Archivio articoli 2015

 

 

 

 

 

 

 

INDICE

dicembre

Il Giubileo non può restare com'è stato finora, 16/12/015

I segreti del Vaticano, 9/12/015

novembre

Nota sul terrorismo islamico dopo i massacri di Parigi, 2/12/015

Guerra e pace dopo i massacri di Parigi, 22/11/015

maggio

A proposito di armi oggi, 12/05/2015

aprile

Due principi per l’immigrazione, 28/04/2015

Il Giubileo, il suo senso e nonsenso, 13/04/2015

marzo

Speranze e delusioni da Papa Bergoglio, 20/03/2015

Dopo il caso Charlie-Hebdo: la satira e i suoi limiti, 22/03/015

Riflessioni postume sul caso Charlie-Hebdo, 14/03/015

 

 

 

dicembre

Il Giubileo non può restare com'è stato finora

di Arrigo Colombo

 

          Così come il Giubileo è stato impostato dalla tradizione, e così come si è mantenuto finora nel tempo, non è gran cosa. È incentrato nell'indulgenza plenaria, che sarebbe la remissione piena della pena temporale che si pensa il peccato porti con sé anche dopo il pentimento e il perdono; e che, secondo la tradizione teologica, si dovrebbe scontare nel Purgatorio, e bruciando nel fuoco.

Un punto, quest'ultimo, che oggi appare piuttosto inverosimile: il fuoco, che sarebbe di per sé una pena orrenda, la più crudele mai pensata nella storia dell'umanità, e che viene oggi considerato un simbolo; il purgatorio, questo particolare luogo di pena e di purificazione, apparso tardivamente nella storia del Cristianesimo, viene considerato improbabile, scarsamente fondato nella rivelazione.

Si pensa che certo l'uomo, quando entra nella visione beatifica di Dio, debba essere affatto puro; ma che a purificarlo può bastare anche solo quell'incontro stesso col divino, oltre a tutto ciò che nella vita ha vissuto e sofferto (già Tommaso d'Aquino ne notava il valore), e a tutto ciò che di bene e di benefico ha compiuto..

A questo punto l'indulgenza, parziale o plenaria, perde molto del suo senso.

 

Ma anche se lo conservasse, il Giubileo si risolverebbe in ben poca cosa, se si risolvesse nella visita di una chiesa (una tra tante, poi che viene esteso a tutte le diocesi e anche alle parrocchie) con quella tradizionale preghiera vocale e ripetitiva che sono i cinque Pater Ave Gloria; congiunta a confessione e comunione, che pure appartengono alla comune vita cristiana.

Un significato maggiore avrebbe se fosse riservato a Roma e richiedesse il pellegrinaggio (come avviene per i musulmani alla Mecca una volta in vita; dove è uno dei cinque Pilastri o capisaldi di quella religione); e solo in un secondo anno fosse esteso ovunque,  affinché tutti ne potessero beneficiare.

 

Acquisterebbe un significato maggiore e veramente autentico se recuperasse in qualche misura lo spirito e l'efficacia dell'antico Giubileo ebraico come davvero anno di misericordia e di riconciliazione. Anno in cui tutti i terreni ritornavano al proprietario primiero (ciò che impediva l'accumulo di quel bene primario, e quindi la formazione di un'aristocrazia terriera), in cui si rimettevano i debiti, si liberavano gli schiavi..

 Papa Francesco parla di anno della misericordia. Ma nella tradizione cristiana ci sono le opere di misericordia; si tratterebbe quindi di operare, non solo di pregare;  opere anche importanti che nell'anno giubilare s'impostano, s'iniziano, e in parte anche si adempiono in tutta la cattolicità.

Trasformare le carceri, ad esempio, Se l'essenza della pena è la privazione della libertà, che ci fanno tutte le altre inutili e perverse afflizioni? le celle, l'abito a strisce, la reclusione, il cibo cattivo. Invece ampie possibilità di sviluppare una vita culturale, di crescere culturalmente e umanamente usufruendo di tutto quel tempo.

Trovare abitazioni ai senzatetto, scegliendo ed adattando edifici pubblici disabitati, caserme in particolare; costruendo schiere di casette prefabbricate.

Nell'America Latina intraprendere l'assorbimento delle favelas, che non si può tollerare continuino a convivere con la grande città: con Rio, con Buenos Aires.

Organizzare delle cooperativo di lavoro per i disoccupati; sostenere le iniziative di piccola impresa degl'immigrati.

Sviluppare delle campagne di sostegno e sviluppo dell'handicap, il suo lavoro, la sua parità culturale e sociale.

Iniziative per la salute; per la ricerca che debelli la malattia.

 Sono solo degli esempi; ma l'anno giubilare dovrebb'essere fecondo, mirabilmente fecondo di queste iniziative. Un impegno di misericordia fattivo da parte di tutti. Una radicale trasformazione di certi settori di società sarà l'impronta di misericordia, di amore fraterno di questo anno straordinario.

                                                                                                                        (16/12/015)

 

 

I segreti del Vaticano

di Arrigo Colombo

        

         In Vaticano si è aperto un processo per la divulgazione di notizie riservate, secondo un articolo introdotto nel codice penale vaticano nel luglio 2013, il 116 bis. Strano articolo che recita:"Chiunque si procura illegittimamente o rivela notizie o documenti di cui è vietata la divulgazione, è punito con la reclusione da sei mesi a due anni o con la multa da euro mille ad euro cinquemila. Se la condotta ha avuto ad oggetto notizie o documenti concernenti gli interessi fondamentali o i rapporti diplomatici della Santa Sede o dello Stato, si applica la pena della reclusione da quattro a otto anni. Se il fatto di cui al comma precedente è commesso per colpa, si applica la pena della reclusione da sei mesi a due anni".

Dunque notizie o documenti di cui è vietata la divulgazione;  o ancor più se concernenti gli interessi fondamentali o i rapporti diplomatici.

È così che vengono portate a processo cinque persone, di cui tre del Vaticano, membri della COSEA (la Commissione di studio dell'attività economico-amministrativa  istituita pure nel 2013, e che ha fatto diverse importanti proposte): il segretario monsignor Baldi, il suo collaboratore Maio, e un membro Francesca Chaouqui.  Ma poi i due famosi giornalisti Fittipaldi e Nuzzi, autori di «Avarizia» e «Via Crucis», i due ormai famosi libri di denunzia degli scandali del Vaticano.

La cosa stupisce, perché uno dei compiti del giornalista oggi, e forse il più alto, è l'inquisizione e la denunzia dei casi si corruzione e malversazione che pervertono e tormentano la società; e tanto più se pervertono la Chiesa cattolica, e il Vaticano che ne è il supremo organo di gestione; e che della società dovrebb'essere luce e guida. Tanto più che i due giornalisti si presentano proprio con l'intento di aiutare la Chiesa, e papa Francesco in particolare: «Papa Francesco deve sapere», questa è parte della Via Crucis di Papa Francesco.

 

Il caso dei due giornalisti fa parlare la stampa di arretratezza del Vaticano; che non ha ancora acquisito questo loro importante compito, questo compito della stampa  di svelare i pretesi segreti, queste malversazioni tanto più nocive proprio perché segrete, e che devono essere svelate per poterne liberare la società; e tanto più la Chiesa.

La Chiesa, poi, deve attenersi al modello impostato e voluto dal Cristo. un modello di semplicità, di chiarezza, che è l'opposto al segretume del Vaticano. «Il vostro linguaggio sia si si, no no; ciò che è in più, viene dal male»; «ciò che vi dico nell'oscurità, ditelo nella luce, e ciò che udite nell'orecchio predicatelo dai tetti». Sono solo due frasi forti di tutto un comportamento tipico del Cristo, della sua luminosità cristallina.

Certo da questo luminoso modello è lontana la Chiesa che, dalla comunità fraterna che il Cristo aveva  vissuto in sé e previsto per l'umanità, e che ebbe una vita breve nel primo secolo, si è trasformata secondo il modello imperiale allora vigente e fiorente, la gloria tuttavia falsa dell'Impero romano, il grande e falsamente glorioso impero che già Agostino chiamava «un grande brigantaggio», perché si era formato soggiogando altri popoli, asservendoli a sé.  Così la Chiesa è diventata un impero con un papa imperatore e superimperatore (poiché lui investiva gl'imperatori del Sacro Romano Impero); con un'aristocrazia di cardinali e vescovi, con una corte che è poi la Curia vaticana.

È chiaro che tutto questo segretume deve scomparire, se la Chiesa vorrà essere come il Cristo l'ha voluta. Tutto dovrà essere conosciuto da tutti; i fedeli, i fratelli che finora sono stati emarginati; loro, i membri costitutivi della comunità fraterna, dovranno conoscere, e loro discutere i problemi della comunità non solo locale ma planetaria, e così risolverli. E nulla dovrà essere  segreto.

E ci si pone il problema se non dovrà essere così anche nello Stato la cui sovranità sta nel cittadino, che ora viene allo stesso modo emarginato non solo dai dittatori ma dalla partitocrazia, e da politici autoritari come Renzi; ridotta la sua sovranità al voto ogni quattro-cinque anni, e anch'esso in molti modi manipolato. Non è qui il luogo di discuterne, ma anche nello Stato non dovranno esserci segreti, tutto dovrà essere noto al popolo sovrano.

                                                                                                                                       (9/12/015)

 

 

novembre

Nota sul terrorismo islamico dopo i massacri di Parigi

di Arrigo Colombo

 

         I massacri del venerdì 13 novembre a Parigi, hanno riportato in prima pagina il terrorismo islamico, che per l'Occidente è difficile da capire. Alcuni, ad esempio, hanno invocato il risentimento dei popoli islamici, della loro coscienza e dignità politico-religiosa, per l'età coloniale in cui sono stati umiliati dal dominio dei popoli occidentali, in particolare da Inghilterra e Francia. Altri hanno richiamato il ridestarsi della lotta islamica di sempre contro i popoli cristiani, il grande nemico, «l'infedele», che era uscito vincitore.

 Ma non sembra essere questa la vera ragione, anche perché in questo terrorismo non sono coinvolti i popoli islamici come tali, ma movimenti estremisti molteplici, di cui il più noto è Al Qaida, autore di una serie di attacchi, il più complesso e famoso essendo quello dell'11 settembre 2001 contro le newyorchesi torri gemelle e il Pentagono, con circa 3000 vittime; un'impresa che ha richiesto anni di preparazione e che ha stupito per la sua complessità come per la totale passività con cui gli Usa l'hanno subita, l'inerzia dell'intelligence, dei servizi segreti. L'altro movimento che emerge negli ultimi anni è l'Isis o Califfato, di cui in particolare ha stupito l'esibizione di atti di crudeltà, come la decapitazione di ostaggi  o i massacri.

 

Dietro tutto questo v'è il precetto coranico, quello che è chiamato anche il Sesto Pilastro, il Jihad o guerra Santa, la quale deve assoggettare all'Islam il mondo intero, lo deve assoggettare ad Allah; quindi una soggezione di tipo politico-religioso, che si compie con la guerra e la conquista.

Il precetto è molto forte: «V'è prescritta la guerra…Una religione diversa dall'Islam non è accetta ad Allah…Coloro che combattono Allah e il suo messaggio saranno massacrati o crocifissi, o amputati delle mani e dei piedi…Getteremo il terrore nel cuore degl'infedeli».  Ma i passi coranici su questo tema sono molti.

Al precetto segue la storia. Maometto è un profeta ma è insieme un capo politico, e un guerriero spregiudicato e feroce; ed espande la conquista dell'Arabia. Alla sua morte la conquista avanza coi califfi, cioè i «successori»: Abu Bakr, che dall'Arabia avanza verso la Palestina e la Persia; Oman, che conquista Palestina, Siria, Mesopotamia, Egitto; Omar che avanza in Nordafrica e in Persia; sino a costruire un vasto impero; che però non va oltre certi limiti. In particolare l'Europa cristiana resiste: bloccati a Occidente nel 732 nella battaglia di Poitiers, cui segue l'espulsione dalla Francia, poi dalla Spagna; bloccati più tardi ad Oriente nell'assedio di Vienna del 1529; Budapest liberata definitivamente nel 1686.

Ma il precetto coranico resta. Dissoltosi il colonialismo nel secondo dopoguerra, recuperata l'autonomia dei popoli e Stati, nel 1989 nasce Al Qaida, e con essa riprende il Jihad.

 

Nella lotta islamica il fine giustifica i mezzi, lo si vede già dai testi coranici citati: nel nome di «Allah è grande» ogni crudeltà è lecita. In particolare ricorre nel Corano la figura del «martire», che poi sarà presente in vario modo nelle guerre islamiche e oggi particolarmente nel kamikaze che imbottito di esplosivo si fa saltare in un autobus, in una piazza piena di gente, in un locale affollato, e semina morte. Egli sa che a lui, in particolare, è aperto il paradiso coranico, quel giardino odoroso, dove scorrono fresche acque, dove lo attendono «fanciulle dal seno ricolmo e coppe traboccanti». Questa certezza su cui il Corano insiste. E sulla terra, anche, sarà ricordato e venerato: come abbiamo visto dalla stampa. la sua immagine appesa nelle case con dinnanzi il lume acceso della devozione.

Nel Corano, si può dire, quello che noi chiamiamo terrorismo compare come «la via di Dio» sulla quale chi combatte vince sempre, che viva o muoia. In una visione gioiosa e gloriosa.

Manca affatto, nel Corano come nel mondo islamico, il principio da cui muove la moderna costruzione di una società di giustizia, la dignità e diritto della persona umana, cui deve andare il rispetto e la corresponsione; e che con la sua parziale cessione di diritto fonda lo Stato di diritto, e lo fonda per la propria tutela e promozione; e in cui essa ha la sovranità originaria, i cittadini tutti l'hanno; né altra sovranità, monarchica o teocratica, può eliderla o imporlesi.

Manca perciò anche il fondamentale insuperabile precetto e vincolo etico «non uccidere»; e l'altro, conseguente, «Stato, non uccidere il cittadino»; e, infine, «non fare la guerra», cioè il macello umano, il più atroce dei crimini. Quest'ultimo non ancora acquisito all'Occidente stesso, e però – si spera – in via di acquisizione.

L'Islam, dunque, un'abissale arretratezza etica accanto ad un fervore religioso, ma anche ad un'estrema intolleranza. Fermo a quel secolo settimo in cui il profeto lo annunziò e i discepoli lo raccolsero; fermo sul piano etico specialmente – mentre su quello religioso acquisiva il principio insuperabile del monoteismo, che cioè non vi può essere che un solo Dio; di contro al paganesimo dei molti dei. Fermo dunque, sul piano etico, agli arcaici costumi dell'Arabia di allora  (tra l'altro la legge del taglione, la vendetta privata). Un punto che anche certi spiriti islamici più illuminati hanno riconosciuto e denunziato.                                                                                                             

                                                                                                                           (Nuovo Quotidiano di Puglia, 2/012/015)

 

 

Guerra e pace dopo i massacri di Parigi

di Arrigo Colombo

         Il mite papa Francesco è perlomeno ambiguo quando dice: «Siamo entrati nella terza guerra mondiale, solo che si combatte a pezzetti»; «un aggressore ingiusto dev'essere fermato, ma senza bombardare o fare la guerra»; «una guerra si può giustificare, tra virgolette, con tante ragioni».

Forse dobbiamo attendere espressioni più adeguate e precise perché nella tradizione cattolica anche recente (così nei nuovi Catechismi) prevale l'idea della guerra «giusta», guerra di difesa dall’ingiusto aggressore o di liberazione dall’ingiusto dominio; sia esso quello di un popolo su di un altro o quello di un regime ingiusto che opprime il proprio popolo.

Al contrario nessuna guerra è giusta perché nessuno ha il diritto di sopprimere la persona umana che è la sorgente prima del diritto; non l’individuo, a cui quel diritto s’impone; non lo Stato che deriva il suo diritto da una cessione di diritto dei cittadini. E tantomeno di organizzare la soppressione in massa, il macello umano; la soppressione strategica, attraverso l'«arte della guerra»; la soppressione scientifica e tecnologica qual è oggi la guerra. Scienza e tecnologia, e strategia e arte, per uccidere, massacrare, annientare popoli. Il più atroce dei crimini.

 

Questo principio è fondamentalmente accolto nello Statuto delle Nazioni Unire, l'ONU, il cui principio e obiettivo fondamentale è la pace (dopo l'esperienza delle due guerre mondiali). Il principio che i conflitti tra popoli devono esser risolti non con la guerra ma con la trattativa; in cui s'inserisce la comunità internazionale con la sua forza; e in caso estremo anche con un contingente armato per  impedire la guerra o mantenere la pace.

Sappiamo che questo obiettivo è in gran parte fallito per la debolezza della Comunità internazionale di fronte ai grandi Stati egemoni: l'URSS in parte (gl'interventi armati a bloccare i processi di liberalizzazione; a Praga ad esempio); ma soprattutto gli USA, che si considerano il gendarme dell'umanità e nel «dopoguerra», in regime ONU, scatenano cinque guerre: Corea, Vietnam, del Golfo, Afghanistan, Iraq. Guerre che per lo più perdono, in quanto vengono bloccati dalla guerriglia. Questo è accaduto in Vietnam, come in Afghanistan e in Iraq, dove si trovano ancora impantanati: dal 2001, dal 2003; mentre pensavano, loro la grande potenza, di cavarsela in pochi mesi. In Afghanistan avviene il fatto più assurdo,  laddove l'ONU non solo non sanziona l'intervento armato abusivo, ma lo sostiene istituendo l'ISAF che colloca a Kabul e Baghram, poi in tutto il paese, e lo affida quindi alla NATO.

 

Veniamo alla situazione attuale, dopo l'attacco di Parigi. Che proviene dal Califfato; e però accanto c'è la Siria, dove un presidente massacra il suo popolo quando lo rifiuta (pur essendo stato eletto con referendum di quel popolo stesso), dal 2011. È chiaro che il Califfato, entità di terrore su base pseudo-religiosa, deve scomparire; e che il presidente Assad deve dimettersi ed essere consegnato al tribunale penale internazionale.

La via più giusta, e anche la più confacente ai principi stabiliti nello Statuto della comunità internazionale ONU, sarebbe la pressione morale. Da parte, almeno, dei grandi Stati: l'Unione Europea, gli USA, la Russia, la Cina, l'India.

Su Assad, inducendolo al ritiro (è vero che è protetto dallo scaltro Putin, che però potrebbe cedere in cambio del prestigio internazionale che gli viene; egli che è tanto assetato di prestigio, che vuole innalzare il prestigio della Russia e suo), operazione possibile e che ha probabilità di successo.

Il Califfato è altra cosa. Qui dovrebbe intervenire l'intelligence e il colpo di mano. L'uso di armi sarebbe forse necessario, ma non dovrebbero essere schierate truppe, provocati scontri. Le forze del Califfato non sono certo massicce.

Una analoga pressione morale dovrebb'essere esercitata sulla Turchia per ottenere, almeno in una prima fase, una zona di autogestione dei Curdi, una regione curda con precisi diritti. Come avviene altrove con le minoranze. E in altri casi affini. Così coi talebani in Afghanistan; per l'accordo tra sunniti e sciiti in Iraq; per la creazione di uno Stato palestinese. Insomma per risolvere i maggiori problemi di quella zona del Medio Oriente.

La pace dunque; e il superamento della guerra attraverso la trattativa, la pressione politica, l'assedio morale. Un altro grande passo per l'umanità.

                                                                                                                              (Nuovo Quotidiano di Puglia, 22/011/015)

 

 

maggio

 

A proposito di armi oggi

 

di Arrigo Colombo

 

         Armi a tutti, grida la Lega, in Lombardia, in Veneto, contro gl’immigrati, contro i Rom. Per qualche caso di furto, di violenza. Dando prova, ancora una volta, della sua grossolanità e ristrettezza mentale; in regioni che dovrebbero essere tra le intellettualmente e storicamente più avanzate d’Italia. E che invece la Lega immiserisce con le sue balordaggini. Uno strano fenomeno, che è durato fin troppo a lungo.

 Perché l’umanità è in una fase di distacco e di condanna delle armi; una fase di pacificazione. anche se ancora turbata da contraddizioni e fatti contraddittori. Se pensiamo allo Statuto delle Nazioni Unite,  che apre una nuova era, dopo le sanguinose guerre mondiali; un’era in cui i conflitti non devono più esser risolti con le armi ma con la trattativa. Ed è questo il punto fondamentale dello Statuto, questo il discorso più forte e incisivo.

Ma è anche l‘era in cui la Costituzione italiana rifiuta la guerra e chiede un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni (art. 11).

Ed è l’era in cui si forma l’Europa: il continente della guerra perenne, che aveva anche suscitato e vissuto le due obbrobriose guerre mondiali, diventa un continente di pace,. raccogliendo in unità quei popoli che prima si erano costantemente combattuti. Diventa un esempio e una speranza di pace per l’umanità. A Putin, che fa avanzare nell’est-Ucraina i suoi carriarmati, i suoi treni pieni di armi, risponde con delle sanzioni che mettono in difficoltà la sua economia.

 

Poi ci sono le contraddizioni. Gli Usa anzitutto, la nazione egemone, che nel dopoguerra scatena cinque guerre (Corea,. Vietnam, del Golfo, Afghanistan. Iraq), un fatto ignobile, cui l’Onuavrebbe dovuto opporsi;  ma non lo fa a causa di quel Consiglio di sicurezza bloccato dai veti. Gli Usa, la nazione scandalo, in cui tutti possono liberamente avere armi, in cui le armi si vendono sui supermercati, si vendono al postamarket; un punto in cui nessun governo osa intervenire  perché bloccato dalla potenza dei mercanti di armi, oltre che dalla Destra. Dove poi accadono le stragi nelle scuole; e una sola di queste sarebbe dovuta bastare per bloccare tutto.

Il Califfato,. certo, il terrorismo islamico – poi che per Allah tutto è lecito – le decapitazioni, le stragi, i paesi in preda alle contrastanti milizie, come Siria e Libia.

 

Non si sa a chi rivolgersi, visto che l’Europa è così divisa, l’unificazione bloccata da tempo;. e l’Onu bloccata dal Consiglio di sicurezza.

Perché il processo di disarmo dovrebbe avanzare: è previsto anche dallo Statuto dell’Onu. A cominciare dalle armi nucleari e dai paesi che le possiedono, armi pericolosissime e per ciò stesso diventate inutili; che Usa e Russia hanno ammassato a migliaia e decine di migliaia; insieme con gli altri paesi che le posseggono. Che ci stanno a fare ormai nei loro ben tenuti silos? E così tutte le altre armi che gli Usa in particolare (i maggiori e più decisi firmatari dello Statuto Onu), ma anche altri paesi continuano a sviluppare, a rendere sempre più micidiali. E anche le vendono, soprattutto in paesi del Sud in cui fomentano la guerriglia, la guerra per bande.

Deve iniziare il processo di disarmo. Le armi belliche, certo, anzitutto. Ma anche le armi dei corpi di polizia, che dovrebbero operare disarmati, con solo uno sfollagente di gomma. E tanto più le armi dei cittadini, la stessa caccia dev’essere abolita, anche solo per un rispetto dell’animale, fratello minore dell’uomo; rispetto per la bellezza della natura, gli  uccelli ad esempio, questi animali meravigliosi che volano per l’aria. E perché la natura si va impoverendo, le specie diminuiscono e scompaiono. Che ci stanno a fare questi nostri ostinati cacciatori?

 Il processo in atto, dalla seconda guerra mondiale in poi, è questo. La costruzione della pace nel mondo, la convivenza pacifica dei popoli (perché poi nella guerra muoiono i figli del popolo); la distruzione e scomparsa delle armi. In questo ci dobbiamo impegnare noi tutti, cittadini che amano e cercano la pace. E mandare al diavolo i soliti ignoranti e volgari capoccioni della Lega., che nulla sanno dell’impegno e delle speranze dell’umanità.                                                                                                   12/05/2015

 

 

 

aprile

Due principi per l’immigrazione

di Arrigo Colombo

 

         Dell’immigrazione si è fatto e si fa ancora un gran discutere, ma i buoni e sani principi spesso latitano. Il primo è quello dell’accoglienza, che non riguarda solo i rifugiati, la cui accoglienza è d’obbligo; ma tute le persone in fuga da un mondo nel quale è difficile vivere, tanto meno evolvere la propria umanità; dove la dignità e il diritto della persona sono negati.

Il principio di accoglienza è un principio universale, che ha alla sua base il principio fraterno, che tutti gli uomini sono fratelli, la grande famiglia umana, e quindi il fratello deve accogliere il fratello bisognoso. Principio cristiano, ma anche laico, robespierriano; come si vede dalle discussioni fatte in seno alla Convenzione, lungo la Rivoluzione francese. Ma ha alla sua base anche un altro principio, quello che “la Terra è di tutti”; per cui il fatto che un territorio sia stato occupato e lavorato e civilizzato da un popolo, non esclude gli altri, specie se sono nel bisogno.

Questi principi non sono ben chiari ai popoli europei, che pure sono altamente civili, e anche mediamente cristiani; e tanto meno alla Commissione europea, un organo che dovrebbe essere l’esecutivo di un vero parlamento, cioè avere dietro a sé il sussidio di un’ampia discussione e presa di responsabilità; ma che invece è ridotto ad una piccola e spesso sprovveduta oligarchia. .

Poiché si tratta proprio di un’emigrazione dal Sud ed Est del mondo verso l’Europa, verso l’Unione Europea; cioè verso un grande paese pacifico, altamente democratico, non proteso ad egemonie e conquiste, eticamente solido; oltre che di un paese di medio benessere.

Ma qui interviene la grettezza della Commissione a restringere il soccorso in mare alle acque territoriali; quasi che fuori da quelle acque si possa essere indifferenti e crudeli, e abbandonare alla morte centinaia o migliaia di persone. E interviene poi la grettezza dei paesi membri (gl’inglesi sopra tutti) che non accettano il logico e umano principio di un’accoglienza solidale, di una distribuzione tra tutti di questi fratelli bisognosi, ad ognuno la sua quota parte. Che è poi la soluzione più equa, e anzi unica.

 

Il secondo principio finora non se l’è posto nessuno. Sembra che nessuno rifletta sul fatto che, a parte i rifugiati e i regimi anomali da cui fuggono (Siria, Califfato, Iraq, Afghanistan, Libia, Palestina ecc.), per gli altri, che vengono dai paesi della povertà, si pone il problema di fermare l’emorragia, la continua perdita di forze. giovani che attraverso questa emigrazione avviene. Riducendo così, e col tempo estinguendo, il fenomeno migratorio, l’enorme problema umano che esso contiene, di abbandono del proprio paese e della propria famiglia, di rottura degli affetti, di enormi sacrifici da affrontare, la traversata del Sahara, o di una serie di paesi del vicino e medio Oriente.

Che fa l’ONU, con tutte le sue agenzie e sottoagenzie, a cominciare dalle tre grandi che dovrebbero riequilibrare l’economia del mondo intero – la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’Organizzazione Mondiale del Commercio – ma che piuttosto, col loro liberismo e conseguente anarchismo dell’economia, piuttosto la dissestano?

Una semplice proposta, per l’Europa, per quei popoli, come gl’inglesi, che tanto temono l’immigrazione, e insomma per contribuire all’estinzione di un fenomeno tanto doloroso, èra quella di creare un istituto di ricerca  che, in stretta connessione con quei paesi, specie dell’Africa nera, preparasse dei progetti economici magari piccoli ma concreti, sì da costruire via via in quei paesi un’economia solida, rispondente al bisogno. Era un primo tentativo; fu proposto a Prodi, che però per varie ragioni non riuscì a realizzarlo, o almeno ad iniziarlo.

L’ONU, nell’Africa stessa (ma anche altrove, dovunque possa essere utile) dovrebbe realizzare decine di questi istituti. I Paesi europei, cominciando dai maggiori, magari ex-colonialisti, che hanno anche sfruttato quei popoli, e magari ancora gli vendono le loro armi, favorendo lo spreco delle già modeste risorse (poi che gli armamenti sono oggi lo spreco maggiore a livello planetario; oltre che il pericolo; perché, al contrario di quanto diceva Vegezio, “se prepari la guerra, finirai col farla”) e favorendo le varie guerriglie che vi serpeggiano. I paesi europei, cominciando dai maggiori, potrebbero unire quei contributi che già danno, magari modesti, lo 0,1 del PIL. Si potrebbe fare di più: la Commissione potrebbe stabilire una regolare e graduale quotazione per tutti i paesi dell’Unione, da convogliare in uno o più istituti per lo sviluppo economico di quei paesi. Con questo sviluppo anche l’emigrazione a poco a poco si ridurrebbe, si estinguerebbe; quei paesi diverrebbero paesi normali  in cui si vive bene, in cui non si pensa più alla fuga

                                                                                                                                                  28/04/2015

 

 

Il Giubileo, il suo senso e nonsenso

di Arrigo Colombo

 

         Papa Francesco ha dunque indetto un giubileo straordinario – poi che l’ordinario si celebra ogni 25 anni, si celebrerà quindi nel 2025 – che ha come tema la misericordia, quella di Dio per tutti noi e quella che noi dobbiamo a tutti gli uomini nostri fratelli; in particolare a quelli più sofferenti o più bisognosi, ad esempio le fasce di povertà che esistono tra noi, popoli ricchi (forse un po’ meno dopo la grande crisi), e la grande povertà che esiste in altri continenti; e che i popoli ricchi appunto – e la stessa  ONU – non hanno mai preso in seria considerazione; così gli europei che si accontentano di destinarvi qualche briciola del loro PIL. Né l’ONU né la Comunità Europea non hanno mai pensato ad un istituto che elaborasse progetti concreti per la crescita economica di quei popoli.

Il giubileo potrebb’esser l’occasione per una grande trasformazione non solo spirituale ma sociale, e a livello planetario. Una misericordia che abbracci il mondo. Speriamo che lo possa essere.

 

Certo il giubileo cristiano e cattolico è altra cosa dal giubileo antico ed ebraico, dal quale pure in certo modo deriva. Quell’anno che ricorreva ogni sette settimane d’anni, il cinquantesimo -quindi ogni cinquant’anni - come anno della remissione del debito in ogni senso. In cui la terra, nell’antichità la ricchezza per eccellenza, ritornava al suo primiero proprietario (e il prezzo delle terre si calcolava sempre in rapporto alla distanza dal giubileo); in cui lo schiavo ebreo (non lo straniero) ritornava alla sua casa; in cui il debito veniva rimesso. Un fatto grandioso: che non permetteva si formassero le grandi proprietà terriere, la grande ricchezza dell’antichità; quell’aristocrazia fondiaria che ha dominato i millenni. Che dunque manteneva in quel popolo una fondamentale eguaglianza, in corrispondenza alla dignità della persona umana, dell’uomo fatto ad immagine di Dio.

 

Il giubileo cristiano nasce nel 1300, con papa Bonifacio VIII; ma nasce – si pensa – dalla diffusione di movimenti penitenziali nella seconda metà del secolo precedente; si parla anche di un movimento popolare, proprio nei primi giorni del secolo, un accorrere in S.Pietro con l’idea di una particolare remissione e purificazione.

In realtà ciò che caratterizza il giubileo cattolico è l’indulgenza, la possibilità per tutti di acquistarla visitando le grandi basiliche romane, S: Pietro e S: Paolo anzitutto; poi anche le altre due.

Il giubileo passa poi, col tempo, dai 100 ai 50, ai 25 anni; e la possibilità di acquistarlo viene poi estesa a tutte le cattedrali e anche alle chiese parrocchiali. Sempre attraverso un certo numero di visite, compiute pregando (i cinque Pater-Ave-Gloria ad esempio), la confessione e comunione, o anche il digiuno e l’elemosina.

Ma il suo carattere costitutivo resta sempre l’indulgenza plenaria. Ora che cos’è l’indulgenza plenaria? Non è, come talora si pensa, la remissione cioè il perdono di tutti i peccati di cui una persona può essere carica; che avviene semmai con la confessione, o con la contrizione; ma la remissione della pena che – si dice – ogni peccato porta con sé; così come la trasgressione di una legge dello Stato porta con sé una pena. Una concezione giuridistica che non ha nessun fondamento nei basilari testi del cristianesimo, il Nuovo Testamento; né nella primitiva tradizione. Anche se ci sono antiche iscrizioni tombali che invocano la salvezza dei loro cari, e però si tratta della salvezza eterna; e c’è una tradizione che parla di una necessaria purificazione dell’uomo, carico sempre di tante imperfezioni e miserie, anche piccole, prima dell’incontro con Dio. Ma il nome, il luogo, il fuoco compaiono solo molto tardi, nel sec, XII; quindi nei Concili: nel Lionese II del 1274, insieme con l’idea del suffragio, di messe ed elemosine; nel Fiorentino del 1439, nel Tridentino del 1563 (su questo l’opera dello storico francese Le Goff, Nascita del purgatorio, 1981).

Il problema che si pone è appunto in rapporto a quella triade. Difficile pensare ad un luogo per esseri incorporei e spirituali; difficile applicare a questi spiriti una purificazione  materiale come quella del fuoco; che appare oltretutto come estremamente crudele. La tradizione parlava piuttosto di una stato, una condizione; che poteva anche essere di un istante, essendo fuori dal tempo. Alcuni autori mettono anche in rilievo la funzione purificatrice di tutto ciò che di sofferenza c’è nella vita. Altri pensano che questa purificazione, fuori dal tempo, possa avvenire in quello stesso momento dell’incontro dell’anima con Dio..

A questo punto il valore dell’indulgenza plenaria del giubileo, e in genere il valore delle indulgenze, si fa molto problematico. A parte l’abuso cui hanno dato luogo in passato, la compravendita, il commercio e l’usura; che provocano la ribellione di Lutero, e quindi la secessione dell’Europa Centro-settentrionale nella Riforma.

Sembra che, più che nell’indulgenza, il giubileo debba concentrarsi in quel grande impegno misericordioso di cui si è parlato all’inizio

                                                                                                                        

                                                                                                                                                       13/04/2015

 

 

 

marzo

Speranze e delusioni da Papa Bergoglio

di Arrigo Colombo

 

        

Si sa che Papa Bergoglio, oltre a conquistarsi una simpatia universale, ha acceso grandi speranze nel cuore di tutti, dei cristiani e cattolici in particolare.

 

Di grande importanza i due gesti ch’egli ha compiuto subito, all’inizio del pontificato. Il primo, il rifiuto del nome dinastico: si è chiamato Francesco, non Francesco I.. La cosa è stata scarsamente notata e apprezzata, ma è di grande peso. Infatti il nome dinastico s’introduce definitivamente assai tardi, verso la fine del primo millennio, nel 996 con Brunone di Carinzia, che prende il nome di Gregorio V; e nel 999 con Gerbert d’Aurillac, che prende il nome di Silvestro II. In una fase vicina ormai all’affermazione incondizionata del potere papale in termini imperiali, che avviene con Gregorio VII; e il cui primo documento è il Dictatus papae. Dove il papato rivendica a sé l’intero potere umano, quello religioso come quello politico, detenuto allora dalle monarchie dispotiche e dagl’imperi. Ha ricevuto da Dio la totalità del potere, ch’egli poi per la parte politica dispensa ai sovrani; i quali tuttavia lo dovranno esercitare sotto la sua tutela. Un tema che sarà ripreso con forza in altri documenti papali, in particolare da Innocenzo III e da Bonifacio VIII.

Una pretesa insensata perché il potere politico si genera da una cessione di diritto dei cittadini a formare lo Stato di diritto, come sarà riconosciuto dalla Rivoluzione inglese in poi, e teorizzato in particolare de Beccarla. Ma che già lungo il medioevo era affiorato con la teoria del “patto implicito” tra re e popolo; per cui, se il re infrangeva questo patto, se diventava tiranno, il popolo lo poteva deporre.

Tanto più insensata in quanto il dettato evangelico aveva sempre distinto il fatto ecclesiale dal fatto politico; ogni volta che del fatto politico aveva parlato,  dei regni della terra; e in particolare in quelle espressioni “il mio regno non è di questo mondo” e “date a Cesare ciò ch’è di Cesare, e a Dio ciò ch’è di Dio”.

In realtà la pretesa del potere papale resta, almeno implicita, fino a tempi recenti; ad esempio nel rifiuto della democrazia da parte di Pio IX e di Leone XIII; ma lo stesso Concilio Vaticano II sulla democrazia non ha le idee chiare.

Si spera che il nome dinastico dei papi sia eliminato per sempre.

 

L’altro grande gesto iniziale è il rifiuto del palazzo per abitare in un ospizio, quello di Santa Marta. Perché il papa ha finora abitato nel grandioso palazzo del Vaticano, che certo è una enorme e splendida reggia, con 1400 stanze; con biblioteche, pinacoteche, musei, tesori enormi. Non solo, ma anche il Quirinale, con le sue 1200 stanze, era un palazzo papale, era anzi la sua residenza fino al 1870. Ora ci abita il Presidente della Repubblica; ma ci si chiede se anch’egli non lo debba abbandonare per una dimora più modesta, più rispondente al suo carattere e alla sua funzione in una democrazia in cui sovrano è il popolo.

In questo tipo di palazzi hanno abitato re e imperatori, hanno abitato gli esponenti dell’aristocrazia, principi, duchi, conti ecc. Palazzi costruiti col denaro dei poveri, che cioè proveniva dallo sfruttamento dei poveri, i contadini che per loro lavoravano, vivendo in povertà. Perciò palazzi del furto, dell’oppressione, quindi del peccato. 

Anche nel dettato evangelico, di palazzi si parla solo a proposito dei re, “ta basiléia”, le regge, i palazzi reali; dove abitano “coloro che vivono in vesti splendide”; mentre “il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”.  Sono palazzi dell’ingiustizia, del peccato; perciò il papa non può abitarvi; nessun vero credente può abitarvi. Bergoglio sembra lo abbia almeno intuito.

 

Ma ecco che qualche giorno fa egli esce a dire che il suo pontificato durerà sì e no cinque anni, magari due o tre (ma due sono già passati) e lascia tutti sgomenti. Questi due primi grandi gesti, infatti, andavano nel senso di un cambiamento radicale e, insieme alla sua semplicità e popolarità, avevano suscitato grandi attese: di un rinnovamento profondo, radicale di questa Chiesa gerarchica e papale, che invece di realizzare il progetto evangelico di una comunità fraterna, povera, semplice, schiettamente popolare, si era esemplata sul modello imperiale romano; una Chiesa di vescovi-principi e di papi-superimperatori, che gl’imperatori investivano e dominavano. Una Chiesa che, con la caduta del sistema monarchico-aristocratico (che avviene nella Rivoluzione francese, nella famosa rinunzia della  notte del 4 agosto 1789), si era di necessità alquanto rimodulata, ma era sempre rimasta una struttura di potere, conservando intatto il modello imperiale, di un papa che accentra in sé tutto il potere ecclesiale, così come i vescovi accentrano in sé il potere diocesano; mentre il laicato, il popolo, è impotente e muto.

Bergoglio, per la prima volta, aveva acceso una speranza; che però richiede tempo, oltre che luce e forza; un tempo adeguato alla misura e difficoltà dell’impresa,.

                                                                                        

                                                                                                                                                20/03/2015

 

 

 

Dopo il caso Charlie-Hebdo: la satira e i suoi limiti

di Arrigo Colombo

 

         L’attacco a Charlie-Hebdo, come quell’altro di Copenhagen, hanno suscitato una discussione a livello planetario, discussione che s’incentrava sulla libertà di satira, in quanto la sanguinosa ritorsione islamica aveva voluto punire un’attività vignettistica offensiva per Maometto. Attività che, però, allo stesso modo aveva colpito il cristianesimo, era giunta persino a rappresentare la Trinità come tre persone che s’inculano.

Si afferma dunque, da parte di questo giornale, come di altri, come di una pletora di loro sostenitori, una incondizionata libertà di satira. Ê questa l’idea che è prevalsa in Europa, almeno in Europa.

 

Ma, in tutto ciò che è umano, non esiste incondizionatezza, la libertà umana è sempre condizionata.

Già solo la dignità e il diritto della persona umana condiziona ogni altra persona al riconoscimento e al rispetto. E ancora più fortemente la condiziona la dignità e il diritto di un popolo. E più oltre ancora quella di una comunità di popoli.

Tra i diritti ci sono i valori. La famiglia, la patria, la religione, o anche il pensiero, l’arte, la scienza. Il sacro, un valore supremo, che attinge il divino, l’assoluto. L’ateo, l’agnostico, il nihilista considera il sacro un non-valore, un nulla; ma non deve mai dimenticare che la sua è una posizione marginale nell’umanità; posizione rinunciataria, che ha rinunziato a dare alle cose come al cosmo una ragione, una causa, preferendo rifugiarsi nel caso, cioè nella impotenza a dare alle cose e al cosmo la ragione del loro essere. Poiché tutto ciò che è finito – e tale è l’uomo come il cosmo – è un nulla di sé, che non ha né può avere da sé l’essere; dal nulla non può venire che il nulla. Questo è l’agnostico, che con la sua boria distrugge il divino e deride quelli che nel divino credono e in nome del divino amano, magari di quell’amore senza riserve che il Cristo ha annunziato al mondo; per cui ogni uomo è fratello, e anche il preteso nemico lo è, e come fratello dev’essere amato.

 

Quei quattro sparuti agnostici di Charlie-Hebdo, o di altri giornali satirici,  s’illudono di poter attaccare tutto, manomettere tutto. La persona nella sua dignità e diritto, la dignità i diritti i valori di popoli, di comunità di popoli.

Parliamo di diritti e valori autentici, non di superfluità, di frivolezze, di errori anche, che certo nel fatto religioso abbondano; per la sua stessa complessa storia. Così la pomposa porpora dei cardinali o le scarpette rosse di papa Ratzinger; ma, in termini ben più forti e dolorosi, la condanna degli eretici al rogo o la persecuzione degli ebrei che finisce nella Shoah, ma è cominciata e, per quasi due millenni, si è protratta nella Chiesa. Poiché la satira deve colpire l’errore, non la verità: è questo il suo compito, la sua funzione benefica.

 

Ma non può inopinatamente sbeffeggiare Maometto, il profeta di Allah, cioè del Dio unico e vero, che rappresenta il valore supremo di una grande comunità di popoli, la comunità islamica; Allah, e Maometto, il profeta che l’ha annunziato e ha guadagnato la fede di quella comunità. Ed è vero che il Corano contiene degli errori, anche gravi (ma anche la Bibbia contiene errori, anche il Nuovo Testamento: si pensi anche solo alla misoginia di Paolo, a quel discorso insistente che assoggetta la donna all’uomo, che le proibisce seccamente di parlare nell’assemblea, che le impone il velo). Ma questi errori stanno immersi in un patrimonio di verità sublimi, sì che a quei libri è dovuto un supremo rispetto; e gli errori stessi non possono essere banalmente ridicolizzati, come avviene in quei giornalucoli satirici, ma semmai discussi.

 

Quando poi si rappresenta la Trinità in quel modo osceno di cui si è detto, o quando si rappresenta Maometto come un cane, allora interviene l’offesa grave di una  comunità di popoli e dei suoi valori supremi. Il giornalucolo dev’essere allora denunziato come lesivo della dignità di quei popoli e dev’essere condannato, o anche sospeso o soppresso. Potrà rinascere, ma  con un altro stile e un’altra coscienza, consapevole dei suoi limiti, dei vincoli etici che lo avvincono, della dignità umana e del rispetto che le è dovuto.

Questa era la linea che gl’islamici dovevano seguire contro Charlie-Hebdo, come contro altri giornali consimili e facilmente offensivi. Non la vendetta sanguinosa, non il crimine, e un crimine tale da mobilitare contro di sé il mondo intero. Non il crimine, ma la giustizia.

                                                                                                      

                                                                                                                          (Nuovo Quotidiano di Puglia, 22/03/015)

 

 

 

Riflessioni postume sul caso Charlie-Hebdo

di Arrigo Colombo

 

         Un caso che ha mobilitato non solo la Francia ma  l’intero  Occidente  e  oltre,  nella  protesta, nell’invocazione della libertà.

La protesta era pienamente motivata. Non si possono uccidere dieci persone per una vignetta  ritenuta “sacrilega”. E qui entriamo nel principio islamico di un’incondizionata giustificazione religiosa: nel nome di Allah tutto è lecito. Si possono catturare ostaggi e poi tagliare loro la testa senza che vi sia reato alcuno, semplicemente perché sono occidentali e quindi supposti nemici. Si possono uccidere ventuno cristiani copti semplicemente perché sono infedeli. Ci si può imbottire di esplosivo e poi far saltare un autobus, un supermercato con tutti quelli che ci son dentro. Infine, con la Jihad, la guerra santa, il precetto è quello di conquistare con la guerra e con tutti i mezzi – ché per Allah tutto è lecito – conquistare il mondo intero.

C’è qui, dunque, un precetto religioso che ignora  ogni vincolo etico: un fatto abnorme perché il vincolo etico concerne la persona umana come tale, a prescindere dal vincolo religioso, che può essere vario, molteplice; come di fatto molteplici sono le religioni storiche, anche attualmente: cristianesimo, islamismo, buddismo, induismo, sono forse le maggiori. Il cristianesimo spiegherà poi che i vincoli etici sono vincoli della natura sulla persona, e che la natura  è opera di Dio, e quindi il loro fondamento ultimo è religioso. Ma anche l’islamismo pretenderà di possedere la sua etica nella parola e rivelazione del profeta, nel Corano.

 In realtà i vincoli etici autentici maturano nella storia, nel processo di umanizzazione. La storia umana è dominata per millenni da quello che può essere chiamato il ”blocco della società ingiusta”: dispotismo monarchico-aristocratico, conquista di popoli, formazione d’imperi, guerra perenne; schiavitù, asservimento della donna, emarginazione e povertà del popolo. La stessa Chiesa cristiano-cattolica cade in questo blocco e non solo lo tollera ma lo sancisce. Così sancisce il potere  dispotico come proveniente da Dio sul monarca (magari attraverso il papato – si vedano le affermazioni di Gregorio VII e di altri papi); ammette la schiavitù e la soggezione della donna, pratica la tortura e la pena di  morte (la più atroce, il rogo), pratica la guerra, il più atroce dei crimini (le crociate contro gli eretici e contro i musulmani, le guerre per lo Stato Pontificio).

Certo, alcuni fondamentali principi etici sono presenti fin dall’antichità e formulati nel Decalogo; tra questi il “non uccidere”. Ma la più forte e decisiva maturazione avviene nella modernità. A cominciare con la dignità e diritto della persona, il principio dei principi, che parte dall’Umanesimo del ‘400; che porterà al rifiuto della schiavitù, al rifiuto della soggezione della donna; che contiene in sé il principio di eguaglianza, di eguale dignità, delle persone come dei popoli; e porterà alla caduta degl’imperi, continentali e coloniali, quindi all’autonomia di tutti o quasi i popoli (194 stanno nell’Onu; solo pochi ne sono ancora esclusi). Su questa base si affermerà nella Rivoluzione inglese del Lungo Parlamento (1640-1653) il principio di sovranità popolare, che porterà alla caduta di tutto il grandioso ma falso edificio monarchico-aristocratico. Nella dignità della persona è contenuto il principio di libertà: la libertà di coscienza, tanto avversata dalla Chiesa nella sua lotta contro gli eretici; nel suo rifiuto della libertà di religione; libertà riconosciute solo in tempi recenti dal Concilio Vaticano II.

Questo Concilio ha praticamente aggiornato la Chiesa cattolica – in misura maggiore o minore – su gran parte dei principi etici acquisiti dalla modernità occidentale. Nell’Islam non è invece accaduto nulla. Ancora oggi l’Islam adotta come fonte di rivelazione divina, certo, ma anche come codice, il Corano, cioè un testo che ha certo una ispirazione religiosa di notevole valore, ma che sul piano etico adotta le credenze e i comportamenti delle tribù arabe del tempo. Un’etica arcaica. Perciò nel nome di Allah si possono catturare e poi decapitare ostaggi, perché manca il principio della dignità e diritto della persona umana; da cui deriva anche il principio che il nemico fatto prigioniero e ormai inerme dev’essere rispettato e trattato umanamente (principio riconosciuto in convenzioni internazionali). Perciò permane l’arcaico principio dell’inferiorità e soggezione della donna (al padre, al fratello, al marito), per cui dagli altri non dev’essere neppure vista, quindi il velo, il burqa. Perciò la schiavitù e persino la legge del taglione.

L’irruzione e sparatoria nella sede di Charlie-Hebdo era per loro la giusta riparazione dell’offesa fatta al profeta, con le vignette satiriche; perché per Allah e per il suo Profeta tutto è lecito.

Resta però una seconda parte del mio discorso che non riguarda più il comportamento islamico ma quello nostro, proprio nel caso Charlie-Hebdo.   

                                                                                                                             (Nuovo Quotidiano di Puglia, 14/03/015)