SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE IN PSICOTERAPIA

 

Anno 2006/2007

Tesi per il passaggio al 2° biennio

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

IL PEGGIORE DEI VIZI CAPITALI: L’INVIDIA

I disturbi di personalità e i problemi di fegato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Relatore:

Dott.ssa Mara Breno

 

 

 

 

 

 

 

 

ALESSANDRA SANTANGELO

 

Indice

 

 

Melanine Klein e la sua idea di invidia.

1.1 L’angoscia e la posizione schizo-paranoide.

1.2 Seconda fase dello sviluppo: posizione depressiva.

1.3 Il concetto di invidia.

1.4 Invidia e sviluppo patologico.

 

 

2) Disturbo borderline e disturbo narcisistico di personalità.

2.1 Disturbo borderline di personalità.

2.2 Organizzazione di personalità caso al limite e Kernberg.

2.3 Disturbo narcisistico di personalità.

2.4 Disturbo narcisistico e Kernberg.

 

 

3) Il fegato.

3.1 Definizione e aspetti generali del fegato.

3.2 La centrale biochimica dell’organismo.

3.3 Il fegato: fra mito e fantasia d’organo.

 

Ipotesi terapeutiche e considerazioni conclusive.

4.1 Psicoterapia individuale per i pazienti narcisisti: Heinz Kohut.

4.2 Un approccio terapeutico differente: Otto Kernberg.

4.3 Approccio terapeutico al disturbo borderline di personalità.

 

 

 

 

Introduzione

 

 

Capitolo 1

Melania Klein e la sua idea di invidia.

 

 

 

 

"L’invidia è un sentimento di rabbia perché un’altra persona possiede qualcosa che desideriamo e ne gode – l’impulso invidioso mira a portarla via o a danneggiarla. Inoltre l’invidia implica un rapporto con una sola persona ed è riconducibile al primo rapporto esclusivo con la madre. La gelosia deriva dall’invidia e coinvolge per lo meno altre due persone."

Melanie Klein, Invidia e gratitudine

 

 

 

1.1 L’angoscia kleiniana e la posizione schizo-paranoide

L’opera della Klein può essere distinta in tre parti: nella 1° fase gettò le basi della psicoanalisi dei bambini e ricondusse il Super-Io e il complesso edipico ai primi periodi dello sviluppo; nella 2° fase portò alla formulazione del concetto di posizione depressiva e dei meccanismi maniacali di difesa; la 3° fase riguardò la definizione della posizione schizo-paranoide, su cui particolarmente si soffermò nel testo "Invidia e gratitudine".

Melanie Klein sostiene che lo stato prenatale implica un sentimento di unità e sicurezza, che viene ricercato dopo la nascita. Le prime relazioni oggettuali del bambino, il suo rapporto con il seno materno e con la madre, il modo in cui vengono introiettate fonda una base solida per uno sviluppo soddisfacente. Il seno viene percepito come sorgente di nutrimento e di vita stessa. Questo contatto gratificante con la mammella ricostituisce la perduta unità prenatale con la madre ed il sentimento di sicurezza ad esso connesso. In questo modo la madre diviene oggetto d’amore. "Il seno buono viene introiettato, diviene parte dell’Io; il bambino, un tempo parte della madre, ora ha la madre dentro di sé" (1).

L’autrice delinea due fasi dello sviluppo del bambino: la posizione (2) schizio-paranoide e la posizione depressiva. La prima, che occupa i primi tre-quattro mesi di vita del bambino, è caratterizzata dal fatto che l’Io del bambino instaura rapporti con oggetti parziali, utilizza come meccanismo di difesa la scissione ed è invaso dall’angoscia paranoide. L’inizio della posizione depressiva è segnato dal riconoscimento della madre come oggetto intero ed è caratterizzato dal rapporto con oggetti interi (3). Nello sviluppo sano di un bambino gradualmente i meccanismi psicotici lasciano il posto a quelli nevrotici, l’angoscia diminuisce e la riparazione, la sublimazione e la creatività sostituiscono estesamente i meccanismi di difesa, sia psicotici che nevrotici (4).

Uno dei concetti fondamentali della teoria della Klein è il concetto di angoscia data dall’aggressività. L’angoscia di per sé è fisiologica, ma se risulta essere eccessiva l’intero processo di formazione del simbolo si arresta. Il bambino alla nascita lotta fra due tensioni: la pulsione di vita e la pulsione di morte (5). Le delusioni e le esperienze piacevoli si presentano insieme e rafforzano il conflitto innato fra amore e odio e cioè tra istinti di vita e di morte; ciò porta il bambino a percepire la presenza di un seno buono e di uno cattivo (6).

I bambini molto piccoli, sollecitati dall’angoscia, cercano di scindere i loro oggetti e i loro sentimenti. Cercano di trattenere i sentimenti piacevoli e introiettare gli oggetti buoni e di espellere gli oggetti cattivi e proiettare i sentimenti spiacevoli. Nella fase sadico-orale il bambino attacca la mammella della madre e la incorpora come un oggetto distrutto e distruttivo (7). Contemporaneamente il bambino introietta (in situazioni di amore e gratificazione) una mammella buona e amata, che diventa l’aspetto ideale del Super-Io (o ideale dell’Io). Ben presto i desideri e le fantasie si estendono al corpo intero della madre, che è immaginato come un luogo che contiene ogni sorta di ricchezza, fra cui altri bambini e il pene del padre. Il bambino oltre a rivolgere verso la madre tutti i suoi desideri libidici, a causa della frustrazione, dell’invidia e dell’odio, destina a questa anche tutta la sua distruttività. Il bambino sviluppa nei confronti degli oggetti del corpo materno desideri libidici e fantasie di estrarli e divorarli; oppure a causa dell’odio e dell’invidia fantasie aggressive di morderli, lacerarli e distruggerli (8).

Secondo Melanie Klein la relazione madre-bambino inizia già nella vita intrauterina. Alla nascita quando il bambino si separa dalla madre dispone già di un Io rudimentale, non organizzato e ancora privo di coerenza, ma in grado di sperimentare angoscia, usare meccanismi di difesa e formare rapporti con oggetti primitivi nella fantasia e nella realtà. Il bambino è esposto all’urto con la realtà esterna che produce angoscia, come ad esempio il trauma della nascita e insieme dà vita, come il calore, il nutrimento, l’amore ricevuti dalla madre. Di fronte all’istinto di morte l’Io reagisce deflettendolo, parte in proiezione e parte in aggressività. "L’Io scinde se stesso e proietta fuori quella parte di sé che contiene l’istinto di morte, nell’oggetto esterno originario, la mammella" (9). La mammella, in cui viene proiettata gran parte dell’istinto di morte del lattante, è sentita come cattiva e minacciosa per l’Io e da luogo a un sentimento di persecuzione. Così origina la paura di un persecutore esterno. Parte dell’istinto di morte, inoltre, viene convertito in aggressività e diretto contro i persecutori.

Come l’istinto di morte anche la libido viene proiettata all’esterno, per soddisfare il bisogno dell’Io alla sopravvivenza e alla perseverazione della vita. L’Io proietta parte di sé fuori, mentre il rimanente è usato per stabilire un rapporto con l’oggetto ideale. Ben presto l’Io ha un rapporto con due oggetti (essendo la mammella scissa): la mammella ideale e quella persecutoria. La fantasia dell’oggetto ideale si fonda sulle esperienze gratificanti di amore e nutrimento da parte della madre reale, mentre la fantasia di persecuzione si fonda sulle esperienze di deprivazione e dispiacere. La gratificazione soddisfa il bisogno di amore, nutrimento e benessere del bambino, ma è anche necessaria per tollerare la persecuzione. Il bambino cerca di tenere dentro di sé l’oggetto ideale e a identificarsi con esso e tenere lontano l’oggetto cattivo e quelle parti del Sé che contengono l’istinto di morte (10).

Questa prima fase è definita dalla Klein posizione schizo-paranoide. L’angoscia che la caratterizza è quella paranoide e lo stadio dell’Io e dei suoi oggetti è caratterizzato da scissione, che è schizoide. Il bambino teme che l’oggetto o gli oggetti persecutori si stabiliscano entro l’Io, sopraffacendo e annientando l’oggetto ideale e il Sé. Contro questa schiacciante angoscia di annichilimento, l’Io sviluppa dei meccanismi di difesa quali: scissione, introiezione, proiezione e identificazione proiettiva. L’Io si sforza di introiettare ciò che è buono e di proiettare ciò che è sentito come cattivo, oppure proietta ciò che è buono, per tenerlo al sicuro da ciò che è cattivo all’interno di sé. Vi sono situazioni in cui i persecutori sono introiettati e l’Io si identifica con essi nel tentativo di tenerli sotto controllo.

La scissione viene usata per tenere gli oggetti persecutori e ideali lontani gli uni dagli altri, mantenendoli contemporaneamente sotto controllo. Quando i persecutori sono fuori la minaccia deriva dall’esterno, quando sono interni producono paure ipocondriache. La scissione è legata ad una crescente idealizzazione dell’oggetto, per tenere questo ben lontano dall’oggetto persecutorio. "Tale estrema idealizzazione è anche connessa con una negazione magica onnipotente" (11). Se la persecuzione è troppo intensa per essere tollerata, può essere completamente negata, attraverso fantasie di annichilimento totale dei persecutori.

L’identificazione proiettiva è proiezione dell’istinto di morte e si basa sul fatto che parti di sé e degli oggetti vengono scisse e proiettate sull’oggetto esterno, che viene così posseduto e controllato dalle parti proiettate, con le quali viene identificato. Gli scopi di tale meccanismo difensivo sono di evitare la separazione dall’oggetto ideale e di acquisire controllo sull’oggetto cattivo. Varie parti del Sé possono essere proiettate: parti cattive del Sé possono esserlo per liberarsene, così come per attaccare e distruggere l’oggetto; parti buone possono essere proiettate per evitare la separazione o per tenerle al sicuro da cose cattive che sono dentro o per migliorare l’oggetto esterno (12).

Tutti i bambini vivono periodi di angoscia: le angosce e le difese costituiscono il nucleo della posizione schizo-paranoide e sono parte normale dello sviluppo umano. La scissione in oggetti buoni e oggetti cattivi, così fondamentale in questa fase, consente all’Io di emergere dal caos, di mettere ordine nell’universo delle impressioni emozionali e sensoriali del bambino e costituisce una condizione preliminare della successiva integrazione. E’ la base di ciò che più tardi diventerà la capacità discriminativa, all’origine della quale vi è la differenziazione precoce tra buono e cattivo. La scissione è anche la base di ciò che più tardi diventerà la rimozione (13).

Con la scissione sono connesse l’angoscia persecutoria e l’idealizzazione. Entrambe se mantenute nella vita adulta, nella forma originaria, distorcono il giudizio, ma alcuni loro elementi devono comunque essere presenti nella personalità matura. L’angoscia persecutoria è la condizione preliminare della capacità di riconoscere e valutare le situazioni di pericolo nel mondo esterno e di reagire ad esse. L’idealizzazione è la base della credenza nella bontà degli oggetti e di se stesso ed è il precursore di una buona relazione oggettuale. Infatti il rapporto con l’oggetto buono contiene un certo grado di idealizzazione e questa persiste in molte situazioni, come nell’innamoramento e nella formazione degli ideali politici o sociali.

L’identificazione proiettiva è la primissima forma di empatia, infatti, su questa si basa la capacità di mettersi nei panni di un altro. Fornisce, inoltre, la base della formazione del simbolo: proiettando parti di se stesso nell’oggetto e identificando parti dell’oggetto con parti del Sé, l’Io forma i suoi simboli iniziali più primitivi.

I meccanismi di difesa usati nella posizioni schizo-paranoide non sono solo meccanismi di difesa che proteggono l’Io da angosce immediate, ma anche gradini dello sviluppo. Il gradino successivo alla posizione schizo-paranoide è la posizione depressiva. Questo passaggio è possibile se prevalgono esperienze buone su quelle cattive (14).

 

 

1.2 Seconda fase dello sviluppo: posizione depressiva

Abbiamo visto come nella prima fase dello sviluppo, nell’ipotesi kleiniana, i processi di scissione, di proiezione e di introiezione aiutano il bambino a separare le percezioni e le emozioni, a dividere il buono dal cattivo (15). Se le condizioni di sviluppo sono favorevoli, il bambino sentirà che il suo oggetto ideale e i suoi impulsi libidici sono più forti dell’oggetto cattivo e dei suoi impulsi cattivi. Quando sentirà che il suo Io è forte e in possesso di un oggetto ideale, sarà meno impaurito dai propri impulsi cattivi e quindi meno portato a proiettarli fuori di sé (16). "Quando i processi integrativi diventano più stabili e continui, ha inizio una nuova fase dello sviluppo: la posizione depressiva" (17).

Il bambino, tra i tre e i sei mesi, riconosce e si mette in rapporto con un oggetto intero: la madre. Subito dopo comincia a riconoscere altre persone del suo ambiente, di solito il primo è il padre. Il bambino, in questa fase, entra sempre più in rapporto non soltanto con il seno, le mani, la faccia, gli occhi della madre come oggetti separati, ma con lei stessa come persona intera, che può essere a volte buona a volte cattiva.

Come la madre diventa un oggetto intero, così l’Io del bambino diventa un Io intero sempre meno scisso in componenti buone e cattive. L’integrazione dell’oggetto e dell’Io procedono simultaneamente. Nella posizione depressiva le angosce sorgono dall’ambivalenza: il bambino si rende conto che odia e ama la stessa persona. Ha paura che i propri impulsi distruttivi abbiano danneggiato l’oggetto che ama e dal quale dipende. L’oggetto è sentito come indipendente e in procinto di andarsene, per cui aumenta il bisogno di possederlo, di conservarlo dentro di sé e di proteggerlo dalla propria distruttività.

Il bambino è esposto a sentimenti nuovi e diversi rispetto alla posizione schizo-paranoide: il lutto, la colpa e lo struggimento per l’oggetto buono, sentito come perduto e distrutto (18). L’esperienza della depressione porta il bambino a desiderare di riparare il suo oggetto; egli desidera restaurare i suoi oggetti perduti e li vuole far rivivere e ricostruire nella loro interezza. Crede che il suo amore e le sue cure possano eliminare gli effetti della sua aggressività. Il conflitto che vive il bambino è fra amore, impulsi riparativi e la sua distruttività (19). Quando l’Io diventa più integro, la proiezione diminuisce, il bambino diventa consapevole di sé e che gli oggetti sono separati dal Sé; si rende conto dei suoi impulsi, delle sue fantasie e le distingue dalla realtà.

In pratica il bambino in questa fase si rende conto che le esperienze buone e quelle cattive provengono dalla stessa persona: la madre che a volte è frustrante a volte è gratificante, contemporaneamente il suo odio e il suo amore sono rivolti alla stessa persona. Egli teme che la sua aggressività, la sua invidia, la sua bramosia abbiano distrutto l’oggetto. In questo senso l’angoscia che vive in questa fase è depressiva e coincide con il sentimento di lutto, di tristezza, di rammarico, di nostalgia per l’oggetto che teme di aver ferito irrimediabilmente.

Il superamento dei conflitti di ambivalenza e del senso di colpa costituiscono un processo lento durante il quale l’Io ricorre a diverse difese maniacali, che non sono patologiche, ma possono diventarlo se utilizzate in modo massiccio. Fra esse vi sono l’idealizzazione dell’oggetto, il diniego della realtà psichica, e successivamente di quella esterna, il controllo onnipotente. Il rapporto maniacale con l’oggetto è caratterizzato da una triade di sentimenti che sono: dominio, trionfo e disprezzo (20).

Il lutto e gli impulsi riparativi, sviluppati per restaurare gli oggetti interni ed esterni, costituiscono la base della creatività e della sublimazione. Mano a mano che l’Io diventa più organizzato e le proiezioni indeboliscono, la scissione lascia il posto alla rimozione; i meccanismi psicotici danno luogo ai meccanismi nevrotici, alla inibizione, alla rimozione e allo spostamento. Il bambino in parte inibisce i suoi istinti e in parte li sposta su sostituti dell’oggetto, dando inizio alla formazione del simbolo. Nella posizione depressiva muta l’intero clima del pensiero e il bambino sviluppa capacità associative e di astrazione (21).

Il superamento della posizione depressiva è segnato anche dalla comparsa del complesso di Edipo, che è caratterizzato da un intenso sentimento di gelosia. Il bambino passa dall’invidia nei confronti del seno materno (durante la posizione schizo-paranoide) alla gelosia verso il padre e rivalità nei confronti della madre (posizione depressiva). Nella fase depressiva il bambino compie un intenso lavoro dovuto non soltanto alla sintesi di aspetti buoni e cattivi della madre, ma anche ad una maggior comprensione del mondo esterno. Questo lo porta a rendersi conto che non può avere un possesso esclusivo sulla madre. Se il rapporto primario con lei è ben radicato ed ha permesso di introiettare un oggetto buono con relativa sicurezza, il bambino può sentire meno odio per i suoi rivali (22).

La gelosia legata al complesso edipico è accompagnata da odio e desideri di morte, ma di solito l’acquisizione di altri oggetti d’amore come il padre ed i fratelli mitigano tali emozioni. Se la gelosia e l’invidia non si attenuano, il complesso edipico è fortemente compromesso. Se l’invidia non è eccessiva, secondo la Klein, la gelosia della situazione edipica diviene un mezzo che aiuta ad elaborarla. Quando, nella posizione depressiva, nasce la gelosia, i sentimenti ostili vengono diretti non tanto verso l’oggetto primario, quanto verso i rivali (padre o fratelli) e ciò permette di diluire tali stati d’animo. Nello stesso momento, emergono sentimenti d’amore che sono una nuova fonte di gratificazione.

Il passaggio da desideri orali a genitali, inoltre, riduce l’importanza della madre quale fonte di godimento orale. Il bambino riversa una grande quantità di odio verso il padre, che è oggetto d’invidia in quanto possiede la madre. Nella bambina i desideri di tipo genitale verso il padre le permettono di trovare un altro oggetto d’amore. La gelosia prende il posto dell’invidia e la bambina desidera sostituirsi alla madre, vista come una rivale. In seguito l’identificazione con la madre renderà possibile una più ampia gamma di sublimazioni, mentre la gelosia è accompagnata da minor senso di colpa rispetto all’invidia primaria, in quanto non distrugge il primo oggetto buono.

1.3 Il concetto di invidia

Per lo sviluppo favorevole del bambino, nella posizione schizo-paranoide, è essenziale che le esperienze buone prevalgano su quelle cattive. Ciò dipende in parte da fattori esterni in parte da fattori interni (23). Questi ultimi possono essere dovuti all’invidia, che opera fin dalla nascita e che influenza materialmente le prime esperienze infantili (24).

Il seno, nel suo aspetto buono, è il prototipo della bontà, della pazienza, della generosità e creatività materna. Sono queste fantasie e questi bisogni istintuali che arricchiscono l’oggetto primario al punto da diventare il fondamento della speranza, della fiducia e della bontà (25). L’invidia, secondo Melanine Klein, può avere degli effetti devastanti sulla capacità del bambino e poi dell’adulto di provare gratitudine e di essere felice. "L’invidia accresce le difficoltà che il bambino incontra nel costruire il suo oggetto buono, poiché la gratificazione di cui è stato privato viene vissuta come qualcosa che il seno frustrante ha tenuto per sé" (26).

Secondo l’autrice l’invidia (27) è costituzionalmente presente in ogni essere umano ed è uno dei fattori che mina maggiormente l’amore e la gratitudine alle loro radici, perché colpisce il primo fondamentale rapporto umano: quello con la madre. L’invidia è espressione sadico-orale e sadico-anale di impulsi distruttivi ed entra in azione fin dalla nascita.

In "Invidia e gratitudine" distingue tra invidia, gelosia ed avidità. L’invidia è uno dei sentimenti più primitivi e precoci, legato ad un rapporto con una sola persona ed è riconducibile a rapporti con oggetti parziali e quindi al primo rapporto con la madre. "L’invidia sorge da un primitivo amore e ammirazione, ma poichè attacca la sorgente di vita, può essere considerata la più potente esternalizzazione diretta dell’istinto di morte" (28). Consiste in sentimenti di rabbia dovuti al fatto che un’altra persona possiede qualcosa o una qualità che desideriamo. L’impulso mira a portarlo via o a danneggiarlo (29).

L’invidia spinge il bambino ad essere buono come l’oggetto, ma quando ciò è sentito come impossibile, essa mira a guastare la bontà dell’oggetto. Questo sentimento si attiva non appena il bambino diventa consapevole della mammella come sorgente di vita e di buone esperienze. La gratificazione che il bambino sperimenta, rinforza l’idealizzazione già presente alla nascita. Il bambino sente che la mammella è la sorgente di ogni conforto e un luogo inesauribile da cui giunge amore, calore, comprensione, saggezza e cibo. Prova contemporaneamente il desiderio di possederlo, conservarlo e proteggerlo e il desiderio di essere esso stesso la sorgente di tale perfezione; "egli sperimenta penosi sentimenti d’invidia, i quali portano con sé il desiderio di guastare le qualità dell’oggetto che può dargli tali sentimenti penosi" (30). Il desiderio del bambino non è solo quello di svuotare l’oggetto per possederne la sua bontà, ma anche di far sì che non contenga più nulla di invidiabile.

La gelosia deriva dall’invidia, ma coinvolge per lo meno due persone. Si riferisce ad un amore che il soggetto sente che gli è stato portato via o che è in pericolo a causa di una rivale (31). La gelosia mira al possesso dell’oggetto amato e all’eliminazione della rivale. La tematica è triangolare e non diadica come nel caso dell’invidia. Si sviluppa in un periodo della vita nella quale gli oggetti sono ben riconosciuti e differenziati gli uni dagli altri e implica, quindi, il rapporto con un oggetto intero (32).

L’avidità è un desiderio insaziabile che va al di là dei bisogni del soggetto e di ciò che l’oggetto può dare. A livello inconscio tale sentimento ha lo scopo di svuotare, prosciugare succhiando e divorare il seno: la Klein definisce il suo scopo come un’introiezione distruttiva. L’invidia, invece, cerca solo di derubare la madre o di mettere ciò che è cattivo del sé del bambino nella madre con lo scopo di danneggiarla e distruggerla. Nel senso più profondo ciò mira a distruggerne la creatività. L’autrice parla di un aspetto distruttivo dell’identificazione proiettiva. Una differenza fondamentale fra avidità ed invidia sta nel fatto che la prima è connessa all’introiezione, la seconda alla proiezione. "Si potrebbe dire che la persona molto invidiosa è insaziabile, non può essere mai soddisfatta perché la sua invidia scaturisce dall’interno e perciò trova sempre un oggetto su cui concentrarsi" (33).

Il primo oggetto d’invidia è la madre e precisamente il seno materno, che contiene tutto quello che il bambino desidera: amore e latte. Ciò fa aumentare il risentimento e l’odio del bambino che a sua volta possono disturbare la relazione con il materno. Secondo la Klein quando gli aspetti schizioidi e paranoidi sono forti in modo abnorme è segno di probabile malattia. Abbiamo visto che il seno gratificante diviene oggetto d’invidia, ma l’invidia può sorgere anche quando il bambino non riceve abbastanza nutrimento. Il bambino ha la sensazione che il seno quando gli infligge una privazione diventi cattivo, perché tiene per sé amore, latte e cure. Il bambino odia e invidia il seno che sente come avaro e meschino (34).

La Klein sostiene che la frustrazione, (se non eccessiva) nell’infanzia, non solo è un’esperienza comune e normale, ma necessaria per l’adattamento al mondo esterno e per lo sviluppo del senso di realtà. Una certa dose di frustrazione, seguita dalla gratificazione, può infatti dare al neonato l’impressione di essere stato capace di superare l’angoscia. I desideri insoddisfatti del neonato contribuiscono a sviluppare l’attività sublimatoria e creativa. L’assenza di conflitto lo priverebbe di un fattore importante per l’arricchimento della personalità e per il rafforzamento del suo Io (35).

Un atteggiamento ansioso della madre che offre subito il seno al bambino non appena questo piange, non gli giova in alcun modo. Il piccolo percepisce l’angoscia della madre e questo accresce la sua. Ai bambini ai quali non è dato modo di piangere a sufficienza e di esprimere la loro angoscia e afflizione, non è permesso di dare sfogo, né agli impulsi aggressivi, né alle angosce depressive.

L’invidia deteriora l’oggetto primario buono; il seno attaccato perde il suo valore e diventa cattivo, essendo stato morso, avvelenato dalle urine e dalle feci. L’invidia eccessiva aumenta l’intensità e la durata di tali attacchi, rendendo più difficile il recupero dell’oggetto buono perduto. Nei casi in cui tale sentimento è tenace danneggia la capacità di godere. Il godimento e la gratificazione che derivano dal seno sono in grado di mitigare gli impulsi distruttivi, l’invidia e l’avidità. E’ ovvio che la privazione, l’alimentazione insoddisfacente e le circostanze sfavorevoli intensificano l’invidia, poiché disturbano la gratificazione, creando un circolo vizioso. L’avidità, l’invidia e le angosce persecutorie sono strettamente legate fra loro e l’una aumenta l’altra (36).

La gratitudine è una delle espressioni più evidenti della capacità d’amare. E’ un fattore essenziale per stabilire il rapporto con l’oggetto buono e per poter apprezzare la bontà degli altri e la propria (37) . Se gli impulsi distruttivi e l’invidia sono molto intensi possono disturbare il legame particolare che si va creando con la madre, intralciando la possibilità del bambino di provare una gratificazione completa. L’invidia, infatti, è caratterizzata dal desiderio di privare l’oggetto di ciò che possiede e quindi di danneggiarlo (38).

Il bambino può provare un godimento completo solo se la sua capacità d’amare è sviluppata a sufficienza. Tale esperienza costituisce la base della gratitudine. Se la gioia piena dell’allattamento è sperimentata, l’introiezione del seno buono sarà realizzata. Il bambino avverte di aver ricevuto dal seno e dalla madre un dono insostituibile, che vuole conservare. Questa è la base della gratitudine che a sua volta è collegata con la fiducia (39) nelle figure percepite come buone. Nel buon rapporto con l’oggetto predominerà il desiderio di conservarlo e risparmiarlo, nel rapporto avido con questo il bambino sente di voler dominare e prosciugare l’oggetto e quindi di danneggiarlo.

La gratitudine è strettamente legata alla generosità, poiché "la ricchezza interiore deriva dal fatto che si è assimilato l’oggetto buono e si può ora dividerne i suoi doni con gli altri. Questo rende possibile l’introiezione di un mondo esterno più amichevole" e "ne deriva una sensazione di arricchimento" (40).

Le persone che non hanno ben radicati sentimenti di ricchezza e forza interiore, alternano momenti di generosità a un bisogno di stima e di gratitudine esagerato, il quale provoca in loro angosce persecutorie derivanti dalla sensazione di essere stati derubati ed impoveriti.

La Klein, nel delineare come l’invidia intralci il sentimento di gratitudine, sottolinea che è inserita fra i setti vizi capitali per una ragione psicologica ben precisa. Afferma che sia il peggiore fra tutti poiché danneggia e guasta l’oggetto buono che è fonte di vita e di amore. La sensazione di aver distrutto l’oggetto primario, menoma la fiducia del soggetto di poter stabilire futuri rapporti sinceri, di poter amare e di poter essere buono. Le manifestazioni di gratitudine risultano derivanti da sentimenti di colpa, piuttosto che da genuini sentimenti profondi e dalla capacità di amare.

 

 

1.4 Invidia e sviluppo patologico

Secondo Melanie Klein nello sviluppo normale, quando le esperienze buone predominano su quelle cattive, la posizione schizo-paranoide è caratterizzata dalla scissione tra oggetti buoni e oggetti cattivi e tra Io che ama e Io che odia. In questa fase il bambino organizza le sue percezioni grazie a processi introiettivi e proiettivi. Questa condizione è necessaria e fondamentale per l’integrazione che avverrà negli stadi successivi dello sviluppo. Il bambino, infatti, deve passare dalla posizione schizo-paranoide a quella depressiva. Quando questo secondo stadio è stato raggiunto, il rapporto del bambino con la realtà si può dire che sia instaurato. Il punto di fissazione delle psicosi si trova nella posizione schizo-paranoide. Può accadere anche che si verifichi una regressione a questo stadio dello sviluppo ed allora il senso della realtà viene perduto e l'individuo diventa psicotico. Se, invece, la posizione depressiva è stata raggiunta e almeno in parte elaborata, le difficoltà che incontrerà l’individuo nello sviluppo successivo non sono di carattere psicotico, ma nevrotico (41).

La condizione patologica insorge quando questi stadi sono disturbati, per cause interne o esterne o per una combinazione delle due e quando l’esperienza cattiva predomina su quella buona. Nello sviluppo normale il bambino proietta parti di sé e dell’oggetto nella mammella e nella madre (42). Quando la reintroiezione ha luogo, queste parti vengono integrate nell’Io. Può essere proiettato il seno buono o il seno cattivo, oppure organi di percezione come la vista, l’udito o organi sessuali.

Quando l’angoscia, gli impulsi ostili e invidiosi sono troppo intensi, l’identificazione proiettiva si verifica in modo diverso (43). La parte proiettata è frantumata e disintegrata in tante piccole parti o frammenti che sono proiettati nell’oggetto, disintegrandolo in altri minuti pezzetti (44). La frantumazione dell’Io è il tentativo di liberarsi di ogni percezione ed è proprio l’apparato percettivo che viene attaccato e distrutto.

Nello sviluppo normale, l’invidia, che sorge da un primitivo amore e ammirazione, è da considerarsi l’esternalizzazione diretta dell’istinto di morte, poiché attacca la sorgente di vita. In ogni caso, la gratificazione reale che il bambino sperimenta grazie all’allattamento, rinforza l’idealizzazione e gli fa percepire la mammella come sorgente di conforto, fisico e mentale, e serbatoio inesauribile di calore, cibo e amore. Questa esperienza beata fa aumentare l’amore del bambino verso questo oggetto meraviglioso e il desiderio di possederlo, conservarlo e proteggerlo. Allo stesso tempo il bambino sperimenterà il desiderio di essere lui stesso la sorgente di tale perfezione, vivendo intensi sentimenti d’invidia (45).

L’invidia si può fondere con la bramosia, che porta al desiderio di svuotare completamente l’oggetto, non soltanto per possedere tutta la sua bontà, ma per far sì che esso non contenga più nulla di invidiabile. Queste emozioni si possono poi ritrovare all’interno della terapia nella traslazione negativa. Infatti, secondo Hanna Segal una potente invidia inconscia sta alla base di reazioni terapeutiche negative e di trattamenti interminabili oppure si può ritrovare in pazienti che hanno una lunga storia di trattamenti non riusciti.

L’invidia opera anche per mezzo della proiezione. Quando il bambino si sente pieno d’angoscia e di cattiveria e il seno appare come sorgente di ogni bontà, nella sua invidia, il bambino desidera guastare la mammella proiettandole all’interno le sue parti cattive. In fantasia la mammella viene attaccata sputando, urinando e defecando. Mano a mano che lo sviluppo procede, questi attacchi continuano in relazione al corpo della madre, ai suoi bambini e al pene del padre che è percepito dentro il corpo materno, per poi passare al rapporto tra genitori (46).

Secondo Melanie Klein l’invidia è fisiologica, ma quando diviene eccessiva determina lo sviluppo di aspetti paranoidi e schizoidi in modo abnorme che sono segno di probabile malattia. Gli attacchi sadici (47) al seno materno sono determinati da impulsi distruttivi, che vengono intensificati dall’invidia. La privazione accresce l’avidità e l’angoscia di persecuzione, così come l’invidia insorge quando il bambino non ha abbastanza nutrimento. In questo caso sente il seno buono come cattivo, avaro e meschino perché tiene per sé il latte, le cure e l’amore di cui dispone. "Un bambino che, a causa della forza dei meccanismi paranoidi e schizioidi e dell’impeto dell’invidia, non sia capace di discernere l’odio dall’amore, di tenerli nettamente scissi e di distinguere quindi l’oggetto buono da quello cattivo, è soggetto a sentirsi confuso ogni qualvolta debba giudicare ciò che è buono e ciò che è cattivo" (48).

La Klein, inoltre, afferma che le condizioni che possono produrre un aumento d’invidia sono generate anche quando il seno è gratificante. La facilità con cui il latte fluisce dal seno è fonte d’invidia per il bambino che lo percepisce come qualcosa d’irraggiungibile. Questo tipo d’invidia viene rivissuta in seguito dal paziente nella situazione di transfert, quando la psicoanalista fornisce un’interpretazione azzeccata che da sollievo e fiducia. A questo punto l’interpretazione buona diviene oggetto di critica: doveva essere fornita prima, è stata troppo lunga ed ha interrotto le interpretazioni del paziente oppure è stata troppo concisa e non capita a sufficienza. Secondo Melanie Klein, questo tipo di paziente è chiaramente invidioso dei successi dell’analista, non può assimilare e accettare la sua interpretazione come vera, né introiettare il terapeuta come un oggetto buono. In pazienti meno invidiosi l’accettazione sincera comporta un senso di gratitudine per il dono ricevuto. Il paziente invidioso può non sentirsi degno di tale dono, perché colpevole di aver svalutato l’aiuto che gli è stato dato (49).

La Klein parla di transfer negativo, quando l’invidia contrasta la possibilità dello strutturarsi di un oggetto buono nella situazione di transfert. Il paziente, che nell’infanzia non è stato in grado o non ha potuto accettare e assimilare il cibo buono e l’oggetto buono primario, ripeterà questo suo atteggiamento durante l’analisi. Tali pazienti scindono ed espellono odio ed invidia che si evidenziano nella relazione terapeutica negativa e manifestano: 1) desideri di compiacere la madre e quindi l’analista nel transfert; 2) desideri di essere amati da lei; 3) il bisogno di essere protetti dai propri impulsi distruttivi.

L’invidia eccessiva e patologica intralcia lo sviluppo del sentimento di gratitudine. Abbiamo visto nel paragrafo precedente come la Klein riprenda il fatto che l’invidia faccia parte di uno dei sette peccati capitali e in più lo considera come il peggiore dei vizi, perché è un sentimento che mira a danneggiare e guastare l’oggetto buono che è fonte di vita. La sensazione di aver danneggiato e distrutto l’oggetto primario menoma la fiducia dell’individuo, la possibilità di amare e che questi stabilisca in futuro rapporti sinceri.

Per l’autrice le persone che non hanno potuto stabilire un rapporto valido con il loro primo oggetto e non hanno saputo conservare una gratitudine per esso vanno soggette a modifiche del carattere che si rivelano come gravi alterazioni della personalità. In tali persone quando le angosce persecutorie s’intensificano (per cause interne o esterne), esse perdono completamente il loro oggetto primario. Questo le porta ad un processo di regressione verso meccanismi di scissione e di disintegrazione precoci. L’avidità di potere, e prestigio, così come il bisogno di ammansire ad ogni costo i persecutori sono tipici aspetti del mutamento del carattere suddetto. Spesso possono mostrare manifestazioni di gratitudine, che non sono genuine, ma il risultato di sentimenti di colpa e non di amore (50).

Nell’esplorare i processi di scissione è fondamentale fare una distinzione fra tra oggetto buono e oggetto idealizzato. Una scissione profonda può portare al posto di una separazione tra oggetto buono e oggetto cattivo ad una separazione tra oggetto idealizzato e oggetto estremamente cattivo. Se avviene una divisione così netta ed estrema significa che gli impulsi ostili, l’invidia e le angosce persecutorie sono molto intense e che l’idealizzazione viene usata come difesa contro di esse. Se la scissione non è patologicamente intensa permette il verificarsi di processi d’integrazione dell’Io e di sintesi dell’oggetto. Il soggetto in questo caso può sviluppare un’identificazione con un oggetto buono e intero, che gli permette di sperimentare una bontà sua propria. L’Io non è più soggetto ad identificazioni indiscriminate con molti oggetti. In casi patologici, un’identificazione proiettiva intensa, per cui parti scisse del Sé vengono proiettate nell’oggetto, genera una grave confusione fra Sé e l’oggetto. Ne consegue un indebolimento dell’Io e gravi disturbi nel rapporto con l’oggetto.

"I bambini che hanno una grande capacità d’amare non sentono il bisogno di idealizzazione quanto quelli che hanno un’enorme quantità di impulsi distruttivi e di angosce persecutorie" (51). L’idealizzazione eccessiva sta ad indicare una spinta eccessiva che deriva dalla persecuzione. Certi soggetti reagiscono all’incapacità di possedere un oggetto buono, a causa dell’eccessiva invidia, idealizzandolo. Le persone che sono, invece, riuscite a costruire il loro oggetto buono primario con relativa sicurezza sono in grado di conservare l’amore per l’oggetto pur non ricorrendo all’idealizzazione e quindi riconoscendone i difetti. Quando questo non avviene i rapporti di amore ed amicizia si reggono sull’idealizzazione, che però tende a crollare, ed allora l’oggetto amato deve essere sostituito più volte, perché nessun oggetto può soddisfare pienamente l’aspettativa. In seguito la persona che è stata idealizzata viene sentita come un persecutore e su di essa vengono proiettati atteggiamenti critici e invidiosi del soggetto. Così il mondo si trova a contenere oggetti particolarmente pericolosi. Tutto ciò porta ad instabilità nei rapporti e a debolezza dell’Io (52).

Oltre all’idealizzazione, secondo la Klein, il bambino utilizza anche la svalutazione dell’oggetto come difesa nei confronti dell’invidia. L’oggetto che è stato svalutato, infatti, non ha più bisogno di essere invidiato. In qualsiasi momento dello sviluppo si può far ricorso alla svalutazione ed all’ingratitudine come difese contro l’invidia. Per alcune persone queste rimangono difese caratteristiche dei loro rapporti oggettuali. Anche l’oggetto idealizzato in seguito subisce il destino della svalutazione. Questa difesa può essere usata anche sotto forma di svalutazione del Sé. Tale atteggiamento si può manifestare quando il soggetto si trova in una condizione di rivalità: svalutando le proprie doti nega l’invidia e allo stesso tempo si punisce per averla provata. In analisi questo si vede quando il paziente sente il terapeuta come superiore. Tali pazienti evitano il successo e la competizione. L’origine di ciò risiede nella colpa e nell’infelicità per non aver potuto conservare l’oggetto buono a causa dell’invidia.

Un’altra difesa contro l’invidia è data dal tentativo di stimolare l’invidia negli altri con il proprio successo, la propria ricchezza e la propria fortuna, ribaltando così la situazione. Tutto ciò però genera nel soggetto intense angosce persecutorie. Il desiderio di rendere le persone amate invidiose e di trionfare su di loro, fa emergere forti sensi di colpa e la paura di danneggiarle. Si determina così un’angoscia che fa percepire la persone invidiose come oggetti persecutori, si diminuisce il godimento del possesso e si riaccende nuovamente l’invidia.

Un’altra difesa è data dalla repressione dei sentimenti d’amore e dall’intensificarsi dell’odio, poiché ciò è meno doloroso che sopportare la colpa che nasce dalla combinazione di amore, odio e invidia. Tutto ciò può assumere la forma dell’indifferenza e dell’evitamento del contatto con la gente.

La Klein sottolinea che pazienti con tali patologie sviluppano una reazione terapeutica negativa. Ad ogni progresso che fanno verso l’integrazione, cioè quando la parte che odia e invidia si avvicina alle altre parti di Sé, il paziente si trova di fronte a grandi angosce che aumentano la sua sfiducia nella capacità d’amare. Come difesa contro l’integrazione il paziente può ricorrere a fantasie di onnipotenza e anche di megalomania. Può sentirsi superiore all’analista e al contempo svalutato da questi, trovando così giustificazione per il suo odio. Inoltre si può attribuire il merito di ogni successo raggiunto nel corso dell’analisi.

Una delle conseguenze dell’invidia eccessiva è il precoce instaurarsi del senso di colpa. Quando l’Io non è ancora in grado di elaborare questo sentimento viene percepito come persecuzione e l’oggetto che la provoca diviene il persecutore. Il senso di colpa precoce, che può emergere durante la posizione schizo-paranoide, aumentando la persecuzione e la disintegrazione, non permette l’elaborazione della posizione depressiva. Secondo l’ipotesi kleiniana, il senso di colpa ha sempre le sue radici nell’invidia verso il seno che nutre e nella sensazione di averne deteriorato la bontà con attacchi invidiosi.

L’invidia eccessiva non permette un’adeguata gratificazione orale e porta ad una intensificazione dei desideri e delle tendenze genitali. Questo significa che troppo presto il bambino si rivolge ad una gratificazione genitale, perciò le tendenze genitali rimangono eccessivamente colorite di rivendicazioni e di angosce di tipo orale. Tutto ciò genera una confusione, che si esprime in un miscuglio di impulsi e di fantasie orali, anali e genitali. "Una certa sovrapposizione di impulsi libidici ed aggressivi è normale; quando però questa sovrapposizione è tale da ostacolare il predominio dell’una o dell’altra al loro giusto stadio di sviluppo, allora sia la vita futura che le sublimazioni ne risentono negativamente" (53). Secondo la Klein la genitalità che si fonda su di una fuga dall’oralità è piena d’insicurezze perché in essa continuano a vivere i sospetti e le delusioni connesse ad un mancato godimento orale. "Questa interferenza di tendenze genitali nel primato orale indebolisce la gratificazione della sfera genitale ed è spesso causa di masturbazione ossessiva e di promiscuità" (54).

Il seno buono che nutre rappresenta la vita e viene sentito anche come la prima manifestazione della creatività. La fame, infatti, che provoca la paura di morire, viene sentita come minaccia di morte. Se si è instaurata una stabile identificazione con un oggetto buono che dà la vita, vi sarà un forte impulso alla creatività. Nei soggetti con sviluppo patologico la capacità di dare la vita e di proteggerla è sentito come il dono più prezioso e fonte di invidia eccessiva. L’invidia della creatività è un elemento fondamentale nei disturbi del processo creativo. Il fatto di guastare, distruggere e attaccare la fonte di bontà produce la conseguenza di mutare l’oggetto buono in oggetto ostile, critico e invidioso. Nel Super-io viene proiettata una fonte di invidia particolarmente persecutoria che interferisce con diversi processi psichici e con ogni attività produttiva e creativa.

Nel soggetto adulto tutto questo si manifesta sottoforma di critica pungente e velenosa, che prende origine dagli atteggiamenti distruttivi diretti verso il seno. La creatività è l’oggetto di tali attacchi. La critica costruttiva ha origini diverse e mira ad aiutare ed incoraggiare l’altra persona.

Altra causa d’invidia è l’assenza di questa negli altri. La persona invidiata è quella che possiede tutto ciò che si apprezza e si desidera, cioè un oggetto buono. L’invidia è fonte di infelicità e tormenti se si sente che l’altro vive stati psichici caratterizzati da equilibrio, soddisfazione e tranquillità. "La libertà dall’invidia costituisce la base delle risorse interiori e dell’adattabilità che si notano in quelle persone che, anche dopo gravi difficoltà e sofferenze psichiche, riacquistano la pace dello spirito. Un atteggiamento di questo genere, in cui vi è gratitudine per i piaceri del passato e gioia per quanto il presente può dare, si manifesta nella serenità" (55).

 

 

Note

Klein M., 1969, pp.14.

La posizione per la Klein non è uno stadio o una fase di passaggio, come ad esempio la fase orale freudiana, ma è una configurazione psichica che indica uno specifico rapporto con l’oggetto, specifiche angosce e specifiche difese. Le posizioni sono modalità di relazione con il mondo. Si tratta di posizioni della mente che sono attive per tutta la durata della vita e prevedono uno spostamento in avanti, ma anche indietro. La posizione depressiva non prende mai completamente il posto della posizione schizo-paranoide.

In questa fase prevalgono l’integrazione, l’ambivalenza, la colpa e l’angoscia depressiva.

Segal H., 1975.

Ibidem.

Klein M., 1969.

Lo percepisce come una cattiva, persecutoria mammella interna. Così facendo il bambino forma la radice più antica dell’aspetto persecutorio e sadico del Super-Io.

Segal H., 1975. Al sadismo orale si aggiunge il sadismo uretrale, accompagnato da fantasie di allargare, tagliare e bruciare, e il sadismo anale, che nella prima fase ha carattere esplosivo, mentre nella seconda è più segreto e velenoso. Questi attacchi al corpo della madre portano a fantasticarlo come un luogo terribile, pieno di oggetti distruttivi e vendicativi.

Segal H., 1975, pp.48.

Segal H., 1975.

Segal H., 1975, pp.51.

Tutti i meccanismi di difesa pur essendo utili producono di per se stessi angoscia: proiezioni di cattivi sentimenti e di parti cattive di sé producono sensazioni di persecuzioni dall’esterno; la reintroiezione dei persecutori dà luogo ad angoscia ipocaondriaca; la proiezione di parti buone produce l’angoscia di essere svuotati dalla bontà e di essere invasi dai persecutori; l’identificazione proiettiva produce l’angoscia di avere parti di se stesso imprigionate e controllate dall’oggetto esterno nel quale sono state proiettate.

Segal H., 1975.

Ibidem.

Il bambino si sente confortato dalla presenza dell’oggetto ideale, che ama, che cerca di conservare e con il quale cerca di identificarsi e dell’oggetto cattivo, nel quale proietta i suoi impulsi aggressivi e che è sentito come una minaccia per se stesso e per il suo oggetto ideale.

Diverrà in grado di tollerare l’istinto di morte all’interno di sé e le sue paure paranoidi diminuiranno; userà meno scissione e proiezione e predominerà l’impulso verso l’integrazione dell’Io e dell’oggetto.

Segal H., 1975, pp.106.

Il bambino in questa fase è esposto alla disperazione depressiva: "egli ricorda di avere amato, e davvero ama ancora, la madre, ma sente di averla divorata e distrutta, per cui non la troverà più disponibile nel mondo esterno" (Segal H., 1975, pp.109).

L’insuccesso della riparazione porta alla disperazione, mentre il successo rinnova la speranza.

Tali sentimenti sono una difesa contro i sentimenti depressivi, la colpa e la dipendenza nei confronti dell’oggetto. Il dominio consente di negare la dipendenza; il trionfo, che è intimamente connesso con il disprezzo e l’onnipotenza, consiste nel diniego dei sentimenti depressivi e dell’importanza dell’oggetto. I meccanismi difensivi primitivi, durante lo sviluppo, lasciano il posto a meccanismi più evoluti, come rimozione, inibizione, spostamento (Stella S., 1995).

La posizione depressiva non è mai completamente superata, angosce appartenenti all’ambivalenza e alla colpa così come le situazioni di perdita sono sempre presenti e riattivano le esperienze depressive. Se il bambino è riuscito a creare un buon oggetto interno, le situazioni di angoscia depressiva non porteranno a malattia, ma ad una produttiva elaborazione, che porterà ad ulteriore arricchimento e creatività.

Klein M., 1969.

I fattori esterni possono essere dovuti a deprivazioni fisiche o mentali che impediscono la gratificazione.

Segal H., 1975.

Klein M., 1969.

Klein M., 1969, pp.17.

L’invidia di cui parla è quella primaria, cioè quella verso il seno materno e va distinta dalle manifestazioni successive. Queste ultime non sono più concentrate sul seno, ma sulla madre che riceve il pene del padre, che ha dentro di sé i figli, che da loro luce ed è in grado di nutrirli. Questa invidia secondarie può essere legata, ad esempio, al desiderio di prendere il posto della madre.

Segal H., 1975, pp.68.

Klein M., 1969.

Segal H., 1975, pp.69.

Klein M., 1969.

Segali H., 1975.

Klein M., 1969, pp.20.

Ibidem.

I conflitti e i desideri di superarli sono un elemento importante per lo sviluppo della creatività (Klein M., 1969).

Klein M., 1969.

La gratitudine ha le sue radici nei primissimi stadi dell’infanzia, quando la madre è il primo e solo oggetto per il neonato.

Klein M., 1969.

La fiducia nel seno buono dipende dalla capacità del neonato di investire la libido sul primo oggetto esterno, creando così un oggetto buono che ama e protegge il Sé e che viene amato e protetto dal Sé. Questa è la base per il formarsi della fiducia nella propria bontà.

Klein M., 1969, pp.32.

Segal H., 1975.

Segal H., 1975, pp.89.

Bion aveva delineato i caratteri dell’identificazione proiettiva patologica.

Questi pezzetti sono stati definiti da Bion oggetti bizzarri.

Segal H., 1975.

Ibidem.

Desiderio di svuotare il seno materno o il corpo della madre, desiderio di distruggere i suoi figli o di mettere cattivi escrementi in lei.

Klein M., 1969, pp.24.

Secondo la Klein il bisogno del paziente di svalutare il lavoro terapeutico quando si è dimostrato proficuo è la tipica manifestazione d’invidia presente nel paziente. La critica distruttiva è tipica dei pazienti paranoidi, mentre in altri pazienti essa può rimanere inespressa o inconscia.

Klein M., 1969.

Klein M., 1969, pp.39.

Klein M., 1969.

Klein M., 1969, pp.45.

Ibidem.

Klein M., 1969, pp.58.

 

 

 

 

 

 

Capitolo 2

Disturbo borderline e il disturbo narcisistico di personalità.

 

 

 

 

"… nell’Io persistono immagini del Sé primitive, non realistiche, estremamente contradditorie nelle loro caratteristiche, che impediscono lo sviluppo di un concetto integrato del Sé; non potendo essere integrate, le immagini oggettuali impediscono inoltre una valutazione più realistica degli oggetti esterni."

Otto Kernberg, Sindromi marginali e narcisismo patologico

 

 

 

2.1 Disturbo borderline di personalità

Per un inquadramento e definizione del disturbo borderline di personalità ci si può rifare ai seguenti criteri indicati dal DSM-IV:

Una modalità pervasiva di instabilità delle relazioni interpersonali, dell’immagine di Sé, dell’umore e marcata impulsività, comparse nella prima età adulta e presente in vari contesti come indicato da 5 o più dei seguenti elementi:

sforzi disperati di evitare un reale o immaginario abbandono;

relazioni interpersonali intense e instabili, caratterizzate dall’alternarsi di iperidealizzazione e svalutazione;

alterazione d’identità: immagine di Sé instabile;

impulsività in almeno due aree dannose per il soggetto, quali spendere, sesso, abuso di sostanze, guida spericolata, abbuffate;

minacce, gesti o comportamenti suicidiari o automutilanti;

instabilità affettiva dovuta a una marcata reattività dell’umore (disforia, irritabilità, ansia che durano poche ore o raramente pochi giorni);

sentimenti cronici di vuoto;

rabbia immotivata o intensa o difficoltà a controllarla (eccessi di ira, scontri fisici);

ideazione paranoide o gravi sintomi dissociativi transitori o legati allo stress.

Intorno alla fine degli anni ’30 i clinici cominciarono a descrivere pazienti che non erano così gravi da essere etichettati come schizofrenici ma che erano decisamente troppo disturbati per un trattamento psicoanalitico classico (1).

Diversi autori cercarono di classificare questo gruppo di pazienti. Robert Knight si focalizzò su numerose alterazioni nel funzionamento dell’Io, come l’incapacità di programmare realisticamente, l’incapacità di difendersi contro gli impulsi primitivi e la predominanza del processo primario su quello secondario. Grinker e collaboratori introdussero un certo rigore diagnostico indicandone 4 sottogruppi:

versante psicotico: caratterizzato da comportamento inappropriato, problemi nell’esame di realtà, nel senso d’identità e rabbia apertamente espressa;

nucleo della sindrome borderline: caratterizzato da affettività negativa, inconsistente identità, volubile coinvolgimento con gli altri;

gruppo "come-se": caratterizzato da tendenza ad imitare gli altri e comportamento più adattivo;

versante nevrotico: caratterizzato da depressione anaclitica, ansia, aspetti nevrotici e narcisisti.

Grinker e collaboratori tentarono, inoltre, di identificare i denominatori comuni che comparivano indipendentemente dal sottotipo, individuando 4 caratteristiche centrali:

rabbia come affetto principale o esclusivo;

difficoltà nelle relazioni interpersonali;

assenza di consistente identità del Sé;

depressione pervasiva.

Gunderson e collaboratori, focalizzandosi su criteri diagnostici descrittivi, identificarono una serie di caratteristiche chiave fra cui il fatto che tali pazienti si consumavano nel tentativo di stabilire relazioni diadiche esclusive in cui non vi fosse il rischio di abbandono. Una volta raggiunta l’intimità, si attivavano due tipologie di ansie:

paura di essere fagocitati dall’altro e di perdere la propria identità all’interno di questa relazione fusionale;

angoscia che sconfina nel panico all’idea di poter essere abbandonati. Per prevenire tale solitudine possono arrivare a fare gesti autolesivi o suicidiari (ad esempio tagliarsi i polsi) nella speranza di venire salvati dalla persona a cui si sentono legati (2).

 

 

2.2 Organizzazione di personalità caso al limite e Kernberg

Kernberg cercò di descrive i pazienti borderline da una prospettiva psicoanalitica, servendosi di una serie di approcci basati sulla psicologia dell’Io e sulla teoria delle relazioni oggettuali. Coniò l’espressione organizzazione borderline di personalità per delineare un gruppo di pazienti che presentano le stesse caratteristiche: debolezza dell’Io, operazioni primitive difensive e relazioni oggettuali problematiche (3).

Ricollegò eziologia e patogenesi del disturbo con lo schema evolutivo della Margaret Mahler, sostenendo che i pazienti borderline superano la fase simbiotica, tanto da poter distinguere il Sé dall’oggetto, per fermarsi alla fase di separazione-individuazione. Il momento cruciale di questa crisi evolutiva, secondo Kernberg, è nella sottofase di riavvicinamento, tra il 16° e il 30° mese di vita. In questa fase il bambino teme che la madre scompaia. I pazienti borderline sono persone che rivivono continuamente una crisi infantile precoce in cui temono che i tentativi di separarsi dalla figura materna ne provocheranno la scomparsa. L’individuo, dunque, è incapace di tollerare periodi di solitudine e ha paura di essere abbandonato dalle figure significative (4).

Una conseguenza della fissazione alla fase di riavvicinamento è la mancanza della costanza dell’oggetto tipica dei pazienti borderline. Questi bambini nel corso della fase di separazione-individuazione sono incapaci di integrare aspetti buoni e cattivi di se stessi e della madre. Si creano, dunque, delle immagini contraddittorie che vengono tenute separate della scissione, così che la madre e il Sé oscillano tra l’essere totalmente buoni o totalmente cattivi. Gli individui borderline non raggiungeranno la costanza dell’oggetto che gli permetterebbe una visione della madre e del Sé come oggetti interi. Questi pazienti alternativamente possono introiettare gli oggetti cattivi e ciò li fa sentire privi di valore e degni di disprezzo oppure proiettarli all’esterno e allora si sentono alla mercé di persecutori malvagi (5).

Secondo Kernberg i fattori eziologici di tale organizzazione di personalità sono dovuti ad una eccessiva aggressività primaria o secondaria. L’aggressività primaria è dovuta a fattori di origine costituzionali associati a carenze degli apparati primari dell’Io e ad un’incapacità a sopportare l’angoscia. L’aggressività secondaria può essere dovuta a gravi frustrazioni subite durante l’infanzia. L’aggressività pregenitale e soprattutto quella orale riveste un ruolo fondamentale in questa patologia. In tali pazienti è molto frequente una storia di intense frustrazioni nei primi anni di vita. Questa aggressività pregenitale, secondo Kernberg, viene proiettata sulle figure genitoriali, causando una distorsione paranoide di queste. La madre, a causa di proiezioni sadico-orali e sadico-anali, viene ritenuta fonte di potenziale pericolo (6).

L’autore sottolinea che i pazienti con un’organizzazione della personalità caso al limite presentano una serie di sintomi che potrebbero sembrare, ad un’analisi superficiale, tipicamente nevrotici. Nessun sintomo è patognomico, ma la presenza di almeno tre fra quelli che elenca, costituisce un elemento valido per sospettare la presenza di un disturbo borderline (7).

Sintomi fondamentali indicati da Kernberg sono i seguenti:

Angoscia. Sostiene che questi pazienti tendono a presentare un’angoscia cronica, libera e fluttuante.

Nevrosi polisintomatica caratterizzata da due o più dei seguenti sintomi: a) fobie multiple, che implicano gravi restrizioni della vita quotidiana, come ad esempio paura di arrossire, di parlare in pubblico, di animali, di temporali, dello sporco; b) sintomi ossessivi, caratterizzati da pensieri o atti assurdi, dai quali il paziente vorrebbe liberarsi, ma che tende anche a razionalizzare; c) sintomi di conversione multipli; d) reazioni dissociative, stati crepuscolari isterici, fughe o amnesie; e) ipocondria, caratterizzata da un quadro di preoccupazione per la salute e una paura cronica per la malattia.

Tendenze sessuali perverse polimorfe. Sono pazienti che presentano una deviazione sessuale manifesta entro la quale coesistono diverse tendenze perverse. Ad esempio, pazienti omosessuali che si esibiscono alle donne oppure pazienti con promiscuità omosessuali e eterosessuali con elementi sadici. Kernberg non fa rientrare in questa categoria pazienti la cui vita genitale è incentrata su una deviazione sessuale stabile. Nei pazienti con organizzazione borderline di personalità sono frequenti fantasie e azioni perverse caotiche e multiple che richiamano a relazioni oggettuali instabili.

Strutture classiche della personalità pre-psicotica. Queste comprendono: a) personalità paranoide; b) personalità schizoide; c) personalità ipomaniacale.

Nevrosi impulsiva e tossicomania. Questo quadro è caratterizzato da pazienti che presentano esplosioni croniche, ripetitive di coazioni che soddisfano bisogni pulsionali, caratterizzati da episodi dominati dall’impulso. Possono presentare alcoolismo, tossicomania, obesità e cleptomania.

Kernberg ritiene che alla base delle personalità narcisistiche, infantili, antisociali, masochistiche, ciclotimiche, schizoide e paranoide vi fosse una sottostante organizzazione borderline di personalità (8). Ritiene che una diagnosi debba fondarsi su un’analisi strutturale che comprende 4 caratteristiche fondamentali, che sono:

Manifestazioni non specifiche di debolezza dell’Io.

Comprende tre caratteristiche quali: a) incapacità a controllare l’angoscia; b) incapacità di controllare gli impulsi, che si manifesta con impulsività imprevedibile, intermittente, prodotta da un aumento dell’angoscia; c) mancanza di sbocchi sublimarori sviluppati. "Il godimento creativo e la realizzazione creativa sono gli aspetti principali della capacità di sublimazione; potranno essere i migliori indici della misura in cui è disponibile una sfera dell’Io libera da conflitti: la loro assenza, perciò, è un indice importante di debolezza dell’Io" (9).

Scivolamento verso processi di pensiero di tipo primario. Questi pazienti tendono a regredire ad un pensiero similpsicotico, a causa di una regressione non specifica dell’Io.

Meccanismi di difesa specifici.

Scissione: vi è una divisione fra oggetti buoni e oggetti cattivi, che inizialmente è dovuta ad una mancata capacità integrativa dell’Io (10), successivamente viene usata in chiave difensiva per bloccare l’angoscia e proteggere il nucleo dell’Io costituito attorno a introiezioni positive. La scissione, secondo Kernberg, è la causa fondamentale della debolezza dell’Io, che ha come conseguenza la presenza di atteggiamenti e comportamenti contraddittori, accompagnati da una blanda negazione. Altre conseguenze dirette della scissione sono la perdita del controllo degli impulsi, la separazione di oggetti esterni in totalmente positivi o totalmente negativi e la presenza di immagini di Sé contraddittorie che coesistono.

Idealizzazione primitiva. Comporta la tendenza a considerare totalmente buoni gli oggetti esterni, in modo da assicurarsi che possano proteggere dagli oggetti cattivi che originano dall’aggressività del paziente o da quella proiettata sugli altri. Questo meccanismo di difesa crea immagini dell’oggetto non realistiche, potenti e totalmente positive, il che influisce negativamente anche sullo sviluppo dell’ideale dell’Io e del Super-io. In questo caso i pazienti non presentano un reale interesse nei confronti dell’oggetto, ma un bisogno dell’oggetto come protezione contro il mondo circostante formato da oggetti pericolosi. Un’altra funzione dell’idealizzazione è quella di permettere un’identificazione onnipotente con l’oggetto, per soddisfare bisogni narcisistici e difendersi dall’aggressività.

Proiezione e Identificazione proiettiva. La prima difesa viene utilizzata per espellere le immagini del Sé e dell’oggetto aggressive e negative. La seconda è caratterizzata da una mancanza di differenziazione fra Sé e l’oggetto. Le rappresentazioni di Sé o dell’oggetto scisse sono proiettate negli altri nel tentativo di controllarli.

Negazione. Il paziente tende ad avere pensieri, percezioni e sentimenti su di Sé e sugli altri completamente antitetici, ma questo non ha alcun effetto emotivo, né influisce sul suo modo di sentire. La negazione si può anche manifestare come semplice disinteresse per un settore della propria esperienza soggettiva o del proprio mondo esterno.

Onnipotenza e svalutazione. Entrambi le difese originano dall’identificazione con un oggetto buono, idealizzato e potente, come protezione da cattivi oggetti persecutori. "Non esiste una dipendenza reale nel senso di amore e interesse per l’oggetto ideale. A livello più profondo la persona idealizzata viene trattata in modo possessivo, spietato, come un’estensione del paziente stesso" (11). La svalutazione degli oggetti esterni è in parte derivata dall’onnipotenza; se un oggetto non fornisce più protezione o soddisfazione, viene abbandonato, perché non è mai esistito un vero amore nei suoi confronti. La svalutazione può anche essere il risultato di un desiderio di distruzione dell'oggetto che ha deluso i bisogni del paziente (soprattutto la sua avidità orale). La svalutazione può essere chiamata in causa, anche, per impedire agli oggetti temuti e odiati di diventare persecutori (12).

Relazioni oggettuali interiorizzate patologiche.

A causa della scissione gli oggetti vengono suddivisi in totalmente buoni e totalmente cattivi. Le introiezioni positive e negative non vengono integrate e il paziente non può raggiungere la specifica disposizione affettiva rappresentata dalla capacità dell’Io di sperimentare depressione, preoccupazione, colpa e interesse per gli oggetti. Le loro reazioni depressive assumono forme primitive di furia impotente e sentimenti di sconfitta, mentre manca il lutto per la perdita di oggetti buoni e il rammarico per l’aggressività verso se stessi e gli altri.

La presenza di una separazione tra oggetti buoni e cattivi, che è impossibile integrare, ostacola la struttura del Super-io. I precursori primitivi di questa istanza di natura sadica, che rappresentano oggetti cattivi interiorizzati connessi a conflitti pregenitali, sono troppo travolgenti per essere sopportati e vengono proiettati sotto forma di oggetti esterni cattivi. Le immagini oggettuali sovraidealizzati e le immagini del Sé completamente positive creano ideali fantastici di potere, di grandezza, di perfezione e non creano finalità realistiche che si produrrebbero con una integrazione del Super-io (13).

Nell’Io vi sono immagini del Sé primitive, non realistiche, estremamente contradditorie nelle loro caratteristiche, che impediscono lo sviluppo di un concetto integrato del Sé; non potendo essere integrate, le immagini impediscono una valutazione più realistica dell’oggetto esterno. "Una proiezione costante di immagini del Sé e dell’oggetto completamente negative perpetua un mondo di oggetti pericolosi, minacciosi, contro i quali le immagini del Sé completamente buone vengono usate in chiave difensiva, il che porta alla costruzione di immagini ipertrofiche del Sé ideale" (14). Nel paziente bordeline, secondo Kernberg, viene preservata una delimitazione fra Sé e oggetto grazie ai confini dell’Io sufficienti a consentire un adattamento pratico, immediato alle esigenze della realtà. Queste immagini non integrate del Sé e dell’oggetto impediscono uno sviluppo completo del Super-io, per cui non è possibile un’interiorizzazione più profonda delle richieste della realtà, in particolare di quella sociale.

E’ evidente che questi pazienti hanno problemi nell’approfondire le relazioni interpersonali a causa dell’incapacità di provare veramente empatia verso un’altra persona, è tipica "… la distorsione non realistica operata nei confronti degli altri e la protettiva superficialità delle loro relazioni emotive" (15). La superficialità delle reazioni emotive, inoltre, dipende dall’incapacità di provare colpa e di approfondire le relazioni, di conseguenza manca la consapevolezza e l’interesse verso gli altri. Il bisogno di manipolare gli altri corrisponde al bisogno difensivo di mantenere il controllo sull’ambiente per prevenire paure primitive, quali quelle paranoidi che scaturiscono dalla proiezione di impulsi aggressivi relativi al Sé e all’oggetto.

All’apparenza tali pazienti potranno apparire e sentirsi insicuri, inferiori e incerti riguardo alle proprie capacità e ai rapporti con gli altri, ma a livello più profondo, tali sentimenti nascondono strutture difensive. Spesso sotto questo strato superficiale d’incertezza e d’insicurezza si trovano fantasie di onnipotenza e un ottimismo basato sulla negazione, che derivano dall’identificazione del soggetto con immagini primitive del Sé e dell’oggetto totalmente buone (Questo è un aspetto del paziente borderline, definito da Kernberg, come narcisistico).

Interessante è la distinzione precisa che Kernberg fa tra psicosi, caso al limite e nevrosi:

 

PSICOSI

BORDERLINE

NEVROSI

Sviluppo dell’Io

Grave carenza

Migliore

Forte

Confini dell’Io

Assenti

Saldi in tutte le aree intepersonali, ma presentano una sindrome da dispersione dell’identità

Delimitazione netta, con sviluppo di un’identità stabile

Immagini del Sé e dell’oggetto

Indifferenziate

Differenziate

Completa separazione

 

 

 

2.3 Disturbo narcisistico di personalità

Per un inquadramento e definizione del disturbo narcisitico di personalità ci si può rifare ai seguenti criteri indicati dal DSM-IV:

Quadro pervasivo di grandiosità, necessità d’ammirazione e mancanza d’empatia, che compare nell’età adulta ed è presente in vari contesti, come indicato da 5 o più dei seguenti elementi:

ha un senso di grandiosa importanza (ad es. esagera talenti);

è assorbito da fantasie di illimitato successo, potere, fascino, bellezza, ecc…;

crede di essere speciale e unico;

richiede eccessiva ammirazione;

ha la sensazione che tutto gli sia dovuto, cioè si aspetta trattamenti di favore o la soddisfazione immediata delle proprie aspettative;

sfruttamento interpersonale, cioè si approfitta degli altri per i propri scopi;

manca di empatia: è incapace di riconoscere i sentimenti e le necessità degli altri;

è spesso invidioso e crede che gli altri lo invidino;

mostra comportamenti arroganti e presuntuosi.

Kohut in "Narcisismo e analisi del Sé" descrive il paziente narcisista con i seguenti tratti sintomatici:

sensazioni di vuoto e di depressione, che vengono alleviate non appena si stabilisce un transfert e s’intensificano invece quando il rapporto con l’analista è disturbato;

mancanza di entusiasmo sul lavoro, che lo porta a cercare attività di routine a causa di assenza d’iniziativa. Inibizioni nel campo lavorativo e sociale che gli causano incapacità nello stabilire e mantenere rapporti significativi;

esaurimento dell’Io, che deve impegnare la proprie forze contro le pretese irrealistiche dei un Sé grandioso arcaico o contro il desiderio di una fonte esterna di potente autostima e di altri forme di sostegno emotivo in campo narcisistico;

incapacità a regolare l’autostima e a mantenerla a livelli normali. Il paziente oscilla da sensazioni di grandiosità angosciosa ed eccitamento a imbarazzo, timidezza, grave vergogna, tristezza e ipocondria;

mancanza di senso dell’umorismo, mancanza di empatia verso i bisogni e i sentimenti altrui, mancanza di senso delle proporzioni, tendenza ad attacchi di collera e abitudine alla menzogna;

paura di perdita dell’oggetto o dell’amore oggettuale.

Una caratteristica tipica di tali sintomi, che non si ritrova in soggetti affetti da psicosi o negli stati al limite, è la transitorietà. I sintomi, infatti, possono sparire improvvisamente e il paziente può sentirsi improvvisamente vivo e felice per un periodo e poi essere seguiti rapidamente da un senso cronico di abbattimento e passività. "Un rifiuto, una mancanza d’approvazione attesa, l’assenza d’interesse da parte dell’ambiente nei suoi confronti, e altre esperienze simili riprodurranno subito lo stato di svuotamento precedente" (16).

 

2.4 Il disturbo narcisistico di personalità dal punto di vista di Kernberg

Kernberg descrive i pazienti con disturbo narcisistico di personalità come soggetti con un inconsueto riferimento al Sé nelle interazioni con gli altri, un gran bisogno di essere amati, ammirati e una contraddizione fra un concetto molto elevato di Sé e un bisogno sproporzionato di riconoscimento da parte degli altri. I tratti principali di queste personalità sono il senso di grandiosità, la tendenza ad incentrare tutto su di sé, assenza d’interesse ed empatia verso gli altri, pur essendo estremamente desiderosi di ammirazione e approvazione. Provano un’intensa invidia verso coloro che possiedono ciò che loro non hanno o verso chi si gode la vita.

La vita emotiva di tali soggetti è superficiale, non sono in grado di provare empatia verso gli altri e il piacere nella loro vita è limitato agli apprezzamenti che ricevono dal prossimo e alle fantasie di grandezza. Sono pazienti che mancano di profondità emotiva, carenti di sentimenti quali malinconia, rimpianto e lutto; l’incapacità di provare depressione è un tratto fondamentale di tale personalità (17).

Invidiano gli altri, tendono ad idealizzare le persone da cui si aspettano rifornimenti narcisistici e a svalutare e disprezzare gli altri. Il rapporto con le presone è chiaramente confinato allo sfruttamento, al controllo e al comportamento parassitario, non accompagnato da senso di colpa. La facciata che tali pazienti mostrano al mondo è spesso affascinante e interessante, ma dietro questa si avverte freddezza e durezza (18).

Secondo Kernberg questi tratti tesi verso il controllo altrui e l’automagnificarsi sono una difesa contro tratti paraonidi connessi alla proiezione di collera orale, che è l’elemento centrale della loro patologia. Superficialmente le loro relazioni oggettuali sembrano adeguate; ma ad un livello profondo, sono primitive, interiorizzate, molto intense e spaventose. Il problema fondamentale è dato dall’incapacità di dipendere da oggetti buoni interiorizzati. La personalità antisociale è un sottogruppo di tale disturbo, anche se presenta a differenza di questo una grave patologia del Super-io.

Secondo Kernberg nel delineare l’origine della patologia narcisista è difficile valutare in quale misura sia responsabile un’aggressività orale di origine costituzionale, oppure un’incapacità a tollerare l’angoscia anch’essa costituzionale, rispetto ad impulsi aggressivi o gravi frustrazioni subite nei primi anni di vita.

Dai casi clinici trattati dall’autore emerge una figura parentale, di solito la madre che funziona apparentemente bene, ma che presenta durezza, indifferenza e aggressività non verbalizzata. "Quando l’intensa frustrazione orale e il risentimento e l’aggressione relativi si sono sviluppati nel bambino all’interno di questo ambiente, si pongono le prime condizioni perché insorga in lui il bisogno di difendersi da odio e invidia estremi" (19). Molte madri di pazienti narcisisti mettono in mostra ed espongono ad ammirazione il figlio come un oggetto; questi pazienti spesso sono figli unici o considerati come l’unico figlio brillante o quello che dovrà realizzare le aspirazioni famigliari.

I pazienti con disturbo narcisistico di personalità tendono ad alternare forti sentimenti d’insicurezza e inferiorità a sentimenti di grandezza e onnipotenza. Il loro funzionamento sociale in apparenza è efficace, ma alla base il paziente presenta contraddizioni estreme nel concetto di Sé, che è prova di una grave patologia dell’Io e del Super-io. L’organizzazione difensiva di tale personalità è analoga all’organizzazione borderline: entrambi i disturbi presentano scissione, negazione, identificazione proiettiva, onnipotenza, idealizzazione. Mostrano, inoltre, l’aspetto intenso e primitivo dei conflitti orali-aggressivi tipici dei pazienti borderline. Quello che distingue i due disturbi è il funzionamento sociale relativamente buono, la capacità di lavorare attivamente, il controllo degli impulsi e la capacità di pseudosublimare dei pazienti narcisisti. Molti di questi pazienti potranno sembrare creativi all’apparenza, ma nell’arco del tempo riveleranno superficialità ed incostanza, mancanza di profondità che alla lunga rivela il vuoto sottostante. I pazienti narcisisti sono in grado di controllarsi in situazioni ansiogene, ma il controllo dell’angoscia viene ottenuta accrescendo le fantasie narcisitiche e ritirandosi nell’isolamento, che non riflette una capacità autentica di venire a patti con una realtà disturbante (20).

Secondo Kernberg il Sé dei pazienti narcisisti è altamente patologico ed è costituito da una fusione di immagini interiorizzate del Sé e dell’oggetto. In particolare si produce nel soggetto una fusione fra Sé ideale, oggetto ideale e Sé reale come difesa contro una realtà intollerabile, che porta ad una svalutazione e distruzione di immagini oggettuali oltre che di oggetti esterni. I residui di immagini inaccettabili del Sé vengono rimossi e proiettati su oggetti esterni che vengono svalutati.

Il processo di idealizzazione non è realistico ed impedisce l’integrazione del Super-io con l’Io, creando una tensione. Tutto ciò impedisce una integrazione delle immagini idealizzate con le reali richieste parentali e i precursori del Super-io determinati aggressivamente. Inoltre, le immagini attuali del Sé, appartenenti alla struttura dell’Io, vengono condensate patologicamente come precursori del Super-io, e per questo motivo impediscono la normale differenziazione tra Io e Super-io. Alcune componenti del Super-io, come le richieste parentali, vengono interiorizzate, ma mantengono una qualità distorta, primitiva e aggressiva, perché non sono integrate con gli aspetti affettuosi del Super-io ricavati normalmente dalle immagini ideali del Sé e dell’oggetto e mancanti invece in questi pazienti (21).

Essendo così scarsa l’integrazione del Super-io con altri precursori, il Super-io aggressivo e primitivo viene riproiettato sottoforma di proiezioni paranoidi (22). Ciò porta tali pazienti a legarsi superficialmente con persone che vengono idealizzate e che si rivelano regolarmente proiezioni dei propri concetti esaltati del Sé. Tali oggetti esterni talvolta sembrano investiti di grandi e pericolosi poteri, poiché il paziente vi proietta le caratteristiche primitive del Super-io e della propria natura di sfruttatore. Tali pazienti pur non dando prova di comportamenti antisociali, si ritengono furbi e capaci di comportamenti antisociali. Inoltre considerano anche gli altri disonesti e indegni di fiducia. Verso gli altri hanno un atteggiamento di svalutazione e sfruttamento, quando ne hanno tratto tutto quello che avevano bisogno se ne liberano, oppure hanno un senso di timore, poiché gli altri possono attaccarlo, sfruttarlo e costringerlo a sottomettersi loro. Contemporaneamente l’immagine del Sé è vuota, affamata, infuriata e alimentata da una collera impotente per la frustrazione che subisce e timorosa di un mondo che sembra odioso e assetato di vendetta come lui.

Nel trattamento di tali pazienti emerge chiaramente che la persona ammirata è un’estensione di se stessi. L’idealizzazione è una difesa contro l’invidia e contro processi di svalutazione. Quest’ultima però distrugge la speranza di ricevere qualcosa di buono e di poter stabilire un rapporto d’amore e di soddisfacimento. Se si sentono respinti, provano odio e paura, e reagiscono svalutando la persona che prima idealizzavano. "In breve, non esiste nessun reale coinvolgimento con la persona ammirata, che viene usata in chiave semplicemente narcisistica" (23). Tali pazienti idealizzano l’analista e sono convinti che sia il più bravo del mondo e contemporaneamente si ritengono l’unico loro paziente.

Le personalità narcisiste ripetono nel transfert verso l’analista i primi processi di svalutazione di oggetti esterni significativi, che difendono dai conflitti prodotti da collera e invidia orale. Hanno bisogno di distruggere le fonti d’amore e soddisfacimento per non sentire l’invidia e la collera, che di solito viene proiettata. Contemporaneamente si ritirano nel Sé grandioso, rappresentato da una fusione delle immagini idealizzate delle figure parentali e delle immagini idealizzate del Sé, che creano gravi danni alle relazioni oggettuali. I processi di svalutazione che si presentano sottoforma di delusioni nella traslazione ripetono emozioni vissute nell’infanzia verso le figure parentali, mentre "il Sé grandioso realizza la condensazione patologica di componenti aventi origine dalle relazioni oggettuali che riflettono questi conflitti" (24).

Un’altra difesa utilizzata da tali pazienti è l’identificazione proiettiva che opera quando il paziente proietta sull’analista il Sé grandioso e cerca, poi, di esercitare un controllo sull’analista per evitare che questi emerga come un oggetto indipendente ed autonomo.

Le difese narcisistiche del carattere (idealizzazione, svalutazione, identificazione proiettiva e ritiro narcisistico) difendono il paziente non solo dall’intensità delle proprie emozioni negative (collera e invidia), ma anche dalla convinzione di essere indegno, dall’immagine di un mondo privo d’amore e di nutrimento e dal concepire se stesso come un essere solitario costretto ad uccidere per sopravvivere. Tutte queste paure riemergono in un trattamento analitico, quando il paziente comincia a dipendere dall’analista. Il paziente teme la sua invidia verso l’analista e non sa se il bisogno d’amore sopravviverà agli attacchi aggressivi verso di lui.

Nei pazienti meno disorganizzati e con un Io relativamente forte, si riscontra un atteggiamento paranoie, con sentimenti di vuoto e di collera. A un livello ancora meno regredito, l’immagine del Sé di tali soggetti rivela una persona vuota, priva di valore, immiserita che si sente esclusa e divorata dall’invidia nei confronti di coloro che hanno cibo, felicità e gloria.

Il timore più grande di questi pazienti è quello di dipendere da qualcuno, perché la dipendenza significa odio, invidia ed esposizione al pericolo di essere sfruttati, maltrattati e frustrati. Nel corso di un trattamento terapeutico si preoccupano soprattutto di erigere difese contro il pericolo di poter dipendere dal terapeuta, per evitare di rivivere questa situazione minacciosa già vissuta nella prima infanzia. In questi pazienti i sentimenti predominanti di vuoto e noia sono collegati al blocco avvenuto allo sviluppo dell’Io, che a sua volta è collegato all’incapacità di provare depressione per aver perso un oggetto buono o una parte idealizzata di sé stessi. Quest’ultima capacità è un presupposto fondamentale per lo sviluppo emotivo e per l’ampliarsi e l’approfondirsi dei sentimenti. I narcisisti hanno bisogno di svalutare qualsiasi cosa ricevano per evitare di provare invidia. Hanno tanto bisogno degli altri, ma sono incapaci di riconoscere quello che viene loro dato e di provare gratitudine, perché ciò gli farebbe sperimentare l’invidia (25).

I pazienti narcisisti si nascondono sotto un’apparente distanza e non coinvolgimento, che rappresenta anche una resistenza al trattamento di sentimenti attivi di svalutazione, disprezzo e deterioramento. L’annullamento di queste resistenze fa emergere pensieri paranoidi, sospetto, odio e invidia. Quando i pazienti, dopo anni di trattamento, diventano consapevoli della propria aggressività e sviluppano verso l’analista un interesse più umano, con conseguenti sentimenti di colpa e depressione, sono sulla buona strada per una possibile guarigione.

In questi pazienti le immagini oggettuali idealizzate che normalmente verrebbero integrate nell’ideale dell’Io e nel Super-io, vengono condensate nel concetto di Sé e vanno a formare così il Sé grandioso. Di conseguenza viene a mancare una normale integrazione del Super-io e i confini dell’Io e del Super-io si annebbiano. Gli aspetti inaccettabili del Sé reale vengono dissociati e rimossi, contemporaneamente gli oggetti esterni subiscono un’ampia svalutazione. Il mondo intrapsichico di tali pazienti è popolato soltanto dal loro Sé grandioso, da immagini svalutate del Sé e degli altri, da precursori sadici e non integrati del Super-io, oltre a immagini primitive e distorte sulle quali è stato proiettato un intenso sadismo. "La conseguenza finale e più decisiva dell’instaurarsi del Sé grandioso è la frantumazione della normale polarità fra immagini del Sé e dell’oggetto che hanno fatto parte delle unità interiorizzate che fissano e riproducono relazioni soddisfacenti con gli altri" (26).

Il Sé grandioso:

consente la negazione della dipendenza dagli altri;

protegge l’individuo dalla collera e dall’invidia narcisistica;

crea i presupposti per una persistente svalutazione degli altri;

e contribuisce a formare gli investimenti narcisistici e oggettuali futuri.

Per tutti questi motivi, Kernberg, non considera il narcisismo patologico semplicemente una fissazione a livello narcisistico normale (27). I pazienti con personalità narcisista non possono sopportare di migliorare, perché se ciò avviene devono ammettere di essere stati aiutati. In più non possono sopportare l’idea di ricevere qualcosa di buono dall’analista a causa della colpa che provano per la propria aggressività orale e perché ciò li farebbe sentire dipendenti.

Secondo Kernberg la via della guarigione per questi pazienti prevede un percorso lungo. Bisogna elaborare sistematicamente l’organizzazione difensiva facendo affiorare i conflitti orali primitivi. Il paziente proietta sull’analista e sulle altre persone significative della sua vita la paura e l’odio intensi che prova verso la madre vissuta come pericolosa e aggressiva. A un certo punto raggiungerà la consapevolezza che il timore di essere aggredito rappresenta una proiezione della propria aggressività, collegata alla rabbia causata dalle frustrazioni che lei gli ha inflitto. Nel profondo il paziente cova un amore disperato verso una madre che accorrerebbe in suo aiuto. Nel transfert verso l’analista l’amore per tale madre ideale deve incontrarsi con l’odio per la madre pericolosa, e il paziente deve giungere alla consapevolezza che "la temuta madre-analista è in realtà un tutt’uno con la madre analista ammirata e desiderata" (28).

In questo momento il paziente affronterà una situazione emotiva molto difficile: deve riconoscere gli aspetti realisticamente positivi dell’analista (madre nel transfert) precedentemente svalutati e sopportare il crescente senso di colpa legato all’aggressività provata nei confronti dell’analista e di tutte le persone significative della sua vita. Avrà la sensazione di aver distrutto coloro che lo amavano e che avrebbe potuto amare. Mano a mano che il paziente elabora questo conflitto, nella fase decisiva della sua analisi riuscirà a riconoscere l’analista come una persona indipendente verso la quale provare amore e gratitudine (29).

 

 

Note

Gabbard G., 2002.

Ibidem

Kerngerg O., 1978.

Gabbard G., 2002.

Ibidem.

Kerngerg O., 1978.

Ibidem.

Kernberg O., 1978.

Kernberg O., 1978, pp.47-48.

La scissione viene usata soltanto in uno stadio precoce dell’Io, durante il primo anno di vita. Nei soggetti sani viene rapidamente sostituito da meccanismi di difesa più evoluti come rimozione, formazione reattiva, isolamento, che proteggono l’Io da conflitti intrapsichici, respingendo dall’Io un derivato pulsionale o una rappresentazione ideativi.

Kernberg O., 1978, pp.50.

Kenberg O., 1978.

Ibidem.

Kenberg O., 1978, pp.61.

Kenberg O., 1978, pp.60.

Kohut H., 1971, pp.26.

Se abbandonati o delusi dagli altri mostrano un’apparente depressione, che in realtà è rabbia e risentimento associato a desideri di vendetta, mentre è assente un reale sentimento di tristezza.

Kernberg O., 1978.

Kernberg O., 1978, pp.242-243.

Kernberg O., 1978.

Ibidem.

Secondo Kernberg, la natura primitiva e aggressiva del Super-io di tali pazienti è dovuto all’intensa qualità orale aggressiva delle loro fissazioni.

Kenberg O., 1978, pp.244.

Kenberg O., 1978, pp.282.

Kenberg O., 1978.

Kernberg O., 1978, pp.288.

Il narcisismo normale ha origine dall’investimento lipidico di una immagine di Sé e dell’oggetto indifferenziata all’origine, da cui successivamente si sviluppano immagini del Sé e dell’oggetto investite libidicamente.

Kernberg O., 1978, pp.265.

Kernberg O., 1978.

Capitolo 3

Il fegato.

 

 

 

"Umido e caldo, come la foresta tropicale: così alcuni descrivono il fegato. Umido perché intriso di succhi e sangue; caldo, per l’energia sprigionata dalle innumerevoli reazioni che svolge: è una centrale biochimica, il cui lavoro garantisce benessere all’intero organismo. Si evidenzia la rilevanza del suo ruolo già dal nome, spesso dedotto dal termine vita: è liver in inglese, Liben in tedesco."

Lina Suglia, Un ambiente da proteggere

 

 

3.1 Definizione e aspetti generali del fegato

Il fegato è uno degli organi più importanti e più complessi dell’organismo umano. E’ un organo voluminoso e rappresenta la ghiandola più grossa del corpo umano. E’ situato in alto e a destra della cavità addominale, subito sotto al diaframma. Il fegato è suddiviso in 4 lobi; è rivestito da un involucro di tessuto connettivo, detta capsula di Glisson, la quale forma dei setti che penetrano all’interno suddividendolo in numerose formazioni denominate lobuli epatici. In un soggetto adulto pesa circa 1,5 Kg ed è un organo sovradimensionato, nel senso che se ne vengono asportati tre quarti, la parte restante riesce a svolgere tutte le funzioni in modo soddisfacente (1).

Il fegato è connesso all’intestino e in quest’ultimo riversa i suoi secreti. Riceve sangue proveniente dallo stomaco, dall’intestino e dalla milza attraverso la vena porta e sangue dalla circolazione arteriosa per la via dell’arteria epatica. Il fegato è dunque una specie di filtro attraverso il quale passa il sangue proveniente dall’intestino, carico di tutte le sostanze assorbite e il sangue della circolazione generale carico di prodotti del metabolismo dei vari distretti dell’organismo. Una volta filtrato dal fegato il sangue ritorna alla circolazione generale (2).

Il fegato inizia a differenziarsi verso la 4°, 5° settimana di vita e il suo accrescimento è abnorme rispetto agli organi addominali, infatti, alla nascita occupa circa la metà dalla cavità addominale e solo successivamente diminuisce proporzionalmente di volume (3).

L’unità fondamentale del tessuto epatico è il lobulo epatico, che ha la forma di una piramide tronca ed è irrorato da una vena chiamata vena centrolobulare. Le cellule epatiche, dette epatociti, sono orientati verso la vena e alternati ad essi si trova una fitta rete di capillari, detti sinusoidi epatici. Il fegato contiene anche dei grossi macrofagi, le cellule di Kupffer, preposti alla difesa dello stesso organo, con la funzione di eliminare batteri eventualmente presenti nel sangue provenienti dall’intestino (4).

Il fegato è riccamente vascolarizzato; e vi sono due tipi di vasi: alcuni a funzione trofica, cioè nutritizia, che portano ossigeno e nutrimento alle cellule epatiche, altri funzionali, cioè che portano sostanze da elaborare (5).

Il fegato oltre ad essere percorso dai vasi sanguigni è percorso anche dai dotti della bile, che rappresentano la secrezione delle cellule epatiche indispensabili per la digestione. La bile viene raccolta nei dotti biliari che partono dai lobuli e confluiscono nel dotto epatico che arriva alla cistifellea. Quest’ultima è una piccola sacca per il deposito della bile, situata ventralmente al fegato. E’ importante che la bile giunga nel duodeno (una delle due parti dell’intestino tenue) nel momento giusto e nella quantità giusta. La bile è un liquido verdastro, poiché contiene i prodotti di degradazione dell’emoglobina (bilirubina) (6).

Le componenti fondamentali per la digestione sono: gli ioni bicarbonato che contribuiscono insieme a quelli provenienti dal pancreas a neutralizzare il ph duodenale, e gli acidi colici, che provvedono all’emulsione dei grassi.

"Il fegato è il laboratorio biochimico più importante del nostro corpo" e "rappresenta il più importante centro di elaborazione di sostanze alimentari dopo il loro assorbimento" (7). Contribuisce alla formazione di nuova emoglobina, poiché controlla il metabolismo del ferro, alla degradazione con formazione dei pigmenti biliari ed alla disintossicazione, grazie agli epatociti nei confronti di sostante ingerite che potrebbero essere dannose.

Le sue funzioni sono disparate e si può dire che contribuisca all’economia generale dell’organismo, intervenendo attivamente:

nel metabolismo del glucosio, lipidico e protidico;

producendo numerosi fattori della coagulazione;

regolando il ricambio di ferro e rame;

mantenendo costante l’equilibrio acido-base e idroelettrolitico del corpo umano.

Riassumendo le varie funzioni del fegato, possiamo indicarle come segue.

Funzione glicogeno-sintetica e glicogenolitica. Ha come protagonista il glucosio presente nel sangue e derivante dalla digestione intestinale dei carboidrati. Il glucosio subisce ad opera del fegato un processo di polimerizzazione che conduce alla formazione del glicogeno, che come tale viene accumulato ed immagazzinato nel fegato. In altre parole il fegato sintetizza il glicogeno a partire da molecole di zucchero più semplici (glucosio, ecc…) e lo immagazzina quale sostanza energetica di riserva. Non appena i bisogni dell’organismo lo richiedono il glicogeno epatico si scinde nuovamente, restituendo le molecole di glucosio che erano state precedentemente accumulate. Il glucosio è quindi pronto per essere inviato a vari distretti dell’organismo che ne ricavano energia necessaria al proprio funzionamento. I muscoli durante il loro lavoro consumano costantemente glucosio, abbassandone la quantità nel sangue, il glicogeno epatico viene scisso in glucosio che passa nel sangue in una quantità tale da mantenere la glicemia costante.

Funzione proteino sintetica. Questa volta i protagonisti sono gli aminoacidi provenienti dalla digestione dalle proteine alimentari. A partire da queste il fegato sintetizza nuove proteine, le albumine, regolatrice dell’equilibrio idroelettrico e il fibrogeno che entra nella costituzione del coagulo del sangue.

Funzione biligenetica ed emocateretica. Come già abbiamo visto la bile prodotta dal fegato ha un ruolo fondamentale nella digestione dei grassi, prima emulsionandoli e poi favorendone il loro assorbimento intestinale. La bile è un liquido giallo-oro, di sapore amaro che viene convogliato dai dotti biliali (epatico, cistico, coledoco) nella porzione più alta dell’intestino (duodeno). Essa è la secrezione esterna del fegato e contiene colesterina, pigmenti e sali biliari. Un fegato sano produce mezzo litro e più di bile al giorno: una parte di essa viene convogliata subito nel duodeno, il resto si raccoglie in una vescichetta (cistifellea) annessa ai canali biliari, che funge da serbatoio della bile. Questa funzione digestiva prende parte alla digestione dei grassi, che avviene nel duodeno, facilitandone l’assorbimento.

All’interno dei sinusoidi epatici e ad opera delle cellule di Kupffer avviene la distribuzione dei globuli rossi giunti al termine del loro ciclo vitale. La cellula epatica utilizza l’ematina, ovvero il nucleo ferroso dell’emoglobina. L’ematina a sua volta viene scissa in ferro libero, che è dal fegato immagazzinato e messo a disposizione dell’organismo all’occorrenza e in biliverdina che è il pigmento biliare.

Funzione detossificante. Consiste nella inattivazione di molti veleni organici ed inorganici pervenuti in circolo e di diversa origine (intestino, scorie, farmaci, alcol etilico, nicotina, ecc…). A tale scopo la cellula epatica provvede attraverso processi di secrezione (con la bile) o di trasformazione in sostanze inerti. Il fegato, dunque, svolge una funzione di disintossicazione e di protezione contro sostanze di origine endogena ed esogena.

Altre funzioni. A quelle suddette ne vanno aggiunte altre che rivestono un ruolo essenziale nell’economia dell’organismo. Il fegato infatti:

riveste un ruolo importante nei fattori di coagulazione (protrombina);

interviene attivamente nel mantenimento dell’equilibrio acido-base (produzione di urea); immagazzina e cede attivamente le vitamine di origine alimentare, in special modo le vitamine A, D, K (quest’ultima è necessaria per la sintesi della protrombina), B12, il ferro e altre sostanze necessarie alla formazione e rigenerazione del sangue;

è attivo nel metabolismo del ferro e del rame ed esplica anche funzione antinfettiva;

è una delle sedi della produzione di calore del corpo unitamente alla termogenesi del brivido (8).

 

 

3.2 La centrale biochimica dell’organismo

"Umido e caldo, come la foresta tropicale: così alcuni descrivono il fegato. Umido perché intriso di succhi e sangue; caldo, per l’energia sprigionata dalle innumerevoli reazioni che svolge: è una centrale biochimica, il cui lavoro garantisce benessere all’intero organismo. Si evidenzia la rilevanza del suo ruolo già dal nome, spesso dedotto dal termine vita: è Liver in inglese, Liben in tedesco" (9). I Russi utilizzano una parola derivata da "petschen", la stufa, perché è l’elemento centrale nelle loro case, attorno a cui si raccoglie l’intera famiglia, ma anche in riferimento alle sue attività caloriche: è un fuoco che modifica e purifica quanto accoglie. Per i cinesi questa ghiandola è un generale che organizza piani per la salute dell’intero individuo: non solo fisica, ma anche psichica. Le funzioni del fegato sono molteplici e può essere visto come un grande trasformatore metabolico. La stagione a cui viene associato dalla medicina orientale è la primavera, poiché assicura all’individuo l’efficienza e il vigore della giovinezza.

L’occidente vi pone la sede simbolica di qualità come coraggio e la forza, per cui solo alcuni uomini "hanno il fegato" per compiere alcune prodezze, ma anche qualità come ira, rancore e invidia che conduce certi uomini fino a "mangiarsi il fegato".

Abbiamo visto, nel paragrafo precedente, come tale ghiandola sia la più voluminosa del corpo umano e come svolga funzioni determinanti per la sopravvivenza umana. In diverse lingue il suo nome fa riferimento alla parola "vita" per il vigore che lo caratterizza, al punto di essere in grado di funzionare anche quando oltre i ¾ delle sue cellule sono compromesse. Le funzioni di tale organo possono essere riviste, attraverso le seguenti metafore, come:

una spugna intrisa di liquidi.

Ha una forma quasi conica e la sua composizione al microscopio rivela una struttura complessa e ordinata paragonabile ad un alveare, perché composta da elementi che in sezione appaiono quasi esagonali: centomila lobuli, organizzati intorno a microvasi sanguigni, affiancati da correnti che lo attraversano in entrata e in uscita e costituiscono più del 70% del suo tessuto;

una dogana tra digestione e circolo.

Una parte del flusso sanguigno che attraversa il fegato arriva dall’arteria epatica, l’altra arriva dall’intestino attraverso la vena porta: è sangue ricco di elementi nutritivi introdotti con i cibi, che qui incontrano una tappa fondamentale. Prima della distribuzione ai diversi tessuti, devono, infatti, essere resi compatibili con l’utilizzo cellulare. Il fegato è un punto strategico tra l’apparato digerente e la circolazione, poiché esamina ed elabora le sostanze in arrivo, ne decide il destino, le trasforma e le abbina a proteine che le conducono a destinazione. Se durante tale attività questo organo incontra prodotti di scarto provenienti dagli alimenti (es. urea, azotati), dal metabolismo ormonale, dall’assunzione di farmaci, o tossine derivanti da processi infettivi, li neutralizza modificandone la struttura chimica e li elimina tramite l’urina o la bile;

uno stacanovista.

Il fegato è come una officina alchemica che opera instancabilmente, ad una temperatura superiore a quella del resto dell’organismo: "il lavoro di continua trasformazione prevede oltre cinquemila tipi di reazioni biochimiche, attraverso le quali le cellule del fegato (epatociti) producono bile, determinante per la digestione intestinale dei grassi, e regolano il livello della maggior parte delle sostanze presenti nel sangue" (10). Oltre a sintetizzare il colesterolo, il metabolismo epatico costruisce le proteine che: in parte, sono adibite al trasporto di varie molecole; in parte, hanno compiti specifici: dall’albumina (che regola lo scambio d’acqua tra sangue e tessuti, ai fattori di coagulazione, dalla globina costituente dell’emoglobina, molecola per il trasporto dell’ossigeno), al fattore complemento (che combatte i micorganismi);

il granaio dell’organismo.

La medicina tradizionale cinese descrive il fegato come un granaio, in cui sono conservate tutte le energie dell’organismo. La nostra medicina riconosce a tale ghiandola un’importante funzione di stoccaggio: del ferro e delle vitamine (il 90% di quelle del gruppo A e del gruppo B); degli zuccheri, poiché immagazzina glucosio sottoforma di glicogeno (glicogenesi notturna), pronto a demolire (glicogenesi diurna) questa scorta energetica a sostegno dell’attività cellulare.

A ciò si aggiunge il controllo del sangue: non solo, come si è visto, per l’aspetto qualitativo della sua composizione, ma anche per quello quantitativo del volume circolante: questa sede lo trattiene durante il riposo e lo rilascia per il lavoro muscolare (11).

La medicina tradizionale cinese attribuisce al fegato qualità distensive che lo accomunano a elementi quali il legno. Ad essi è riconducibile tutto ciò che evoca l’inizio, per quanto riguarda l’anno la primavera e la stagione delle gemme.

Diverse piante vengono utilizzare per intervenire sulla funzionalità del fegato come amari e digestivi tipici carciofo, cicoria e tarassaco, come depurativi al cambio stagionale, oltre che come veri e propri rimedi. "Il fegato è spesso descritto come l'alchimista dell’organismo per l’infaticabile opera di selezione, trasformazione e coniugazione delle molecole che vi approdano attraverso il torrente ematico" (12).

In tutte le culture è radicata e diffusa la percezione di un legame biunivoco tra fegato e stato d’animo soggettivo: collerici rossi di rabbia o biliosi gialli o verdi d’invidia. L’individuo fegatoso o sfegatato ricorda molto le caratteristiche di Prometeo: pieno di propositi e di entusiasmo, ma al primo ostacolo diventa furente, ha un travaso di bile, che monta agli occhi e annebbia la vista, invadendo distretti che la medicina cinese considera vie d’uscita del fegato, da cui esplode l’aggressività. Altri, al contrario, non trovano nemmeno il coraggio di affrontare rischi e conflitti: "mancano di fegato" o "non hanno fegato", se lo rodono dalla frustrazione, sono tormentati dal dubbio, o astiosi e lividi di rancore. Quindi fegato e cistifellea svolgono anche attività psichiche e condizionano le forze a disposizione dell’organismo. Il parallelo di queste attività psichiche si ritrova nelle funzioni metaboliche e digestive del fegato. La digestione è un processo lento e articolato, il cui corretto svolgimento richiede l’efficienza e la coordinazione di tutti gli organi di questo apparato: dallo stomaco, al fegato, alla cistifellea, al pancreas esocrino e all’intestino. Tutti sono coinvolti in un’attività corale, scandita dal ritmo di peristalsi e secrezioni, che assicurano agli alimenti accoglienza in un ambiente equilibrato (stato delle mucose, ph, flore batteriche, ecc…) idoneo alla demolizione delle macromolecole, all’assorbimento dei nutrienti e all’eliminazione delle scorie.

Il ruolo del fegato è essenziale: coinvolgendo la cistifellea che rilascia nell’intestino tenue la bile prodotta a livello epatico è indispensabile alla scissione, assorbimento e digestione dei grassi e determinante insieme alle secrezioni pancreatiche esocrine, per regolare le condizioni dell’ambiente intestinale e della flora microbica che lo popola. Una disfunzione del fegato, per quanto lieve, sovverte la coordinazione di questi distretti e gli equilibri delle loro funzioni. A livello dei quadri clinici tipici di alterazioni epatiche possiamo trovare: astenia e anergia associate ad infezioni tendenti alla cronicizzazione oppure aggressività ed ansia legate ad intolleranze alimentari. Il fegato della tradizione cinese è l’organo della potenza del movimento: moto del sangue, dei muscoli e delle energie. Una sua pur lieve difficoltà nel tempo si esprime con uno stato svogliato e indolente di intossicazione: stanchezza, saporaccio in bocca e occhiaie oppure digestione lenta, pesantezza, sensazione di pieno alla pancia, vuoto alla testa, torpore e sonnolenza post-prandiale (13).

Schema delle funzioni del fegato:

Funzioni del fegato

 

Problematiche connesse

Funzione biligenetica (produzione di bile)

Funzione emuntoriale

Riguarda fegato, cistifellea e coinvolge intestino, rene e pelle.

Serve per l’eliminazione di ormoni, tossine, farmaci, ecc…

Calcoli biliari

Calcoli renali

Problematiche della pelle collegate a dismetabolia

Iperuricemia

Funzione biligenetica (produzione di bile)

Funzione digestiva

Coinvolge fegato, cistifellea e pancreas esocrino

Cattiva digestione

Alterazioni della funzionalità intestinale (secrezione, motilità)

Alterazione della flora batterica intestinale

Funzioni metaboliche

Metabolismo degli zuccheri (funzione glicogenetica), dei grassi e delle proteine

Ipercolesterolemia

Ipertrigliceridemia

Problematiche cardiovascolari (ipertensione)

Sovrappeso, con associati disordini metabolici

Iperuricemia, gotta

Altre funzioni

Deposito di vitamine A, B12, Fe

Serbatoio di riserva di sangue

Sintesi di fattori di coagulazione

Modulazione della risposta immunitaria

Recettività alle infezioni e tendenza alla cronicizzazione

Intolleranze alimentari, allergie

 

 

3.3 Il fegato: fra mito e fantasia d’organo.

Uno psicoanalista junghiano che si è occupato di psicosomatica e in particolare di fantasie epatiche è Chiozza. Critica la teoria freudiana di tipo energetico relativa all’inconscio a favore di una teoria linguistica dove il rapporto tra corpo e mente è simile al rapporto tra la parola e il suo significato. Emozione e corpo sono tra loro legate come significato e significante. La fantasia d’organo, riassumendo entrambe, è il loro punto di convergenza che si trova nell'inconscio. Secondo Chiozza l’organo ha un linguaggio nel senso che parla. Ribadisce alcuni concetti psicoanalitico freudiani partendo dal concetto che il corpo si esprime con un suo linguaggio attraverso una fantasia che rimarrebbe muta in qualunque altro modo. In questo modo i contenuti psicologici sono visti come una fantasia inconscia che esteriorizza attraverso il sintomo ciò che non riesce a fare attraverso la coscienza.

Secondo Chiozza un processo corporeo costituisce una fonte somatica di "… una fantasia inconscia propria e particolare, specifica, riguardo a quella struttura o processo". Per questo sostiene che "la struttura o processo corporeo e la fantasia inconscia specifica relativa sono la medesima cosa da due punti di vista diversi" (14). Riprendendo Weizaecker afferma che tutto ciò che è corporeo possiede un significato psicologico e tutto lo psichico ha un correlato corporeo, cioè che l’esistenza stessa di un fenomeno somatico sia dotata di significato e che l’esistenza di un evento psichico possieda un aspetto corporeo. Perciò sostiene che il flusso della bile attraverso il coledoco è da considerarsi "… una fantasia inconscia specifica, composta da un affetto, un’idea, un meccanismo, un’intenzione ugualmente specifici, per la cui denominazione" appare adeguato utilizzare "la parola invidia come quella più adatta al suo significato. Inversamente l’invidia come significato, come sentimento, come impulso o come attività dell’Io possiede un aspetto o corrispondente corporeo che, tra tutte le rappresentazioni…, sembra avere il riscontro più esauriente con quelle che configurano l’insieme che chiamiamo processo biliare" (15).

Secondo Chiozza l’insieme di tutto quello che chiamiamo corpo (includendo la forma, la funzione, lo sviluppo e i disturbi) è una fantasia, per la maggior parte inconscia, composta da numerose fantasie specifiche che solo artificialmente possono essere separate dal tutto. "Così come la fantasia costituisce una realtà materiale e corporea specifica, la realtà materiale (sia <<biologica>> o <<fisica>>) costituisce una fantasia specifica" (16).

Partendo dal concetto freudiano proposto nei "Tre saggi sulla teoria sessuale" per cui tutta la superficie corporea e tutti gli organi possono fungere da zona erogena, Chiozza afferma dell’esistenza di una zona erogena epatica. Chiozza sostiene che si possa parlare sia di fantasie orali e anali che di fantasie epatiche oppure oral-digestive, poiché in accordo con Freud parla di linguaggio d’organo. "La scelta d’organo attraverso il quale di esprime un determinato disturbo è governata dagli stessi principi che determinano la scelta di qualsiasi altra rappresentazione" (17).

Nel testo "Corpo, affetto e linguaggio" Chiozza si occupa di ricercare quelle fantasie contenute nell’epatico che possono essere considerate specifiche, cioè dotate di qualità che si possono dire proprie del fegato come struttura psicocorporea. Afferma che l’ittero è un’inconfondibile esteriorizzazione organica dell’invidia inconscia, cioè un equivalente di essa, ma sotto un’altra forma. Il sintomo somatico è il risultato di una repressione che impedisce lo sviluppo specifico di tale affetto. "L’idea inconscia che continua ad essere attuale e che costituisce di per sé una predisposizione all’invidia, ha manifestato la sua efficacia mediante un processo diverso. … Il processo in questione costituisce una trasformazione dell’invidia. Per dirla più precisamente, che costituisce l’effetto di un’idea inconscia che avrebbe potuto, in condizioni differenti, esteriorizzarsi come invidia" (18).

Il fegato è un organo che ha grande importanza a causa delle svariate funzioni che assolve. Varia nei diversi momenti dello sviluppo acquisendo il suo valore più alto durante il periodo fetale dell’evoluzione biologica individuale, periodo durante il quale occupa quasi tutto l’addome e il suo volume rispetto al corpo è tre volte maggiore di quello dell’adulto (19).

Sottolinea l’importanza di simboli universali, indicandoli come rappresentazioni particolarmente adatte a ricevere su di sé determinate fantasie inconsce. Quest’ultime sono ripetutamente utilizzate e divengono uno strumento di comunicazione attraverso il linguaggio. Freud parlava dell’esistenza di sogni tipici e di simboli universali addentrandosi nello studio di fantasie di base di cui si può trovare l’esempio più importante nel complesso edipico. Abraham e Rank dichiarava esplicitamente che miti e leggende si potevano considerare come sogni tipici dell’umanità essendo costituiti da simboli con un elevato grado di universalità.

Nella denominazione di melanconia si utilizza fin dall’antichità una parola che segnala un’alterazione epatica, poiché il contenuto inconscio di tale malattia si trova in relazione con quest’organo. "L’acido e l’agro sono legati al gastrico come fantasia per mezzo della loro relazione con l’organo digestivo, il velenoso e l’amaro sono vincolati all’epatico per mezzo della loro relazione con la bile" (20). Galeno (131/211 d.C.), che segnò il sapere medico fino all’epoca moderna e che utilizzò la teoria umorale ippocratica, crea un sistema in cui distingue:

parti solide;

quattro umori: 1) la pituita o linfa, dove predomina l’acqua, è bianca, fredda e umida; 2) la bile, dove predomina il fuoco, è gialla, calda e secca; 3) atrabile o bile nera, dove predomina la terra, è un liquido nero, freddo e secco; 4) il sangue, rosso, caldo e umido, dove predomina l’aria;

tre tipi di spiriti o pneuma, che sono l’essenza della vita: 1) pneuma fhysicon che contiene facoltà naturali che risiedono nel fegato e presiede alla nutrizione, alla crescita e alla generazione; 2) neuma sooricon che presiede alla facoltà vitale che risiede nel cuore e comunica calore e vita; 3) neuma psychicon che presiede alla facoltà anima che risiede nel cervello dove ha sede la ragione.

Secondo Galeno l’equilibrio tra spiriti e umori genera i 4 temperamenti: sanguigno, flemmatico, bilioso e melanconico, che rappresentano una predisposizione alla malattia e derivano da una combinazione dei 4 umori. Se tra i quattro umori c’è equilibrio, si dà la salute, se c’è la prevalenza di uno sull’altro si crea lo squilibrio con tendenza alla malattia. Oltre alla malattia la prevalenza di un umore determina un determinato temperamento. Il bilioso o collerico è caratterizzato dalla prevalenza della bile gialla. E’ un individuo che persegue con determinazione i propri obiettivi, ma soffre eccessi comportamentali, mancando di riflessività (21).

La parola "amarillo" in spagnolo significa giallo e deriva dal latino amarus, che significa amaro. Amarillo veniva applicato al pallore di quelle persone che soffrivano d’itterizia, essendo una malattia causata dall’alterazione della secrezione biliare o dell’umor amaro. Il fatto che qualcosa di fondamentale nel complesso delle categorie sensoriali come uno dei tre colori primari, abbia acquisito la denominazione da una malattia epatica, invita a riflettere sul carattere di base di tali fantasie.

L’invidia e la gelosia, nel linguaggio, sono molto frequentemente associate ai colori giallo e verde e con l’ittero. Nel linguaggio dei fiori la rosa gialla è associata al tema della gelosia. In Inglese si utilizza la stessa parola jaundice, che deriva dal francese jaune (giallo) sia per denominare l’ittero che per riferirsi ad uno stato patologico caratterizzato da gelosia, invidia, malizia e diffidenza.

Attraverso il linguaggio d’organo, i disturbi epatici si arrogano la rappresentazione dell’alterazione di affetti legati all’invidia, perché il contenuto inconscio dell’invidia si trova in stretta relazione con i processi epatici.

La bile è un umore amaro, che secreto dal fegato, fluisce attraverso le vie biliari e in parte si accumula nella cistifellea. Secondo Chiozza, questo è un meccanismo psicocorporeo di espulsione velenosa diverso da quello anale o uretrale, che può essere associato al concetto di invidia. Si può pensare ad una analogia sul piano psicologico inconscio ad un meccanismo di ritenzione, di stasi, di accumulo di veleno.

Abbiamo visto come la bile elabora gli alimenti ed interviene nella digestione dei grassi, che Chiozza definisce come esterna, in quanto non si verifica all’interno dei tessuti, ma nell’intestino. Parallelamente l’invidiare dovrebbe includere un funzionamento mentale che consiste nello sbriciolare o analizzare un oggetto dal di fuori, cioè prima di incorporarlo (22).

L’invidia non è solo negativa, ma presenta un aspetto positivo che nel dizionario è definito come desiderio onesto, oppure appetito di ciò che è lecito; in francese la parola envie si riferisce un desiderio pressante. Questo costituisce, secondo me, l’aspetto propulsivo ed evolutivo dell’invida che spinge a lottare per ottenere ciò che non si ha e che si invidia nell’altro.

L’invidia per Chiozza non è soltanto un affetto che evita l’introspezione o che deriva da una introiezione indiscriminata come sostiene la Klein, quando afferma che l’invidia impedisce una buona dissociazione tra buono e cattivo, ma è anche un duplica meccanismo di difesa poiché da un lato è il tentativo di sminuzzare da fuori ciò che si teme di incorporare intatto, dall’altro è una forma di distruzione dello stimolo non maneggiabile che provoca il risentimento della carenza.

Chiozza riporta quanto scritto da Freud nel 1931 a proposito del fegato. Freud lo riteneva la sede delle passioni e simbolicamente lo paragonava al fuoco; la sua quotidiana consunzione e rigenerazione descriverebbe l’oscillazione dei desideri amorosi, che soddisfatti quotidianamente, ritornano a rinnovarsi ogni giorno. Chiozza aggiunge a quanto detto il mito di Prometeo, dicendo che fegato e fuoco si uniscono nella rappresentazione delle fantasie inconsce libidiche, inerenti al processo metabolico.

Prometeo è un titano, il cui nome significa colui che vede prima, infatti, possiede il dono della preveggenza. Nel "Prometeo incatenato" di Eschilo, il titano è stato incatenato alla rupe della Scizia per volere di Zeus, da Efesto, dio del fuoco e delle arti, scortato da Kratos e Bia (dominio e violenza). L’immortale è condannato a vivere perennemente esposto al sole; alle intemperie e di giorno un’aquila gli dilania il fegato destinato a rigenerarsi continuamente. Questo supplizio è inflitto dal padre degli Dei a Prometeo come castigo per aver rubato il fuoco agli dei e averlo donato agli uomini. Prometeo, filantropo e amante dell’uomo, con tale gesto fa passare gli uomini dalla vita ferina alla civiltà, donandogli l’astronomia, la scienza dei numeri, la scrittura, l’arte di addomesticare gli animali, la navigazione, la medicina, l’arte divinatoria e quella di forgiare i metalli. Prometeo è visto in questo mito come inventore di tutte le arti e creatore della civiltà. Zeus è visto come un despota mosso dalla smania di potere e dominio che dimentica persino l’antica alleanza che lo legava a Prometeo. Il titano, infatti, gli offerse il suo aiuto a Zeus contro Crono e i Titani stessi. Il mito termina con la liberazione di Prometeo ad opera di Eracle che, grazie al volere di Zeus, con il suo arco ucciderà l’aquila che gli divora il fegato e lo libererà. La sua libertà sarà concessa in cambio della rivelazione del segreto custodito da Prometeo. Quest’ultimo sa che Teti, al cui amore il re degli Dei aspira, è destinata a generare un figlio più potente del padre e in grado di detronizzarlo (23).

Il fuoco rende gli uomini artefici della loro storia e del loro destino, dona loro la luce dell’intelligenza, ma anche la luce che illumina gli occhi e permette la visione, simbolo della coscienza. Prometeo risveglia l’intelligenza nell’uomo, offrendogli l’uso della psiche. Freud, quando parla della sua analisi di Prometeo, vede Zeus come simbolo dell’Es, dell’onnipotente vita istintuale e come simbolo dell’ideale dell’Io. Prometeo è equiparato da Chiozza al principio di realtà e alle funzioni tendenti a materializzare nel mondo esterno le idee. "Il fegato appare come l’organo che assume la rappresentazione di una tortura intimamente vincolata con gli stessi contenuti del mito di Prometeo, tra i quali forse l’essenziale è un intenso processo di materializzazione" (24). "Il fegato assume la rappresentazione totale del processo per mezzo del quale si assimilano e trasformano in carne propria le sostanze aliene che chiamiamo alimenti. Per mezzo dell’intervento di questo processo si ottiene non solo la crescita, ma anche la materializzazione delle forme ereditate e contenute nell’Es "(25).

Secondo Esiodo, Prometeo inganna e deruba Zeus, con un atteggiamento di burla e sfida, infatti, lo fa ridendo. Il titano riveste i panni di un trasgressore e di un anarchico, che preferisce le sue regole a quelle imposte da Zeus (26). Questo aspetto viene definito da Chiozza come maniacale, non solo per l’idea del furto, ma anche per l’identificazione con i contenuti ideali e superegoici. L’onnipotenza dell’eroe si vede nel fatto che sostiene di non temere nulla per il fatto di essere immortale, ma soprattutto nella costante sfida a Zeus che acquista la connotazione di superbia. Utilizza la sua dote della preveggenza per sostenere la sfida, mantenendo il segreto sul nome di colei che avrebbe portato in grembo il bimbo che avrebbe sconfitto Zeus e il suo potere.

Prometeo ha inghiottito la sua rabbia e il suo dolore, e mantiene la sua arroganza grazie alla negazione della sua invidia frustrata, i suoi effetti su Zeus si ritorcono contro di lui e costituiscono la causa inconscia che ogni giorno sopraggiunge, attraverso il becco dell’aquila per rinnovargli il supplizio epatico.

Mediante il suo atteggiamento stoico Prometeo tenta di risvegliare l’invidia di Zeus e dei nemici, che dovevano rallegrarsi vedendolo soffrire. Prometeo tenta di provocare negli altri gli effetti della propria invidia frustrata, latente e inconscia, che rimane negata attraverso la sua arroganza stoica e il furto del fuoco, nonostante quest’ultimo sia la causa del suo supplizio.

Il carattere maniacale di Prometeo che è dato dalla sfida portata avanti contro Zeus è ancora più evidente nella negazione dell’aspetto malinconico abbozzato dalle lacrime e dalla bile, rappresentanti della tristezza e dell’amarezza per il supplizio che è costretto a sopportare in eterno, senza neppure avere il conforto della morte. La negazione dell’invidia lo porta ad inghiottire la bile, riempirsi di amarezza e negare a sua volta la malinconia (bile nera). Davanti a Oceano la negazione di Prometeo contenuta dall’arroganza comincia a sfaldarsi: dichiara apertamente la sua invidia verso Oceano: "Ti invidio, tu sei al riparo da ogni accusa" (27) e prende le distanze da Oceano, consigliandogli di evitare di attirarsi la collera divina: "Ma tu fai attenzione che questo tuo viaggio non ti porti sventura" (28) ""Non vorrei che il tuo compatirmi ti procurasse delle inimicizia… Bada che il tuo cuore non sia mai colto dall’ira" (29). Rifiuta il suo aiuto e lo esorta ad andarsene "Tu certo non manchi di buona volontà; ma non sforzarti: sarà vano lo sforzo e non mi aiuterà… Resta fuori da questa vicenda. Se pure patisco un destino avverso, non per questo desidero che il resto del mondo sia colpito dalla sventura"(30) "Va’, ritorna alle tue sedi" (31). Così facendo Prometeo mostra di non voler essere aiutato da nessuno e di non desiderare di avere un rivale che condivida l’eroismo del suo supplizio.

Con il suo gesto favorisce gli uomini e deride gli Dei. Prometro ricopre il ruolo di mediatore tra mondo umano e mondo divino. Viene incatenato sulla cima della rupe del Caucaso, spazio intermedio tra terra e cielo; il suo fegato è dilaniato da un’aquila, volatile che si trova tra terra e cielo, tutto ciò sembra indicare che il titano sembra trovarsi sempre al centro, privo di una collocazione definita e incapace di aderire ad un partito che non sia il proprio (32).

La melanconia di Prometeo, simbolizzata dal tormento epatico, esprime il processo di identificazione che si realizza a partire dalla perdita dell’oggetto esterno, quando quest’ultimo è stato scelto narcisisticamente. Questa frustrazione acquista nel mito una rappresentazione epatica, poiché l’assenza di un vincolo adeguato con gli oggetti esterni e materiali viene ad essere simbolizzata come deficit nel processo di materializzazione. Prometeo non può rinunciare ai suoi oggetti ideali interni, come il fuoco degli dei che lo trasforma in profeta e gli conferisce fama, e questo tende a compromettere sempre più il legame con l’oggetto esterno. Secondo Freud, il protagonista è afflitto da debolezza dell’Io che lo pone nell’impossibilità di rinunciare al legame con l’ideale che, attraendolo in maniera irresistibile, gli impedisce lo spostamento della libido verso gli oggetti esterni che potrebbero lenire il dolore dei suoi istinti insoddisfatti.

L’aquila inviata da Zeus rappresenta l’impatto dei contenuti ideali associati agli impulsi istintuali, che ogni giorno lacerano il fegato di Prometeo e acquistano carattere superegoico quando il titano, legato al suo tormento, non è capace di deviare l’azione di tali contenuti verso l’esterno. Eracle, che libererà il protagonista dal suo castigo, rappresenta lo stesso Prometeo, il quale, traendo forza dall’Es, scioglie le catene della sua passione avvelenata. La freccia avvelenata di Eracle rappresenta un attacco proiettivo endopsichico con carattere di invidia, in quanto la freccia con cui colpisce l’aquila è avvelenata nella bile dell’Idra di Lerna. In questo caso, mediante l’invidia operante a livello endopsichico, si tenta l’assimilazione nell’Io di quegli oggetti interni e ideali, che rappresentano al tempo stesso qualità preziose e persecutorie. "Così come l’invidia coartata nel suo fluire e nel suo fine, rappresenta nel mito un mondo interno in ristangno malinconico, il disciogliersi dell’invidia costituirebbe la conclusione e la vittoria di un processo di metabolizzazione complesso, drammatizzato attraverso la lotta con Zeus. Prometeo in questo modo rinuncia al suo contatto ideale con l’Es e alla ricchezza che le sue penose sofferenze possono offrire alla sua immagine profetica (33).

L’assimilazione degli oggetti interni ideali tempera la sua passione e rende il titano capace di un vincolo con gli oggetti materiali, dove l’invidia modificata nella sua violenza, acquista il carattere di ambizione realizzabile e di desiderio onesto, mentre la gelosia si trasforma in zelo con il quale si bada all’oggetto amato. Il legame con gli oggetti materiali esterni così ottenuto, offre sicuramente a Prometeo una maggiore capacità di assimilare e deviare l’impatto disorganizzante dei suoi oggetti ideali.

Nell’opera di Eschilo, la liberazione di Prometeo esigeva il sacrificio di un altro Dio: Chirone. Quest’ultimo soffriva di una ferita incurabile inferta sempre da Eracle per errore con una freccia avvelenata nella bile dell’Idra e che accettò di rinunciare alla propria immortalità per discendere all’inferno. Nella figura di Chirone si può vedere il doloroso processo attraverso il quale i contenuti ideali che non hanno potuto essere assimilati nell’Io sono abbandonati, attraverso un processo di lutto. Questo lutto per le parti perdute dell’Io resta simbolizzato dalla figura di Chirone che con la sua ferita incurabile rappresenta l’aspetto irreparabile della passione avvelenata che affligge Prometeo.

Chiozza, come conclusione al suo lavoro sulle fantasie epatiche, sostiene che quando ci troviamo di fronte a un sintomo somatico che interpretiamo come prodotto dell’invidia inconscia, dobbiamo tenere presenti i seguenti punti:

nell’inconscio esiste un’idea o fantasia che, come chiave d’innervazione, costituisce una disposizione potenziale allo sviluppo dell’invidia;

il sintomo somatico costituisce lo sviluppo attuale di tale fantasia inconscia;

il paziente percepisce coscientemente il sintomo e gli attribuisce un significato diverso da quello dell’invidia;

lo psicoanalista che interpreta, utilizza l’invidia che è in grado di sentire per denominare il significato che attribuisce al sintomo somatico inteso come equivalente specifico dell’invidia che non si è manifestata;

il fenomeno somatico attuale va considerato come un fenomeno psichico attuale, che assume la forma di affetti e idee consce la cui connessione con l’invidia rimane inconscia;

il fenomeno somatico acquista per lo psicoanalista la qualità di fenomeno psichico attuale, in quanto viene inteso come equivalente specifico dell’invidia potenziale che non è riuscita a svilupparsi come tale, ma sotto quest’altra forma che denota invidia inconscia o repressa (34).

 

 

Note

Cravetto E., 2007.

Ibidem.

Boroli A., 1977.

Pusceddu M.,

I vasi trofici sono l’arteria epatica, che porta ossigeno e un’altra vena che porta anidride carbonica. I vasi funzionali sono la vena porta che proviene dall’intestino tenue dove ha raccolto le sostanze da elaborare dall’intestino stesso.

Pusceddu M., pp.603.

Ibidem.

Boroli A., 1977.

Suglia S., 2006, pp.1.

Suglia S., 2006, pp.3.

Suglia S., 2006.

Suglia S., 2006, pp.8.

Suglia S., 2006.

Chiozza L., 1976, pp.129.

Chiozza L., 1976, pp.171.

Chiozza L., 1976, pp.237.

Chiozza L., 1976, pp.92.

Chiozza L., 1976, pp.204.

Chiozza L., 1976.

Chiozza L., 1976, pp.96.

Il flemmatico è caratterizzato dalla prevalenza della linfa. E’ un individuo tendente alla pigrizia e alla vita vegetativa, ama mangiare e riposare, mentre disdegna attività con grosso dispendio di energia. Il sanguigno è caratterizzato dalla prevalenza di sangue. E’ un individuo volubile che ama il cambiamento. Il malinconico è caratterizzato dalla presenza della bile nera ed è un individuo che tende a chiudersi in se stesso e con grandi capacità d’introspezione e riflessione. Beauchesne H., 2001.

L’invidia oltre ad essere un sentimento è anche un impulso che acquista la forza di un’azione o di un meccanismo dell’Io: l’invidiare e quindi presuppone la realizzazione di un’azione sull’oggetto.

Eschilo, 1994.

Chiozza L., 1976, pp.104.

Chiozza L., 1976, pp.104-105.

Eschilo, 1994.

Eschilo, 1994, pp.89.

Ibidem.

Eschilo, 1994, pp.91.

Eschilo, 1994, pp.89.

Eschilo, 1994, pp.90.

Eschilo, 1994.

Chiozza L., 1976.

Chiozza L., 1976.

 

Capitolo 4

Ipotesi terapeutiche e considerazioni conclusioni.

 

 

 

 

"… nell’Io persistono immagini del Sé primitive, non realistiche, estremamente contradditorie nelle loro caratteristiche, che impediscono lo sviluppo di un concetto integrato del Sé; non potendo essere integrate, le immagini oggettuali impediscono inoltre una valutazione più realistica degli oggetti esterni."

Otto Kernberg, Sindromi marginali e narcisismo patologico

 

 

 

4.1 Psicoterapia individuale per i pazienti narcisisti: Heinz Kohut

La psicoterapia proposta da Kohut per i pazienti narcisisti dipende dalla sua visione di tali pazienti. Ritiene che siano individui bloccati da un punto di vista evolutivo ad uno stadio in cui hanno bisogno di specifiche risposte dalle persone del loro ambiente per mantenere un Sé coeso. In mancanza di tali risposte tendono alla frammentazione del Sé. Tutto questo è dovuto, secondo Kohut, a fallimenti empatici dei genitori, che non hanno risposto con ammirazione e validazione alle manifestazioni di esibizionismo del bambino, non avendo offerto esperienze gemellari e fornito al bambino un modello degno di idealizzazione (1). I bambini cercano di riconquistare il primitivo legame madre-bambino ricorrendo a due strategie (che costituiscono i due poli del Sé bipolare):

il Sé grandioso nel quale è racchiusa la perfezione e con il quale stabilisce un’immagine grandiosa ed esibizionistica del Sé;

l’imago parentale idealizzata, nella quale la perfezione viene trasferita a un oggetto ammirato e onnipotente: il genitore.

Se le cure genitoriali sono adeguate, il Sé grandioso viene trasformato in sane ambizioni e l’imago parentale idealizzata viene interiorizzata sotto forma di ideali e valori. In condizioni ottimali di sviluppo, infatti, l’esibizionismo e la grandiosità del Sé grandioso arcaico vengono gradualmente attenuati e l’intera struttura viene integrata nella personalità adulta; fornisce il carburante alle nostre ambizioni e ai nostri scopi sintonici dell’Io, al piacere che deriva dalle nostre attività e a importanti aspetti nella nostra autostima. In circostanze altrettanto favorevoli l’imago parentale idealizzata viene integrata nella personalità adulta e introiettata come Super-io idealizzato che ci fornisce la direzione e la guida verso gli ideali (2).

Se vi è una mancata risposta empatica dei genitori si può creare un arresto dello sviluppo e, come accade per i pazienti narcisisti, i soggetti rimangono "… fissati a configurazioni arcaiche del Sé grandioso e/o a oggetti arcaici sopravvalutati e investiti di libido narcisistica" (3). Kohut ritiene che ognuno di noi ha bisogno di risposte di tipo oggetto-Sé da parte di coloro che lo circondano. Noi tutti trattiamo gli altri non come individui separati, ma come fonti di gratificazione e il bisogno della funzione confortante di oggetto-Sé non si esaurisce mai. Il fine del trattamento è però quello di superare il bisogno di oggetti-Sé arcaici e di acquisire la capacità di usare oggetti-Sé più maturi e appropriati.

I pazienti con organizzazione narcisistica di personalità instaurano, durante l’analisi, due tipi di transfert:

1) Il transfert speculare per cui il paziente si rivolge all’analista per ottenere una risposta di conferma e convalida al Sé grandioso-esibizionistico. Una esperienza simile nell’infanzia è il brillio degli occhi della madre come reazione allo sfoggio esibizionismo del suo bambino. Queste risposte sono essenziali perché offrono al bambino un senso di valore del Sé. Quando la madre non riesce a realizzare un contatto empatico con il bisogno del figlio rispetto a tale risposta speculare, il senso del Sé del bambino va in contro a frammentazione e il bambino cercherà di essere perfetto e di esibirsi di fronte al genitore per ottenere approvazione. Allo stesso modo il paziente da adulto si esibirà per il proprio terapeuta nel tentativo disperato di ottenere approvazione e ammirazione instaurando un transfert speculare. La funzione positiva dell’analisi è quella di riattivare questo Sé grandioso all’interno della traslazione speculare e ricondurla progressivamente sotto il controllo dell’Io-realtà. In questo modo il processo della sua modificazione graduale, che era stato traumaticamente interrotto nell’infanzia, può essere ripreso. Un requisito fondamentale per la salute mentale e quindi la guarigione è il riconoscimento graduale delle imperfezioni e dei limiti realistici del Sé, la diminuzione graduale del dominio e del potere delle fantasie grandiose.

Il transfert idealizzante indica una situazione nella quale il paziente vive il terapeuta come se questi fosse un potentissimo genitore la cui presenza risana e consola. Una manifestazione di questo transfert è data dal desiderio di bearsi alla luce riflessa del terapeuta (4). Nell’infanzia il bambino può essere traumatizzato da una madre che non si identifica empaticamente con il bisogno di idealizzarla o che non gli offre un modello degno di essere idealizzato (5). Ciò crea uno squilibrio psicologico del narcisismo primario che porta la psiche a salvare una parte dell’esperienza di perfezione narcisistica perduta e ad attribuirla ad un oggetto-Sé arcaico: l’imago parentale idealizzata. Tutto il potere e la felicità da questo momento risiedono in tale oggetto idealizzato e il bambino si sente vuoto e impotente quando è separato da esso, per questo cerca di mantenere un’unione costante con esso (6).

In analisi il formarsi di un transfert idealizzante, con relativa idealizzazione dell’analista, può permettere al paziente di ritirare gli investimenti narcisistici dall’imago parentale idealizzata rimossa. Questo porta a un rafforzamento della struttura dell’Io dell’analizzando adibita al controllo degli impulsi e anche all’idealizzazione del suo Super-io. Quando la traslazione idealizzante non è disturbata, il paziente si sente integro, salvo, buono e attivo fin quando la sua esperienza del Sé include l’analista idealizzato che egli sente di possedere e su cui sente di esercitare un controllo indiscusso. Dopo aver raggiunto lo stadio di unione narcisistica con un oggetto-Sé arcaico idealizzato, il paziente reagisce con rabbia e abbattimento ad ogni evento che disturba il suo controllo narcisistico dell’imago parentale arcaica, e cioè sull’analista (7).

"Qualsiasi cosa che privi il paziente dell’analista idealizzato crea un disturbo nella sua autostima: egli comincia a sentirsi in letargo, impotente e privo di valore, e se non si aiuta con interpretazioni corrette, concernenti la perdita dell’oggetto-Sé idealizzato, il suo Io ad affrontare lo squilibrio narcisistico, il paziente può … volgersi verso precursori arcaici dell’imago parentale idealizzata, o può abbandonare del tutto questa configurazione e rivolgersi verso stadi arcaici del Sé grandioso mobilitati reattivamente" (8). La natura arcaica della traslazione mette in luce certe esperienze del paziente. E’ importante, secondo Kohut, che l’analista adegui la sua empatia a seconda della regressione narcisista presentata dal paziente. Nonostante il terapeuta intuisca la modalità regressiva dell’interrelazione con l’oggetto arcaico idealizzato non deve tuttavia trascurare un esame attento degli eventi esterni scatenanti o delle interazioni psicologiche specifiche che hanno messo in moto il disturbo dell’equilibrio narcisistico. E’ fondamentale per la buona riuscita del trattamento che il terapeuta adotti un atteggiamento di attesa neutrale e di disponibilità a rispondere empaticamente ai sentimenti del paziente, per evitare che quest’ultimo sperimenti una delusione traumatica nei confronti della capacità empatica da lui precedentemente idealizzata come illimitata (9).

Se il lavoro analitico procede bene, verso la sua conclusione il paziente accresce le sue capacità di sublimazione, mostrando cambiamenti negli atteggiamenti esterni; l’Io dimostra anche nella traslazione di avere acquisito una maggiore capacità di tollerare l’assenza dell’analista e occasionali fallimenti da parte di questi nel raggiungere una comprensione empatica corretta (10).

I pazienti trattati da Kohut sono ambulatoriali ed hanno un funzionamento relativamente buono, con una stima di Sé vulnerabile alle offese e una personalità molto diversa dai pazienti borderline. Questi ultimi, secondo l’autore, non avendo raggiunto una coesione sufficiente del Sé, non sono in grado di essere analizzati. I pazienti narcisisti hanno un Sè normale, solo evolutivamente bloccato: sono come bambini nel corpo di un adulto. Sono pazienti capaci di stabilire traslazioni stabili, che permettono la riattivazione terapeutica di strutture arcaiche, senza il pericolo di una frammentazione determinata da un’ulteriore regressione (11). La rabbia che tali pazienti manifestano è secondaria ad una ferita narcisistica ed è una risposta alla mancanza di gratificazione dei bisogni di idealizzazione e di rispecchiamento da parte dei genitori. Di conseguenza il terapeuta dovrebbe accettare nel setting terapeutico l’idealizzazione come una fase normale dello sviluppo che compensa una struttura psichica mancante (12).

Per Kohut, nel trattamento di tali pazienti, l’empatia risulta essere il punto chiave della tecnica: il terapeuta deve empatizzare con il paziente per cercare di riattivare una fallita relazione genitoriale sforzandosi di andare incontro ai bisogni di affermazione (transfert speculare), di idealizzazione (transfert idealizzante) o di essere come il terapeuta (transfert gemellare). Inoltre l’emergere di questi transfert da oggetto-Sé non dovrebbe essere interpretato prematuramente.

Pur proponendo un approccio più espressivo che supportivo, consigliava di prendere sempre il materiale analitico portato dal paziente in modo diretto e il più vicino possibile all’esperienza del paziente. Bisogna evitare di scavalcare l’esperienza soggettiva consapevole del paziente aggiungendo materiale inconscio che è al di fuori della consapevolezza del paziente. Le interpretazioni relative a motivazioni inconsce faranno solo sentire il paziente colto in fallo, incompreso e pieno di vergogna. Il terapeuta così facendo può tentare di evitare la ripetizione di fallimenti empatici dei genitori.

Kohut ritiene che il paziente abbia sempre ragione: se si sente trascurato o ferito è probabile che l’analista abbia commesso un errore. Secondo l’autore è fondamentale essere sempre sensibili alla vulnerabilità del paziente narcisista nei confronti del senso di vergogna. Sottolinea l’importanza di rilevare l’aspetto positivo dell’esperienza del paziente e i suoi progressi, evitando commenti che possono essere percepiti come critici (13).

Il fine del trattamento psicoanalitico del disturbo narcisistico di personalità, secondo Kohut, è quello di aiutare il paziente a identificare e ricercare oggetti-Sé approppriati.

In analisi le personalità narcisistiche, la cui fissazione concerne il Sé grandioso, a causa delle antiche convinzioni, sono incapaci di chiedere informazioni ed aiuto ad altri e sono incapaci di ammettere una lacuna nella loro conoscenza, in quando si vivono come onniscienti. Spesso ricorrono a bugie che possono essere utilizzate a causa della pressione esercitata dal Sé grandioso, che attribuisce successi grandiosi al Sé del soggetto. Un altro motivo di bugia può essere dovuto al bisogno di un oggetto idealizzato: le bugie servono ad attribuire importanti risultati, grandi ricchezze economiche o intellettuali o un elevato status sociale a un’altra persona che occupa una posizione di leadership nei confronti del paziente.

Grazie ad un adeguato lavoro terapeutico le bugie diventano fantasie, poi progetti ambiziosi e ideali fantastici; infine se l’analisi è conclusa con successo, verranno rimpiazzati da modelli d’azione e da scopi ragionevoli. Nelle fasi di transizione è possibile che il paziente presenti le bugie come fossero scherzi e ciò genera di solito noia o irritazione nel terapeuta. Quest’ultimo può essere portato a richiamare l’Io deviante del paziente a veridicità e realismo. Kohut mette in guardia da questi atteggiamenti critici e da approcci educativi che non sono favorevoli nel trattamento. In alternativa il terapeuta dovrebbe accogliere il comportamento del paziente in modo empatico come un segno di progresso che porta ad un successivo controllo dell’Io sulla pressione esercitata dalle fantasie grandiose.

La riattivazione in analisi del Sé grandioso si verifica sotto le tre seguenti forme, che rappresentano diversi stadi evolutivi del Sé grandioso e si presentano attraverso diverse manifestazioni cliniche:

Fusione arcaica attraverso l’espansione del Sé grandioso. L’analista viene vissuto come un’estensione del Sé grandioso e il paziente si rivolge a lui solo nella misura in cui è diventato il portatore della grandiosità e dell’esibizionismo del suo Sé grandioso. Il rapporto con l’analista è un rapporto d’identità o meglio di fusione simbiotica, in cui l’analista viene vissuto come parte di Sé e l’analizzando si aspetto di poter esercitare un dominio indiscusso su di lui. L’oggetto del transfert non ha alcun carattere di separazione e di conseguenza le elaborazioni del materiale traslativo sono scarse.

Traslazione alteregoica o gemellare. E’ una forma meno arcaica della precedente, in cui l’oggetto investito narcisisticamente è esperito come uguale al Sé grandioso o come molto simile ad esso. La regressione che avviene in terapia fa vivere al paziente il terapeuta come uguale a lui. Il terapeuta diventa il portatore della grandiosità e dell’esibizionismo infantile del paziente. Nella traslazione gemellare non essendoci una identità primaria con l’oggetto, ma una similarità o una uguaglianza, l’elaborazione del materiale associativo è più in evidenza e il paziente riconosce all’oggetto un determinato grado di separazione.

Traslazione speculare in senso stretto. E’ la forma più matura di mobilitazione terapeutica del Sé grandioso, in cui l’analista è vissuto come una persona nettamente separata dall’analizzando. La traslazione speculare è la ristabilizzazione di quella fase evolutiva del Sé grandioso in cui il brillio degli occhi della madre che rispecchia lo sfoggio esibizionistico del bambino e altre forme di risposta empatica materna al piacere esibizionistico del bambino rafforzano la sua autostima e in seguito vengono incanalate in direzione realistica. Come la madre durante questo stadio evolutivo ora l’analista è un oggetto che è importante nella misura in cui è partecipe al piacere narcisistico del bambino e lo rafforza. Nella traslazione speculare la separazione dall’oggetto è più netta e le elaborazioni oggettuali nel materiale associativo sono più abbondanti. L’oggetto è però ancora investito narcisisticamente e l’analizzando si mette in rapporto con esso nella misura in cui contribuisce al mantenimento della sua omeostasi narcisistica.

In tutte e tre le forme l’analista deve svolgere il ruolo di figura intorno a cui si può stabilire una costanza d’oggetto nel campo narcisistico. Con l’aiuto di questo oggetto investito narcisisticamente , il transfert contribuisce al mantenimento della coesione del Sé dell’analizzando. La possibilità dell’analista di dare il suo appoggio è in funzione del fatto che sia in grado di ascoltare, percepire, fare da eco e da specchio e rafforzare le energie psicologiche che mantengono la coesione di questa immagine del Sé, per quanto arcaica e irreale possa essere. Il paziente riceve grande beneficio dalla sensazione che le sue parole, all’interno dell’analisi, vengano ascoltate, ricordate e ricevano una risposta empatica.

La meta dell’analisi è l’inclusione nella personalità adulta di aspetti del Sé grandioso rimossi e non integrati (isolati, scissi e negati) e l’incanalamento delle energie al servizio del settore maturo dell’Io. Quindi l’attività centrale del processo clinico si sviluppa durante la traslazione speculare, quando, superando forti resistenze, il paziente rivela le sue fantasie infantili di grandiosità esibizionistica.

Secondo Kohut l’intervento del terapeuta deve riguarda anche il lavoro interpretativo, non moraleggiante che costituisce un valido mezzo per ampliare la portata dell’Io dell’analizzando attraverso l’insight. Se il processo di elaborazione non subisce interferenze, il Sé grandioso verrà integrato gradualmente nella struttura dell’Io del paziente e l’analizzando riuscirà sempre più a riconoscere l’analista come una persona separata (14).

L’attività dell’analista, secondo Kohut, rientra principalmente nel campo conoscitivo: egli ascolta, cerca di comprendere e interpreta. La sua attenzione fluttuante deve muoversi seguendo il flusso del materiale analitico, mentre si occupa contemporaneamente di analizzare le manifestazioni del Sé grandioso. I bisogni dell’analizzando riguardano richieste di attenzione, di l’ammirazione e di diversi altri tipi di risposte empatiche che rispecchiano e facciano da eco al suo Sé grandioso. Il paziente può reagire con negazioni difensive delle proprie richieste, quando non riceve un’immediata risposta empatica. Se però l’analista comprende che le richieste del Sé grandioso sono adeguate alla fase e che sarebbe sbagliato sottolineare al paziente il suo carattere irrealistico, allora il paziente rivelerà gradualmente gli impulsi e le fantasie del Sé grandioso e potrà iniziare il processo che porta all’integrazione del Sé grandioso nella struttura dell’Io-realtà.

L’analista deve accettare le richieste narcisistiche dell’analizzando manifeste e a volte esageratamente ostentate, non devono essere affrontate con un atteggiamento educativo di proibizione, ma al contrario con un atteggiamento empatico che sottolinei il carattere appropriato alla fase di queste richieste.. "L’analista non dovrebbe cercare di educare il settore grandioso, ma deve concentrare i suoi sforzi sul compito di spiegare le parti scisse della psiche all’Io realtà" (15).

Il paziente spera che le sue fantasie grandiose e le sue richieste esibizionistiche non incontrino la stessa mancanza traumatica di approvazione e di eco a cui furono esposte nell’infanzia. E’ importante che l’analista comunichi al paziente la sua comprensione empatica e la sua accettazione del ruolo da esse svolte nello sviluppo psicologico del paziente e riconosca il bisogno che questi ha di esprimerle.

Se il terapeuta ha atteggiamenti di rifiuto o attua interpretazioni massicce o premature della traslazione, la grandiosità del paziente rimarrà concentrata sul Sé grandioso e il terapeuta verrà sperimentato come estraneo e nemico (e verrà escluso da una partecipazione significativa). Un altro errore può essere dovuto al fatto che le interpretazioni analitiche divengano troppo astratte. Se le interpretazioni dell’analista sono coerenti, realistiche e non critiche, allora il paziente potrà elaborare l’aspetto del suo Sé grandioso scisso. L’Io dovrà, ripetutamente e in piccole dosi, affrontare la delusione di dover riconoscere che le richieste del Sé grandioso sono irrealistiche.

4.2 Un approccio terapeutico differente: Otto Kernberg

Kernberg, nel trattamento dei disturbi narcisistici, propone un approccio significativamente differente rispetto al precedente di Kohut. Le differenze teoriche dei due autori nel modo di concettualizzare lo stesso disturbo possono essere correlate alle differenti popolazioni di pazienti studiati e trattati. Kernberg ha sempre lavorato in ospedale e ha fondato la sua struttura concettuale su pazienti sia ambulatoriali che ricoverati. Le sue descrizioni evidenziano pazienti più primitivi, aggressivi e arroganti con intensa grandiosità che coesiste con la timidezza (16).

Definisce la personalità narcisista come molto simile a quella borderline, anche se molti pazienti hanno un funzionamento dell’Io migliore rispetto al paziente borderline. Definisce il Sé di tali pazienti diverso da quello di un bambino, come una struttura altamente patologica costituita dalla fusione del Sé ideale, del Sé reale e dell’oggetto ideale. Il Sé grandioso è visto come difensivo nei confronti dell’investimento o della dipendenza dagli altri.

Sottolinea l’invidia e l’aggressività come fattori primari, che originano dall’interno, legate al desiderio di distruggere le cose buone altrui. Tali affetti vengono gestiti attraverso la svalutazione e lasciano al paziente una sensazione di vuoto che cerca di colmare con l’ammirazione. Infine considera l’idealizzazione come una difesa contro la rabbia, l’invidia, il disprezzo e la svalutazione (17).

Nonostante le divergenze teoriche e terapeutiche, sia Kernberg che Kohut ritenevano che la psicoanalisi fosse il trattamento elettivo per la maggior parte dei pazienti con disturbo narcistico di personalità. Invidia e avidità non essendo, secondo Kernberg, aspetti di uno sviluppo normale, dovevano essere affrontati ed esaminati in terapia, partendo dal loro impatto sugli altri.

A differenza di Kohut che ha sottolineato il transfert positivo, l’autore sottolinea la necessità di un esame sistematico degli sviluppi sia del transfert positivo come di quello negativo. Ritiene che il terapeuta debba focalizzarsi sull’invidia e sul modo in cui essa impedisce al paziente di ricevere o di riconoscere l’aiuto. Spesso quando i pazienti ricevono qualcosa di positivo dal terapeuta, la loro invidia aumenta poiché ciò genera sentimenti di inadeguatezza e inferiorità rispetto alle capacità di cura e di comprensione del terapeuta (18).

Kernberg riteneva che i pazienti narcisisti fossero i più difficili da trattare, poiché gran parte dei loro sforzi in terapia mirano a far fallire il terapeuta. Il paziente usa difensivamente svalutazione e controllo onnipotente per tenere a distanza lo pscicoterapeuta. Queste manovre difensive devono essere continuamente affrontate. Per far sì che la terapia sia efficace, tali pazienti si devono costantemente confrontare con intensi sentimenti d’invidia verso colui che ha quelle qualità positive che sentono di non avere.

Per Kernberg gli scopi del trattamento includono lo sviluppo della colpa e della preoccupazione nei confronti degli altri, così come l’integrazione dell’idealizzazione e della fiducia con la rabbia e il disprezzo, cioè l’integrazione degli aspetti buoni e cattivi dell’esperienza (19).

 

4.3 Approccio terapeutico al disturbo borderline di personalità

Nel capitolo 2 sono state esposte le caratteristiche strutturali dell’organizzazione borderline di personalità a partire dagli studi di Kernberg. La sua analisi strutturale riguardava principalmente due questioni: 1) la forza dell’Io e i suoi caratteristici meccanismi di difesa; 2) la patologia delle relazioni oggettuali interiorizzate. Rispetto al primo punto il borderline presenta una debolezza dell’Io, caratterizzata soprattutto dall’incapacità di sopportare l’angoscia e di controllare gli impulsi, dall’assenza di sbocchi sublimatori e da difese particolari che conducono questi pazienti a presentare distorsioni nel funzionamento dell’Io e dell’esame di realtà. La scissione, l’idealizzazione, la proiezione, l’identificazione proiettiva, la negazione e l’onnipotenza costituiscono le loro principali difese. Secondo Kernberg, l’annullamento di tali difese può veramente rafforzare l’Io di tali pazienti (20).

Molti dei pazienti con disturbo borderline di personalità non sopportano la regressione all’interno del trattamento terapeutico, non solo a causa della debolezza dell’Io e della tendenza a sviluppare una psicosi da traslazione, ma anche perché la messa in atto dei loro conflitti all’interno del transfert soddisfa i loro bisogni patologici e blocca ogni progresso analitico. La caratteristica più sorprendente delle manifestazioni di traslazione in tali pazienti è l’attivazione prematura di relazioni oggettuali cariche di conflitti, risalenti all’infanzia, nel contesto di stati dell’Io dissociati l’uno dall’altro (21). L’attivazione prematura di stati regrediti dell’Io evidenzia la presenza di relazioni oggettuali interiorizzate patologiche e non metabolizzate, di tipo primitivo e conflittuale.

Kernberg propone per tali pazienti una forma speciale di psicoterapia psicoanalitica che si differenzi sia dal procedimento psicoanalitico classico sia dalla psicoterapia di sostegno (22). Le caratteristiche principali di questa modificazione del procedimento psicoanalitico, proposta da Kernberg, sono:

elaborazione sistematica della traslazione negativa latente e manifesta, grazie all’interazione con il terapeuta e ad un esame sistematico del rapporto del paziente con gli altri;

analisi dei meccanismi di difesa quando s’incontrano nella traslazione negativa;

utilizzazione delle manifestazioni positive del transfert per preservare l’alleanza terapeutica;

incoraggiamento di espressioni più adeguate nella realtà dei conflitti sessuali che presentano una condensazione patologica di aggressività pregenitale e di bisogni genitali, al fine di liberare dall’aggressività pregenitale il potenziale sviluppo genitale maturo.

I pazienti bordeline presentano "un’eccessiva aggressività pregenitale, particolarmente orale" che tendono a proiettare e che determina "la distorsione paranoie delle prime immagini parentali, particolarmente di quelle materne. Attraverso la proiezione di impulsi prevalentemente sadico-orali e anche sadico-anali la madre viene sentita come un pericolo potenziale e l’odio nei suoi confronti si estende a entrambi i genitori quando successivamente vengono esperiti dal bambino come gruppo compatto" (23).

Una volta che abbiano iniziato un trattamento, tali pazienti tentano di difendersi dall’emergere di reazioni di transfert minacciose, primitive e negative, utilizzando quei meccanismi di difesa che hanno condotto alla debolezza dell’Io. Le manifestazioni del transfert possono apparire all’inizio come caotiche. In seguito emergono modelli ripetitivi, che riflettono rappresentazioni primitive del Sé e le relative rappresentazioni oggettuali. Queste affiorano durante l’analisi come paradigmi di traslazione negativa. Inoltre, ciò che più genera problemi durante il trattamento analitico è la relativa incapacità di tali pazienti di scindere il loro Io in una parte che osserva. Ciò deriva dalla debolezza dell’Io e produce una conseguente incapacità di creare un’alleanza terapeutica.

Istaurare un’alleanza con il terapeuta significa sottomettersi a lui, proprio perché viene vissuto come un nemico e tutto ciò riduce ulteriormente la capacità di attivare un Io osservante. Il terapeuta dovrà evitare di mantenere una distanza dalla traslazione negativa latente, tentando di costruire un rapporto terapeutico in un’atmosfera di negazione del transfert negativo. Questo genera relazioni terapeutiche superficiali sotto il profilo emotivo e una sottomissione del paziente a quelle che percepisce come le pretese del terapeuta. Ne consegue che un presupposto importante è l’elaborazione e l’annullamento della traslazione negativa manifesta e latente, che può produrre l’effetto di ampliare l’Io osservante e consolidare l’alleanza terapeutica (24).

La proiezione di immagini di Sé e dell’oggetto, che rappresentano relazioni oggettuali interiorizzate risalenti all’infanzia, generano una confusione tra ciò che è dentro e ciò che è fuori e di conseguenza nel modo in cui il paziente percepisce la sua relazione con il terapeuta. All’interno della relazione, infatti, può vivere un’esperienza spaventosa data dal crollo dei confini dell’Io e di conseguenza da una perdita dell’esame di realtà nel transfert. Così il paziente avrà problemi all’interno del transfert nella distinzione della fantasia dalla realtà, del passato dal presente, degli aspetti proiettivi del terapeuta dal terapeuta reale. A questo punto, secondo Kernberg, si verifica la cosiddetta psicosi di traslazione. Per psicosi di traslazione si intende la perdita dell’esame di realtà e la comparsa di materiale delirante all’interno del transfert che non influisce con il funzionamento del paziente al di fuori della situazione analitica. La psicosi di traslazione rappresenta la riproduzione di relazioni oggettuali inconsce e patologiche del passato e fornisce ulteriori informazione sul paziente.

Un’altra reazione tipica di tali pazienti alla terapia sono gli acting out, cioè il paziente tende ad agire verso il terapeuta piuttosto che riflettere sui propri sentimenti verso di lui. "La messa in atto della traslazione all’interno della relazione terapeutica diventa la resistenza principale a cambiamenti ulteriori; perciò nella situazione di trattamento occorre introdurre i parametri tecnici necessari per controllarla" (25). Un esempio può essere dato dal fatto che il terapeuta prenda fermamente una posizione e la ponga come condizione per il proseguimento della terapia. Ciò aiuta il paziente a differenziare sé stesso dal terapeuta, annullando la confusione provocata dai frequenti scambi di proiezioni di rappresentazioni di Sé e dell’oggetto operati dal paziente.

Per mantenere un contatto emotivo con tali pazienti i terapeuti devono essere in grado di tollerare una regressione in se stessi, il che potrà attivare residui di antichi rapporti conflittuali. Nel terapeuta tenderanno ad emergere impulsi aggressivi, che dovrà controllare e utilizzare per ottenere una migliore comprensione del paziente. In più dovrà fare uno sforzo ulteriore verso la tolleranza e la neutralità e per tollerare la controtraslazione verso il paziente. Tutto ciò è necessario per mantenere un contatto emotivo con lui (26).

All’altro estremo preservare una struttura di trattamento rigida e controllata in modo da bloccare del tutto lo sviluppo della traslazione, facendo così restare nascosto il transfert negativo, può indurre una situazione di stallo nel processo terapeutico, negativa quando la messa in atto non controllata della traslazione.

Kernberg sottolinea che il terapeuta dovrebbe mostrarsi come una persona reale, non intendendo con questo termine che debba soddisfare le richieste smodate d’amore, attenzione e protezione del paziente. Allo stesso modo non è di nessuno aiuto lo psicoterapeuta che si confida e racconta la propria vita, i propri valori, interessi ed emozioni. Il terapeuta sarà più d’aiuto al paziente svolgendo degli interventi aperti e diretti; fornendo una struttura e limiti al setting; creando una relazione terapeuta-paziente obiettiva e professionale; elaborando la traslazione negativa; mettendo il paziente a confronto con la sfiducia e l’odio e il modo in cui questi hanno distrutto la capacità di fare affidamento sul terapeuta.

Condizione fondamentale per conseguire cambiamenti e crescita in terapia è l’analisi sistematica della traslazione e la concentrazione sull’Io osservante. Sottolinea inoltre che l’interpretazione della traslazione negativa dovrebbe arrestarsi alla situazione hic et nunc e solo in parte essere fatta risalire agli originari conflitti inconsci del passato. In più tale interpretazione dovrebbe essere completata da esami sistematici e completi delle manifestazioni degli aspetti negativi della traslazione al di fuori del rapporto terapeutico, in tutte le aree di interazione interpersonali della vita attuale del paziente (27).

Kernberg, inoltre, propone dei criteri psicoterapeutici per affrontare i meccanismi di difesa tipici dei pazienti borderline.

Scissione. Sostiene che è una funzione difensiva contro l’emergere di una traslazione eccessivamente primitiva e le sue conseguenze sono un’interazione terapeutica superficiale e artificiosa, che blocca la possibilità di un’alleanza terapeutica con il paziente. Per cambiare l’equilibrio patologico del paziente è utile un’interpretazione coerente della sua partecipazione attiva nel mantenere questa suddivisione del Sé in compartimenti separati. E’ importante sottolineare che con questi pazienti il lavoro non si concentra sulla ricerca di materiale inconscio rimosso, ma sul collegare e integrare due o più stadi dell’Io emotivamente indipendenti, ma alternativamente attivi.

Idealizzazione primitiva. Un terapeuta con forti tratti narcisistici nella struttura del carattere potrà venire facilmente coinvolto dal paziente, in una relazione fatta da reciproca ammirazione. Questa difesa compromette l’instaurarsi di una alleanza terapeutica realistica.

3) Identificazione proiettiva (28). E’ la principale responsabile della formazione di un rapporto non realistico tra paziente e terapeuta fin dall’inizio del trattamento. "Le dirette conseguenze dell’aggressività e dell’ostilità del paziente nel transfert, i suoi sforzi continui di sospingere il terapeuta in una posizione dalla quale finirà con il volere uscire, … e il tentativo sadico di voler controllare il terapeuta possono avere un effetto paralizzante sulla terapia" (29). Come detto precedentemente questa difesa richiede una salda struttura nel setting e un blocco coerente della messa in atto di traslazione. Integrare questa struttura terapeutica con chiarificazioni e interpretazioni coerenti miranti a ridurre i meccanismi proiettivi è un compito arduo.

4) Negazione. Questa difesa può manifestarsi ignorando un settore dell’esperienza soggettiva o un settore del mondo esterno. Il paziente potrebbe riconoscere di avere negato un settore, grazie alle sollecitazioni del terapeuta, senza però riuscire ad integrare ciò con la propria esperienza emotiva. La negazione può essere diagnosticata a causa della perdita dell’esame di realtà. Il paziente agisce come se fosse completamente all’oscuro di un aspetto urgente e pressante della realtà. Nella traslazione la negazione viene usata come difesa dagli aspetti reali della situazione terapeutica, per soddisfare i bisogni di transfert. L’elaborazione di questa difesa è fondamentale per accrescere l’esame di realtà e comporta un rafforzamento dell’Io piuttosto che un ulteriore regressione.

Onnipotenza e svalutazione. Questi due meccanismi di difesa si riferiscono all’identificazione del paziente con rappresentazioni di Sé e dell’oggetto idealizzate in modo patologico con una forma primitiva di ideale dell’Io. Questa autoidealizzazione comporta fantasie magiche di onnipotenza e la convinzione di essere immune da malattia, frustrazione, morte e passare del tempo. La conseguenza di tale fantasia è la svalutazione degli altri, la convinzione di essere superiore a tutti, analista compreso.

Un’altra caratteristica relativa ai pazienti con organizzazione della personalità caso al limite, messa in evidenza da Kernberg, è lo sviluppo eccessivo delle pulsioni pregenitali, soprattutto dell’aggressività orale. Il terapeuta dovrebbe tenere presente che, al culmine delle manifestazioni distruttive e autodistruttive, si nascondono potenziali di crescita e sviluppo" (30); quello che, in superficie, apparirà un comportamento sessuale distruttivo e autodistruttivo potrà contenere i germi per un ulteriore sviluppo libidico e per relazioni interpersonali più profonde. Il compito del terapeuta, in questo caso, è di dissociare le tendenze normali e progressive all’interno del comportamento sessuale patologico delle mete pregenitali.

Riassumendo la tecnica proposta da Kernberg è una forma particolare di psicoterapia espressiva ad orientamento psicoanalitico, che si differenzia dalla psicoanalisi classica poiché non consente lo sviluppo di una completa nevrosi di traslazione e quest’ultima non si risolve unicamente con l’interpretazione. E’ una tecnica espressiva nella misura in cui si prendono in esame i fatti inconsci, mettendoli a fuoco, soprattutto per ciò che riguarda la traslazione negativa e per il lavoro consistente che si compie sulle difese patologiche del paziente. Vi sono anche presenti elementi di sostegno: 1) la manipolazione della situazione di trattamento, al fine di strutturare il setting. Ne sono esempio la frequenza delle sedute, le limitazioni riguardanti i contatti fuori dall’ora, i limiti posti al paziente per esprimersi; 2) i chiarimenti rispetto alla realtà, i suggerimenti diretti e i consigli impliciti (31).

Il terapeuta dovrà cercare di rimanere neutrale, ma ciò non significa inattivo. La finalità fondamentale della terapia è quella di rafforzare l’Io del paziente e di conseguenza far subentrare alle difese patologiche di livello inferiore, che indeboliscono l’Io, quelle di livello superiore che lo rafforzano.

 

 

Note

1 Gabbard G., 2002. La teoria del doppio asse elaborata da Kohut permette di considerare lo sviluppo che coinvolge sia l’ambito narcisistico che l’amore oggettuale.

2 Kohut H., 1971.

3 Kohut H., 1971, pp.13.

4 Gabbard G., 2002.

5 Kohut porta degli esempi di cause di assenza empatica della madre. Questo può essere dovuto a malattie fisiche, stato d’animo depresso, fino all’assenza o alla morte di questa. Altri casi possono essere dovuti a madri troppo assorbite in se stesse, che proiettano i propri stati d’animo e le proprie tensioni sul bambino, manifestando un’empatia difettosa. Altre possono reagire esageratamente a certi stati d’animo o tensioni del bambino, che corrispondono a propri stati di tensione e a proprie preoccupazioni e rimanere passive quando i bisogni del bambino non sono sintonizzati con la proprie preoccupazioni. Il risultato è un’alternarsi traumatico di mancanza e di eccesso d’ampatia che impedisce il ritiro di investimenti narcisistici e la costruzione di strutture psichiche capaci di regolare la tensione (Kohut H., 1971).

6 Kohut H., 1971.

7 Ibidem.

8 Kohut H., 1971, pp.97.

9 Kohut H., 1971.

10 Il paziente imparerà ad evitare reazioni difensive tipiche come spostamenti regressivi degli investimenti narcisistici su forme arcaiche dell’oggetto-Sé idealizzato e del Sé grandioso. Gradualmente con l’aumento della capacità di conservare una parte dell’investimento di cariche idealizzanti sull’oggetto-Sé, anche quando si verifichi una separazione da questo, si verifica uno sviluppo di quei processi che Kohut chiama interiorizzazioni trasmutanti, l’oggetto cioè può essere abbandonato e l’organizzazione psichica dell’analizzando diviene in grado di svolgere alcune funzioni che precedentemente erano svolte dall’oggetto (Kohut H., 1971).

11 Kohut H., 1971.

12 Gabbard G., 2002.

13 Kohut H., 1971, pp.26.

In un primo stadio l’analizzando riconosce l’oggetto solo come fonte di partecipazione empatica e di approvazione che soddisfa i bisogni narcisistici del paziente. Successivamente la traslazione speculare scomparirà e l’analista può diventare un oggetto d’amore a cui il paziente estende investimenti narcisistici che sostituiscono l’accompagnamento narcisistico normale dell’amore maturo.

Kohut H., 1971, pp.117.

Gabbard G., 2002.

Ibidem.

Ibidem.

Ibidem.

La seconda questione è stata trattata dall’autore con particolare riguardo alla sindrome di dispersione d’identità tipica di questi disturbi (Kernberg O., 1978).

L’esperienza clinica rivela che le strutture del Super-io spersonificate e astratte mancano.

La psicoterapia di sostegno mirando a rafforzare l’organizzazione difensiva del paziente, cerca d’impedire l’emergere di modelli primitivi di traslazione e quindi la regressione. Di solito tende a fallire perché le difese caratteristiche difese di questi pazienti ostacolano la formazione dell’alleanza terapeutica.

Kernberg O., 1978, pp.95.

Kernberg O., 1978.

Kernberg O., 1978, pp.104. Secondo Kernberg, il terapeuta per evitare di apparire repressivo e sadico, dovrà cominciare con l’interpretare la situazione di transfert, introducendo successivamente gli opportuni parametri tecnici di strutturazione e infine interpretando nuovamente la situazione senza abbandonare i parametri.

Kerberg fa presente che l’analista si potrà trovare a lottare contemporaneamente con l’insorgenza in sé di impulsi primitivi, con la tendenza a controllare il paziente e con la tentazione di sottomettersi masochisticamente ai tentativi di controllo compiuti dal paziente.

Kernberg O., 1978.

Il meccanismo di identificazione proiettiva ripreso da Kernberg è quello descritto dalla Klein, per cui sugli oggetti reali sui quali è avvenuta la proiezione viene mantenuta l’empatia all’unico scopo di controllare l’oggetto ora temuto a causa della proiezione. Nel transfert ciò si manifesta sotto forma di sfiducia e paura nei confronti del terapeuta, come se questi lo attaccasse. Il paziente, nel frattempo, tenta di controllare il terapeuta in modo sadico e prepotente.

Kernberg O., 1978, pp.116.

Kernberg O., 1978, pp.119.

Kernberg O., 1978.