kanthorf

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La croce del diavolo

prima parte

   Non me ne frega niente se ci credi o non ci credi. Mio nonno narrò questa storia a mi padre, mio padre me l’ha riferito e adesso io ve la racconto solo per ammazzare il tempo.

     Il crepuscolo cominciava a estendere le sue leggere ali di vapore sulla pittoresca riva del Segre quando, dopo una faticosa giornata, arrivammo a Bellver, la fine del nostro viaggio.

  Bellver è un piccolo paese che si trova sotto la falda di una montagna, dietro la quale si elevano, come se fossero le gradinate di un colossale anfiteatro di granito, le altissime e nebbiose creste dei Pirinei.

  In lontananza, i bianchi casali dispersi sopra un’ondulante lenzuolo di verdure, sembrano essere uno stuormo di colombe che hanno smesso di volare per mitigare la loro sete nelle acque della sponda; acque che sviano il loro corso sotto una rocca spellata, la cui cima mostra ancora dei remoti vestigi di una vecchia costruzione che indica l’antica frontiera tra la contea di Urgel ed un importante feudo il cui nome non riesco a ricordare.

   C’è anche un tortuoso viottolo che risale la corrente del fiume e segue le sue curve e i suoi frondosi margini. Alla destra di questo sentiero si trova una croce. La sua asta e le sue braccia sono di ferro e si appoggia su una base di marmo alla quale si arriva da una scalinata fatta da scuri  frammenti di sassi male uniti. L’azione distruttiva degli anni ha coperto il metallo con muschio ed ha tarlato la pietra , tra le cui screpolature crescono delle piante che si imbrogliano intorno alla croce fino a incoronarla, mentre una vecchia e corpulenta quercia è testimone muto di una foto così maestosa. 

   Io cavalcavo davanti i miei compagni di viaggio e, facendo fermare il mio squalido cavallo, contemplai in silenzio quella croce, muta e semplice manifestazione delle credenze e la pietà di altri secoli. Un mondo di idee si affollò nella mia immaginazione in quel momento. Idee leggerissime senza una forma determinata  erano capaci di unire, come une invisibile filo di luce, la profonda solitudine di quei posti, l’enorme silenzio della nascente notte e la vaga malinconia del mio spirito. Spinto da un sentimento religioso, spontaneo e indefinibile , mi inginocchiai, mi levai il cappello e cominciai a cercare nel fondo della mia memoria una di quelle preghiere che imparai da piccolo; una di quelle orazioni che, quando scappano involontariamente dalle nostre labbra, sembrano di alleggerire il petto oppresso e, dallo stesso modo che le lacrime, alleviano il dolore.

  Avevo già cominciato a pronunciare la preghiera quando subito sentii che qualcuno scuoteva violentamente le mie spalle. Voltai il viso: un uomo era accanto a me. Era uno dei nostri ciceroni, nativo di quel paese. Aveva un’espressione indescrivibile di terrore sul viso e pugnava per trascinarmi fuori da quel posto e coprire la mia testa col cappello che  avevo ancora tra le mie mani. Il mio primo sguardo fu una miscella di stupore ed ira che equivaleva ad un’interrogazione energica ma muta. Il povero uomo, senza cedere nel suo impegno di allontanarmi da quel posto, mi rispose con queste parole, che in quel momento non riuscii a capire, ma che ciononostante mostravano una verisomiglianza che mi intimorii:

- Per la memoria di sua madre! Per la cosa più sacra che lei abbia nel mondo, La prego di coprirsi la testa e allontanarsi da questa croce al più presto! È per caso così disperato che, non bastando l’aiuto di Dio, ricorre a quello del diavolo?

  Io lo guardai un attimo in silenzio. Sinceramente, pensai che lui fosse tutto pazzo; ma lui continuò con la stessa veemenza.

- Lei cerca la frontiera. Se davanti a quella croce, chiedesse aiuto al cielo, le cime delle montagne vicine si alzerebbero in una sola notte fino alle stelle invisibile solo purché noi non potessimo trovare quella frontiera in tutta la nostra vita.

  Io non fece un’altro che sorridere.

-         Se ne burla? Crede che quella croce sia santa, come quella della chiesa?

-         Chi ha dei dubbi?

-         Lei  sbaglia perchè quella croce è maledetta. Appartiene a uno spirito maligno, e perciò la chiamano la croce del diavolo.

-         La croce del diavolo? – ripetei senza accorgermi dell’involontario timore che cominciò a impadronirsi del mio spirito e sentii che c’era una forza strana che rifiutava la mia presenza in quel posto – La croce del diavolo! Non ho mai immaginato un’amalgama di idee così insensata! Una croce…e del diavolo! Quando arriveremo al paese, dovrai spiegarmi questa cosa così assurda e mostruosa.

  Durante questo breve dialogo, i nostri compagni, che avevano fatto correre i loro cavalli, ci raggiunsero al piede della croce; io li spiegai quello che mi era appena sucesso. Montai di nuovo sul mio cavallo e le campane della chiesa indicavano l’ora dell’orazione quando scendemmo nel più isolato e tenebroso paraggio di Bellver.