A DUE ANI DALLA MORTE DI CHIARA LUBICH
Era solo un giovane frate, padre Casimiro da Perarolo, quando nel 1942 si sentì rivolgere una di quelle
domande che covano
la miccia degli eventi epocali: «Perché non viene a predicare su da noi? Ci
sono tre maestrine, che imparino qualcosa su san Francesco!». A parlare era
padre Bruno da Verla, che sui monti di una Trento sventrata dalle bombe dava
ricovero a decine di orfanelli mentre a valle la guerra infuriava.
«Avevo appena finito gli studi - racconta oggi padre
Casimiro, 95 anni portati con estrema lucidità e ruvido vigore -. Il Superiore
provinciale mi aveva affidato il Terz’Ordine francescano, così io andavo in
giro a predicare. Anche quel giorno nell’orfanotrofio di Cognola
alle tre giovanissime maestre parlai dell’ideale di san Francesco, del suo
"fuoco d’amore". Alla fine chiesi loro che cosa ne
pensassero e una sola, Lubich Silvia, mi rispose con
parole che non ho mai dimenticato: "Padre, io non avevo mai sentito cose
del genere. Voglio anch’io questo fuoco d’amore,
voglio portarlo nel mondo". La guardai e la vidi ardere dello
stesso fuoco». Presto la maestrina Silvia da Trento, anni 22, diventerà Chiara Lubich, la fondatrice del Movimento dei Focolari, la donna
che farà del Vangelo la sua potente rivoluzione fondando una nuova corrente di
spiritualità, fino a raccogliere uomini e donne di ogni categoria sociale, età,
razza e cultura nel mondo intero. Dopo, ai cattolici si uniranno cristiani di
altre Chiese, ebrei, musulmani, buddisti, non credenti, tutti misteriosamente
attratti dal suo linguaggio universale. Prima donna cristiana,
«Ma eravamo nel 1942 - continua padre Casimiro - e mai
avrei pensato... Tornai più volte nell’orfanotrofio a predicare e, vedendo il
suo entusiasmo, le affidai altri giovani. Successe l’impensabile». Rapita dall’esempio del santo che lasciò tutto per
seguire Cristo povero e crocifisso , Silvia volle offrirsi al Signore e prese il
nome da Santa Chiara d’Assisi. «Non voleva farsi
suora, desiderava offrirsi a Dio restando laica. Io le chiesi di pensarci bene,
le dissi che poi, se avesse cambiato idea, solo il Santo Padre avrebbe potuto
scioglierla dal voto, ma lei era raggiante. Mi raccontò che suo fratello,
medico e comunista, le aveva trovato un bravo collega d’ospedale come marito,
ma che lei ormai apparteneva a Dio e come Francesco voleva amarlo attraverso i
fratelli».
Di nuovo sarebbe toccato a padre Casimiro accendere la miccia. Avvenne il 7
dicembre del 1943 quando, a tu per tu con una Chiara 23enne nella chiesetta dei Cappuccini di Trento, ebbe il privilegio di assistere al
suo sì incondizionato: «Eravamo soli. Dissi Messa e lì Chiara si offrì a Dio,
promise povertà, obbedienza e castità e partì per la sua grande avventura.
Nasceva il Movimento dei Focolari...».
Un numero sempre maggiore di ragazze e ragazzi di Trento si lasciarono
contagiare e la seguirono, soccorrendo con lei l’umanità dolente sotto le
bombe. «Chiara infiammava chiunque la incontrasse.
Ricordo benissimo l’impressione che riscossero un giorno a Trento tutte quelle
ragazze che passavano, quasi duecento, belle, ordinate, ben vestite, alla testa
del Corpus Domini... Un primo nucleo di giovani andò a vivere con lei nella
prima casetta del Movimento, sotto il nostro convento». Ed è lì che per la
terza volta il cappuccino si fa inconsapevole veicolo di Dio: «Una di loro, Doriana, andando ad
assistere i senzatetto si era ammalata e quel giorno Chiara mi chiese di
portarle l’Eucarestia a casa. Era il 1944». Una scena
mai dimenticata: nel letto Doriana, lì accanto,
seduta, Chiara. Al giovane frate salì spontanea una domanda, ancora oggi non sa
spiegarsi come: qual è l’istante in cui Gesù ha sofferto di più? Chiara provò a
rispondergli: «Nell’orto dei Getsemani?». Il frate la
corresse: «No, fu quando gridò al suo stesso Padre "perché mi hai
abbandonato?", quello è stato il momento più atroce».
Fu un fulmine a ciel sereno. Chiara, folgorata dall’intuizione, stabilì
l’ideale del suo Movimento: «Da quell’istante e per sempre prese con sé Gesù
abbandonato, riconoscendolo in ogni fratello della famiglia umana».
Nell’Uomo-Dio che dalla croce grida l’abbandono del Padre, Chiara trovava la
chiave per ricomporre l’unità con il Creatore e tra tutti gli uomini: nasceva
quel giorno il "progetto di unità" che sarà lo scopo della sua vita,
orientata ad attuare l’ultima volontà di Cristo, che tutti siano uno.
Fino al giorno della morte la sua passione sarà la stessa, riportare al Padre
il mondo sanato da ogni divisione e ricomposto nella fratellanza universale:
Nel tuo giorno, mio Dio, verrò verso di Te con il mio
sogno più folle: portarti il mondo fra le braccia, scriverà...
Ai suoi funerali in San Paolo fuori le Mura due anni
fa portarono la loro testimonianza rappresentanti delle religioni orientali,
dell’islam, dell’ebraismo, di confessioni cristiane, di movimenti ecclesiali,
oltre a politici di ogni schieramento, tutti ugualmente trascinati dal carisma
di Chiara Lubich... «Aveva una intelligenza
fuori dal comune e si era iscritta a filosofia - prosegue il frate -, ma le
consigliai di lasciar perdere: erano tempi duri, le dissi, stai invece accanto
a questi poveretti che nei bombardamenti hanno perso tutto... Le trasmettevo le
parole di Cristo, "quando due o più sono uniti nel mio nome, sono io in
mezzo a loro", e lei le ha diffuse in modo nuovo, rivoluzionario».
L’estate scorsa a trovare padre Casimiro è arrivata una cinquantina di giovani
studenti di teologia dalla Terra del Fuoco alla Corea, piccola rappresentanza
di quel popolo di Chiara che ormai abita tutta
Per questo, forse, nel maggio del 1915 al piccolo Casimiro, figlio di un
ferroviere abruzzese, era toccato nascere non all’ombra del Gran Sasso ma delle
Dolomiti bellunesi. E il suo destino era già scritto quando, giunti a Rovereto,
la mamma («ogni volta che papà veniva trasferito, lei cercava subito la chiesa
più vicina a casa») buttò gli occhi sulla cappella dei
Cappuccini «e tutte le mattine mi portava a Messa qui, dove un giorno avrei
trovato la vocazione». Poi a Trento l’incontro con Chiara, 22 anni lei e 27
lui: due giovani vite che si sarebbero sfiorate qualche mese. Giusto il tempo
per cambiare il mondo.
Da Avvenire