IL NUOVO MILLENARISMO : rivista virtuale sull'esito ultimo della globalizzazione 

RIFORMA DELLA SCUOLA E CONDIZIONE  DEI DOCENTI

A cura di Clemente Russo

Premessa

Condizione dei docenti e riordino dei cicli

Quadro di riferimento

Aspetti giuridico - normativi della condizione docente

Mappa delle interazioni scuola - mercato del lavoro

Attività funzionali all'insegnamento

I confronti internazionali

Il Sistema Nazionale di Valutazione

Aspetti psicologico - dinamici

La telematica nella scuola

Considerazioni finali

 

Premessa

 

Il XXXI Rapporto CENSIS (1997) sulla condizione dei docenti italiani ne ha drammaticamente messo a nudo un deficit di status sociale e di standard professionali ( punto 2.5) richiedendo" una profonda ridefinizione del ruolo dell'educatore. Ridefinizione che dovrà essere incentrata sullo scambio tra miglioramento -dello status e innalzamento degli standard sia sul piano dell'impegno che su quello della qualità delle prestazioni."

 

Secondo l’opinione dell’influente istituto di ricerche statistiche "Due esigenze rendono non rinviabile tale processo di revisione: accrescere i livelli di motivazione del personale docente che - fatti salvi alcuni slanci volontaristici, encomiabili ma sempre più circoscritti sia quantitativamente che temporalmente - sono ormai ridotti al minimo; disporre di un corpo insegnante capace di garantire una formazione in linea con le crescenti, complesse e tecnologicamente avanzate esigenze del Paese."

 

Il 2 febbraio 1998, in un pubblico incontro, il presidente della Camera, Luciano Violante, aveva ammesso che «affidiamo figli e nipoti a gente che paghiamo poco»; aggiungendo poi che bisogna «riconoscere con forza il ruolo degli insegnanti: non può essere periferia chi ha il compito di trasmettere la conoscenza ed il sapere, perché una società che considerasse periferia gli insegnanti si condanna all'isolamento e a non pensare ai diritti delle generazioni future».

 

"Questa resipiscenza di parte del mondo politico (forse solo dell'on. Violante...) nei confronti degli insegnanti è significativa di una presa d’atto della "questione docente" in Italia, ma sarebbe opportuno che attraverso i media diventasse consapevolezza dell'intera società. Nelle comuni conversazioni infatti di fronte alla lamentela sui miserrimi stipendi nella scuola molti di noi si sentono rinfacciare il vantaggio del "posto sicuro" e il confronto con redditi ancora più bassi; e c'è pure qualcuno che a queste accuse si carica di sensi di colpa! Ma le comuni conversazioni deformano ancora i fondamenti della questione: è ovvio che noi si chieda -come tutti- la certezza del posto di lavoro (in ogni caso sempre meno garantito), ed è ovvio che si chieda uno stipendio decente, paragonabile a quello di altri laureati; ma questi obiettivi prima di tutto devono essere pretesi dall'intera collettività."( GILDA –UNAMS, 1998 ):

 

 

Sulla questione retributiva ancora la GILDA :" non bisogna essere dei geni dell'economia per capire che se un'attività è poco remunerata non sarà ambita dai migliori; è dunque colpa grave per una società avanzata, dove servono più cervelli che braccia, far di tutto per escludere dall'insegnamento le persone più competenti e preparate. Certo: ci sono ancora quelli che per seguire la "vocazione" si adattano anche a misere condizioni retributive; ma saranno sempre meno, soprattutto se si considera il progressivo peggioramento delle condizioni generali della professione docente." (Professione docente).

 

Il processo di rinnovo generazionale che nel più recente passato, grazie soprattutto al fattore di crescita esponenziale della c.d.""scuola di massa", ha interessato il corpo docente ha rappresentato e rappresenta tuttora, peraltro, e nonostante gli evidenti limiti economici e di legittimazione politica in senso stretto della professione docente nel nostro Paese, un'opportunità irripetibile per ridefinire funzioni e ruolo sociale dell'educatore . Ci si chiede però, di fronte alla straordinaria rigidità del sistema – scuola e alla sua relativa impenetrabilità e resistenza al cambiamento, come rendere più agevole superare tali resistenze al cambiamento.

Le politiche scolastiche - non sempre condivisibili – dei governi che hanno finora pilotato stancamente tale sistema, hanno infatti accelerato e , per certi aspetti, addirittura amplificato le contraddizioni storiche del governo della scuola.

Basti anche soltanto pensare alla incredibile frammentazione "storica" che ha da sempre seguito il ciclo riformista nel nostro Paese. Mai una riforma di struttura generale dopo la riforma Gentile (1923!), ma sempre e soltanto mini-riforme parziali,riduttive e di corto respiro. Per di più pensate (e questo è anche peggio) in tempi storici diversi…

Il crollo del prestigio e della preferibilità di status sociale è andata di pari passo con la dequalificazione professionale ( immissioni massicce nei ruoli ope legis ) e con la mancanza di una opinione pubblica attenta al ruolo dell’educazione, al di là della semplice istruzione delle più giovani generazioni studentesche.

Al crollo dl prestigio e di preferibilità di status sociale ha corrisposto una parallela caduta dei livelli retributivi nonché una cronica mancanza di carriera professionale ( dopo l’immissione in ruolo si procede secondo una progressione economica basata esclusivamente sull’anzianità di servizio maturata) .Le prescrizioni ordinamentali che nel CCNL(1995) statuivano forme di arricchimento dell’offerta formativa e di flessibilità professionale ( figure di sistema )in grado di superare le rigidità del sistema di reclutamento e di formazione professionale sono andate completamente disattese, fatta eccezione per le mere affermazioni di principio su una generica volontà di avviamento della riforma del reclutamento e dello status giuridico.

Negli ultimi anni si è registrato un vero e proprio esodo di insegnanti dal nostro sistema scolastico. Esodo determinato, in primo luogo, dalla riduzione dei processi di turn over conseguente alla diminuzione del numero degli alunni e più recentemente dalla decisione di molti insegnanti di usufruire delle opportunità di pensionamento.

In tre anni il numero dei docenti è diminuito di oltre 35.000 unità . Tale riduzione ha interessato in particolare la scuola media inferiore, dove i docenti sono passati da 223.384 a 201.550, con una riduzione del 9,8% ed una quota di esuberi, pari ad oltre 13.000 unità nell'anno scolastico 1996/97. Decisamente forte il processo di razionalizzazione nelle superiori dove pure il numero di docenti si è ridotto di circa 9.000 unità tra il '93 ed il '97; cresce invece il numero dei docenti nella scuola materna, dove gli stessi passano da 73.836 nel 93/94 a 75.840 nel 1996197.

 

La riduzione degli organici dovrebbe proseguire anche nei prossimi anni: la finanziaria 1998 prevede di ridurre il numero dei docenti in due anni, dal 31 dicembre 1997 al 31 dicembre 1999, di altri 23.000 insegnanti.(CENSIS,cit)

 

La massa delle domande è stata così consistente da costringere il Governo a scaglionare i flussi di uscita. L'esodo potrà, però, solo essere differito nel tempo ma non ridotto quantitativamente, ed anzi esso sembra dover continuare con dimensioni analoghe anche nei prossimi anni, portando un pregiudizio gravissimo al sistema-scuola perché l’esodo riguarda i docenti più esperti e probabilmente più affidabili per l’attuazione delle riforma di sistema. Il secondo aspetto rilevante della crisi del ruolo docente è data dall’età media .

Il corpo docente della scuola italiana è infatti, a causa di anni di blocco delle assunzioni per attuare una politica di risparmi fino all’osso, un corpo docente maturo. "Nell'anno scolastico 1996/97 infatti oltre 96.000 docenti, pari al 12,6% del totale, hanno un'età pari o superiore ai 55 anni, con punte del 14,4% nella scuola elementare . Molto più consistente è inoltre la quota degli insegnanti con età compresa tra 45 e 54 anni (320.592 pari al 42%), con punte del 54,4% nella scuola media inferiore."(CENSIS, cit.):

 

Anche se una parte di loro non verrà rimpiazzata, per eliminare definitivamente la quota di esubero ancora esistente, l'ingresso di giovani insegnanti nel sistema non potrà quindi essere ulteriormente rinviato, pena un irreversibile processo di senescenza degli educatori. Infatti sono già state annunciate 20.000 nuove assunzioni.

 

 

La consistenza dell'esodo testimonia comunque del malessere professionale profondo che caratterizza la figura dell'insegnante nel nostro Paese.

 

Dopo la nomina a ministro del nuovo governo Prodi, l’on. Berlinguer con il "progetto di riordino dei cicli scolastici" (1996) ha presentato, come elemento di novità assoluta rispetto a una tradizione dettata dall’immobilismo e dalla conservazione,il primo Progetto globale di riforma scolastica, a distanza di più di settant’anni di storia , caratterizzati da rivolgimenti epocali semplicemente ignorati e snobbati dall’establishment politico nostrano..

 

 

CONDIZIONE DEI DOCENTI E RIORDINO DEI CICLI

Riforma dei cicli Atto I

L’analisi del riordino dei cicli scolastici inizia con l’assunto : "La formazione delle nuove generazioni costituisce per ogni governo una responsabilità ineludibile perché su di essa poggiano la continuità e lo sviluppo del sistema democratico, la solidità del sistema economico e industriale, l'armonico dispiegarsi dei rapporti in divenire, le speranze di tutti i membri della comunità."

 

Così inizia il documento e c’è da chiedersi fino a che punto siano vere le intenzioni di porre sullo stesso piano lo sviluppo del sistema democratico, la stabilità del sistema economico e industriale e l’armonico dispiegarsi di tali rapporti. La nostra opinione (basata sull’analisi dell’organizzazione scolastica nel corso dell’ultimo secolo) è che al primo posto sia sempre stata "la stabilità del sistema economico e industriale". La scuola, come nella Prussia di Bismark , e per sua stessa ammissione, era una scuola irreggimentata che aveva il compito di formare nazionalisti sempre pronti a trasformarsi in altrettanti fanatici soldati.

Nella più recente tradizione imperniata sui totalitarismi moderni (capitalismo, socialismo, fascismo) la scuola è sempre servita non solo a diffondere una certa cultura, ma anche ad irreggimentare le masse popolari in modo da poterle più facilmente governare, nonché a favorire il riprodursi statico delle differenze sociali di classe in funzione del mantenimento dello status quo ante.

Nella nostra tradizione educativa i figli della borghesia, i figli delle classi più agiate sono in genere sottoposti a stimoli maggiori, vivono in un contesto familiare dove, per la presenza di maggiori motivazioni , c’è maggiore presenza di stimoli e sollecitazioni culturali, così che essi tendono naturalmente a riuscire meglio degli altri.

Nessun intervento statale ha finora seriamente cercato di abolire queste barriere culturali. Il ragazzo di borgata, il ragazzo più povero, portatore di una cultura marginale, deve per forza adeguarsi agli standard più elevati e all’uso linguistico verso cui spesso non è attitudinalmente portato (l’italiano ancora in certi casi è una seconda lingua dopo il dialetto) senza che sia la scuola ad adeguarsi a ragazzi naturalmente più vivaci (che per la scuola diventano semplicemente rompiscatole "turbolenti"). Impostare i programmi e i metodi di studio in modo da catturare il loro interesse dovrebbe essere il fine di ogni sistema formativo che si rispetti. In realtà i metodi didattici della nostra scuola sono ancora troppo spesso schiacciati sugli standard del "bravo ragazzo di buona famiglia".

Nelle scuole che alla fine restano accessibili ai ragazzi più poveri culturalmente c’è una educazione di serie B, che impartisce sempre più nozioni tecniche e sempre meno invoglia ed indirizza verso uno studio critico. D’altronde sono le scuole per quelli che devono imparare ad obbedire.

 

"Gli sviluppi della scienza moderna" cita poi il testo, hanno reso necessaria "la sollecitazione dell'intelligenza critica, della ricerca, dell'approfondimento".

 

Più necessaria al riguardo appare la sollecitazione dell’intelligenza critica per i figli delle classi più agiate, quelli destinati in genere ad incarichi di responsabilità, ad incarichi dirigenziali, quelli che si diplomano nelle scuole della "gente bene", ai ragazzi del liceo ai quali si cerca di somministrare (proprio perché possano in futuro svolgere tali incarichi con una certa efficienza) una forma di cultura che li abitui un po’ più degli altri al ragionamento. Ma è una forma di ragionamento critico che spesso non va molto in là neanche in queste scuole, dove il pensiero critico, realmente libero e personale, slegato dagli schemi dominanti nella società, è qualcosa che non va mai troppo incoraggiato da un sistema scolastico incredibilmente rigido e asfittico, come il nostro.

La concessione ( più teorica e retoricamente ridondante che fattiva) di un’ampia autonomia amministrativo – gestionale ed economica alle scuole che abbiano le dimensioni previste dai decreti del 1998, si può a tal proposito rivelare - e si è infatti rivelato alla prova dei fatti - un guscio vuoto, preconfezionato dagli organismi centrali al solo scopo di sottrarsi a responsabilità di programmazione degli interventi politici, per scaricarle sulle esili spalle degli Enti locali ( e che dire poi della situazione drammatica delle scuole del Mezzogiorno d’Italia?).

Ciò nonostante è rimarchevole il fatto che spesso dai licei e dalle università sono partiti nel nostro secolo movimenti di radicale presa di coscienza delle problematiche storico-sociali e di vera e propria critica sociale e politica .

Ad ogni modo senza l’enunciazione di un metodo serio e concreto per sviluppare la coscienza critica, le belle parole della premessa rimangono tanto inutili quanto quelle che sono state spese, e con dovizia propagandistica, nel passato. Invogliare ad utilizzare il ragionamento critico significa per esempio confrontare due libri di storia diversi su uno stesso argomento, leggere in classe giornali di diversa matrice politica, insegnare che neanche la scienza è imparziale, che ci sono una miriade di scuole psicoanalitiche in contrasto fra di loro, che la verità è un concetto astratto se non lo si applica a un criterio interpretativo della realtà e che di ogni "realtà" ci sono tante interpretazioni.

Per tornare alla analisi del testo ministeriale, niente da eccepire sul dato di fatto più che mai reale che:

 

"L'accelerazione dello sviluppo delle tecnologie ha poi profondamente inciso sulla stabilità delle conoscenze, sempre più rapidamente bruciate dalle innovazioni; e, nei Paesi più avanzati, intere generazioni hanno sperimentato il significato di obsolescenza riferito ad abilità e capacità che l'evolvere dei tempi aveva inesorabilmente reso inutili."

 

E ancora, questa volta arbitrariamente :

 

"Per altro verso, proprio la instabilità dei contenuti del moderno sapere ha dimostrato che la formazione deve contenere in sé forti elementi culturali di tipo generale, metodologico e di indirizzo, tali da favorire la formazione della persona nella sua interezza e da fornirle nel contempo gli strumenti per mantenere aggiornati i livelli di competenza, di conoscenza e di abilità."

 

Un’altra affermazione priva di un riscontro oggettivo………Viviamo infatti in un paese in cui per tradizione le affermazioni di principio della costituzione non sono mai state tradotte in pratica: salvo poi emendarne proprio alcune parti che tuttora funzionano. Non è bastato enunciare genericamente che l’Italia è fondata sul lavoro: a cinquant’anni dalla promulgazione della costituzione ci sono ancora città e Paesi con un tasso di disoccupazione soprattutto giovanile, quindi scolastica, del 30% e anche del 40%. La cesura tra scuola e mercato del lavoro non potrebbe essere più grave e preoccupante per gli esiti stessi della democrazia politica e più destabilizzante per gli equilibri istituzionali

Un esame realistico della storia dell’istituzione scolastica in Italia dimostra purtroppo, al di là di ogni possibile dubbio, che la scuola è sempre servita a preparare le coscienze degli allievi in modo da non "disturbare" il potere. Se poi essa nonostante tutto arrivasse ( ma attraverso quali strumenti?) a "contenere in sé forti elementi culturali di tipo generale" ciò sarà molto meno per "favorire la formazione della persona nella sua interezza e da fornirle" e molto più per "darle gli strumenti per mantenere aggiornati i livelli di competenza, di conoscenza e di abilità".

Ciò rimanda al rapporto causale tra formazione di abilità e risorse disponibili.

Nel corso degli anni '80 e ‘90 nei Paesi industrializzati si è sviluppata infatti la consapevolezza della centralità delle risorse umane:

 

come elemento di governo dei fenomeni del cambiamento e della complessità generati dalla globalizzazione dell'economia e dei mercati, dalle innovazioni scientifiche e tecnologiche, dal penetrante ruolo dell'informazione, dalle trasformazioni sociali e culturali;

 

b) come strumento per sostenere la crescita economica e la competizione a fronte di uguali livelli di investimento"

 

E già assistiamo all’uso di alcune parole che possono sembrare rivelatrici : "risorse umane" non è altro che il termine tecnico col quale ormai nelle aziende si indicano i lavoratori, i dipendenti, un termine però che ricorda molto la parola "forza-lavoro": L’impiegato, il salariato, il lavoratore è nondimeno una persona con dei diritti, dei doveri, una sensibilità, una personalità e, sempre di più, un portatore vivente di "risorse umane" che possono essere utilizzate da questa o quella azienda.

D’altronde tale assunto è specificato in ciò che segue :

 

"La qualità delle risorse umane disponibili è stata riconosciuta come fattore strategico per lo sviluppo e il mantenimento dei livelli produttivi e occupazionali di ciascun paese. "

 

Che parole rivelatrici ! Potrebbe essere una nostra interpretazione parziale e deformata , ma quando un interesse viene prevalentemente concentrato non sulle persone ma sui livelli produttivi , non sui livelli qualitativi ma su quelli quantitativi ( è la logica prevalente del postmoderno e del trattato di Maastricht ), allora tutto gravita necessariamente sulla spinta deflazionistica e sulla esigenza dei tagli per avere il bilancio " in ordine ". Sulla qual cosa non troviamo invero nulla da eccepire : ma quando tale politica interessa i tagli indiscriminati al personale scolastico, pienamente avviati da almeno tre anni, il blocco dei pensionamenti (solo per limitarsi al campo della scuola), e le varie iniziative contro la libertà di rappresentanza sindacale, i nuovi piani per la flessibilità e la marginalizzazione dei lavoratori (la scuola ne è un esempio rilevante con tutti i docenti precari che vi lavorano, alcuni in condizione di precariato anche da 7-8 anni), viene il dubbio legittimo che, al di là delle parole di circostanza e di una certa tendenza della classe politica nostrana all’enfasi retorica ( si pensi al programma dell’Ulivo per la scuola….)ci sia la presenza di un riflesso d’ordine finalizzato alla massimizzazione dei risultati a tutto scapito della qualità della vita.

 

"Gli obiettivi generalmente condivisi sono stati: responsabilizzare i vari protagonisti, dando loro maggior ruolo, consolidando il loro consenso; avvicinare i luoghi dell'istruzione alla realtà sociale, culturale, produttiva, occupazionale del territorio; individuare standard generali.

Oltre a soluzioni di carattere strutturale (opportunità differenziate; curricoli in parte comuni e in parte opzionali) hanno via via acquisito importanza temi e problemi quali la motivazione, l'orientamento, l'apprendimento, la pedagogia del "contratto formativo", la possibilità di personalizzare i percorsi e di tenere conto dei diversi stili cognitivi, la centralità del soggetto in formazione, la valorizzazione delle differenze. "

 

Anche qui in teoria tutto perfetto .Ma se non si riesce ad analizzare il nodo di fondo che un utente del servizio scolastico prima di entrare a scuola è naturalmente curioso mentre dopo un periodo di formazione scolastica perde spesso tale curiosità e la capacità di interessarsi ai programmi scolastici, se non si impara dalle esperienze pedagogiche libertarie e tutte esterne(da Tolstoj a Ivan Illich) che hanno sempre dato ottima prova di sé, si conclude che il problema centrale è sperimentare una didattica incentrata sullo sviluppo delle potenzialità dell’alunno in un clima di libertà e di serena collaborazione col docente.

Una didattica incentrata sul singolo alunno e non sul programma ministeriale, una didattica che faccia perno sugli interessi e sulle curiosità degli alunni invece che cercare di spegnerli con la rigidità degli schemi, delle strutture e delle imposizioni.

 

La necessità di elevare istituzionalmente l'età della scolarizzazione obbligatoria, da tutti riconosciuta come ineludibile, ha avuto come esito principale quello di suscitare una riflessione sull'efficacia e la funzionalità dell'intero sistema. E' sembrato infatti piuttosto problematico innestare l'elevamento dell'obbligo su un sistema che manifesta forti penalizzazioni e che accusa fin dal primo anno di scuola secondaria un inaccettabile tasso di dispersione scolastica .

 

Quadro di riferimento e linee guida della riforma centrate sulla funzione docente

 

"In un mondo nel quale l'evoluzione dell'organizzazione sociale e del lavoro fa presumere che ciascun individuo, nel corso della propria esistenza, sia chiamato a cambiare più volte la propria attività lavorativa, è evidente che la pretesa della scuola di consegnare saperi, abilità e capacità definitive deve essere in parte abbandonata e che si deve, invece, puntare allo sviluppo di requisiti quali la capacità di apprendere, di scegliere, di cooperare, di risolvere i problemi; occorre inoltre che il sistema dell'istruzione perda la sua caratteristica di struttura fortemente piramidale, dove ogni ciclo di studio ha funzione fondamentalmente propedeutica rispetto ai cicli successivi, per assumere una struttura modulare nella quale ogni segmento identifichi precise soglie da raggiungere e consolidi risultati spendibili in termini culturali, scientifici e professionali. Solo una struttura siffatta può garantire l'apertura del sistema dell'istruzione a momenti diversificati di approfondimento e di specializzazione e la sua valorizzazione come risorsa utilizzata in modo sinergico con la formazione professionale e con le altre offerte culturali."

 

Enunciata a chiare lettere, la nuova funzione della scuola sarà quella di creare un futuro lavoratore il più possibile flessibile (come si usa dire ormai), ossia in possesso di elevate doti di duttilità intellettiva e di adattività sociale, pronto a cercarsi un nuovo ruolo, magari intercambiabile, e un lavoro adatto al suo ruolo.

Mai ministri dei vari governi della II Repubblica non si sono mai chiesti quale nuova figura di professionista dell’educazione dovrà d’ora in poi assumersi il compito formativo, con quale ruolo sociale, con quale preferibilità e prestigio di status, con quali risorse aggiuntive ( non tagli, quindi, bensì investimenti produttivi nel sistema –scuola! )?

 

"L'innalzamento della qualità del sapere richiede, poi, necessariamente, una rinuncia alla quantità eccessiva delle nozioni. In una società traboccante di informazioni e risorse culturali la scuola oltre alla funzione fondamentale di fornire un approccio sistematico alla conoscenza, deve offrire ai giovani le chiavi per la lettura dei dati, la capacità di orientarsi e di appropriarsi degli elementi necessari per la crescita, per l'impostazione dei problemi, per la scelta dei settori ai quali dedicare un approfondimento."

 

Il problema qui non è tanto quello di avviare un processo inteso solo a fornire una certa "flessibilità" su una composizione sociale a elevata struttura tecnocratica , bensì quello di promuovere una capacità di critica globale, di possesso di strumenti nuovi di "lettura" e decodificazione della società globale del nuovo millennio.

 

"La capacità di apprendimento deve essere potenziata e sviluppata per favorire la crescita di autonomie individuali capaci di riconversione professionale e di apertura alle evoluzioni dei saperi nel corso dell'intera vita. E' questa, peraltro, una scelta che ha trovato già valide risposte in importanti esperienze della scuola secondaria superiore".

 

E’ la flessibilità che detta le regole dell’agire sociale : ma quale formatore sarà in grado di fornirla all’utente del servizio scolastico, se non sarà adeguatamente motivato e gratificato da una effettiva professionalizzazione del lavoro ?

Riforma dei Cicli Atto II

Ma il peggio per i docenti e per l'intero sistema scolastico doveva ancora arrivare. Come  è ormai noto a tutti, con l'affermazione del Polo alle elezioni politiche del 2001 e il conseguente cambio di maggioranza al governo del Paese, il nuovo ministro, Moratti ( governo Berlusconi 2 ) ha fatto subito decadere il vecchio ddl sulla riforma, che aspettava solo il visto della Corte dei Conti (!) proponendone un'altra , incompatibile con la precedente e tutt'ora in attesa di ...parto, la quale prevede per i docenti solamenta altri pesanti obblighi senza alcuna contropartita, né   retributiva né, tantomeno, professionale. Riepilogando:

Art. 5 - (Formazione degli insegnanti) 

1.      Con i decreti di cui all’articolo 1 sono dettate norme sulla formazione iniziale dei docenti della scuola dell’infanzia, del primo ciclo e del secondo ciclo, nel rispetto dei seguenti principi e criteri direttivi: 

a)      la formazione iniziale è di pari dignità e durata per tutti i docenti e si svolge nelle università presso i corsi di laurea specialistica, il cui accesso è programmato ai sensi dell’articolo 1, comma 1, della legge 2 agosto 1999, n. 264. La programmazione degli accessi ai corsi stessi è determinata ai sensi dell’articolo 3 della medesima legge, sulla base dei posti effettivamente disponibili in ogni regione nei ruoli organici delle istituzioni scolastiche; 

b)      con uno o più decreti, adottati ai sensi dell’articolo 17, comma 95 della legge 15 maggio 1997, n. 127, anche in deroga alle disposizioni di cui all’articolo 10, comma 2 e all’articolo 6, comma 4 del  decreto ministeriale 3 novembre 1999 n. 509, sono individuate le classi dei corsi di laurea specialistica, anche interfacoltà o interuniversitari, finalizzati anche alla formazione degli insegnanti di cui alla lettera a). I decreti stessi disciplinano le attività didattiche attinenti l’integrazione scolastica degli alunni in condizione di handicap; la formazione iniziale dei docenti può prevedere stage all’estero; 

c)      l’accesso ai corsi di laurea specialistica per la formazione degli insegnanti è subordinato al possesso dei requisiti minimi curricolari, individuati per ciascuna classe di abilitazione nel decreto di cui alla lettera b) e all’adeguatezza della personale preparazione dei candidati, verificata dagli Atenei; 

d)      l’esame finale per il conseguimento della laurea specialistica di cui alla lettera a) ha valore abilitante per uno o più insegnamenti individuati con decreto del Ministro dell’istruzione, dell’università e della ricerca; 

e)  coloro che hanno conseguito la laurea specialistica di cui alla lettera a), ai fini dell’accesso nei ruoli organici del personale docente delle istituzioni scolastiche, svolgono, previa stipula di appositi contratti di formazione lavoro, specifiche attività di tirocinio. A tal fine e per la gestione dei corsi di cui alla lettera a), le università definiscono nei regolamenti didattici di ateneo l’istituzione e l’organizzazione di un’apposita struttura di ateneo per la formazione degli insegnanti, cui sono affidati, sulla base di convenzioni, anche i rapporti con le istituzioni scolastiche; 

f)        le strutture di cui alla lettera e) curano anche la formazione in servizio degli insegnanti interessati ad assumere funzioni di supporto, di tutorato e di coordinamento dell’attività educativa, didattica e gestionale delle istituzioni scolastiche e formative.

Il piano di sperimentazione, che fa parte integrante della Riforma dei cicli, è però già stato bocciato inequivocabilmente dal Consiglio Nazionale in settembre. Il Consiglio è però un organo consultivo: il parere che esprime è obbligatorio, ma non vincolante. Il ministro Moratti potrà andare avanti nell’attuazione del piano di sperimentazione senza problemi .
La seconda bocciatura del "parlamento" della scuola (presieduto dal ministro) ha comunque un peso politico. Ma da chi è composto e chi rappresenta il Cnpi? E’ la voce degli 800 mila insegnanti d’Italia e degli oltre 200 mila amministrativi che lavorano nelle 50 mila scuole disseminate sul territorio. Il Consiglio comprende rappresentanti eletti, sulla base di liste formate da sindacati e associazioni professionali, e la maggioranza relativa, dopo le ultime elezioni, è dello Snals. Forte anche la presenza di Cgil, assieme al Cidi; Cisl, assieme a Uciim e Aimc; Uil e Gilda.Il ministro Moratti ha dato istruzioni di procedere anche in presenza della bocciatura
del Parlamento scolastico ( evidentemente il parere dei docenti non interessa, non ha mai interessato la nostra cosiddetta classe politica ). 

 

La domanda che ci si pone adesso è la seguente : ci sarà un terzo atto della Riforma dei cicli? E quando e come finirà questa vergognosa sceneggiata a tutto danno del futuro dei nostri figli?

 

ASPETTI GIURIDICO - NORMATIVI DELLA CONDIZIONE DOCENTE

 

La sezione che il recente CCNL( 1995) dedica all’area docente non si distacca dal leit-motiv che, da quando la contrattazione ha iniziato a disciplinare la materia, caratterizza l’impostazione dei profili giuridici, economici e normativi.

Una impostazione incentrata sul " burocratese", rigidamente convenzionale e formale nell’approccio alle materie trattate, inutilmente retorico nei toni, senza una visione d’insieme innovativa, senza slanci ideali, freddo ed insieme enfatico nelle definizioni .

Esaminiamo gli aspetti più rilevanti dell’intero impianto.

 

Art. 38 - Area e funzione docente (CCNL 1995)

 

3.La funzione docente realizza il processo di insegnamento/apprendimento volto a promuovere lo sviluppo umano, culturale, civile e professionale degli alunni, sulla base delle finalità e degli obiettivi previsti dagli ordinamenti scolastici definiti per i vari ordini e gradi dell'istruzione dalle leggi dello Stato e dagli altri atti di normazione primaria e secondaria.

 

4.La funzione docente si fonda sull'autonomia culturale e professionale dei docenti, intesa nella sua dimensione individuale e collegiale.

 

 

L’impostazione riduttiva sul ruolo docente appare evidente nei caratteri definitori assertori e sommari del documento : in particolare, quella docente è definita f u n z i o n e.

Ci siamo presi la briga di consultare, sul termine adoperato, alcuni tra i dizionari più in uso nelle scuole. Vediamo i risultati.

" Attività che la persona svolge in rapporto alla carica ricoperta"(Garzanti);

" Potere esercitato per conto di altri soggetti (funzione pubblica)"( Gabrielli );

" Mansioni specifiche (…) relative a un ufficio"( Gabrielli);

" Attività determinata da mansioni (…) connesse a un ufficio"( Zanichelli );

" funzione fungere = simile a quella di frutto, dipendere da (Diz. Etim.).

Dunque, anche la ricerca semantica non lascia adito a dubbi di sorta: nonostante le tanto vellicate intenzioni riformatrici, la figura del docente resta , nel contesto della contrattazione, rigidamente ancorata a quella, invero alquanto sbiadita e demotivata, di un impiegato di concetto della Pubblica Amministrazione, e il posto docente ( giacchè non si può parlare di carriera senza la diversificazione del ruolo) è quello impiegatizio medio-basso. Del resto gli stipendi dei docenti italiani non sono equiparabili a quelli dei pari ruolo europei(*), ma solo a quelli impiegatizi. Questo con buona pace della retorica imperante sulla professionalizzazione dei docenti. La querelle sulla condizione docente rimanda dunque all’età della tecnica e del progresso scientifico e a ciò che caratterizza l’uomo non come identità, ma come funzione, vale a dire il tratto marcatamente efficientista e produttivo della civiltà industriale postmoderna e globale.

 

La scuola italiana non sfugge a questo processo di identificazione tra essenza umana e struttura produttiva, ed è per questo che la conoscenza, come tratto distintivo della ricerca, avrà sempre meno importanza, anche nel processo formativo, rispetto al modello produttivistico basato sull’adattività e sul dinamismo intellettivo.

Nicola Tranfaglia, in un suo recentissimo contributo relativo ai lavori della Commissione dei Saggi sui saperi della scuola prossima ventura, così scrive :

"Alcune considerazioni sull'area comune della formazione obbligatoria e postobbligatoria

03/03/97

Quanto ai contenuti veri e propri, personalmente abbandonerei la metafora dell'enciclopedia che ci porta di necessità ad aumentare il peso delle conoscenze da impartire ai ragazzi piuttosto che a identificare nei suoi termini essenziali l'area comune e gli strumenti metodologici indispensabili per accedere a studi superiori o al mondo del lavoro dopo la scuola obbligatoria e postobbligatoria.

Credo che si possa essere tutti d'accordo sul fatto che il recupero e l'aggiornamento della tradizione classica appare necessario così come di quella moderna a livello europeo, che il potenziamento dell'insegnamento scientifico è ormai indilazionabile come lo è quello delle dimensioni artistiche e creative della società passata e di quella contemporanea.

Le conoscenze letterarie, storiche, filosofiche ma anche economiche e giuridiche sono alla base dell'individuazione di una metodologia critica in grado di analizzare la propria identità culturale come la società complessa nella quale ci muoviamo ma il problema non è quello di moltiplicare le discipline, come negli ultimi anni si è fatto, ne scrivere programmi sempre più massicci e corposi in grado di ricostruire bensì quello di individuare gli elementi strettamente necessari per portare i giovani a maneggiare i metodi fondamentali della conoscenza critica nei campi principali del sapere.

Immaginerei una riduzione delle discipline piuttosto che la loro moltiplicazione e un insegnamento che tenga conto della dimensione disciplinare ma non in modo accademico e specialistico bensì empirico e problematico: capace cioè di indicare problemi e metodi necessari per accostarsi allo studio della società antica e contemporanea.

Partirei cioè dai contenuti da comunicare piuttosto che dalle discipline da impartire. Le discipline i giovani le troveranno nell'istruzione superiore, qui hanno bisogno soprattutto di metodi e di conoscenze fondamentali."(documenti della Commissione dei Saggi).

 

In una scuola così congegnata quale potrà ancora essere il ruolo del docente? Forse ancora quella dello sterile trasmettitore di cultura? Di una cultura sovraimposta da necessità di equilibri strategici tra classi? Di una cultura pilotata in funzione di mantenimento di uno status quo ante? E’ qui evidente la necessità del salto qualitativo.

 

_____________________________________________

 

(*)La retribuzione annuale di partenza di un docente della scuola elementare in Italia, espressa in dollari statunitensi convertiti in PPA (Parità di Potere di Acquisto, una misura che rende confrontabili le retribuzioni nei diversi Paesi uniformandole in termini di potere d'acquisto), è infatti pari a 17.605 dollari, inferiore alla media dei Paesi OCSE considerati (pari a 18.702 dollari) e soprattutto a quella registrata in Paesi come Francia, Belgio, Stati Uniti, Spagna e Germania che hanno standard di sviluppo e di consumo sostanzialmente confrontabili con il nostro.

 

 

Il gap tra la retribuzione dei docenti italiani e quella dei docenti degli altri Paesi OCSE si manifesta anche a livello di ciclo secondario di primo grado, anche se con meno rilevanza. La retribuzione annuale di partenza, infatti, è nel nostro Paese di 19.105 dollari, contro una media di 19.685 dollari negli altri Paesi considerati . Tale retribuzione è ancora una volta inferiore a quella registrata in Francia, Stati Uniti, Spagna, Germania.(CENSIS,cit.).

L’Italia batte l’Europa 60 a 45. È di 60 minuti, infatti, la durata della lezione italiana, rispetto ai 45 minuti della media europea. Ma, nonostante la maggior durata delle lezioni, gli stipendi dei docenti italiani sono inferiori a quelli dei colleghi europei. 

Data on education in Europe 2000, pubblicato da Eurydice, e l’analisi 2000 dell’Ocse.presentano i macro-dati sull'istruzione nell'U.E. e nellarea OCSE. Tenendo conto solo della scuola statale, ci sono circa 750.000 insegnanti per 7.606.785 alunni iscritti in 10.760 istituzioni scolastiche. In pratica un insegnante ogni 10 alunni e 70 insegnanti per scuola. Un’eresia in termini economici. Se ci si fermasse qui dovremmo concludere, come fa qualche commentatore, che gli insegnanti lavorano poco, sono troppi e le risorse sono più che sufficienti. Ma delle persone impegnate nell’educazione il cui numero è spropositato rispetto alle cifre comunitarie,poco ci si interessa nel nostro Paese, al punto da creare enorme dispersione e spreco di risorse. La scuola in Italia si occupa di tutto ma, spesso, sfuggono i problemi veramente importanti. L’autoreferenzialità è talmente avviluppata al sistema che non si riesce a trovare modalità operative accettabili sia per gli operatori sia per gli amministratori. Una soluzione.è proposta dall’Ocse che mette in relazione le ore totali di istruzione previste nei vari paesi e il tempo di insegnamento ufficiale e sottolinea la grande disparità a tutto svantaggio dell'Italia.

La  FONDAZIONE CENSIS, nell'annuale Rapporto sull'Italia, individua l'educazione permanente quale settore strategico per il futuro del Paese e nell'occasione il Prof. De Rita, Direttore del Censis,  si dice estremamente preoccupato perchè  "L’analisi dei livelli di partecipazione ad attività di formazione continua mette in evidenza una situazione non ancora soddisfacente. Nel settore pubblico, nonostante un incremento tra 2000 e 2001 del peso della spesa per formazione sul totale delle retribuzioni rispetto agli anni precedenti e sebbene in alcuni comparti quali Autorità (2,42%), Camere di Commercio (1,39%), Enti pubblici (1,25%) e Organi dello Stato (1,16%) sia stata superata la soglia dell’1%, tuttavia per l’insieme delle pubbliche amministrazioni tale obiettivo non si può dire sia stato raggiunto o sia conseguibile nel breve temine, tenuto conto delle caute previsioni di spesa dei prossimi anni. Sul versante delle imprese, la seconda rilevazione Istat-Eurostat sulla formazione del personale nelle imprese indica, tra il 1993 ed il 1999, un incremento dal 15,0% al 24,0% della quota d’imprese italiane con 10 e più addetti coinvolte in attività formative; tuttavia l’Italia si colloca in una posizione di retroguardia rispetto a quella rilevata nella maggior parte dei paesi europei, con la sola eccezione del Portogallo. Pur essendo la presenza di attività formative in azienda direttamente proporzionale alla dimensione aziendale, tuttavia l’81,0% di aziende italiane, con almeno 250 addetti, che hanno dichiarato di aver svolto formazione per il proprio personale si discosta sensibilmente dal 100,0% di aziende danesi, irlandesi e belghe o dal 98,0% di aziende olandesi e tedesche, equivalenti per numero di addetti. Al tempo stesso, anche in settori economici che in Italia sono maggiormente attivi nella formazione aziendale, si osserva uno scostamento rispetto alla situazione europea. Nel settore dell’intermediazione monetaria e finanziaria il dato italiano è pari al 71% delle imprese mentre in Danimarca, Paesi Bassi, Irlanda e Germania sfiora il 100%; nel settore dei servizi il dato italiano del 27% si discosta da quello dei seddetti paesi, che oscillano tra l’86% del Belgio e il 98% dellaDanimarca "(Rapporto Censis 2002, 41 ).

La seguente mappa mette poi in evidenza le principali discrasie strutturali tra sistema formativo e sistema lavorativo :

 A corollario di tale gravissima situazione, che pone la Scuola quasi come un ente inutile, si aggiungono le macroscopiche pecche della normativa contrattuale, voluta dai Sindacati Confederali e dallo Snals- Confsal nel 1995 oltre che, naturalmente dai variegati Governi nel frattempo succedutisi e mai modificata se non in dettagli trascurabili, che emargina definitivamente la figura del docente a mero ruolo impiegatizio esecutivo. Al Collegio dei Docenti infatti l’attuale normativa non affida alcun ruolo decisionale di carattere strategico generale, bensì quello limitato alla "organizzazione della didattica" (c.1);

Il Collegio dei Docenti dipende strutturalmente dal Consiglio di Istituto per la formulazione del progetto di istituto (c.2), nonché sulla formulazione di indirizzi e scelte di carattere organizzativo e finanziario (c.3).

Si registra quindi un notevole ridimensionamento dell’autonomia dell’organo collegiale, anche nei confronti della precedente normativa.

Si nota una netta divaricazione tra le affermazioni di principio (c.4, 6, 7, 8 ) e la situazione effettiva, realisticamente desumibile dalla pratica quotidiana……………..

Sulla istituzione delle c.d. "figure di sistema", a parte qualche generica precisazione ministeriale, l’unico elemento di novità a tutt’oggi è costituito da una iniziativa, nel quadro del Progetto Comune interIRRSAE sulle Nuove Figure di Sistema, presso l'IRRSAE del Veneto, di un gruppo di lavoro per lo studio di una ridefinizione delle attribuzioni funzionali dell'Operatore per il coordinamento e la gestione delle Tecnologie educative (Operatore Tecnologico). A quasi otto anni di distanza dalle affermazioni di principio del C .C. N. L., nulla a tutt’oggi trapela circa il conclamato adeguamento della funzione docente e sull’articolazione delle carriere, a parte l'inutile e fallimentare introduzione delle c.d. funzioni-obiettivo (CCNL 1999 ) che, anzi, hanno ulteriormente elevato il già alto tasso di burocratizzazione dell'apparato scolastico senza nulla innovare e senza nulla apportare alla qualificazione del corpo docente, fuorchè provocare maggiore conflittualità interna alle istituzioni scolastica per il tentativo di accaparramento delle funzioni . Nulla, del pari, abbiamo rilevato sulla istruttoria che avrebbe dovuto stabilire i contenuti professionali. Un’altra teorica affermazione di intenti andata a vuoto!

 

 Area docente: obblighi di lavoro

 

 

 

1.Gli obblighi di lavoro del personale docente sono funzionali all'orario del servizio stabilito dal piano di attività e sono finalizzati allo svolgimento delle attività di insegnamento e di tutte le ulteriori attività di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione e documentazione necessarie all'efficace svolgimento dei processi formativi.

 

2.A tal fine gli obblighi di lavoro del personale docente sono articolati in attività di insegnamento ed in attività funzionali alla prestazione dell'insegnamento. Possono altresì essere previste eventuali attività aggiuntive.

 

Per tale argomento si rinvia al documento GILDA-UNAMS

 

Attività funzionali all'insegnamento

 

 

 

L'attività funzionale all'insegnamento è costituita da ogni impegno inerente alla funzione docente previsto dai diversi ordinamenti scolastici. Essa comprende tutte le attività, anche a carattere collegiale di programmazione, progettazione, ricerca, valutazione e documentazione, compresa la preparazione dei lavori degli organi collegiali, la partecipazione alle riunioni e l'attuazione delle delibere adottate dai predetti organi. Rientra altresì nell'attività funzionale all'insegnamento la partecipazione, per non meno del numero di ore di formazione previste dall'art. 27, per il passaggio alle posizioni retributive successive - di cui all'allegata tabella B -, alle attività di formazione e di aggiornamento previste nell'ambito di organiche azioni definite a livello nazionale o provinciale, ovvero deliberate dal collegio dei docenti.

 

Tra gli adempimenti individuali dovuti rientrano le attività relative :

alla preparazione delle lezioni e delle esercitazioni; alla correzione degli elaborati; ai rapporti individuali con le famiglie;

 

 

Le attività di carattere collegiale riguardanti tutti i docenti sono costituite da:

partecipazione alle riunioni del collegio dei docenti, ivi compresa l'attività di programmazione e verifica di inizio e fine anno e l'informazione alle famiglie sui risultati degli scrutini trimestrali, quadrimestrali e finali e sull'andamento delle attività educative nelle scuole materne e nelle istituzioni educative, per un totale di 40 ore annue; la partecipazione alle attività collegiali dei consigli di classe, di interclasse, di intersezione. Gli obblighi relativi a queste attività sono determinati dagli ordinamenti dei diversi ordini di scuola e sono programmati secondo criteri stabiliti dal collegio dei docenti; nella programmazione occorrerà tenera conto degli oneri di servizio degli insegnanti con un numero di classi superiore a sei in modo da prevedere di massima un impegno non superiore alle quaranta ore annue. lo svolgimento degli scrutini e degli esami, compresa la compilazione degli atti relativi alla valutazione.

 

Per assicurare l'accoglienza e la vigilanza degli alunni, gli insegnanti sono tenuti a trovarsi in classe 5 minuti prima dell'inizio delle lezioni e ad assistere all'uscita degli alunni medesimi.

 

Il carico orario che il docente è obbligato ad osservare per l’adempimento della funzione fa lievitare l’impegno medio annuo da circa 660 a più di 1600 ore annue! ( con un incremento del 240% non retribuito del carico di lavoro ! ).

 

 

 

 Attività aggiuntive

 

 

 

1.Le attività aggiuntive consistono in attività aggiuntive di insegnamento e attività aggiuntive funzionali all'insegnamento.

 

2.Le attività aggiuntive di insegnamento, a qualunque titolo prestate, sono deliberate, nell'ambito delle risorse finanziarie disponibili, con le modalità previste dall'articolo 39, e possono consistere anche nello svolgimento di interventi didattici ed educativi integrativi o in ulteriori attività aggiuntive di insegnamento volte all'arricchimento e all'integrazione dell'offerta formativa, fino ad un massimo di 6 ore settimanali.

 

3.Le attività aggiuntive funzionali all'insegnamento possono consistere in:

svolgimento di compiti relativi:

al coordinamento della progettazione, dell'attuazione , della verifica e valutazione del progetto di istituto; al supporto organizzativo al capo di istituto; •a particolari forme di coordinamento del collegio dei docenti e di eventuali articolazioni dello stesso, quali dipartimenti, gruppi di ricerca e commissioni di lavoro, nonché particolari forme di coordinamento dei consigli di classe, interclasse o intersezione; al coordinamento o referenza o partecipazione a progetti che possono coinvolgere anche altre istituzioni scolastiche e non; •all'assistenza tutoriale; alla progettazione di interventi formativi; alla produzione di materiali utili per la didattica finalizzati ad una utilizzazione collegiale; ogni altra attività regolarmente deliberata nell'ambito delle risorse esistenti.

attività di aggiornamento e formazione in servizio da svolgersi oltre le 30 ore annue, senza esonero dagli altri obblighi di servizio. partecipazione a progetti comunitari, nazionali o locali, mirati al miglioramento della produttività dell'insegnamento e del servizio ed al sostegno dei processi di innovazione, ad un maggior raccordo tra scuola e mondo del lavoro, ovvero ulteriori attività funzionali all'attività scolastica, debitamente deliberate nell'ambito delle risorse assegnate; partecipazione ad attività realizzate sulla base di convenzioni con enti locali e con terzi, con oneri a carico degli stessi, aventi per oggetto prestazioni di servizi o utilizzazioni di strutture e di personale per progetti aperti al territorio, coerenti con le finalità di istituto. attività di progettazione e di direzione di corsi di formazione, riconversione e aggiornamento del personale.

 

Il compenso delle attività aggiuntive di insegnamento è fissato in maniera omogenea, nell'ambito di ciascun ordine e grado di scuola e corrisponde al compenso orario determinato in base alle allegate tabelle.

 

Il compenso delle attività aggiuntive agli obblighi funzionali viene erogato in maniera forfettizzata per le funzioni di supporto organizzativo al capo di istituto ovvero sulla base del numero stimato di ore aggiuntive per le attività inerenti allo svolgimento di progetti e per le altre attività di cui al comma 3, lett. a), secondo quanto previsto all' art. 72 del presente CCNL.

 

Tali compensi sono fissati in £ 20.000 nette medie orarie per le attività aggiuntive e in £ 13.000 nette medie orarie per le attività aggiuntive funzionali. Ogni commento è superfluo.

Sono stati storicamente disattesi i seguenti impegni programmatici assunti ufficialmente e fissati contrattualmente :

 

- l'elevamento dell'obbligo scolastico a 10 anni e l'intensificazione delle politiche contro la dispersione e per l'orientamento e il successo formativo - con particolare riferimento al Nordest e al Mezzogiorno- volte ad innalzare rapidamente almeno l'80% il numero dei diplomati in rapporto alla corrispondente classe di età;

- lo sviluppo dell'autonomia scolastica e delle offerte formative integrative e aggiuntive, e del sistema nazionale di valutazione e di certificazione;

- l'estensione e lo sviluppo della formazione superiore non universitaria e della formazione tecnica superiore, della formazione per l'apprendistato e dell'educazione degli adulti;

- l'integrazione tra sistema di istruzione e sistema della formazione professionale a sostegno delle politiche attive del lavoro - secondo l'impegno assunto dal Governo con l'accordo firmato il 10 dicembre 1997 (*) con le organizzazioni sindacali confederali - anche attraverso percorsi comuni istruzione-formazione professionale, estensione degli stage e delle occasioni di incontro della scuola con il mondo del lavoro, accordo mai concretizzatosi nella pratica.

- sul sostegno dei processi di innovazione già in corso volti a potenziare l'offerta formativa e le dotazioni didattiche delle scuole;

- sull'attivazione, in collaborazione con le Regioni e gli enti locali, di politiche per il diritto allo studio, anche attraverso interventi sulle spese per i libri di testo e il sostegno delle famiglie degli alunni, con particolare riferimento alle realtà meridionali;

- sull'adeguamento e la riqualificazione delle strutture scolastiche, particolarmente nel Mezzogiorno;

- sulla formazione, aggiornamento e riqualificazione del personale docente..

 

 

Gli impegni di spesa sono davvero risibili ( si tratta di pochi milioni di euro  ricavabili (?) da risparmi sulla spesa pubblica per un comparto che comprende circa 1milione e centomila soggetti) e le cosiddette priorità ( come il Mezzogiorno ) sono solo affermazioni di principio senza la definizione dei progetti di sviluppo autorizzati e sostenuti dall U.E. e la necessaria quantificazione degli interventi e degli investimenti.

L’analisi statistica della condizione di disagio professionale della categoria docente in Italia prodotta lucidamente dal Sindacato GILDA UNAMS dimostra che ," per il docente, a fronte di 660 ore annue di lavoro-classe vi sono 972 ore annue di attività propedeutiche, valutative o amministrative.

Rispetto alle 600 ore di lavoro-classe si nota che la classica "lezione" ( non necessariamente di tipo frontale) occupa solo il 60% del totale, per il rimanente 40% si attivano interventi individualizzati ( interrogazioni e recuperi) o burocratico-didattici (verifiche) Si sottolineano alcuni squilibri nella organizzazione generale

 

- la scarsa attenzione attribuita ai rapporti con le famiglie rispetto a tutte le altre attività

 

- una eccessiva rigidità e uno spazio sproporzionato attribuito alle incombenze di tipo didattico-amministrativo-burocratico 

 

I confronti internazionali

 

 

Per raccogliere le sfide del prossimo decennio, occorre una riforma radicale dei nostri sistemi d'istruzione e formazione, basata sul concetto di apprendimento lungo tutto l'arco della vita ( c.d. LIFELONG LEARNING, cfr a tal proposito Rapporto CENSIS 2002 ) per elevare i livelli di competenza dell'intera forza lavoro, cominciando dai giovani e continuando con coloro che sono alla fine della vita lavorativa, ma della cui utilità avremo bisogno in futuro. Oltre un terzo dei giovani tra i 20 e i 24 anni entrano a far parte della forza lavoro senza qualifiche successive alla scolarità di base. È necessario pertanto impegnarsi per portare i livelli medi al livello raggiunto dai migliori Stati membri. Per coloro che trovano difficile beneficiare dell'istruzione formale, si deve individuare una vasta gamma di opportunità di formazione professionale, preferibilmente comprensive di un'esperienza di lavoro che rafforzi le probabilità di tali persone di trovare un impiego alla fine del corso.

 

Colmare il fossato tra scuola e lavoro è una tappa decisiva, quale che sia il livello di formazione della persona. L'apprendistato costituisce uno dei mezzi più efficaci per aiutare i giovani a sviluppare competenze ed abilità che corrispondano alle esigenze del mercato del lavoro, e compiere in tal modo la transizione tra scuola e lavoro. Occorre sviluppare diversi approcci all'apprendistato nell'Unione, provvedendo congiuntamente ad un adeguato orientamento professionale.

 

Allo stesso tempo, la strategia intesa a migliorare il livello di competenze della forza lavoro deve accompagnarsi a sforzi costanti intesi ad assicurare una sufficiente flessibilità sui mercati del lavoro e a garantire che i costi del lavoro portino in misura sufficiente alla creazione di posti di lavoro, in modo da offrire opportunità occupazionali a coloro i cui livelli di competenze resteranno presumibilmente limitati, a prescindere dalla natura e dalla portata della formazione ricevuta. Ciò significa, in particolare, che i costi generali di occupazione per tali persone, compreso l'elemento non salariale, sono ad un livello adeguato in relazione alla produttività, e che risultano rimosse barriere artificiali che inibiscono la creazione di posti di lavoro. Ma ciò significa solo gettare le fondamenta della forza lavoro flessibile e adattabile del futuro. La velocità del cambiamento tecnologico è tale che la forza lavoro del futuro dovrà sempre più adeguarsi a nuove competenze e capacità e cambiare lavoro periodicamente nel corso della vita lavorativa.

 

 

 

Ne consegue che la formazione non deve essere rivolta solo alle persone all'inizio della vita lavorativa, bensì a tutti, fino alla conclusione della vita lavorativa. Una simile strategia di miglioramento delle competenze costituisce l'unico modo in cui l'Unione riuscirà a raccogliere la sfida di adeguarsi al nuovo ambiente.

 

La disoccupazione in Europa si concentra tra le persone con scarse competenze, o che hanno perduto le competenze che possedevano.

 

La natura apparentemente intrattabile della disoccupazione di lunga durata riflette in parte tale fatto. Non si verificherà alcuna sensibile riduzione della disoccupazione, in particolare della disoccupazione di lunga durata, se i livelli di competenza delle persone interessate non saranno innalzati mediante la formazione. La segregazione occupazionale tra donne e uomini sottrae al mercato del lavoro un elemento di flessibilità. Ragazze e ragazzi devono essere incoraggiati a diversificare le loro scelte occupazionali, contribuendo in tal modo a ridurre maggiormente la segregazione nel mercato del lavoro e offrendo alle ragazze maggiori opportunità di trovare un impiego.

 

Dato che nell'Unione i posti di lavoro a qualifica elevata si concentrano in misura sproporzionata tra i settori in crescita, è probabile che col tempo il problema del divario di competenze si aggravi: per una proporzione crescente di persone con qualifiche di base sarà sempre più difficile trovare lavoro. Migliorare ed ampliare le competenze delle persone al lavoro potrebbe costituire l'investimento più rilevante e conveniente a fini di prevenzione della disoccupazione di lunga durata e di incremento dei livelli di occupazione

 

L'Unione non è carente di potenziali imprenditori, e le nostre nuove imprese non vanno mediamente peggio di quelle dei nostri concorrenti. Tuttavia, è importante che i nostri sistemi d'istruzione incoraggino lo sviluppo di capacità imprenditoriali e di una cultura d'impresa.

 

Si dovrebbe inoltre procedere ad una nuova riforma dei sistemi di protezione sociale, per renderli più compatibili con l'occupazione. Le misure di mantenimento del reddito di per sé non fanno nulla per promuovere l'occupazione o la sicurezza delle persone temporaneamente escluse dal mercato del lavoro. Le somme spese per le indennità di disoccupazione e altre misure passive, che costituiscono circa due terzi della spesa totale per il mercato del lavoro, dovrebbero essere reindirizzate e impegnate a fini di promozione dell'occupazione e del reinserimento nella vita lavorativa. Una simile ristrutturazione della spesa pubblica è importante nel lungo termine, al fine di ridurre la dipendenza e l'esclusione sociale, nonché di aiutare le persone a realizzare appieno il proprio potenziale, per il bene tanto proprio quanto dell'economia.

 

 

 

È pertanto auspicata una strategia lungo tre direttrici: migliorare l'istruzione e la formazione iniziali dei giovani, per aiutarli ad entrare nella forza lavoro e renderli capaci di adeguarsi a nuove sfide in una fase successiva della loro vita; un approccio positivo al miglioramento delle competenze della forza lavoro lungo l'intera vita lavorativa; un programma attivo di formazione per i disoccupati, particolarmente quelli di lunga durata. Il Fondo sociale europeo sosterrà tale strategia.

 

 

Mobilità settoriale e professionale

 

La portata della mobilità tra settori è relativamente alta nell'Unione. Nel 1995, il ricambio di posti di lavoro è stato circa del 16% per gli uomini e del 19% per le donne. Tali dati, tuttavia, nascondo differenze fondamentali sia tra settori che tra Stati membri. In generale, il tasso di nuovi ingressi tende ad essere maggiore nei settori in espansione piuttosto che negli altri, benché il legame con la crescita occupazionale non sia sistematico. In particolare, la portata della mobilità settoriale è molto più elevata in settori quali industria alberghiera e ristorazione (circa il 25% di tutti gli addetti nel settore non vi lavorava l'anno precedente), dove un'elevata proporzione di nuovi ingressi tende ad essere costituita da giovani che lasciano la scuola, piuttosto che in settori quali il credito e le assicurazioni, l'istruzione e la sanità, dove le esigenze di maggiore istruzione e di competenze superiori limitano il numero di candidati idonei e rendono i datori di lavoro riluttanti a rinunciare a personale che hanno assunto e formato. In altre parole, elevati tassi di ricambio non sono necessariamente sinonimi di un grado elevato di competitività ( Gilda-on-line )."

 

Il Sistema Nazionale di Valutazione

 

Rendono irrinunciabile e indifferibile l’adozione di un Sistema nazionale di valutazione:

 

a) il progressivo attuarsi dell’autonomia di tutte le istituzioni scolastiche sia sul piano amministrativo e gestionale, sia in materia di progettazione e di conduzione delle attività didattiche e la conseguente esigenza di compararne i risultati per quanto attiene la verifica delle competenze fondamentali;

 

b) l'esigenza di monitoraggio delle attività di progettazione e programmazione educativa e didattica ;

 

c) la necessità di accompagnare con piani di verifica le sperimentazioni e le innovazioni di strutture ;

 

d) l'opportunità di una verifica omogenea e docimologicamente oggettiva circa i livelli formativi raggiunti.

 

L'esigenza di istituire un Sistema nazionale di valutazione si profila altresì in relazione alla problematica della "parità" fra scuole statali e non statali. Sarà, inoltre, importante disporre di strumenti attendibili di rilevazione dei livelli conseguiti in larghi settori di competenza nei particolari indirizzi del sistema, inclusi quelli professionali e di alternanza fra scuola e lavoro( Ministero della P.I.).

 

E significativo che istituzioni di rilevanza nazionale quali il Centro Europeo dell'Educazione (CEDE), la Fondazione CENSIS (Centro Studi Investimenti Sociali), la Biblioteca di Documentazione Pedagogica di Firenze (BDP) ed anche una Commissione istituita dal Ministro Iervolino, abbiano delineato spontaneamente o per incarico governativo proposte più o meno dettagliate circa la prospettiva di creare in Italia un Servizio o Sistema Nazionale di Valutazione (SNV) che è termine più comprensivo di "Servizio" e può ben denotare la sinergia, appunto "sistematica", fra attori responsabili della politica scolastica

 

COMPITI DEL SERVIZIO NAZIONALE DI VALUTAZIONE

 

 

Rientra nel Sistema di valutazione l’attività volta a valutare lo stato in atto e l'efficienza del sistema formativo del Paese nelle sue articolazioni e a tutti i suoi livelli, al fine di suggerire i necessari miglioramenti anche a confronto con comparabili situazioni di altri Paesi in vista dell’attuazione progressiva della U.E. a partire dal 1999.

 

Al Servizio nazionale di valutazione competono in particolare e prioritariamente i seguenti compiti:

 

a) studiare e scegliere anche in collaborazione con istituzioni internazionali, i necessari "indicatori« di risorse, di processo, di prodotto e contestuali (demografici, economici e socioculturali) e le metodologie di rilevazione più affidabili, acquisendo sistematicamente materiali e strumenti esistenti, adattandoli e validandoli;

 

b) sviluppare direttamente, validare, tarare e diffondere ulteriori strumenti di accertamento del profitto (anche in più forme parallele) nonché strumenti atti a rilevare lo stato e le condizioni di funzionamento del sistema scolastico per cui l'informazione non sia già disponibile;

 

c) reperire, adottare o elaborare ex novo strumenti atti a sondare lo sviluppo cognitivo, la maturazione personale, l'acquisizione di dinamiche "prosociali" della personalità, soprattutto al fine di individuare eventuali stati di disagio giovanile;

 

d) rendere possibili ed attuare rilevazioni su campioni rappresentativi della realtà scolastica in funzione di comparazioni internazionali e in ambito nazionale

 

e) sviluppare strumenti atti a rilevare i livelli di soddisfazione di studenti, loro famiglie e opinione pubblica nei confronti del servizio scolastico;

 

f) mettere tale strumentazione ed eventualmente l'informazione con essa raccolta a disposizione delle scuole e in genere di chi ha il compito di governare il sistema formativo

 

g) operare su richiesta delle autorità scolastiche e universitarie rilevazioni significative relative a specifici livelli scolastici e/o tipi di scuole;

 

h) selezionare e formare personale idoneo allo sviluppo delle attività formative, al fine di costituire un'adeguata rete operativa sul territorio;

 

i) impiegare, in tutto o in parte, tale personale per le proprie attività;

 

I) contribuire a promuovere, anche avvalendosi di tale personale, una "cultura della valutazione"

 

Le funzioni elencate in precedenza sono tutte, prevalentemente, di servizio alle concrete attività scolastiche, e come tali dovrebbero venir percepite anzitutto da insegnanti, allievi, famiglie e opinione pubblica in generale.

 

I risultati delle rilevazioni effettuate dal servizio non dovrebbero essere resi pubblici al livello individuale (scuole, classi e persone), né avere effetti amministrativi diretti.

 

Occorre notare che, per valutare l'efficienza di una scuola, non si può tener conto solo dei livelli di profitto conseguiti dai suoi allievi, ma anche delle situazioni di partenza e delle condizioni del contesto ambientale.

 

La "validità" dei vari strumenti dovrà trovare efficacia metodologica anche di là dalla cerchia ristretta degli esperti e andrà debitamente conosciuta la gamma degli strumenti che si intende adoperare.

 

La relazione conclusiva della Commissione tecnico-scientifica(D.M. 296/96 e D.M. 328/96) presieduta dal Prof. Aldo Visalberghi, le cui conclusioni sono state appena sintetizzate, mette anche in rilievo che le esigenze valutative del sistema scolastico italiano, comprendono l'esigenza di istituire un Sistema nazionale di valutazione che si profila altresì in relazione alla problematica della "parità" fra scuole statali e non statali. Sarà, inoltre, importante disporre di strumenti attendibili di rilevazione dei livelli conseguiti in larghi settori di competenza nei particolari indirizzi del sistema, inclusi quelli professionali e di alternanza fra scuola e lavoro.

 

I risultati delle rilevazioni effettuate dal servizio non dovrebbero essere resi pubblici al livello individuale (scuole, classi e persone), né avere effetti amministrativi diretti.

 

Nel quadro della definizione di strumenti idonei al conseguimento di una maggior produttività del sistema scolastico ed al raggiungimento di obiettivi di qualità, il Ministero della pubblica istruzione provvederà alla determinazione di parametri di valutazione dell'efficacia della spesa che tengano conto dei vari fenomeni che, condizionando l'attuazione del diritto allo studio, si riflettono sui livelli qualitativi dell'istruzione. A tal fine provvede altresì all'individuazione di adeguati metodi di rilevamento dei processi e dei risultati del servizio scolastico, in termini di preparazione generale e preparazione specifica.

Per l'acquisizione delle competenze scientifiche e tecnologiche necessarie, per la realizzazione del programma, per l'analisi sistematica dei risultati rilevati e per la verifica dell'idoneità degli interventi disposti, il Ministro della pubblica istruzione si avvale della collaborazione del Centro europeo dell'educazione, della Biblioteca di documentazione pedagogica, degli istituti regionali di ricerca, sperimentazione e aggiornamento educativi, nonché di enti specializzati, universitari e non universitari, pubblici e privati, e di associazioni di tutela dei diritti dei cittadini e della qualità dei servizi. Nel corso della loro realizzazione i progetti dovrebbero essere monitorati amministrativamente da appositi nuclei di valutazione nominati dall'Amministrazione e dei quali potrebbero far parte interni ed esterni all'Amministrazione stessa. E' infatti scarsamente proponibile che le attività sopra previste possano essere svolte ingaggiando personale estraneo alla scuola. Ciò significherebbe, d'altronde, anche rinunciare in gran parte alla possibilità di promuovere capillarmente quella "cultura della valutazione" che si è prospettata come uno degli scopi del progetto.

 

Sembra del tutto naturale che il MURST si costituisca anch'esso come interlocutore del Servizio nazionale di valutazione comunque istituito e che richieda allo stesso, pur senza pregiudizio dell'autonomia in materia dei singoli atenei, ricerche e sperimentazioni relative all'orientamento e alla selezione per gli studi universitari e post-secondari in generale.

 

Una questione di grande rilevanza connessa con quella degli assetti istituzionali, peraltro indipendente dall'opzione che si sarà fatta al riguardo, è quella della posizione e del ruolo del corpo ispettivo nel Sistema nazionale di valutazione.

Se ciò potrà servire a ridefinire, finalmente, ruolo e funzioni degli ispettori, ben venga la riforma. Possiamo solo aggiungere che condizione preliminare della riuscita di tale riforma era e resta l’autonomia del docente, sia sotto il profilo professionale, sia sotto quello strettamente didattico.

 

ASPETTI PSICOLOGICO - DINAMICI

 

ONNIPOTENZA - IMPOTENZA NEL RAPPORTO DIDATTICO

 

Sofia Listorto.(Psicologa - Psicoterapeuta - Presidente dell'Associazione"IL CALEIDOSCOPIO") in un suo lavoro propone una serie di riflessioni sollecitate da un decennio di attività all'interno delle scuole elementari, medie e superiori, in collaborazione con gli i spese di funzionamento della struttura, parla di una motivazione sottostante prodotta dalla consapevolezza, sperimentata nel tempo, circa l'utilità di una maggiore diffusione nel mondo della scuola delle scoperte psicoanalitiche, sia per quanto riguarda le funzioni del pensiero, sia per quel che concerne il dinamismo intra-psichico, duale e gruppale.

Rimandando ad altra occasione l'esplorazione del processo emotivo relativo alla questione disciplinare, esamina la situazione paradigmatica della comunicazione di conoscenza nel momento in cui insorgono delle difficoltà di comprensione."Siamo in tal modo- continua la ricercatrice - di fronte al manifestarsi del "contro-transfert".

Sovente l'insegnante si troverà ad agire tale "contro-transfert" complementare, in quanto più consono alle sue attese di essere un insegnante perfettamente efficace e meno doloroso del condividere l'esperienza della frustrazione e dell'impotenza, per quanto relativa alla situazione contingente.

Esiste contemporaneamente una motivazione sottostante prodotta dalla consapevolezza, sperimentata nel tempo, circa l'utilità di una maggiore diffusione nel mondo della scuola delle scoperte psicoanalitiche, sia per quanto riguarda le funzioni del pensiero, sia per quel che concerne il dinamismo intra-psichico, duale e gruppale.

E’ forte la convinzione che una migliore conoscenza della realtà psichica possa consentire a quest'ultimo di svolgere al meglio la sua attività, senza per altro sconfinare in campi differenti ed inadeguati alla propria competenza ed al contesto in cui opera, proprio come un insegnante di educazione fisica può trarre vantaggio da una conoscenza approfondita del corpo umano, senza per questo sentirsi né in diritto né in dovere di fare il medico.

 

I risultati conseguenti ad una maggiore conoscenza di certe dinamiche emotive presenti nella relazione didattica, potrebbero consentire anche una ripresa di interesse e di consenso intorno al difficile compito di ricerca psicoanalitica, cose che Freud per primo seppe conseguire grazie al suo assiduo lavoro di divulgatore.

 

Dato il ruolo sociale che l'insegnante ricopre, la condizione emotiva che tende a vivere più frequentemente è la sgradevole alternanza tra l'aspettativa di poter realizzare l'immagine ideale di insegnante, abile al punto di poter riversare la propria conoscenza in qualsivoglia "contenitore-alunno", ed il doloroso sentimento di impotenza nella pratica quotidiana che dimostra l'impossibilità di questa, pur generosa, fantasia.

 

Il malessere dell'insegnante potrà rischiare a questo punto di venire spostato - perchè non gli è consentito, per ruolo, di esplicitare il suo sentirsi impotente come insegnante - su di un piano disciplinare: "Non riesco a farmi obbedire perchè è un ragazzo maleducato". Sovente anche il ragazzo preferirà sentirsi cattivo o svogliato piuttosto che stupido, creando così effettivi problemi disciplinari.

 

Tornando in campo strettamente didattico, laddove l'insegnante non sia in grado di sopportare il sentimento sgradevole che la situazione frustrante comporta, può accadere che tenda rapidamente ad operare una separazione netta tra sé ed il ragazzo, in cui non vengono salvaguardate le obiettive iniziali componenti personali. Si rischierà allora di assistere ad una cristallizzazione in cui l'insegnante potrà diventare connivente con il problema del ragazzo, prendendo su di sé il ruolo di onnipotente discente, facendo così involontariamente leva sulle stesse aspettative dell'alunno di trovare chi gli risolva il problema.

 

In questo caso il "contro-transfert" assumerà il carattere complementare, difensivo rispetto al dolore che può produrre quello simmetrico, in quanto consente la percezione netta del disagio dell'altro.

Sovente l'insegnante si troverà ad agire tale "contro-transfert" complementare, in quanto più consono alle sue attese di essere un insegnante perfettamente efficace e meno doloroso del condividere l'esperienza della frustrazione e dell'impotenza, per quanto relativa alla situazione contingente. In questo modo però verrà ostacolata la possibilità di pensare e di comprendere quanto sta realmente accadendo.

 

L'insegnante tenderà allora a riprodurre una spiegazione che lo riconfermi anzitutto di fronte a se stesso come dispensatore di informazioni. Questo può accadere perché egli, oltre alle proprie motivazioni interne, potrà rischiare di rimanere vittima del meccanismo, nel senso che si troverà incastrato nel ruolo di "onnipotente" anche sulla base delle aspettative dell'alunno .

L'alunno, a sua volta irrigidito nel ruolo di impotente si troverà collocato nel ruolo di ricettore passivo ed indifferenziato, ed avrà solo tre vie di uscita possibili:

 

1. riuscire finalmente a capire, cosa assai improbabile visto che la spiegazione non viene finalizzata a sciogliere il suo personale dubbio, quanto a riproporre l'insieme dell'informazione;

 

2. ammettere di non avere ancora capito, creando spesso nell'insegnante un incremento della tensione dovuto all'aumentare delle aspettative sia personali che dell'allievo.

 

E' ben difficile, partendo da un sentimento di inadeguatezza, assumersi la responsabilità che tale polo ha nel rapporto interpersonale, per l'onere emotivo che, come abbiamo visto, comporta. Questo è uno degli elementi che determinano l'instaurarsi del meccanismo della "profezia auto-verificantesi" nelle due direzioni, positiva e negativa, relativamente alla valutazione che l'insegnante fa dell'allievo già dai primi scambi interpersonali.

 

Naturalmente è più semplice, e pedagogicamente più corretto, che sia l'insegnante a farsi carico di tale processo emotivo interno.

 

In tal modo si potrà creare lo spazio per pensare ed il docente, partendo dalla riflessione sui propri sentimenti "contro-transferali", potrà distinguere il sentimento di impotenza del ragazzo dal proprio, (riconoscendo cioè la propria "impotenza relativa" rispetto al fatto di non poter in quel momento ad essere l'insegnante ideale che vorrebbe essere) riuscendo in tal modo a tollerare meglio il sentimento, quindi a comprendere rispetto a quale "micro-scalino" della conoscenza l'allievo si sia arenato ed in che modo stia funzionando la sua mente.

 

Uscendo in tal modo dalla rigida logica binaria "impotenza-onnipotenza", si potrà consolidare il processo di costruzione continua che il rapporto educativo richiede, ponendo le basi per una efficace "alleanza didattica", e l'appagamento emotivo, personale e relazionale, che l'ampliamento di reciproca comprensione comporta, riteniamo possa essere l'incentivo adeguato per sostenere l'incremento di sforzo necessario per attuarlo.

 

 

AREE PROGETTUALI SPECIFICHE : LA TELEMATICA NELLE SCUOLE

 

TECNOLOGIA E SISTEMA SCOLASTICO RIFORMATO

 

Il futuro tecnologico è meno lontano dalla scuola italiana. Dal torpore di decenni di programmi ministeriali ancorati al retaggio del passato sembra che qualcosa si stia finalmente muovendo. Saranno forse le direttive europee sulla multimedialità o i piani politici del nuovo governo, certo è che il recente accordo siglato dalla Microsoft con il Ministero della Pubblica Istruzione rappresenta un sicuro passo in avanti verso una moderna didattica e un concreto auspicio di innovazione per gli studenti italiani.

 

Nell’ambito del Programma di Sviluppo delle Tecnologie Didattiche avviato dal Ministero della Pubblica Istruzione per il quadriennio 1997-2000, Microsoft si è dimostrata disponibile: a fornire il proprio supporto e l’esperienza tecnologica progettuale per favorire ed accelerare la corretta diffusione di nuovi servizi informatici nel settore scolastico, ritenuta fondamentale per la crescita culturale del Paese; effettuare progetti di sperimentazione in collaborazione con il Ministero nell’ambito e in materia del Programma di Sviluppo della Multimedialità; supportare il Ministero nella formazione degli insegnanti, sia sulle nuove tecnologie dell’informazione, sia sull’utilizzo dei sistemi ed applicativi software standard come ausilio o oggetto di didattica.

 

Il testo di questo accordo siglato dalle parti, si sviluppa in 6 articoli. Partendo dall’obiettivo primario di promuovere la cultura della multimedialità nel sistema scolastico di ogni ordine e grado, la Microsoft ha previsto una forte facilitazione all’acquisto di due pacchetti software distinti, chiamati "Microsoft Kit per la Scuola - versione base e versione avanzata" "Il Ministero non obbliga le scuole ad acquistare questi prodotti ma certamente, facendosi promotore di questa innovazione tecnologica, ha messo gli operatori nella condizione di poter usufruire di una offerta commerciale assolutamente vantaggiosa" ci dice Valcher. L’utilizzo di questi prodotti prevede delle licenze d’uso speciali, costruite appositamente a seguito della convenzione stessa. "Una rilevante posizione da parte del Ministro è l’utilizzo corretto delle licenze software, ovvero una chiara posizione contro la pirateria per la tutela dei programmi", ha dichiarato ancora Paolo Valcher. Per questo motivo, il Ministero si impegnerà a evidenziare a tutte le istituzioni scolastiche l’utilizzo idoneo delle licenze e l’acquisto legale delle stesse.

 

Una delle parti più rivelanti dell’accordo tra Microsoft e il Ministero della Pubblica Istruzione è sicuramente costituito dall’articolo 4, che prevede da parte della società che fa capo a Bill Gates la possibilità di organizzare degli incontri di formazione riservati ai docenti.

Un accordo del genere non poteva che prevedere una finestra aperta sul futuro della ricerca e della sperimentazione nel campo dell’insegnamento. Microsoft si impegna infatti a: svolgere attività di consulenza nei confronti del Ministero stesso e delle istituzioni scolastiche, attraverso le proprie conoscenze nell’ambito dell’Information Tecnology, dello sviluppo delle applicazioni multimediali e dell’evoluzione delle tecnologie software di base, supportando iniziative progettuali comuni indirizzate a garantire l’utilizzo ottimale delle nuove tecnologie software da parte degli insegnanti e degli studenti; svolgere sperimentazioni su tematiche tecnologiche orientate a soluzioni innovative hardware e software (Web TV, Distant Learning Technology, NetPc); sperimentare nuove soluzioni software per configurazioni tecnologiche orientate alla didattica multimediale on-line (Internet, ActiveX, Com3, Windows CE, Windows Terminal).

Il Ministero si farà carico di rendere queste sperimentazioni, un momento di aggregazione di competenze specifiche e di co-progettazione al fine di conseguire risultati importanti e stimolanti per l’ideazione di iniziative di più largo respiro. Proprio per questo il Ministero e Seguito con grande interesse da oltre cinquemila docenti per una media di trecento presenze a giornata Microsoft School Tour, il ciclo di seminari organizzato prima dell’estate da Microsoft, ha raggiunto in tutto 21 città italiane e ha dimostrato la forte esigenza della scuola italiana a mantenersi aggiornata sui progressi della tecnologia informatica, anche in considerazione del fatto che quasi il 91% delle scuole italiane possiede già almeno un’aula informatica.

Ma come hanno reagito gli insegnanti italiani? Paolo Valcher è molto soddisfatto:"Sono stati influenzati positivamente dalle potenzialità di Internet, dalle nuove funzionalità di Office 97 e all’estrema semplicità di utilizzo di Windows 95. Con Internet sono stati approfonditi soprattutto i temi relativi alla realizzazione di ipertesti, visti per la gran parte come funzionali alla didattica, alla possibilità di ricercare informazioni sugli archivi di tutto il mondo e di realizzare dei siti web senza dover conoscere la programmazione, quindi affidandosi a programmi di authoring come Front Page".

 

L'esperienza Internet nasce nella scuola italiana come un piccolo seme che si è autogenerato grazie ad una serie di avvenimenti volontari e concatenati. Tutto è cominciato quando dal maggio di due anni fa prendeva le redini del ministeoi di Viale Trastevere il ministro Berlinguer.

A lui, al suo slancio sinceramente innovatore ( almeno in questo campo glielo dobbiamo riconoscere) si deve il lancio dl Piano di informatica nelle scuole .

 

 

Potenzialità e considerazioni finali

 

I ragazzi non sono i soli interessati al computer ed a Internet; nella nostra scuola c'è una grande richiesta di aggiornamento in questo senso da parte di tutti i docenti.

 

E' evidente che l'educazione non può fare a meno delle nuove tecnologie e la scuola deve riuscire ad integrarle nella propria didattica quotidiana, nonostante le carenze e la cronica mancanza di fondi ( altro che un computer per ogni studente….nelle scuole italiane, specie quelle del mezzogiorno, è una lotta per la sopravvivenza quotidiana !).

 

I docenti sono sensibili a queste problematiche e probabilmente si sono resi conto che la padronanza di questi strumenti, unita ad una solida preparazione culturale, darà ai nostri alunni delle chance migliori nella vita. E' evidente la grande potenzialità della rete, in particolar modo nel settore dell'educazione, per la massa di informazioni che si può ricercare e utilizzare, per le comunicazioni, anche a più voci, che essa permette, senza impedimenti dovuti alle distanze o a costi spesso proibitivi, permettendo uno scambio tra esperienze di culture e modi di vivere diversi.

 

CONCLUSIONI

 

 

Le attese e , diciamo pure, le speranze di un rinnovamento radicale della istituzione scolastica nostrana poggiano però su un grave rischio : quello di passare ed essere realizzate a spese dei docenti, che del sistema sono finora stati l’anima resistendo, da soli, alla condizione di solitudine e di sfruttamento sociale che li ha relegati, da sempre, al ruolo di sterili trasmettitori di una cultura stereotipa portata dall’establishment al potere. Una cultura della conservazione, che si individua come retaggio di arretratezza del tessuto politico-sociale del Paese , proveniente dal passato ma tenacemente conservato fino all’ultimo, persino dall’attuale Governo che, pure, ha fatto della innovazione il fulcro del programma politico.

Noi non comprendiamo né tantomeno giustifichiamo operazioni politiche di retroguardia e pretesti gattopardeschi all’insegna del cambiamo tutto perché tutto resti come prima…

Pienamente consapevoli del ruolo di guida che il ministero si è assunto del processo di svecchiamento dell’istituzione, saremo sempre vigili e attenti analizzatori dell’attuale dialettica .Pronti alla lode, quando meritata ; al consiglio, quando richiesto (e anche quando non richiesto….)e comunque sia alla critica costruttiva, per dare un contribuito di chiarezza all’attuale momento - chiave che stiamo vivendo.

TORNA ALLA HOME PAGE