MOVIMENTO PER LA SOCIETÀ DI GIUSTIZIA E PER LA SPERANZA             Lecce                                                                                      

 

 

CONTRIBUTI AL PROGRAMMA DELL'UNIONE

 

                                                                                                                            A Romano Prodi e Giulio Santagata

                                                                                              A Piero Fassino, Francesco Rutelli, Fausto Bertinotti

                                                                                                 

 

 

 Indice:

 1. La RAI come importante sevizio nazionale                                                                                                  

 2. Regolare gli scioperi nei servizi pubblici                                                                              

 3. L’Unione non deve accettare lo spoils system                                                                              

 4. Lo stato biscazziere deve finire                                                                              

 5. L’ignoranza popolare è il maggior pericolo per democrazia italiana

 6. Problemi della televisione privata

 7. Affrontare con decisione il berlusconismo

 

 

                                                                                               

Contributo n. 7

Affrontare con decisione il berlusconismo

 

In queste settimane, dopo le elezioni, si sono sentiti strani e pericolosi discorsi. E cioè che al seguito delle elezioni l’Italia si era spaccata in due; ma ciò è falso, è invece un fatto normale, che avviene ad ogni elezione, dove il vincitore non supera mai di molto il 50%. Di conseguenza, si è detto, i due poli dovevano collaborare, le cariche supreme dovevano essere condivise; ed è proprio a questo che si mirava. Si è letto persino una dichiarazione di Gianni Letta, il mediatore berlusconiano, secondo cui l’Unione era “pronta ad un dialogo su tutto: dalla riforma costituzionale alla legge elettorale fino alla giustizia”. Queste ultime parole suscitano sgomento e indignazione: che vuol dire trattare sulla giustizia? concedere a Berlusconi di sfuggire alla giustizia come è  sfuggito finora? di corrompere, evadere il fisco, truffare a man salva? questo voleva fare l’Unione per ottenere l’accordo sul suo candidato al Quirinale?

 

L’Unione si deve rendere conto della situazione di emergenza in cui si trova la democrazia italiana; che l’esito risicato delle elezioni ha confermato. L’assalto mediatico, l’attacco violento, le quotidiane promesse sballate hanno trovato un pubblico debole e credulo, che ha ceduto, sì che l’Unione si è salvata per un pelo.

Ci troviamo di fronte ad una coalizione che ha abusato sistematicamente della democrazia e della legge a vantaggio del boss; che ha varato per tutto il quinquennio una serie di oscene leggi per frustrare i suoi processi, per concedergli vantaggi fiscali, per promuovere le sue televisioni e le sue imprese editoriali. Un personaggio che ha accentrato in sé il potere mediatico (impadronendosi anche della televisione di stato) e ne ha abusato per ottundere la gente e strapparne il consenso. Che ha denigrato sistematicamente la magistratura, al punto da ottenere l’adesione non solo di una parte della pubblica opinione ma di esponenti della minoranza, dei DS, che hanno adottato il suo stesso linguaggio. Così come ha denigrato sistematicamente e violentemente gli avversari politici, e continua a farlo.

 

Questo personaggio e i suoi alleati e complici devono essere fieramente combattuti. Non si devono usare riguardi, se si vuole il bene della nazione. Urge la riforma della RAI e, subito, la rimozione dei personaggi ch’egli vi ha collocato. Urge la riforma del sistema televisivo, che si è rivelato estremamente pericoloso per la democrazia, quando è concentrato nelle mani di una sola persona. Devono essere smontate tutte le leggi ingiuste, le leggi nocive per l’ambiente, i parchi ecc., le leggi che indeboliscono la sicurezza. Un lavoro che dev’essere affrontato con grande decisione e stretta coesione, in particolare al senato.

Cedere, essere deboli, sarebbe tradire la democrazia italiana in una fase difficile.

Lecce, 8 maggio 2006

                                                             

 

Contributo n. 6

Problemi della televisione privata

 

Il problema della televisione privata dev’essere riconsiderato con attenzione.

Si parla abitualmente di duopolio, quasi che la televisione di stato e quella berlusconiana possano essere poste sullo stesso piano. Ma non è così: la televisione di stato, come noi la concepiamo – e l’abbiamo esposto nel Contributo n. 1 – è un servizio che lo stato fa ai cittadini, e ne avrà tutta la dignità, la capacità formativa, e anche la capacità ricreativa, non però deteriore. Non avrà nulla di commerciale e sarà pienamente autonoma, in modo analogo alla magistratura: un punto che il Programma dell’Unione non ha ancora recepito: che la TV di stato non deve aver nulla a che fare col parlamento e con l’esecutivo; non deve cadere nelle mani dei politici. Bisogna recuperare, a questo proposito, la saggezza e il distacco che i padri costituzionali, che certo erano dei politici, ebbero nei riguardi della magistratura.

 

Posto questo fondamentale servizio e la sua corretta gestione, la televisione privata non può essere abbandonata all’andazzo e al pressappochismo della legislazione che finora ha dominato il campo, anche a prescindere dalla legge Gasparri. La televisione è un mezzo troppo potente di formazione-deformazione della gente; e l’esperienza del berlusconismo è stata fin troppo rovinosa perché la nazione non se ne debba guardare in futuro.

Perciò una legge saggia deve prevedere che un privato non debba possedere più di una televisione. E anche per questa devono essere previste norme puntuali quanto alla pubblicità, alla sua durata, alla sua frequenza, alla sua collocazione, che non interrompa i programmi (i film ad esempio, i concerti; ma anche le ultime olimpiadi invernali hanno subito continue interruzioni pubblicitarie); quanto all’uso oggettuale della donna, all’uso insensato della sua nudità ecc. Ciò che pure il movimento femminile dovrebbe contestare. Un’Autorità potrà presiedere all’osservanza di queste norme.

 

Una tale misura non ha nulla di vendicativo: vuol solo essere saggia, e prudenziale: cercare il bene della gente, impedire l’abuso di questo mezzo e della sua forza persuasiva, la captazione del consenso; impedire l’ulteriore depressione culturale di un popolo già culturalmente debole.

Lecce, il 3 aprile 2006

 

 

Contributo n. 5

L’ignoranza popolare è il maggior pericolo per democrazia italiana

 

Il Movimento ritiene sia tempo di riflettere su questo punto in ordine ad una strategia di largo respiro. Il berlusconismo è un fatto troppo grave, che ha provocato per la Repubblica una fase di degradazione etica anzitutto, ma anche culturale, e infine economica. La degradazione etica deve attrarre anzitutto la nostra attenzione, l’abuso costante della legge, distorta agl’interessi privati di questo personaggio, i suoi processi e le sue imprese; uno pseudopartito creato apposta per questa perfida azione; un gruppo di partiti alleati che si sono piegati senza battere ciglio a questa pratica perversa. Un fatto mai accaduto in Europa, e che ha profondamente umiliato la nazione. Cui si aggiungono le pratiche abusive di governo, come i condoni edilizi e fiscali; e una spudorata strategia della menzogna.

Ma anche la degradazione culturale, i fondi negati alla scuola, all’università, alla ricerca; la controriforma della scuola e dell’università; la televisione di stato resa più mediocre, più insignificante e deformante per la gente, sul modello della propria e a suo vantaggio; la grossolanità del dibattito politico.

 

Bisogna riflettere sul fatto che questo personaggio la gente lo ha eletto per due volte, lui e i suoi alleati, battendo una coalizione di ben altro tenore etico e culturale, di ben altro livello politico; e che anche adesso, dopo tutto quello che è successo, potrebb’essere rieletto, nonostante tutto.

C’è un fattore d’ignoranza che bisogna prendere in seria considerazione. Gli analisti del voto ce lo hanno indicato, quando hanno concluso che nel 2001 grandi elettori erano stati la “casalinga di Voghera” e il “lavoratore del Sud” (l’intera Sicilia, e l’intera Puglia tranne una circoscrizione, quella di Vendola).

Un’ignoranza di cui son noti alcuni fattori: a cominciare dall’abbandono scolastico, il più alto d’Europa. Dalla lettura dei quotidiani: se il 50% abitualmente non legge, non sa; non conosce se non quelle scarne notizie che gli ammannisce la televisione, manipolandole; la gente non sa quello che è accaduto, quello che veramente accade. Dalla lettura dei libri, se oltre il 50% non legge neanche un libro all’anno. E a che punto sono le biblioteche comunali? e ci sono biblioteche circolanti il cui furgone batte regolarmente la campagna, come in Francia? E qual è l’attività culturale dei comuni – spesso nulla, con assessori d’inaudita rozzezza mentale – e quanto coinvolge la gente? o ci si limita all’attività calcistica e bocciofila?

 

L’Unione deve rendersi conto che questa ignoranza costituisce oggi il maggior pericolo per la democrazia e per le sorti della nazione. È un punto su cui bisognerà sviluppare un’indagine, costituire gruppi di lavoro, costruire programmi adeguati e operare intensamente, perché elevare il livello culturale di un popolo è un’impresa di enorme impegno.

 Lecce, il 27 marzo 2006

 

 

Contributo n. 4

Lo stato biscazziere deve finire

 

II gioco d’azzardo è proibito in Italia, come altrove; ma è organizzato dallo stato in una misura ormai abnorme, intollerabile. L’ultima trovata del Tesoro è stato il bingo, che ha allettato i cittadini a sprecare ulteriormente i pochi soldi che avevano. Siamo invece scampati dal pericolo di avere un casinò in ogni regione, dove gl’imprenditori avrebbero sperperato con più facilità i loro profitti, più o meno leciti, invece di reinvestirli; i professionisti, con le loro parcelle altissime; i primari, che ad ogni visita, ogni mezz’ora, ti spuntano centocinquanta duecento euro. Il parlamento non ha approvato la proposta; ma già stupisce il fatto che una simile proposta sia giunta sino all'aula, mentre tanti disegni di legge anche importanti, benefici, necessari, attendono per anni o non vi giungono mai.

Il bingo, poi, è solo l’ultimo arrivato di una lunga serie: il lotto, il più antico e popolare, il sogno illusorio dei poveri; le lotterie nazionali, che per lungo tempo furono soltanto tre, mentre ora ne abbiamo una ogni mese; il superenalotto che ogni settimana illude la gente con milioni di euro; il totocalcio, totogol, totip, tris; il gratta e vinci, che ha avuto una stagione di furore nazionale; i quiz televisivi, dove i milioni piovono giù dal cielo come fiocchi di neve; e via dicendo.

 

Tutto questo è immorale, per se stesso, e per la coscienza popolare. Lo è per più ragioni. Perché inverte il significato del denaro, che è frutto del lavoro, dell’ingegno e della fatica umana; per farne un gioco, abbandonarlo al caso. Perché toglie il denaro ai molti per darlo ai pochi, ai poveri per formare nuovi ricchi; rovesciando il principio di giustizia, di ridistribuzione dei beni dal ricco al povero. Perché sospinge la gente nell’illusione di un arricchimento facile e frivolo, anziché nella realtà di un benessere costruito attraverso il lavoro e il risparmio; la spinge allo sperpero. A parte le patologie che provoca o nutre, il superenalotto in particolare, coi suoi milioni settimanali; gente che vi consuma lo stipendio, v’ipoteca la casa, vi scatena una nevrosi, una psicosi.

L’esaltazione del denaro e della ricchezza (la ricchezza dei pochi, ricchezza espropriatrice) è uno degli pseudovalori della società del nostro tempo, che tante rovine provoca: dallo sfruttamento del lavoro alla pressione consumistica, allo sfruttamento della prostituzione, alla schiavitù di bambini e donne, al traffico degli organi, alle molteplici forme di criminalità. Il popolo dev'esserne difeso, piuttosto che sospinto.

 

Si è parlato tanto in passato della religione come “oppio del popolo”; perché lo avrebbe distolto dalla sua condizione reale, di sfruttamento, d’ingiustizia, nell’illusione di un premio futuro ultraterreno. L’analogia è evidente; la Sinistra dovrebbe ricordarsene. Perciò tanto più meraviglia che tolleri tutto questo, e anzi lo promuova; la Sinistra, che dovrebbe perseguire la giustizia, l’eguaglianza, la ridistribuzione dei beni, la formazione della coscienza popolare. Che lo tollerino e lo promuovano i partiti d’ispirazione cristiana, che dovrebbero avere come scopo la giustizia biblica, e l’elevazione della coscienza popolare.

Si porta la solita sballata ragione che lo stato ha bisogno di denaro, che questi giochi sono gravati da forti tasse e quindi sono un mezzo per farlo. Un mezzo immorale, che il fine non può giustificare. Lo stato non può corrompere il popolo per far denaro.

Lecce, il 20 marzo 2006

 

 

Contributo n. 3

L’Unione non deve accettare lo spoils system

 

Questa strategia, per cui il partito o la coalizione vincitrice si prende anche tutti i posti di responsabilità nell’amministrazione statale e parastatale, è scorretta e disonesta, e l’Unione non la deve accettare.

Essa ci viene in particolare dagli USA, dove è praticata in termini anche grossolani, come quando si dà un posto a un tizio per il semplice fatto che ha finanziato il partito vincitore. Ma è praticata anche da noi, e certo il Centro-Destra l’ha largamente usata; ma anche il Centro-Sinistra l’ha usata nella precedente legislatura. Così persone di valore sono state sostituite da uomini di partito, legati a questo o a quel leader, semplicemente perché non avevano referenti nella coalizione vincitrice.

 

Ciò non deve più accadere. Certo, una valutazione dev’essere fatta, attenta, seria; le persone sistemate in posti di responsabilità dalla precedente maggioranza devono essere attentamente esaminate. Ma il criterio non dev’essere l’appartenenza di partito, o il legame con questo o quel leader; bensì unicamente tre condizioni: competenza, coerenza col programma della coalizione, onestà.

Vogliamo persone competenti, intelligenti, attive, creative. Le migliori.

Vogliamo persone che condividono pienamente il programma e la strategia della coalizione; in particolare la costruzione di una società di giustizia, in ogni ambito.

Vogliamo persone profondamente oneste.

Perciò rifiutiamo lo spoils system, che è un sistema disonesto. Come rifiutiamo ogni forma  di nepotismo o clientela. E rifiutiamo quella moltiplicazione di posti, di commissioni, di consulenze, per sistemare o favorire gli amici, che è avvenuta in molte regioni, anche gestite dal Centro-Sinistra, ed è stata denunziata dalla stampa, ed è disonesta e scandalosa, e la gente l’ha condannata e la condanna.

 

Il Movimento supplica l’Unione di non ricadere in queste forme clientelari che ne intaccano la coscienza e l’azione; ne rovinano il prestigio e il consenso.

 Lecce il 13 marzo 2006

 

 

Contributo n. 2

Regolare gli scioperi nei servizi pubblici

 

L'Italia è famosa per gli scioperi: specialmente in passato capitava spesso di leggerne i commenti, anche ironici, nella stampa estera, dove l'Italia compariva semplicemente come “il paese degli scioperi”.

Col tempo, le cose sono alquanto mutate. Per almeno due motivi: la caduta e democratizzazione delle Sinistre, l’insorgere della disoccupazione. Perché le Sinistre, nel loro passato rivoluzionario, o semi-rivoluzionario, hanno largamente usato dello sciopero come mezzo di pressione politica. Con l'insorgere della disoccupazione tecnologica, poi, il posto di lavoro è diventato molto prezioso e la conflittualità si è allentata. Non però nei servizi pubblici – i trasporti, anzitutto, treno ed aereo, servizi delicatissimi, in una società dove gli spostamenti sono continui, e che incidono anche sull'esistenza e sulla quotidianità della gente, provocano disagi gravi –; non dunque nel “pubblico”, perché il pubblico conserva ancora certi privilegi di cui non si possono qui indagare le origini e i motivi: tra cui, in particolare, la sicurezza del posto di lavoro.

 

Il diritto di sciopero è certo sacrosanto; è lo strumento indispensabile per risolvere i rapporti di lavoro quando la trattativa fallisce, o si protrae, o si fa sterile. La Costituzione lo sancisce appunto come un “diritto”, e però “nell'ambito delle leggi che lo regolano” (art. 40); leggi che non sono mai state fatte, soprattutto per la forte opposizione delle Sinistre. S’è introdotta qualche piccola misura limitativa, come nel periodo delle grandi festività, ma un regolamento complessivo ancora manca.

In Europa il grande modello resta sempre la Germania, dove lo sciopero non può essere indetto dalle organizzazioni sindacali ma dev'essere votato dai lavoratori stessi. La misura più giusta e insieme più rigorosa; dal momento che è il lavoratore che sciopera, è lui che per primo ne sopporta le conseguenze. La nuova Germania del dopoguerra aveva dietro a sé la triste esperienza di Weimar, l'insicurezza e il disordine di quell'età che era poi scivolata nel nazismo; e ha preso le precauzioni per non ricadervi. L’intera Costituzione tedesca risente di queste precauzioni.

 

A questo punto, però, bisogna dire con estrema chiarezza che, a prescindere da una legge che regoli tutta la materia, questi scioperi nei servizi pubblici non possono continuare col ritmo e col disordine attuale; è ora che si dica basta. Perché qui non scioperano le ferrovie, i treni: scioperano un giorno i casellanti, un altro i capistazione, poi i controllori o gli addetti alla manutenzione e via dicendo. E non sciopera l’Alitalia ma un giorno i piloti, un altro i controllori di volo, un terzo le hostess, poi gli addetti ai bagagli eccetera.

Questo atroce gioco di categorie e subcategorie che mettono in ginocchio la nazione intera non si può tollerare oltre. Si ammetta lo sciopero, certo, ma per il servizio intero: scioperano le ferrovie, sciopera il trasporto aereo, per intero e solo per intero; non una dopo l'altra le trentasei (per usare un'espressione francese) categorie e subcategorie che vi operano, e ognuna blocca tutto ogni volta. Si faccia una legge; non si abbandoni oltre la gente all'incertezza e al travaglio dei trasporti pubblici.

 Lecce, il 15 febbraio 2006

 

 

Contributo n. 1

 La RAI come importante sevizio nazionale

 

La RAI non dev’essere privatizzata. Il gruppo di potere che governa ora il paese, e che fa capo al magnate della televisione privata Berlusconi, ha deciso lo smantellamento della radiotelevisione di stato, la sua grande concorrente, che ha anche il prestigio dell’ufficialità. Ha perciò predisposto una legge che lo stabilisce, affidata al ministro delle comunicazioni Gasparri, docile strumento; legge che in un primo tempo non ha ottenuto l’avallo del presidente Ciampi, ma è stata aggiustata ed è passata. E ha poi annunziato l’avvio dell’operazione di vendita.

Così, dopo aver strumentalizzato quello che era il grande tramite della comunicazione nazionale; dopo averlo occupato coi suoi uomini; dopo averne cacciato esponenti incisivi e prestigiosi, dopo averla affondata il più possibile nella banalità e nell’insignificanza, per aumentare il valore e il reddito della sua televisione (l’affluenza, e il relativo costo degli spot pubblicitari), il magnate e il suo gruppo di potere si sono avviati ad annientarla.

 

Annientarla come voce della nazione; come grande strumento di espressione, comunicazione, formazione pubblica. Che è il suo compito; anche se forse non lo ha mai adeguatamente adempito; e non ne è stata mai abbastanza cosciente. Nella fase più recente, con la crescita del privato, in particolare di Mediaset, gli si è omologata, gli si è messa in concorrenza, nella stupida gara dell’“audience”.

Ciò che si deve capire, che molti non capiscono, è che la RAI non è una qualunque impresa di stato, di quelle che lo stato ha sviluppato come grandi servizi pubblici, quali le ferrovie, le autostrade; né, tanto meno, di quelle che lo stato ha assunto per risanarle, magari non riuscendoci. Già la scuola e la sanità sono servizi particolari, che il privato non può adempiere se non in piccola parte: per la gratuità, per l’offerta universale. E così la radiotelevisione pubblica è un servizio particolarissimo, sia per il potere mediatico che in sé contiene; potere di persuasione occulta e palese attraverso la parola, l’immagine, la multimedialità che avvolge e coinvolge l’intero d’uomo. Sia per il compito d’informazione, che in un servizio pubblico dev’essere corretta e non distorta, deve costituire la più alta garanzia per il cittadino; e per il compito formativo che deve adempiere, compito di formazione permanente sul piano culturale, etico, politico; di cui il cittadino abbisogna, è tra le sue esigenze più alte.

Per fare questo la RAI non dev’essere privatizzata; non deve diventare un’impresa commerciale qualunque, tesa al profitto, quindi alla pressione consumistica, alla suasione che porta al consumo, alla spettacolarità mediocre che asseconda la mediocrità del gusto invece di elevarla; o anche l’abbassa e la deforma. Tesa al potere del gruppo che la possiede, della corporazione cui quel gruppo appartiene; grande, incomparabile strumento di potere dei pochi a danno dei molti, quindi a danno della nazione. Non dev’essere privatizzata ma riformata; in una duplice direzione: dev’essere sottratta ai gruppi di potere che nella gestione dello stato si avvicendano, e che la strumentalizzano; dev’essere profondamente trasformata nel suo modo d’essere e operare.

Si tratta anzitutto di  sottrarla ai gruppi di potere, cioè ai partiti, e alle lobby che premono sui partiti. Di Destra o di Sinistra che sia, la “lottizzazione” non può essere accettata. A parte il deplorevole “spoils system” dell’attuale coalizione, già con l’avvento dell’Ulivo nel 1966 si sono viste persone degnissime, direttori di sede, che hanno dovuto cedere il posto a uomini di partito. Deve invece diventare autenticamente autonoma; in modo analogo alla magistratura. Il potere mediatico statale accanto ai tre poteri che finora hanno gestito lo stato, il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario. O anche appoggiato alla magistratura per quel che concerne l’elezione del Consiglio di amministrazione (si vedano le formule escogitate in questi anni, tutte insoddisfacenti) e la Commissione di vigilanza.

 

La trasformazione della struttura e della programmazione dev’essere studiata.

Deve scomparire la pubblicità: basta il canone, che il cittadino paga per un servizio di qualità.

I tre canali non devono essere analoghi e omologhi, ognuno che trasmette di tutto un po’; ma devono opportunamente specializzarsi.

 

Per la parte televisiva, un canale potrebb’essere dedicato alla vicenda umana, nazionale e planetaria, all’informazione e discussione a 360 gradi di ciò che quotidianamente accade; quell’informazione che ora è tanto carente, quella discussione che ora è tanto ridotta.

Un secondo canale alla cultura in senso alto, autentico, e insieme altamente comunicativo.

Un terzo alla cultura popolare, allo sport, al gioco. Ma dovrebbero scomparire le forme basse dell’intrattenimento, i quiz, i milioni che piovono dal cielo; così come le vallette e veline, la donna esibita al servizio del conduttore maschio. C’è bisogno di valletti? e va bene, ma che non siano solo donne, e che non esibiscano inutilmente il loro corpo.

La finalità formativa e la valenza etica devono sempre essere presenti alla programmazione e conduzione.

Per la radio dev’essere studiata una  riprogrammazione analoga. 

Sono proposte provvisorie: in realtà ci dovrebb’essere una specie d’inchiesta nazionale, un concorso amplissimo d’idee per riuscire a progettare insieme questo importantissimo servizio, che è nostro ed è per tutti noi. 

 Lecce, il 6 febbraio 2006