raffaele Martino

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         O. L. dell’  O.F.S.

Ordine Francescano Secolare

        di Conegliano